NICOLA PETRUZZELLIS FILOSOFO DELL’ETICITÀ DELLO SPIRITO UMANO E DELL’ASSIOLOGIA CRITICA Nicola Petruzzellis (Trani, 17 gennaio 1910 – Roma, 30 ottobre 1988), dal 1959 al 1980 professore ordinario di Filosofia teoretica nell’Università di Napoli, all’epoca non ancora intitolata al suo Fondatore, è uno dei più acuti e singolari filosofi italiani del secolo XX. Se nella sua posizione speculativa si riscontrano numerose influenze – si pensi, tanto per fare qualche nome, a Platone, a Tommaso d’Aquino e ad Immanuel Kant che egli riteneva i suoi tre “auttori” – è difficile etichettarlo come appartenente ad una scuola, perché le tematiche della sua indagine e meditazione filosofica vengono ripensate in forma originalissima, in una sintesi unitaria, alla luce del rapporto dinamico in cui si articola la dialettica dell’eticità e della moralità nella vita dello spirito umano. Nella filosofia del Petruzzellis, come già in quella di Platone e di Aristotele, sono sempre riscontrabili i due momenti della pars destruens e della pars construens. Sono giustamente famose le sue critiche a Kant, il pur tanto amato e venerato Kant;1 agli idealisti: Fichte,2 Schelling,3 Hegel,4 Croce,5 Gentile;6 a Marx ed ai marxisti;7 a Husserl;8 ad Hartmann;9 agli esistenzialisti: Heidegger,10 Jaspers,11 Sartre,12 Marcel;13 ai positivisti del secolo XIX; 14 ai neopositivisti ed agli epistemologi del secolo XX;15 a Dewey;16 a Russell;17 a Pjaget.18 Ma è soprattutto nella pars construens che emerge la genialità speculativa del filosofo di Trani. 1. La dialettica della vita dello spirito: dall’eticità alla moralità La filosofia del Petruzzellis nasce nel contesto idealistico e pertanto affonda le radici nella problematica di quello. La terminologia potrebbe però ingannare. Se la problematica è quella posta dall’idealismo – basterebbero i termini “spirito” e “dialettica” a provarlo – ne è diversa però la prospettiva: il punto di partenza, il metodo e le soluzioni sono agli antipodi di quelli dello storicismo idealistico. 1 I.S., pp. 13-38; V.S., pp. 180-203; V.L. , pp. 519-527. I.S., pp. 73-113; E.I., pp. 63-95; P.S.P.M.S.D., pp. 9-24. 3 I.S., pp. 38-72; E.I., pp. 97-155; P.S.P.M.S.D., pp. 24-26. 4 I.S., pp. 115-190; E.I., pp. 173-211; P.S.P.M.S.D., pp. 26-45; L.F.P. I, pp. 136-150. 5 I.S., pp. 241-329; E.I., pp. 237-268; S.P.,I, pp. 89-106; L.F.P. I, pp. 161-173. 6 I.S., pp. 331-390; E.I., pp. 269-294; L.F.P. I, pp. 151-161. 7 I.S., pp. 191-228; P.A.P.C., pp. 203-230; L.F.P. I, pp. 173-181; V.L., pp. 257-317. 8 M.C., pp. 111-139; S.P., I, pp. 422-434. 9 M.C., pp. 166-178; V.S., pp. 152-156; C.I., pp. 151-177. 10 M.C., pp. 154-159, pp. 212-213; V.S., pp. 156-162; R.F.P.T., pp. 172-188. 11 M.C., pp. 159-166, pp. 208-212; S.P. I, pp. 107-200. 12 P.A.P.C., pp. 317-426. 13 P.A.P.C., pp. 155-188. 14 P.S.I.M.S.D., pp. 46-103. 15 S.P. I, pp. 363-414; C.S., pp. 13-125; V.L., pp. 51-67. 16 S.P. I, pp.293-321; S.P. II, pp.323-355; L.F.P. III, pp. 13-144. 17 S.P. II, pp. 357-377. 18 C.I., pp. 3-28. 2 Già nella concezione dello spirito si avverte la divaricazione radicale tra l’immanentismo moderno e l’apertura alla trascendenza del filosofo tranese. Il Petruzzellis definisce lo spirito umano “sintesi a priori di essere e dover essere”,19 ma aggiunge, a chiarimento, “dover essere, che è intrinseco all’essere e ne esorbita perennemente, condizionando la vita stessa dell’essere, che è processo e svolgimento”.20 La terminologia “sintesi a priori”, di chiara origine kantiana, non ha però il significato gnoseologico che riveste nella speculazione del filosofo di Königsberg, bensì, come chiariscono i due complementi di specificazione apposti alla locuzione di matrice kantiana, ha una portata metafisica ed etica, in quanto struttura essenziale dello spirito umano e del suo dinamismo. Il dover essere di cui parla il Petruzzellis “è quell’esigenza attiva di spirituale ascesa che si manifesta in ogni atto di vita umanamente, cioè consapevolmente vissuto e che attesta nell’attività spirituale umana un intrinseco orientamento teleologico”.21 Il Petruzzellis distingue l’eticità dalla moralità. Intende per eticità “la categoria universale del dover essere che abbraccia e qualifica tutta la vita dello spirito e rende ogni momento di vita spirituale suscettibile di valutazione etica o di riflessi morali”.22 Il dover essere è un innegabile costitutivo dell’essere, ed è la condizione intrinseca di ogni attività umana che non si esaurisca nella sfera circoscritta della biologia animale. Pertanto esso non va inteso come vuota idea o velleità dell’individuo, né come immancabile svolgimento che si attua sotto l’impulso di un’impersonale necessità dialettica. Per moralità il Petruzzellis intende invece il consapevole dispiegamento dell’eticità, la sua effettualità, la sua concreta realizzazione, la sua volontaria attuazione. Si tratta di una conquista personale che, in quanto tale, implica il superamento dell’utilitarismo e può esigere addirittura il sacrificio fino all’eroismo supremo.23 Se i valori assoluti sono il Bello, il Vero ed il Bene, ogni tensione verso di essi è contraddistinto dalla dialettica dell’eticità e della moralità: vi è pertanto l’eticità dell’arte e la moralità dell’arte, l’eticità della scienza e la moralità della scienza, l’eticità della filosofia e la moralità della filosofia, l’eticità della religione e la moralità della religione, l’eticità della prassi e la moralità della prassi,24 e, all’interno di quest’ultima, l’eticità della politica e la moralità della politica.25 L’eticità è infine la condizione necessaria del processo formativo nei suoi due momenti complementari e circolari dell’istruzione, o formazione dell’intelletto, e dell’educazione, o formazione della volontà.26 19 V.S., p. 34. Ibid. 21 V.S., p. 28. 22 V.S., p. 27. 23 V.S., p. 271. 24 V.S., pp. 365-367. 25 L.F.P.II, p. 50. 20 26 2. L’eticità dell’arte L’arte è la prima forma della vita dello spirito in cui si manifesta l’ansia di liberazione dai limiti del finito ed implica perciò il superamento della coscienza utilitaria. L’arte è catarsi, non nel senso aristotelico, ma perché implica un processo di purificazione che si compie nell’anima dell’artista e del poeta prima che in quello dello spettatore o del fruitore dell’opera d’arte.27 L’immanente eticità dell’arte affiora già in siffatto processo catartico. L’arte è creazione di una personalità libera. “L’arte è libertà e la sua efficacia catartica è liberatrice e affrancatrice, mentre il determinismo naturale ci dà il minerale, la pianta, il bruto e il determinismo sociale ci dà il conformismo piatto e incolore, la scomparsa della libertà, il livellamento della personalità”.28 L’arte slarga gli orizzonti della vita spirituale e comunica all’umanità, insieme con l’ansia dell’infinito, il presentimento di un destino più alto che non si esaurisce nella breve parabola che si dispiega tra la culla e la bara.29 Non vi è grande artista che non consideri la sua arte con la coscienza di un’alta missione. Anche la povertà, da tutti temuta ed odiata, fu coraggiosamente affrontata ed accettata dai grandi geni. “Eppure sarebbe bastato ben poco per attenuarla o scacciarla per sempre: adulare senza limiti e senza scrupoli ricchi e potenti, indulgere al gusto corrotto che impoverisce l’arte e arricchisce i mediocri, lusingare passioni di folle. Nessun grande artista ha mai piegato dinanzi a queste esigenze o imposizioni, nell’accettare le quali si fa da altri consistere l’arte o la scienza della vita”.30 Pagine toccanti scrive il Tranese quando ripercorre la tragedia esistenziale che contrassegnò la vita dei grandi: “… non si può leggere senza commozione e senza sdegno per la cecità umana la biografia di Schiller, di Mozart e di Beethoven, per citare esempi, forse generalmente non noti, di sovrane intelligenze, condannate alla dura lotta della miseria, da cui non li salvava la rara e sordida munificenza di illustri mecenati”.31 Il grande artista, che è per vocazione proteso a conseguire il suo ideale e non intende piegarsi alle mode passeggere o ai desiderata dei potenti o delle masse, sa rinunciare anche alla gloria: “… quando il grande artista è messo al bivio di scegliere una gloria menzognera, coartando o falsando la sua arte, o di continuare il suo nobile sforzo e le sue generose fatiche, anche senza il riconoscimento degli uomini, egli non può, benché il cuore gli trabocchi di amarezza, non scegliere la seconda alternativa”.32 Come si vede, l’eticità dell’arte non è solo la tendenza teleologica al Bello Infinito al fine di coglierne un riflesso particolare che, sia pure nelle limitazioni dello spazio e del tempo, partecipi della luce di quello, ma funge anche da ideale regolativo dello stesso processo creativo della bellezza in quanto tende ad espungere tutte le scorie estranee che potrebbero contaminarne la natura. “L’eticità dischiude le soglie dell’arte, apre l’incanto dei suoi regni fastosi, finché, assurta a moralità, non ne 27 V.S., p. 42. F.A., p. 276. 29 F.A., p. 308. 30 F.A., pp. 308-309. 31 F.A., p. 309. 32 F.A., p. 310. 28 ascende i supremi fastigi”.33 Il Petruzzellis chiarisce molto bene la differenza tra moralità dell’arte, moralismo nell’arte e moralità pratica dell’artista. Mentre il moralismo, che è la retorica della moralità, è un elemento esterno all’arte e laddove vi si inserisse ne contaminerebbe la purezza;34 mentre la moralità pratica dell’artista è quella che questi può incarnare nella prassi del quotidiano vivere allo stesso modo di chi artista non è; la moralità dell’arte scaturisce dalla sua immanente ed inconsapevole eticità. “Di là da questa più o meno inconscia eticità dell’arte, che introduce nel regno di valori estetici, si profila la vetta della più alta perfezione artistica, in cui la consapevolezza etica raggiunge più alto grado e si traduce in sorgente di altissima ispirazione. Questo eccelso grado noi abbiamo designato con l’espressione di moralità dell’arte, che resta tuttavia distinta dalla moralità della prassi. La moralità dell’arte è dunque soltanto nella spontanea e consapevole espressione delle aspirazioni etiche dell’uomo, profondamente condivise dall’artista: l’effusione lirica (che può essere presente anche nel dramma o nell’epos) della coscienza morale”.35 3. L’eticità della scienza e della filosofia Su un gradino più in alto rispetto all’arte, nell’ideale gerarchia delle attività dello spirito umano, si situano la scienza e la filosofia. Scienza e filosofia perseguono lo stesso valore, il vero, ma su due piani distinti. L’eticità della scienza è esattamente quella della filosofia: l’aspirazione alla conquista del vero. Ma questo si dispiega a diversi livelli; di qui la differenza tra le due attività teoretiche dello spirito umano. “Nell’atteggiamento teoretico il valore cui si protendono tutte le attività dello spirito è la verità. Nel momento dell’indagine, come in quello della ispirazione artistica, ogni fattore estrinseco è e deve essere bandito: sulla serenità e obbiettività della ricerca speculativa, abbia essa per oggetto un problema eminentemente teoretico o specificatamente etico, non devono influire intenti estranei alla pura, incondizionata passione della verità”.36 Il potenziamento spirituale dell’io, nel travaglio che mira alla conquista della verità, non è soddisfazione utilitaria, ed in questo l’eticità della scienza e della filosofia somiglia a quella dell’arte, ma non è neppure espansione sentimentale, ed in questo essa si differenzia profondamente da quest’ultima.37 Non è un caso che il Petruzzellis citi Hölderlin: “L’uomo è un dio quando sogna, un mendicante quando pensa”.38 Al sentimento ed alla fantasia che caratterizzano l’attività estetica subentra 33 F.A., p. 425. “L’artista rappresentando, condanna senza sermoneggiare; di ciò Dante, Shakespeare e Michelangelo, sommi maestri di poesia e d’arte, ci hanno lasciato significantissimi esempi . Esprimendo il loro mondo d’arte, hanno espresso anche il loro mondo morale con la mirabile spontaneità del genio. Il male in tutta la sua bruttura è anche esteticamente ripugnante: l’immoralità dichiarata e consapevole è aliena dall’arte.”. , SP. II, p. 33. Come si vede tanto il moralismo quanto il suo opposto esorbitano dalla sfera estetica. 35 S.P. II, p. 20. 36 V.S, pp. 130-131. 37 V.S., p. 93. 38 V.S., p. 92. 34 l’arida ricerca del freddo vero, ed è siffatta arida ricerca che qualifica la sfera teoretica. Se l’eticità che contraddistingue la scienza e la filosofia è la stessa, diverso è però il livello d’indagine, diverso il metodo, diversi i risultati conseguiti. “I rapporti tra la filosofia e le altre scienze ed attività umane sono particolarmente delicati e complessi, per il fatto che mentre la filosofia si distingue da ciascuna di esse, dall’altro canto per la sua universalità la speculazione investe, con una ricerca per lo meno tangenziale, ogni altra sfera scientifica, per porsi il problema della sua validità e della funzione del pensiero che, presente in ogni ricerca scientifica, presiede alla formazione della scienza, delle sue strutture e dei suoi metodi”.39 Si nota pertanto già una prima differenza tra la filosofia e le altre scienze: quando queste ultime cominciano a riflettere su se stesse, sui loro metodi, sui fini che intendono conseguire fuoriescono dal loro ambito e si trasformano in filosofia. Si coglie qui il salto tra la scienza, nel senso postcartesiano e postgalileiano del termine, e la filosofia: la prima quando riflette su se stessa si trasforma in filosofia; la seconda quando riflette su se stessa resta filosofia. Anzi quest’ultima, a differenza della prima, è capace di autocritica: si pensi ai dialoghi platonici della maturità o al S. Agostino delle Retractationes. “Una concezione filosofica del mondo, che sia, si intende, veramente tale, non si forma se non attraverso il vaglio e il travaglio della critica non pure, ma dell’autocritica, essendo questa inseparabile da quella… per chi abbia passione di verità la critica è un tribunale innanzi al quale sfilano con le opinioni altrui le proprie. L’autocritica, implicita nella critica stessa, è essenziale alla filosofia”.40 Ma non è tutto. Tra la filosofia e la scienza, esatta o sperimentale che sia, sussistono certamente rapporti vari, che si possono cogliere specialmente sul terreno storico, seguendo il processo di sviluppo dell’una e dell’altra: sussistono rapporti intimi, risultanti dalla comune attività del pensiero discorsivo impegnato in entrambe, anche se in diverse forme e con diversi metodi; intercorrono differenze notevoli, derivanti dal diverso obiettivo perseguito da ciascun ordine di ricerche. L’aspirazione al conoscere si rivolge alla totalità del reale, ma questo non tarda a rivelare piani prospettici e strutturali assai diversi fra loro, che eseguono un lavoro tanto più efficace quanto più differenziato.41 Mentre la scienza si occupa di aspetti particolari dell’essere, la filosofia aspira a conseguire la visione unitaria del reale, sia pure nella sua molteplicità, non solo del reale che può essere percepito nello spazio e nel tempo, ma anche di quello che trascende l’esperienza sensoriale e la cui esistenza viene constatata già nell’autocoscienza, nell’attività del pensiero in atto, che non può essere misurato, pesato, radiografato o analizzato con gli strumenti di laboratorio. L’uomo è per costituzione un essere metafisico e non solo biologico. La scienza ha i suoi limiti e la filosofia i suoi, anche se non coincidenti con quelli. “E lo scienziato ha coscienza di perseguire se non la verità, quanto meno alcune verità; nella sua probità confessa e dichiara che la scienza non può dare quella sintesi suprema e totale, che è oggetto 39 S.P. I, p. 323. V.S., pp. 131-132. 41 S.P. I, p. 325. 40 d’insopprimibile aspirazione spirituale”.42 Nella coscienza dello scienziato che persegue la sola conoscenza del vero, e non fa ricerca di laboratorio per amore di denaro come strumento di ricchezza personale, o addirittura per attentare alla dignità umana, l’immanente eticità della scienza si converte in moralità, che ancora una volta va distinta dalla moralità pratica dello scienziato come uomo che opera al di fuori della ricerca scientifica. A partire dalla coscienza del limite che accompagna la ricerca scientifica degna del nome si effettua il trapasso ideale dalla scienza alla filosofia. Il passaggio dall’eticità alla moralità nella sfera filosofica viene invece messo a fuoco dal Tranese nei seguenti termini: “L’autocritica scopre a se stessa la sua immanente eticità e questa si converte in moralità dispiegata e consapevole, quando la raggiunta coscienza di essa, non falsata o distorta da nuove insorgenze pratiche, sia secondata dalla volontà… La ragion pratica investe della sua formale obbligazione l’opera protesa verso la conquista del vero e realizzante, nella misura in cui il vero attinge o al vero si approssima, un valore eterno che si sottrae ad ogni vicenda temporale”.43 Il limite, prima ancora che nella coscienza dello scienziato e del filosofo, si manifesta all’uomo in quanto tale: “I limiti essenziali e costitutivi dell’uomo, sia come individuo che come specie, traspaiono anche all’ingenua filosofia della coscienza comune. Impressi indelebilmente in tutte le forme e le manifestazioni dell’esistenza fisica e sensibile… sono tragicamente e potentemente sentiti nello spettacolo misterioso e solenne della morte”.44 La filosofia, che è ad un tempo ricerca e speculazione, non si esaurisce a rilevare i limiti umani quali appaiono alla coscienza comune. “I limiti intravisti dalla coscienza volgare e ritrovati nelle più alte esperienze spirituali, diventano oggetto d’indagine critica […] Riconoscere i limiti dell’io,… riconoscerlo con tutto il rigore delle sue conseguenze e con quella lealtà e fortezza speculativa, che non cede alle suggestioni di una dialettica, che dopo averlo rilevato e accentuato, risolve il limite stesso nella vanità di un processo fenomenologico, è il più alto atto di quel coraggio e di quella spirituale fermezza, senza di cui… non si dà conoscenza, ossia conquista di verità”:45 4. L’eticità della religione “La religione appare, nel dispiegamento integrale della sua forma caratteristica, al vertice supremo della spiritualità umana. Nella religione la filosofia non si nega, ma si integra e si potenzia, si compie e si sublima.”.46 Con queste parole, consapevolmente contro corrente anche a costo di apparire anacronistiche ai più, Nicola Petruzzellis marca la differenza abissale tra l’idealismo, che nella concezione hegeliana ed in quella gentiliana riduce la religione ad un momento della filosofia, e 42 V.S., p. 306. V.S., p. 138. 44 V.S., pp. 167-168. 45 V.S., p. 178. 46 V.S., p. 223. 43 la sua prospettiva filosofica, che, non solo le lascia distinte, ma, nell’ideale gerarchia delle forme dello spirito, pone la religione al vertice delle attività umane. Il filosofo di Trani non si è limitato a teorizzare l’eticità della filosofia ma l’ha vissuta e l’ha tradotta in moralità. La filosofia non solo ha il coraggio di autocondannarsi, non solo ha il coraggio di riconoscere i suoi limiti, ma anche quello di andare incontro all’ostracismo per amore della verità. Il Tranese ne è cosciente: “Nulla suonerà più strano e dissueto di queste affermazioni all’orecchio di chi si sia nutrito, con intollerante esclusività, di quel dialettismo che, facendo della religione un momento non pure superabile, ma idealmente già superato nella filosofia in quanto fede ingenua ed irrazionale o mitico adombramento e alogico preludio del vero, non si accorgeva di rinnovare, dissimulandola sotto la scaltrita e raffinata concezione, una posizione che, non estranea all’illuminismo, era già chiaramente delineata nel pensiero averroistico”.47 Ma l’amore per la verità tollera anche l’irrisione, l’emarginazione, il disprezzo. Vi è anche l’eroismo della ricerca del vero e quello della testimonianza della scoperta del vero. Il momento religioso ha un che di nuovo e di irriducibile rispetto al momento filosofico che lo precede nella ideale dialettica della gerarchia dei valori. “Per un’esigenza immanente nella speculazione, e inseparabile da questa, la filosofia culmina nella religione”.48 Tutta la problematica filosofica è diretta alla ricerca ed alla scoperta del supremo principio metafisico. Non c’è sistema filosofico, degno di questo nome, che non ravvisi in un centro la suprema scaturigine del reale sia esso la Sostanza di Spinoza, l’Io puro di Fichte, l’Assoluto di Schelling, l’Idea di Hegel o l’Atto puro di Gentile.49 Le più forti divergenze tra la filosofia e la religione “non dipendono da una presunta radicale incompatibilità o opposizione reciproca, ma piuttosto da un diverso concetto di Dio”.50 “Il concetto di Dio, liberato da arbitrarie deformazioni, contrassegna il termine medio che condiziona il passaggio dalla filosofia alla religione: vertice dell’una, preludio dell’altra. La filosofia perviene al concetto di Dio, come condizione suprema e assolutamente necessaria della possibilità e dell’intelligibilità del reale, sotto il duplice aspetto di Causa intelligente e di Fine spirituale, primo legislatore e supremo giudice del mondo morale, che costituisce la parte più nobile della creazione.51 Aggiunge ancora il Petruzzellis: “… l’attività filosofica per intima spontanea necessità trapassa in attività religiosa. Il concetto di Dio s’integra e si sviluppa in amore di Dio, come sintesi e fonte di tutti i valori”.52 Il fattore razionale è un coefficiente essenziale della fede distinguendola dal sentimento fantastico o da un bisogno del sub-conscio. La fede è razionale certezza di verità: nell’atto di fede la volontà si determina per motivi razionali. Il filosofo credente muove da pensiero a pensiero sul piano speculativo, rifà il procedimento teoretico della sua fede ponendo tra parentesi il momento affettivo e volitivo. Il 47 Ibid. V.S., pp. 223-224. 49 V.S., p. 226. 50 V.S., p.227. 51 V.S., p. 233. 52 V.S., p. 236. 48 filosofo credente per via autonoma giunge alla certezza dei limiti e alla dimostrazione di un Principio primo. Rifà così razionalmente il ciclo che già aveva fatto col più rapido assenso di fede. Né la fede iniziale falsa il ragionamento perché la stessa fede iniziale è frutto di un sommario ragionamento. Il filosofo può proporsi il problema della sua fede, come quello delle sue idee. Non si può far colpa al filosofo credente se la sua fede, con l’indagine speculativa, ne esce corroborata. Vi è una circolarità tra fede e ragione, così come vi è una circolarità tra filosofia e teologia.53 La filosofia è autonoma rispetto alla fede, tuttavia poiché ogni forma della vita spirituale si espande in quella superiore e questa in quella inferiore, il teologo può servirsi della filosofia ed il filosofo di stimoli provenienti dalla teologia purché l’oggetto ed il metodo siano puramente razionali. “L’eticità – ribadisce il Petruzzellis – è la legge fondamentale e la molla segreta dello svolgimento spirituale: la moralità, che consiste nel libero e consapevole adempimento di questa legge, attua e garantisce forme via via più alte di unità spirituale”.54 Nella filosofia quando l’eticità si converte in moralità si celebra già, in altissima sintesi, la conquistata unità della persona. La filosofia si espande naturalmente nella religione ed è in questa che si attinge il vertice della spiritualità umana e la forma più alta e completa della personalità morale. Il sentimento religioso nasce dalla coscienza del limite; dalla coscienza del limite si svolge quella dell’illimitato e con essa il dovere del riconoscimento dell’infinito, che ci trascende pur senza esserci estraneo e lontano. Più universale è l’esperienza etica: la legge violata investe la coscienza dell’uomo e vi suscita il sentimento della sua impotenza e indegnità morale. Il contrasto tra ciò che l’uomo è e ciò che dovrebbe essere è tra le sorgenti più profonde della religione. Se l’esperinza del limite sviluppa in noi l’idea che l’infinto non può essere materialità, la coscienza dell’indegnità morale introduce il concetto di timore: “Dio si teme non in quanto crudele e tiranno, ma in quanto giudice e restauratore dell’ordine morale violato dalla colpa”.55 L’eticità della religione, che è quell’esigenza di spirituale ascesa che nasce dalla coscienza del limite e dal timore di aver violato la legge morale, è immanente non solo nella religione autentica ma anche nel paganesimo. “Senonché, nelle religioni in cui la pura sorgente del sentimento religioso è inquinata dalla più o meno consapevole insorgenza di istinti mal domi, di torbida passionalità o di impulsi utilitari, mentre l’immaginazione, asservita all’istinto, plasma i miti più assurdi, la tradizione foggia e consolida nella forma di una distorta eticità pratiche immorali, artificiosamente presentate, nonostante l’intima protesta della coscienza morale, come doveri verso la divinità”.56 Ma contro l’antropomorfismo si leva il verso solenne di Senofane e reagisce la critica platonica; contro l’immoralità di riti cruenti e di barbari sacrifici risuona il severo monito lucreziano “Haec potuit tantum religio suadere malorum”.57 Il conflitto tra religione e filosofia si presenta come conflitto tra 53 V.S., pp. 236-244. V.S., p. 246. 55 V.S., p. 250. 56 V.S., p. 253. 57 V.S., pp. 253-254. 54 una religione falsa e una filosofia vera o tra la religione vera e una filosofia falsa.58 “Quando l’eticità immanente all’attività religiosa assurge, con un ritmo analogo a quello delle altre forme spirituali, alla più completa e dispiegata forma della moralità, la personalità si sviluppa e si raccoglie nella sintesi suprema del suo potenziamento: anche la prassi è sottoposta integralmente alle ragioni supreme della vita, che si armonizza su un ritmo unitario e costante”.59 Pagine profondissime scrive il Tranese sul Cristianesimo mostrando come nella fedeltà al Vangelo i santi hanno raggiunto le vette più alte della moralità: “L’azione morale ha senso e valore imperituro solo se la personalità e l’attività dell’uomo profondono le loro radici in una realtà atemporale ed eterna, che egli possa liberamente celebrare al termine della progressiva conquista di se stesso, superate le angustie della vita presente, in un’esistenza riscattata dalle limitazioni del tempo e dello spazio e dai ceppi artiglianti della carne”.60 Considerando la religione come forza viva della storia perché modifica la prassi, si vede come il Cristianesimo non è solo pensiero teologico, ma un ideale di vita, è armonia inscindibile di pensiero e di azione, ed in quanto tale non può attuarsi se non nella storia. “Le sue verità sono eterne, ma l’uomo, che vive nel tempo, deve far propria questa eternità, informandone la vita e la storia; donde lo sbocco dell’attività religiosa nella prassi”.61 5. L’eticità della prassi “La prassi è l’attività dello spirito più direttamente impegnata nelle modificazioni esteriori della realtà naturale e storica”.62 Il concetto di prassi è molto più ristretto di quello di attività. L’attività è più vasta della prassi: lo spirito non cessa di essere attivo quando crea il bello, quando ricerca e trova il vero, quando nella sfera religiosa si esprime nella preghiera e nella contemplazione prima ancora che nel concreto esercizio della carità, che è il vertice della moralità. L’eticità e la moralità, se contraddistinguono ogni attività dello spirito, non possono non contrassegnare anche quella particolare attività impegnata nella modificazioni esterne della natura e dei rapporti umani. La prassi, nella concezione del Petruzzellis, inizia e conclude il ciclo ideale della vita dello spirito: bisogna pertanto distinguere la prassi primitiva, che è quella iniziale, dalla prassi conclusiva, che è quella finale nell’ideale gerarchia delle forme dello spirito. La prassi primitiva ha la sua legge, immediata o mediata, nell’istinto, e pertanto consiste nel soddisfacimento di essi. La priorità cronologica della prassi asservita all’istinto ha tratto in inganno il materialismo storico, che ne ha voluto fare la legge essenziale dell’umanità. Il bisogno e la sua soddisfazione scandiscono il ritmo della vita animale, ma non possono costituire i termini della legge dello spirito umano. 58 C.S.F.,I, p. 11. V.S., p. 252. 60 V.S., p. 266 61 V.S., p. 315. 62 V.S., p. 271. 59 Dai bisogni primitivi l’uomo è spinto alla conquista della natura. Sottomettendo la natura egli acquista coscienza della sua libertà, e comincia ad avvertire il senso della dignità umana. “Affiora così anche nella prassi primitiva, torbida d’istinti e di selvaggia passionalità, la fiamma purificatrice dell’eticità”.63 L’uomo impara a graduare i bisogni. La coscienza utilitaria è ad un passo più in là rispetto all’immediato soddisfacimento dei bisogni: essa consiste nell’asservimento del pensiero al soddisfacimento degli istinti. L’ideale riscatto dalla prassi utilitaria avviene attraverso l’arte e la filosofia: “Sul crepuscolo dell’inconscia e deformata eticità della prassi l’arte illumina l’infinita serenità dei suoi cieli. Al fascino della bellezza cede talvolta l’assillo della preoccupazione utilitaria: si ferma per pochi istanti la tormentosa e greve ruota d’Issione, a cui l’uomo è legato dalla sua inquieta carnalità”.64 Ma è la filosofia l’attività dello spirito che scopre, non solo nelle altre attività dello spirito umano ma nell’attività pratica, l’eticità con le sue finalità teleologiche e le sue possibilità deontologiche. Il pensatore scopre l’intima contraddizione della coscienza utilitaria consistente nella levità del fine e nella severità del mezzo. Ma nessun calcolo, nessuna forza può garantire all’uomo la stabilità delle sue conquiste utilitarie. “Il fine supremo della vita, lungi dall’essere una pallida astrazione distillata dagli artificiosi lambicchi di astruserie pseudofilosofiche, si desume agevolmente dalla legge universale ed eterna dell’eticità immanente nella spontanea dialettica della vita spirituale. Il destino dell’uomo nel mondo è nell’attuazione di valori, che trascendono la naturalità del reale empirico e che contribuiscono a formare nell’intimità della coscienza il regno dello spirito”.65 La religione conferisce, nella sua superiore integrazione, nuova e profonda efficacia alle forze rinnovatrici della prassi. La prassi conclusiva ha un orientamento e un valore che la differenziano profondamente da quella iniziale: “Così, a misura che la più alta spiritualità umana si attua e si completa, dalla contemplazione del bello alla conquista del vero ad all’attiva e amorosa conoscenza di Dio, anche la prassi si svincola, a grado a grado dalla primitiva naturalità e da remora, esercitante un’influenza ostacolante o perturbatrice, si trasfigura e si trasvaluta in complemento e tramite di azione spirituale”.66 6. L’eticità della politica A partire dal Machiavelli si è operato un divorzio tra etica e politica, ma i disastri provocati dal crollo di ogni politica fondata unicamente sulla forza ha dovuto far riconoscere finanche ad un teorico della forza eretta a ispiratrice della ragione di stato quale Friedrich Meinecke che il bene dello stato non è assicurato soltanto dalla potenza, ma anche da valori etici e giuridici e che anche la potenza può essere minacciata una volta scossi i valori etici e giuridici. 63 V.S., p. 274. V.S., p. 277. 65 V.S., p. 281. 66 V.S., p. 282. 64 La politica è una particolare sfera della prassi. Ora se l’eticità innerva tutta la prassi, innerva anche quel suo specifico settore che è l’attività politica. “L’analisi dell’attività politica nelle sue leggi immanenti scopre la disposizione teleologica che la pervade e le linee molteplici delle deviazioni e delle aberrazioni da essa e consente di pervenire a quella prospettiva deontologica, a cui alcuni pensatori si sono elevati senza la mediazione di sufficienti basi critiche”.67 Il problema della politica non può essere inteso come riflessione settoriale sull’attività politica in quanto la problematica di quest’ultima è connessa con l’intera problematica filosofica: è connessa infatti coi problemi dell’autorità, della persona, della libertà. Il Petruzzellis fa giustamente una distinzione tra libertà psicologica, libertà morale e libertà politica. Mentre la libertà psicologica è la condizione delle altre libertà – senza possibilità di scelta e di autodeterminazione la libertà morale e quella politica sono nomi vuoti – ; mentre la libertà morale “è la libertà realizzatrice dei valori morali in sfere d’azione concentriche via via slargantesi, dalla vita individuale a quella sociale, nazionale e internazionale”;68 la libertà politica è quella stessa libertà morale relativa non più alla sfera privata bensì a quella pubblica. “Anche per la politica, come per le altre attività dello spirito umano l’eticità è condizionante, mentre la moralità, nel senso di consapevole e generosa attuazione d’ideali e di valori, costituisce l’estremo limite, quasi fastigio a cui tende il ciclo teleologico e deontologico, senza che sia sempre e dovunque raggiunto”.69 Come nel caso dell’arte una cosa è la moralità, un’altra il moralismo, lo stesso si può costatare per ciò che concerne la politica. “La politica non ha bisogno di inchinarsi alla morale, quasi ad un’estranea quanto dispotica tiranna, ché essa porta in sé strutturata una esigenza etica; distruggendo o ignorando questa esigenza si frustra l’efficacia stessa dell’azione politica”.70 Come l’eticità immanente in ogni attività dello spirito deve poter convertirsi in moralità, lo stesso deve poter aver luogo nella politica: l’eticità della politica deve convertirsi nella moralità politica. Questo ha luogo quando alla coscienza utilitaria di chi regge la cosa pubblica subentra quella del servizio che è coscienza morale. Probabilmente il Petruzzellis non ha una conoscenza di prima mano del De monarchia dell’Alighieri, ma nella sua mente vivono gli stessi ideali e nella sua anima fremono gli stessi sentimenti del Poeta: Non cives propter consules nec gens propter regem, sed e converso consules propter cives et rex propter gentem. Chi si limitasse alla visione etico-politica del Petruzzellis potrebbe pensare che il filosofo di Trani stia con la testa tra le nuvole, non rendendosi conto che la politica è una cosa e l’etica un’altra. In realtà, proprio chi ha una visione etica della politica, può non solo dare suggerimenti per ciò che concerne il jus condendum, può non solo intravedere i rischi ai quali certe opzioni possono dar luogo a lungo termine, ma può scorgere finanche il baratro nel quale si potrebbe precipitare per scelte demagogiche dettate non dalla saggezza politica ma sotto l’impulso della coscienza utilitaria. 67 L.F.P.I, p. 20. L.F.P. I, P. 193. 69 L.F.P. II, p. 50. 70 Ibid. 68 Siffatta coscienza non è soltanto quella di chi, per il proprio “particulare”, adula i detentori del potere, si tratti tiranni o usurpatori o reggitori della cosa pubblica legittimamente eletti, ma anche i servi della folla che, per gli stessi abietti motivi, ne sollecitano e/o ne soddisfano le passioni, e chiamano “bene” ciò che piace alla bestia e “male” ciò che non le aggrada. Pochi pensatori hanno assimilato e fatto sangue del proprio sangue, come il Petruzzellis, le immortali pagine della Repubblica di Platone, dove l’Ateniese fa l’analisi fenomenologica della genesi della degenerazione delle forme di governo e, nello stesso tempo, la stigmatizza. Il Tranese non si limita a teorizzare la politica scorgendo nel dover essere la condizione della sua giustificazione e del suo valore. Acuto osservatore, filosofo del concreto, fustiga i costumi di chi è al potere come di chi è all’opposizione, senza per questo cadere nel qualunquismo, che sta alla politica come l’agnosticismo alla metafisica. Sono numerosi i suoi articoli pubblicati non solo su riviste ma su quotidiani, quando qualche rara volta gli è concesso di collaborare ad essi, le cui diagnosi e prognosi si sono purtroppo rivelate veritiere. Basta dare uno sguardo al terzo volume di Lineamenti di filosofia politica (1966) o alla seconda parte del volume Critica dell’inautentico (1974) che si intitola, non a caso, La crisi del costume.71 Ma è soprattutto in uno degli ultimi volumi dal titolo significativo Il metro della libertà e dal sottotitolo altrettanto eloquente Colloqui col mio tempo (1976) che si avverte la passione etico- politica del filosofo di Trani. Proprio perché la filosofia politica non è intesa dal Petruzzellis come riflessione marginale sull’attività politica astrattamente considerata ma nella rete dei rapporti della società civile, la politica viene esaminata in relazione all’economia, alla cultura, al lavoro, alla scuola, alla tutela della salute. I problemi ai quali deve far fronte la politica sono molteplici, ma ciò che conferisce unità all’indagine su aspetti particolari resta, piaccia o non piaccia, l’eticità della politica. A un politico di professione che intende inchiodare i filosofi alle loro responsabilità e li invita a rompere il silenzio e a vincere lo scetticismo verso gli organi dello Stato, perché la nazione culturalmente pericola, il Petruzzellis ha buon gioco nel rispondere: “Molto spesso preferiamo tacere per carità di patria, e d’altro ancora, ma abbiamo parlato anche quando era pericoloso farlo, e parliamo tuttora dalla cattedra, dai libri, dalle riviste. Non ci siamo isolati, ma spesso siamo stati isolati, perché la nostra voce non era gradita o era semplicemente ignorata”.72 Non è un caso che il commiato di Critica dell’inautentico si intitoli L’emarginazione.73 7. L’eticità come condizione del processo formativo La concezione dell’eticità della vita dello spirito si rivela feconda non solo per la soluzione della problematica della filosofia sia teoretica e che pratica, ma anche in sede pedagogica. 71 C.I., Parte prima: Per una ricostruzione filosofica, pp. 3-340; Parte seconda: La crisi del costume, pp. 343-564. M.L., p. 171. 73 C.I., pp.563-564. 72 Essere e dover essere, fatto e valore, reale e ideale, non sono in un rapporto di antagonismo: se il fatto coincidesse col valore, l’essere col dover essere, il reale con l’ideale, la necessità con la libertà, la pedagogia non sarebbe possibile. La pedagogia non può non essere intesa che come scienza filosofica. Essa infatti presuppone l’ontologia, la gnoseologia e l’etica, dal momento che il problema pedagogico va indagato nel suo duplice aspetto speculativo e pratico. Le condizioni della possibilità dell’educazione sono due: la spiritualità e l’umanità del soggetto che deve essere educato da un lato, la legge del dover essere dall’altro. L’orientamento teleologico del dover essere è diretto alla formazione della personalità, che non va confusa con la persona e tanto meno con l’individuo. Mentre la persona è l’individuo umano, con una sua particolare costituzione anatomo-fisico-psichica, la personalità è lo stesso soggetto individuale in quanto si fa portatore di valori universali: la personalità “è l’individualità in quanto si adegua ai valori, senza smarrire la sua inconfondibile fisonomia e realizza tra i valori medesimi un’armonia”.74 Il processo della formazione, che è processo spirituale, ha due aspetti distinti: l’istruzione, o formazione dell’intelletto, e l’educazione strictu sensu, o formazione della volontà. Istruzione ed educazione si implicano a vicenda ma non coincidono. “Non si può insegnare, non si può istruire senza educare; non si può educare, senza insegnare e senza istruire”.75 Senza l’ontologia non è possibile la gnoseologia, e senza l’ontologia e la gnoseologia non è possibile la pedagogia. Infatti se nulla esiste, nulla si conosce; e laddove nulla esiste e nulla si conosce, nulla si insegna. L’aspirazione alla verità è universale e caratteristica di ogni essere umano, come universali sono le condizioni e i princípi regolativi del sapere. L’universale presenza di questi princípi in ogni coscienza umana è la condizione fondamentale di ogni insegnamento. La distinzione tra temperamento e carattere trova la sua piena giustificazione nella concezione filosofica che fa dell’eticità la condizione prima dello sviluppo dello spirito umano. Il temperamento è, si può dire con Dante, “il fondamento che natura pone”; il carattere è l’autocostruzione della personalità morale. Il fine dell’educazione in senso stretto è la formazione del carattere. La concezione dell’eticità dello spirito, una volta che sia inquadrata in una prospettiva assiologica, non solo può fondare la pedagogia ma può fornirle i metodi ed i fini, nonché la soluzione adeguata ad artificiose antinomie pedagogiche, come quella concernente la centralità dell’alunno o del maestro, o quella riguardante l’educazione per l’individuo o per la società. 8. L’eticità come condizione della molla propulsiva del valore della storia Dinanzi al dramma della vita umana, il cui universo non è costellato soltanto da eroi e da santi, bensì da ladri, stupratori, omicidi, usurai, falsari, spergiuri, tiranni sanguinari e così via, il filosofo non può non porsi il problema del significato e del valore della vita umana: caducità che passa o valore eterno che si afferma, pur nella instabilità del mobile corso? La storia non è altro che lo svolgimento della vita di tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi: “La storia nella più compiuta accezione 74 75 P.P.S.F., p. 228. P.P.S.F., p. 103. della parola non è che la vita del genere umano nella totalità delle sue manifestazioni: è l’oceano maestoso e profondo alimentato da innumerevoli sorgenti, piccole e grandi”.76 Il problema della storia, posto sopra in forma di dilemma, si sfaccetta, a sua volta, in una serie di interrogativi: la storia è un insieme di fatti senza senso oppure dietro alle tessere apparentemente irrelate è possibile, sia pure nei limiti della ricerca umana, intravedere un mosaico che, a sua volta, rinvia ad un progetto e ad un fine? C’è un’unica sorgente remota da cui i vari rivoli della storia zampillano e una meta a cui sono orientati? La storia ha un fine? Ha un valore? “Ai fastigi dell’etica, il problema del valore e del fine della storia è il centro di convergenza di tutti i problemi filosofici, perché quel problema non potrebbe essere neanche posto, se non vi contribuissero e non vi confluissero anche la metafisica e la gnoseologia”.77 Il processo ideale dello spirito su cui si fonda la gerarchia dei valori non è il processo cronologico che è la storia. Nella storia possiamo notare le deviazioni dell’orientamento teleologico: la libertà produce nella storia la discordanza del fatto dalla legge. Nella storia confluiscono la prassi utilitaria e la prassi realizzatrice dei più alti valori, ma questa confluenza è tutt’altro che pacifica. “È un tragico scontro che, in varie forme e gradazioni, riempie di sé il gran dramma della storia”.78 Bene e male, valori e disvalori spesso si intrecciano nella storia. La volontà umana è incapace di una direzione assolutamente rettilinea, sia nel bene che nel male, ma il bene è sempre essenzialmente una conquista. La constatazione che l’uomo nella storia reagisce, e si pone contro le situazioni di fatto, dimostra che la semplice conoscenza della situazione storica è insufficiente a determinare l’azione. Nella storia l’eticità, che pure è la condizione necessaria ma assolutamente insufficiente per il conseguimento dei valori, non può tuttavia operare universalmente perché ciò richiederebbe il concorso di tutte le volontà. Il processo teleologico immanente nel nostro spirito non raggiunge le sue mete supreme se non si trasforma in un libero processo di attuazione. Un siffatto processo è la molla propulsiva e la causa finale prossima e immanente nella storia. Ma esiste, come si vedrà più avanti, anche una causa finale ultima. “È questo processo, mediante il quale noi ci creiamo a noi stessi non nell’esistenza empirica, ma nella perfezione dello spirito, che costituisce la segreta molla propulsiva e la causa finale, prossima e immanente, della storia, che non esclude, anzi implica una più alta e conclusiva causalità e finalità”.79 Le forme dello spirito si realizzano nel tempo. Di qui una storia dell’arte e della poesia, della scienza e della filosofia, della religione e della politica. L’unità di ciascuna delle suddette branche storiografiche è data dall’eticità che pervade ogni forma dello spirito e dal valore che ciascuna di esse persegue. “La continuità dialettica dell’eticità e moralità, mentre assicura l’unità interiore allo svolgimento storico delle singole attività spirituali, suggerisce un filo conduttore alle relative 76 V.S., p. 3. V.S., p. 4. 78 V.S., p. 284. 79 V.S., p. 300. 77 branche storiografiche e le collega poi insieme all’universalità del loro significato come espressioni distinte di distinte forme o attività spirituali, in cui circola e si afferma e può elevarsi a superiori potenziamenti la fondamentale unità dello spirito. Così l’unità della storia si riconduce all’unità dello spirito, intesa nel suo significato ideale”.80 Il duplice sviluppo teleologico e deontologico dello spirito non può avvenire che nella storia, mediante la storia e malgrado la storia. La storia è condizionata dall’attività umana che l’ha preceduta e condiziona a sua volta quella che la segue. Anche la creazione lirica più originale non nasce dal nulla ma presuppone il mondo storico. L’infinito del Leopardi presuppone l’esistenza della lingua italiana e la cultura scientifica e non solo letteraria del Recanatese, che è poi quella del ‘700 e non certo quella di Quasimodo o di Montale. Analoghe considerazioni si facciano per la storia delle altre forme dello spirito. Dalle attività spirituali scaturiscono i valori storici, ma questi presuppongono i valori ideali eterni: i valori storici possono essere perenni ma non eterni perché ad essi è congiunta la contingenza. Il fine della storia non può consistere nella costituzione giuridica universale; in tal caso beneficerebbero del progresso storico solo gli ultimi. “Il fine dev’essere tale da poter esser colto in varia misura da ogni uomo di buona volontà in ogni momento del corso storico: in tal senso è, dunque, immanente. E il fine della storia è infatti l’attuazione, nell’intima realtà della coscienza, di un valore eterno, spirituale, sovrasensibile, il Bene, fulcro della persona morale, che si attinge con l’inesausta tensione della volontà morale in ogni sfera dell’attività umana”.81 Gli eroi della storia non sono gli eroi del vizio, come opinava Rousseau per coinvolgere anche la storia nella loro condanna, ma, una volta identificati il fine e il valore della storia, gli eroi della storia sono coloro che hanno realizzato il bene. A tutti è data la possibilità di contribuire al conseguimento del proprio e dell’altrui destino. Istituzioni politiche, guerre e paci, l’alba e il tramonto di egemonie mondiali, l’alterna vicenda di mode e di costumi, tutto ciò costituisce l’estrinseco meccanismo della storia. Ma a interrogare la storia, che non è quella dei manuali o dei grandi trattati, a interrogare bene documenti e testimonianze, e non solo quelli della storia civile e politica ma quei numerosissimi altri che appartengono alla storia delle altre attività dello spirito “si riesce a intravedere l’intimo dramma che si svolse tra le mutevoli prospettive, di cui ci è stato tramandato più appariscente ricordo”.82 9. L’ontologia dei valori La coscienza storica è quasi un medio ideale tra la sopravvalutazione della storia, che caratterizza lo storicismo, e la negazione della medesima, in cui si risolve l’antistoricismo. La coscienza storica non si limita a fotografare i fatti umani nel loro processo diacronico, ma ne coglie anche il significato, e pertanto è anche coscienza 80 V.S., p. 316. V.S., p. 360. 82 V.S., p. 372. 81 assiologica.83 La coscienza comune distingue una serie più o meno indeterminata di valori: valori estetici, logici, scientifici, etici, religiosi, economici ecc. Il compito dell’assiologia filosofica non è tanto quello di drizzare una nuova tavola di valori quanto quello di “accertare il concetto medesimo di valore e pronunciarsi circa l’unità e la molteplicità, la dispersione o la gerarchia, l’irriducibilità o la convergenza, la soggettività o l’oggettività dei valori”.84 Non è possibile costruire l’assiologia senza l’ontologia. Reale è tutto ciò che è in atto: “Reale è il nostro spirito, ancorché sia lungi dall’essere una cosa, reale è il nostro pensiero, reale la volontà, reale ogni sentimento vivo ed operante in noi”.85 Fatta una tale premessa il Petruzzellis può affermare che il valore è ciò che condiziona le cose o le azioni in quanto hanno per noi un pregio, che stimola il pensiero e l’attività, è ciò per cui una cosa vale a paragone di altre che non valgono. “Il valore è dunque il principio di validità delle cose o delle azioni”.86 Siffatto principio è interno alle cose ed alle azioni: una cosa non è bella senza la bellezza che vi risplende, un giudizio non è vero senza la verità ad esso intrinseca, un’azione non è buona senza la bontà che la sorregge. Caratteristica dei valori è l’inesauribilità di ciascuno di essi nella singola cosa, nel singolo giudizio, nel singolo fatto.87 Non c’è capolavoro dell’arte che possa esaurire l’infinito ideale della bellezza; non c’è opera scientifica o filosofica che possa racchiudere l’infinito ideale della verità; non c’è azione buona, neppure quella di Massimiliano Kolbe o di Salvo D’Acquisto, che possa riassume in sé tutta la bontà. La prova è già nel fatto che se l’eroico sacrificio del primo esaurisse in sé tutta la bontà, quello del secondo ne sarebbe privo. Né la somma dei valori finiti anche se moltiplicata all’infinito potrebbe esaurire l’infinità del valore. Una totalità infinita di valori finiti non costituisce il Valore infinito a cui la coscienza umana aspira. Infiniti ad finitum nulla est proportio ama ripetere il Petruzzellis, nelle sue lezioni, col cardinale Cusano. La problematica assiologica sopra rilevata si sfaccetta in una serie di quesiti: perché ed in che senso una cosa o un’opera o un azione vale? Il valore è realtà o illusione? Tutto tramonta nei valori storici e contingenti o c’è qualcosa che in essi o di essi sopravvive? “Ora la più semplice riflessione ci dice subito che può tramontare un’estetica, ma non l’esigenza di amare e creare il bello; può tramontare una filosofia o una teoria scientifica, ma non la ricerca del vero; può tramontare un’istituzione politica, sociale, filantropica, ma non già la necessità di dare un ordine alla vita singola e associata, non già il bisogno che l’uomo ha per formarsi e per vivere umanamente”.88 Quindi già a livello della coscienza comune, fenomenologicamente descritta e analizzata nella sua polifunzionalità, si scopre una tendenza ad infinitum. Di qui una prima distinzione tra valori storici e valori operanti nella coscienza umana. 83 V.S.C.S., p. 93. V.S.C.S., p. 95. 85 V.S.C.S., p. 96. 86 V.S.C.S., p. 97. 87 “Né L’Iliade, né la Commedia, né il dramma shakespeariano esauriscono il bello poetico, come né la filosofia platonica, né quella aristotelica né quella kantiana riassumono tutta la verità filosofica”., V.S.C.S., p. 117. 88 V.S.C.S., p. 98. 84 I primi sono contingenti: si pensi a quanti capolavori dell’arte dell’antichità sono andati irrimediabilmente distrutti, a quanti testi filosofici di grande valore – basti ricordare le oltre cento opere logiche di Crisippo – sono stati cancellati per sempre dalla storia della cultura; quante azioni eroiche, che si sono realizzate nel piccolo quotidiano o nel corso di grandi eventi, non sono state mai registrate dalla storiografia ufficiale. I valori storici, benché testimoni della spiritualità dell’uomo, sono potenzialmente caduchi, non dal punto di vista assiologico, perché incarnano nel tempo un valore che di per sé trascende il tempo, ma dal punto di vista fattuale, perché possono essere distrutti o ignorati per sempre a causa di calamità naturali o disastri provocati dall’uomo. I valori operanti nella coscienza umana, destinati a finire con la morte biologica del singolo uomo ma condizione della possibilità del significato e del valore dell’esistenza, svolgono una doppia funzione: teleologica e gnoseologica. Essi infatti operano nella coscienza dell’uomo come tendenza teleologica e supreme categorie assiologiche. Quanto alla tendenza teleologica si deve osservare che senza l’esigenza del bello non sarebbe possibile la creazione di alcuna opera d’arte, senza l’esigenza del vero non si darebbe alcuna possibilità di conseguirlo da parte dell’uomo, senza l’esigenza del bene sarebbe impossibile qualsiasi azione morale. Quanto alle supreme categorie assiologiche c’è da considerare che senza la categoria del bello non potrebbe darsi alcun giudizio estetico, senza la categoria del vero non potrebbe formularsi alcun giudizio valido dal punto di vista aletico, senza la categoria del bene sarebbe impossibile valutare qualsiasi azione sotto il profilo morale. A questo riguardo si deve sottolineare che sono importantissime due distinzione fatte dal Petruzzellis: quella tra giudizi di esistenza e giudizi di valore da un lato, e quella tra valori, pseudovalori e disvalori dall’altro. La prima distinzione riguarda la capacità giudicativa della coscienza sul piano assiologico: i giudizi di esistenza si limitano ad accertare o a riconoscere la realtà di un componimento, di una tela, di una scultura, di un trattato, di un’azione, di un fatto umano; i giudizi di valore, al contrario, valutano sotto il profilo del bello, del vero, del bene quanto già accertato sul piano ontico dai giudizi d’esistenza. La seconda distinzione riguarda invece il mondo storico. Non ogni poesia o ogni tela o scultura è un’opera d’arte; non ogni trattato scientifico o filosofico è il detentore della verità sotto tutti i punti di vista, a parte il fatto che nessuno di essi è detentore di tutta la verità; non ogni fatto umano è buono. Di qui la distinzione tra i tre piani dei valori storici. Ci sono opere che incarnano il valore della bellezza; opere che sembrano incarnarlo ma non appena trascorsa la moda effimera che li ha prodotti vengono rifiutati dalla sana critica estetica; opere che sono l’aperta negazione e la dissacrazione del bello. Le prime rientrano nell’insieme dei valori, le seconde in quello degli pseudovalori, le terze in quello dei disvalori estetici. Ci sono trattati che incarnano il valore del vero; altri che sembrano incarnarlo (si pensi alle psudoscienze come l’astrologia, la magia, l’alchimia, che sono le controfigure rispettivamente dell’astronomia, della fisica e della chimica); altri infine che apertamente lo negano. I primi appartengono all’insieme dei valori, i secondi a quello degli pseudovalori, i terzi a quello dei disvalori aletici. Ci sono infine azioni umane assolutamente buone; azioni che appaiono buone senza esserlo (si pensi ad opere filantropiche fatte per sfruttare i beneficiati, all’operato degli ipocriti di tutti i tempi); azioni completamente immorali. Le prime appartengono al regno dei valori, le seconde a quello degli pseudovalori, le terze a quello dei disvalori morali. È possibile una storia dell’arte, perché nella produzione diacronica delle poesie, dei dipinti, delle sculture, c’è qualcosa che muta, senza la quale non si dà storia, ma anche qualche cosa che resta, altrimenti ci sarebbe la storia tout court, ma non la storia dell’arte. Un discorso analogo si faccia per la storia della scienza, della filosofia, della religione, della politica e così via. In conclusione la storia di ciascuna delle suddette branche è possibile, perché nella storia vi è qualche cosa che muta (fatto) e qualche cosa che non muta ed è norma del fatto (valore). Ora se nella coscienza umana vi è la condizione necessaria, ma non sufficiente, della produzione dei valori storici, problematica egregiamente indagata dal Petruzzellis nell’opera Il valore della storia (3a ed. 1959), e sempre nella coscienza vi è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per la valutazione di essi, tematica, quest’ultima, messa a fuoco nel volume I valori dello spirito e la coscienza storica (3a ed. 1965), allora o la storia è un insieme di fatti senza senso o, se non lo è, allora si richiede la fondazione di questa stessa duplice condizione. L’ontologia dei valori non può non sboccare nella metafisica. 10. L’assiologia critica come cerniera tra l’eticità dello spirito e il valore della storia Il Petruzzellis intende per assiologia critica non la riproposta della filosofia dei valori tedesca, inficiata – come è noto – di formalismo, ma una filosofia dei valori che fondi non solo l’eticità della coscienza diretta al conseguimento dei valori e la sua capacità giudicativa assiologica, ma che giustifichi nello stesso tempo il senso della storia se non si vogliono mettere sullo stesso piano Catilina e Catone di Utica, Attila e Leone Magno, Cesare Borgia e Francesco d’Assisi, Massimilano Kolbe e Adolf Hitler. Già nel volume Il valore della storia il Tranese non si è limitato a ripensare da un punto di vista postkantiano le vie tomistiche dell’esistenza di Dio, ma ne ha formulate due nuove. La prima parte dall’esperienza interiore della contingenza. Sperimentiamo la contingenza direttamente in noi: siamo incapaci di autoprodurci nella vita; siamo incapaci di conservarci con le nostre forze. Esiste allora una causa di me. Questa causa non può essere contingente, né relativamente necessaria, ma deve consistere in un Essere che abbia nello stesso tempo i caratteri di Causa prima, di Essere necessario e di Pensiero infinito in atto.89 La seconda prova è fondata sull’argomento teleologico delle attività spirituali. L’esigenza del dover essere è costitutiva di ogni attività umana ed è un’esigenza di ascesa diretta ad una meta. Quest’orientamento può essere fuorviato, falsato, 89 V.S., pp. 205-207. spezzato, ma mai distrutto. L’eticità salendo, nell’ideale ascesa della vita dello spirito, dall’arte, alla scienza, alla filosofia, alla religione, e discendendo nella prassi, allorché consapevolmente e volontariamente tradotta in morale, feconda ogni sfera della vita umana. Gli orizzonti della morale si slargano sempre più. Kant fa dello spirito umano il principio legislatore della vita morale, ma a questa maniera la morale diviene un fatto bruto, inesplicabile. L’autonomia è un concetto basilare dell’etica ma deve essere intesa: 1) come libera autodeterminazione della ragion pratica; 2) come inviolabilità della coscienza. L’astratta universalità dello spirito umano non può essere la fonte prima della legge morale, e Kant stesso, per garantire l’ordine morale, è stato costretto a postulare l’esistenza di Dio. Ora la moralità si spiega soltanto inquadrandola nel sistema universale della realtà. L’uomo non può creare la legge morale. “L’uomo ripromulga in sé la legge morale, quando elegge l’orientamento costante della sua vita; dà prova della sua autonomia, quando la sua volontà non si lascia determinare da fattori estrinseci preminenti con l’urgenza della naturalità che l’avvolge; ma non può rivendicare a sé l’origine prima della legislazione morale”.90 Il filosofo di Königsberg si limita a rilevare che la presenza della legge morale in noi è un fatto (ein Fakt) della ragion pratica. Ora, osserva il Petruzzellis, il fatto non basta costatarlo ma è necessario giustificarlo, e lo si giustifica solo risalendo ad un Principio superiore, primo, assoluto. È quindi un’esigenza speculativa e non pratica che ci permette di arrivare a Dio a partire dalla ragion pratica. Dio quindi non è un postulato della morale ma la causa dell’ordine universale in cui la stessa morale va inquadrata. Un Dio ridotto a garante della legge morale non solo non la fonda ma non la spiega. Dio non è solo la causa prima dell’eticità dello spirito ma è anche il fine supremo del valore della storia. La storia ha un senso soltanto se la vita umana non si chiude tra la culla e la bara. Non a caso il Petruzzellis denomina i valori “preludio di una metastoria”.91 Ora l’eticità, proprio perché è esigenza di infinito ed è la condizione necessaria dei valori storici, non trova il suo appagamento in essi. Perciò, come essa prova l’esistenza di una causa prima del suo proprio esserci, prova altresì quella di una causa finale della sua tensione. E la causa prima non può non coincidere col fine ultimo. Infatti, poiché una pluralità di valori infiniti è priva di senso, non vi è una pluralità di valori infiniti come causa prima dell’eticità né una pluralità di valori infiniti come fine della sua tensione, ma deve esserci un’unità in atto di tutti i valori infiniti, che sia la coscienza filosofica che quella religiosa chiamano “Dio”. Ed è così che il Petruzzellis definisce Dio: “sintesi e fonte di tutti i valori”.92 Se Dio si limitasse a fondare la coscienza assiologica dell’uomo, e facesse finire nel tempo la vita umana, metterebbe sullo stesso piano l’esistenza dei ladri e degli onesti, dei sanguinari e degli operatori di pace, dei delinquenti e di quanti donano la loro vita per gli altri, sia nella noiosa routine del vivere quotidiano che col sacrificio supremo della propria vita. Se mettesse sullo stesso piano mali et boni, per usare il linguaggio dell’Ipponense, non sarebbe la sintesi personale di tutti i valori. 90 V.S., p. 210. R.F.P.T., p. 233. 92 V.S., p. 236. 91 In conclusione se non ci fosse la sopravvivenza dell’umanità oltre la storia, non esisterebbe Dio; se Dio non esistesse, non esisterebbe l’eticità dello spirito; ma l’eticità esiste; dunque esiste Dio; dunque c’è sopravvivenza della vita umana oltre la tomba. La storia non ha solo un fine prossimo immanente, come visto sopra, ma anche un fine ultimo. BIBLIOGRAFIA La bibliografia completa di e su Nicola Petruzzellis è riportata alle pp. 11-51 del volume miscellaneo La filosofia di Nicola Petruzzellis, Atti del Convegno organizzato dal Dipartimento di Filosofia “A. Aliotta” dell’Università di Napoli “Federico II” nel X anniversario della scomparsa del filosofo, (Napoli 16-17 dicembre 1988), a cura di M. Malatesta, Napoli, 2000. Alla bibliografia sul Petruzzellis vanno aggiunti i seguenti lavori: 1) E. MARCHISIA – F. DE VIERO, Il “K2” della ragione. Il Problema di Dio. Prospettiva di un filosofo, Roma, 1987, volume interamente dedicato al Petruzzellis, sfuggito al compilatore della bibliografia sopra citata, e 2) M. MANTOVANI, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, 2002, pp. 181-201. Degli oltre trenta volumi pubblicati dal Tranese qui ci si limita a riportare, con le rispettive sigle, soltanto quelli a cui è fatto riferimento nel presente lavoro. C.I. C.S. Critica dell’inautentico, Napoli, 1974. La crisi dello scientismo. Riflessioni su K. R. Popper, il neoempirismo e il razionalismo critico, Milano, 1983. C.S.F. Corso di storia della filosofia ad uso dei licei classici, voll. I, II, III, Milano-Messina, 1963. E.I. L’estetica dell’idealismo, 2a ed., Padova, 1950. I.S. L’idealismo e la storia, 3a ed., Brescia, 1957. L.F.P. Lineamenti di filosofia politica, Parti: I, Bari, 1951, rist. Napoli, 1966; II, Bari, 1955, rist. Napoli, 1966; III, Napoli, 1966. M.C. Meditazioni critiche, 2a ed., Napoli, 1969. M.L. Il metro della libertà. Colloqui col mio tempo, Roma, 1976. P.A.P.C Problemi e aporie del pensiero contemporaneo, 2a ed., Napoli, 1970. P.P.S.F. I problemi della pedagogia come scienza filosofica, 6a ed., Napoli, 1973. P.S.P.M.S.D. Il problema sociologico nella prima metà del secolo XIX, 2a ed., Napoli, 1966. R.F.P.T. Ricerca filosofica e pensiero teologico, Città del Vaticano, 1972. S.P. Sistema e problema, Volumi: I, 3a ed., Napoli, 1975; II, 3a ed., Napoli, 1976. V.L. Valori e libertà, Napoli-Roma, 1988. V.S. Il valore della storia, 3a ed., Napoli, 1959. V.S.C.S. I valori dello spirito e la coscienza storica, 3a ed., Napoli, 1965.