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Riassunti di Scenari del Mondo Contemporaneo
FORMAZIONE DEGLI STATI-NAZIONE: Gran parte della storia contemporanea trae le sue
fondamenta dalla rivoluzione industriale. Si tratta di quello sviluppo manifatturiero della Gran
Bretagna a cavallo tra il 700 e l’800. Il termine “Rivoluzione”, però, può contenere delle forti
ambiguità, in quanto rievoca l’immagine di un cambiamento improvviso, mentre sappiamo che il
periodo di trasformazioni è profondo ma graduale. Ciò che consente un maggior vantaggio
all’Inghilterra rispetto agli altri paesi europei, è la grande concentrazione e crescita demografica,
legata al parallelo progresso agricolo. Inoltre, vi era un sistema politico e istituzionale stabile, con
forme di rappresentanza socialmente assai limitate, ma regolari. Si realizzò qui la privatizzazione
della terra, in anticipo rispetto agli altri paesi europei. La proprietà era senza limitazioni di tipo
feudale e senza contadini. Dominava una conduzione fondata sull’affitto a locatari provvisti di un
certo capitale che impiegavano lavoratori salariati.
Si rinnovò la produzione agricola con l’introduzione delle foraggiere nella rotazione delle colture
che si succedevano sullo stesso terreno: in questo modo si ebbe un forte aumento della popolazione
(sempre a cavallo tra 700 e 800), e ciò permise a una quota degli addetti di lasciare la campagna per
dedicarsi al lavoro industriale. Un’importantissima innovazione fu la Navetta (elemento mobile del
telaio che velocizzava il passaggio del filo della trama attraverso l’ordito (1733), seguita
dall’introduzione della macchina a vapore (Watt – 1769). L’industria britannica si occupava in gran
parte della produzione di tessuti in cotone, e quindi la lavorazione di quest’ultimo: lo slancio
dell’industria cotoniera era dato dalla dimensione modesta e poco costosa degli impianti, dal facile
reperimento della forza lavoro e dalla crescita demografica. Inoltre, il rifornimento della materia
prima avveniva in maniera stabile in quanto proveniente dalle ex colonie americane. L’industria del
cotone necessitava però dell’estrazione del carbone, che sostituiva l’uso della legna come
combustibile. L’agricoltura e l’industria sempre più meccanizzate richiedevano ferro per la
fabbricazione di attrezzi e macchinari.
IMPATTO SOCIALE: Tuttavia, a mantenere in piedi la produzione e l’industria vi erano i
lavoratori, costituiti in larga parte da donne e bambini, poco costosi e facilmente controllabili. Le
condizioni di lavoro erano faticose e logoranti, alimentavano forme di opposizione e tensioni e
generavano movimenti di Luddismo (operai in protesta che distruggevano le macchine da
produzione) e il movimento Cartista (chiedeva maggiori diritti al lavoratore). Per la prima volta
(1842) fu emanata una legge che provò a disciplinare il lavoro di fabbrica: essa non ebbe un grande
risvolto, ma per la prima volta si ruppe l’idea che il lavoro dovesse essere regolato dalla libera
contrattazione delle parti e restare fuori dagli interventi del governo.
IL RESTO DELL’EUROPA: Il resto dell’Europa era assai più indietro. I pochi elementi di
rinnovamento venivano dalle colonie di imprenditori e mercanti stranieri che diffondevano un
patrimonio di relazioni, saperi specifici, novi atteggiamenti gestionali. D’altra parte, però, il periodo
napoleonico portò una ventata di rinnovamento nelle amministrazioni pubbliche, nelle burocrazie
dello stato, nei sistemi legislativi: si cancellò quasi del tutto il sistema feudale. Nascevano le novità
degli anni 30, i primi studi sulla chimica organica (di Liebig) e la fisiologia delle piante, la
diffusione della nave a vapore, le costruzioni ferroviarie e molto altro ancora.
IL CONGRESSO DI VIENNA: Il Congresso di Vienna (1814 - 1815) fu organizzato dalle potenze
europee che avevano avuto ragione delle armate napoleoniche (Gran Bretagna, Austria, Prussia e
Russia) al fine di ridisegnare i confini degli stati e creare le condizioni di una pace duratura, sia pure
armata, dell’Europa. Lo scopo del Congresso, però, era anche quello di ripristinare la legittimità
della monarchia riducendo i moti rivoluzionari scaturiti dall’eccessiva libertà del popolo. Dietro la
formula di “Concerto europeo”, voluto dal Congresso di Vienna, si celava la preoccupazione per
futuri rafforzamenti di alcuni stati a spese di altri. Ecco quindi che il progetto intendeva anche
frenare le tentazioni espansionistiche di alcuni stati.
I pericoli maggiori venivano dalla Francia (che già aveva esportato i suoi furori rivoluzionari): essa,
dunque, fu stretta tra i Paesi Bassi (Belgio, Olanda e Lussemburgo), e il Regno di Sardegna fu
rafforzato con l’acquisizione dell’ex repubblica genovese. Alla Prussia furono attribuiti alcuni
territori limitrofi (es. Sassonia), e l’Austria venne restituita al suo ruolo di gendarme delle regioni
italiane (possedeva anche il Veneto): in questo caso in principi imparentati con la famiglia imperiale
e l’accordo militare con Ferdinando IV di Napoli e poi Ferdinando I del Regno delle due Sicilie
assicurarono il controllo diretto dei piccoli regni dell’Italia centrale.
La Russia fu accontentata con l’annessione di gran parte della Polonia, a spese dell’Impero
ottomano e della Finlandia, sottratta alla Svezia, a sua volta risarcita con la Norvegia.
I VERI SCOPI DEL CONGRESSO: Il Congresso rafforzava quindi il rifiuto della sovranità
popolare e lo spazio concesso alla chiesa, rappresentato dalla Santa Alleanza, che costituiva lo
strumento creato da Russia, Prussia e Austria per assicurare il mantenimento degli equilibri sanciti
dal congresso stesso. Non a caso il testo dell’accordo era pieno di riferimenti religiosi, e alludeva
esplicitamente all’origine divina della monarchia, che legittimava l’autorità contro le pretese dei
sostenitori della sovranità popolare: è chiaro che il potere monarchico aveva ormai paura di essere
spodestato dal popolo, quest’ultimo spinto dalle speranze date dalla rivoluzione francese
napoleonica. Il cittadino infatti aveva imparato a pretendere un rapporto individuale con esso, senza
mediazioni: la divisione in ceti della società di antico regime era ormai al collasso.
Ovunque, inoltre, la minaccia francese contribuì a creare un diffuso senso di identità nazionale che
sollecitava cambiamenti istituzionali e forme di rappresentanza politica in forte contrasto con i
princìpi sanciti nella Santa o nella Quadruplice Alleanza: il popolo si stava svegliando, e l’arte
dell’incantare il popolo era ormai un’arma vana, o quasi. Nelle regioni europee conquistate da
Napoleone si erano create riforme istituzionali ed erano state riorganizzate le burocrazie statali: i
gruppi sociali avrebbero opposto senz’altro resistenza a qualsiasi tentativo di restaurazione
dell’ordine sociale preesistente. Il popolo chiedeva il riconoscimento dei diritti fondamentali, e in
alcuni casi (come in quello di Luigi XVIII in Francia – 1814) fu concessa una costituzione (Regno
dei Paesi Bassi, Granducato di Sassonia-Weimar, Baviera, Prussia Renana, Regno delle due Sicile,
Ducato di Parma, ecc).
RIVOLUZIONI: Gli obiettivi del Congresso di Vienna erano impossibili, perché l’Europa post1815 era troppo mutata rispetto a quella degli anni precedenti alla rivoluzione francese. Negli anni
successivi ad essa, un’opposizione crescente alla costituzione inglese attraversava tutti i gruppi
sociali legati al commercio e all’impresa. Questi gruppi, in Gran Bretagna, si schieravano contro le
posizioni ideologiche di Whigs e Tories (le due principali forze politiche), e diedero origine a una
cultura radicale: il radicalismo britannico trovava un elemento in comune nella Riforma del sistema
elettorale, ma conteneva anche diverse ambiguità. Questo perché i radicali della Middle class
invocavano la riforma parlamentare per affermare l’ideale del libero mercato (pro gruppi
commerciali e imprenditori), mentre dall’altra parte la Working class mirava a proteggere il proprio
standard di vita contro la deregolamentazione economica e il Laissez-faire (liberismo).
In Russia, il movimento fu nutrito di aspirazioni democratiche e di libertà politica. Nel 1825, nel
giorno dell’incoronazione dello zar Nicola I, il tentativo insurrezionale organizzato dagli ufficiali
della guardia imperiale venne rapidamente soffocato. Diverso fu il caso della Grecia, che combatté
esclusivamente per ottenere l’indipendenza dall’Impero ottomano. In moltissimi casi, militanti
liberali moderati, radicali democratici, e socialisti, tra il 1815 e la metà del secolo si allearono e si
scontrarono ripetutamente, ma solo raramente si separarono perché legati nella lotta contro lo stesso
nemico: l’unione dei principi assolutisti voluta in maniera celata e subliminale dal Congresso di
Vienna.
ALLEANZE TRA MOTI: Si era generata ormai una sorta di comunità internazionale, animata dallo
stesso progetto di emancipazione. I moti rivoluzionari, infatti, si sviluppavano in un paese e
nell’altro con numerosi caratteri in comune, troppi per non pensare che vi fossero delle relazioni
dirette tra un avvenimento e l’altro. Queste comunità di rivoluzionari possedevano numerosi
elementi che favorivano la loro coesione, e contribuivano a omogeneizzare modelli di vita, obiettivi,
strategie politiche. I vari gruppi rivoluzionari comunicavano tra loro grazie all’intermediazione dei
viaggiatori, ponti a simpatizzare con gli esuli e a condividerne le aspirazioni. I moti del 1820-21,
non a caso, coinvolsero più o meno contemporaneamente Spagna, Portogallo, Regno delle due
Sicilie, Piemonte, Grecia. Nel 1830-31 fu il momento della Francia (Rivoluzione di luglio), ui
fecero seguito Belgio, Italia centro-settentrionale, e Polonia. Nel 1848 la rivoluzione infiammò
praticamente l’intera Europa, con l’esclusione della Gran Bretagna e dell’Impero zarista. Si trattava
di vere e proprie sfide al disegno politico e territoriale uscito dal Congresso di Vienna: sfide che
nella maggior parte dei casi condussero alla sconfitta.
VINCITE: Ma bisogna ricordare alcuni esiti fortunati, come l’indipendenza della Grecia, aiutata
notevolmente dalla Russia, che aveva interesse ad indebolire l’Impero ottomano per porre sotto la
sua egemonia le popolazioni slave della penisola balcanica, e spinta dall’Eterìa, società segreta
greca. Dopo la sconfitta navale inflitta a Navarrino dalla flotta anglo-franco-russa a quella turcoegiziana, si giunse alla pace di Adrianopoli (1829) e all’indipendenza greca. Questa vicenda
rappresentava la prima smentita dell’accordo di Vienna, ed era la prova che la questione d’oriente
non poteva più essere un problema esclusivo, ma doveva diventare un affare internazionale, con
forti implicazioni sugli squilibri europei.
SCONFITTE: Meno fortunate furono invece le contemporanee vicende rivoluzionarie del Regno
delle due Sicilie, del Piemonte, del Porto gallo e della Spagna. Inaugurate tutte dal moto scoppiato
in Spagna nel 1820, le rivoluzioni ebbero caratteri comuni: tutte puntavano ad imporre un sistema
costituzionale, prendendo ad esempio il testo della costituzione liberale spagnola (1812), ma tutte
furono represse. Anche in America Latina si accendevano spinte indipendentiste nei confronti di
Spagna e Portogallo. Il gruppo dirigente di questi movimenti era costituito dai Creoli, popolazione
bianca erede dei primi colonizzatori. Essi si erano impadroniti delle principali posizioni di potere
politico-economico. L’esercito spagnolo, però, nel 1815 trovò le forze per riconquistare quasi tutto
il territorio coloniale. Si trarrò di una vittoria di breve durata, perché stavano ormai nascendo nuove
unità statali indipendenti, come Gran Colombia, Argentina, Brasile, Perù ecc.
Nel caso del Brasile, la costituzione dell’impero indipendente fu dichiarata dall’erede al trono del
Portogallo (Pedro I). In Messico, invece, il generale spagnolo Augustìn de Itùrbide assunse la
corona di imperatore. Tuttavia, i nuovi organismi poggiavano su basi sociali fragili, la popolazione
era ignorante e povera, e si conservava un carattere feudale. Un progresso fu però l’abolizione della
schiavitù in tutti i territori ex coloniali. I capi militari però sfruttavano la debolezza dei propri stati
per realizzare colpi di stato e per imporre dittature personali. Inoltre i singoli nuovi paesi si
frammentarono a lungo andare: per esempio, la Gran Colombia si scisse in Venezuela, Colombia e
Ecuador. Sul piano economico, la subordinazione agli interessi commerciali della Gran Bretagna,
l’esportazione pressoché esclusiva di prodotti agricoli e del sottosuolo, condannavano i paesi
latinoamericani ai meccanismi dello scambio ineguale tra materie prime e manufatti industriali e,
quindi, al sottosviluppo.
L’ONDATA RIVOLUZIONARIA DEL 1830-31: Sia in Europa che in America latina, nel periodo
delle rivoluzioni (1815 in poi), le società segrete giocarono un ruolo decisivo nel disegnare un
gruppo dirigente rivoluzionario. Esse si erano uniformate al modello delle logge massoniche da cui
avevano ripreso gerarchie, formule retoriche, ritualismo simbolico per attrarre a sé un maggior
numero possibile di aderenti. Una delle società segrete più note è la Carboneria, nata agli inizi
dell’800 in Francia e diffusa poi in Germania, Spagna e Italia meridionale. Tuttavia, il sistema
cospirativo carbonaro scomparse a poco a poco a causa della concorrente mazziniana “Giovane
Italia”.
L’ondata delle rivoluzioni di metà secolo, quindi successive a quelle iniziate nel 1815, erano meno
elitiarie, e vi era ora una maggior partecipazione di ceti medi e gruppi popolari. I frequenti tentativi
di Carlo X (Francia) di abolire le libertà costituzionali garantite dalla carta del 1814, l’appoggio al
clero e all’aristocrazia, avevano saldato un fronte di opposizione che comprendeva rappresentanti
del mondo degli affari e della finanza, professionisti, dipendenti pubblici e artigiani. La goccia che
fece traboccare il vaso furono le ordinanze con cui il sovrano sopprimeva la libertà di stampa,
scioglieva la Camera, modificava la legge elettorale: era il 1830, e il popolo, guidato da
repubblicani e bonapartisti, costrinse il sovrano all’abdicazione e all’esilio.
Il paese (Francia) fu consegnato a Luigi Filippo d’Orléans, che dal 1815 era riuscito a guadagnarsi
le simpatie dei gruppi di borghesia moderata. La sua particolarità, è che fu proclamato “Re dei
francesi per volontà della nazione”, e non re di Francia, e ciò serviva a negare ogni forma di
sovranità popolar: non a caso egli non riuscì a mantenere a lungo la maschera di re liberale e vicino
ai cittadini, e dunque scivolò vero una politica conservatrice autoritaria. Uno dei ministri che si
successe nel regno di Luigi Filippo era Guizot. Nel 1833, la riforma dell’insegnamento fu curata
proprio dal ministro Guizot, e prevedeva che i comuni dovessero possedere una scuola elementare
con maestro retribuito (e diplomato), accogliendo i fanciulli di famiglie povere. Egli intendeva
istruire i cittadini, con una moralità cristiana ma non necessariamente cattolica.
NEL RESTO D’EUROPA: L’insurrezione di Bruxelles e del Belgio intero obbligarono le potenze
europee (costrette al non intervento dall’opposizione di Francia e Gran Bretagna) a riconoscere
l’indipendenza del Belgio. Il regno belga era liberale moderato e costituzionale: fu affidato a
Leopoldo di Sassonia-Coburgo. Meno fortunato fu invece il tentativo insurrezionale italiano che,
oltre ad essere uno degli ultimi moti rivoluzionari degli anni 30 dell’800, fu soffocato dall’esercito
austriaco. Stessa sorte ricevette la Polonia, (fermata dall’esercito Russo). Lo scenario rivoluzionario
degli anni 30 fu completato quindi dalle agitazioni in Germania, Polonia, Italia, Belgio, Svizzera,
Spagna e Portogallo.
RIFORME e PROTESTE in GRAN BRETAGNA: L’ondata di protesta generatasi in Europa non
aveva di fatto evitato la Gran Bretagna. L’unica differenza, però, consisteva nel fatto che le proteste
e il dissenso avevano degli spazi in cui esprimersi legittimamente (istituzioni o associazioni). Il
parlamento britannico consentiva quindi in molti casi di evitare le ribellioni violente (un esempio è
il riconoscimento dei diritti politici per le minoranze religiose). La riforma elettorale del 1832, in
Inghilterra non ebbe risvolti eccessivamente accesi, in quanto il paese fu capace di rispondere ad
una diffusa richiesta di democrazia parlamentare. Tuttavia, è necessario considerare che con la
nuova legge del 1834, riguardante l’assistenza ai poveri (workhouses), gli ospizi diventavano luoghi
di sofferenza e segregazione: non a caso le riforme degli anni 30 crearono una delle più vaste
ondate di protesta che l’Inghilterra conobbe.
- IL CARTISMO: Il cartismo è un movimento che si sviluppò tra il 1838 e il 1848 a causa di una
serie di richieste di riforma parlamentare. Si chiedeva una “carta del popolo”, che fu poi scritta
quasi interamente da William Lovett. Si trattava grossomodo di un disegno di legge presentato al
parlamento, ed era articolato in sei richieste per regolare la rappresentanza, ossia: suffragio
universale maschile, abolizione dei requisiti di censo per l’elettorato passivo, voto segreto,
pagamento dei membri del parlamento, legislature annuali. Ulteriore pressione fu esercitata dalla
Lega (fondata nel 1838), un movimento per la abolizione della legge sul grano: il suo scopo era
eliminare le leggi che imponevano il dazio sull’importazione del grano (ci riuscirono nel 1846).
RIVOLUZIONI DEL 1848: Nel 1848 si realizzò una di quelle straordinarie accelerazioni della
storia che sembrano mettere tutto in movimento: la Francia, gli stati italiani e tedeschi, l’Austria
furono trascinati in una spirale rivoluzionaria che non produsse immediatamente risultati rilevanti,
ma creò le premesse dei profondi cambiamenti che sarebbero avvenuti nei secoli successivi. Si
esigeva una nuova definizione dei poteri dello stato, maggiore libertà e spirito nazionalista. Un
carattere comune essenziale delle rivoluzioni era la partecipazione dei gruppi popolari e una spinta
dal basso che aumentava la presenza delle componenti radicali. Il processo rivoluzionario era
attentamente studiato per attirare a sé un maggior numero possibile di partecipanti; a tal fine vi era
una figura di leadership esercitata da gruppi culturalmente superiori, capaci di rinnovare il
linguaggio politico attraverso la stampa, il volantino e altri mezzi di comunicazione.
- IN FRANCIA: La crisi economica, i tentativi di Luigi Filippo e di Guizot di arrestare la campagna
di opposizione, suscitarono la violenta risposta dei parigini nel febbraio del 1848: i rivoltosi
proclamarono la repubblica, acclamando i vecchi temi della libertà e della cittadinanza per animare
la rivolta. Alla rivoluzione presero parte i gruppi più poveri di Parigi. Fu proclamata la repubblica,
fu esteso il voto a tutti gli uomini sopra in 21 anni, fu riconosciuto il diritto al lavoro, furono prese
misure a tutela della proprietà privata, abolita la pena di morte. Inizialmente si formò un equilibrio
composto da un governo provvisorio (democratici e repubblicani insieme), che però durò ben poco,
in quanto alle elezioni dell’Assemblea costituente furono proprio i repubblicani a vincere. La
violenta insurrezione operaia e socialista di giugno fu repressa nel sangue dai gruppi moderati e
conservatori: a ciò seguirono la sospensione di tutte e iniziative patrocinate dai socialisti e la
chiusura degli Ateliers nationaux (diritti al lavoro).
Intanto la Costituente consegnava al paese un parlamento monocamerale e un presidente della
repubblica sul modello americano, eletto a suffragio universale. Luigi Napoleone vinse facilmente
nelle elezioni alla più alta carica della repubblica. Ma egli attuò presto un colpo di stato, creando
una nuova costituzione e concedendosi il potere assoluto (Luigi Napoleone assunse quindi il nome
di Napoleone III). Nacque così il Secondo impero (1852).
- IN GERMANIA: La rivolta di Berlino e di numerosi altri stati della Confederazione portò a due
risultati principali: in Prussia furono concesse alcune limitate libertà civili e fu creato un
parlamento. A Francoforte, invece, fu creata un’assemblea col compito di definire un nuovo assetto
costituzionale per la Confederazione. Nel 1849 fu approvata una costituzione a favore di una
Germania centrata sulla Prussia e senza l’Austria (piccoli tedeschi): la corona fu offerta a Federico
Guglielmo IV di Prussia, anche se egli non era disposto a scambiare una corona per diritto divino
con una offertagli dal popolo.
- IN ITALIA: Dopo il 48, una minoranza combattiva si era impegnata per ottenere riforme
istituzionali e sistemi costituzionali. Tuttavia, successivamente l’aspirazione all’unificazione
nazionale cessò di essere una prerogativa delle società segrete. Allo stesso tempo, vi era un forte
impegno e interesse nella guerra per strappare il Lombardo-Veneto all’Austria. Dopo la rivolta di
Vienna e l’insurrezione austriaca di Milano (le cinque giornate), Carlo Alberto dichiarò guerra
all’Austria. Fu un atto che gli costò caro, in quanto si sperava nell’aiuto del Papa, il quale però
prese le distanze e si rifiutò di mandare i propri contingenti: forse anche a causa di ciò, l’esercito
piemontese fu sconfitto nel 48 a Custoza. Successivamente fu proclamata la Prima repubblica
romana retta da Mazzini, Armellini e Saffi: furono le armate della Francia bonapartista a vincere la
resistenza della repubblica romana.
Carlo Alberto abdicò a seguito della sconfitta, e al suo posto salì al trono Vittorio Emanuele II, che
mantenne in vigore la costituzione concessa da Carlo Alberto (Statuto albertino). Il Piemonte
diventava quindi lo strumento propulsore del progetto di unificazione e uno spazio di elaborazione
politica liberale che avrebbe garantito un personale affidabile al nuovo stato unitario.
- MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA: Il 1848 era l’anno in cui veniva pubblicato a
Londra (ma in tedesco) il “Manifesto del partito comunista”, scritto da Karl Marx con la
collaborazione di Engels, su incarico della Lega dei comunisti. Il Manifesto fu creato grazie
all’incontro di Marx e Engels con le organizzazione operaie. La Prima Internazionale (1864,
Londra) trovò nel Manifesto i princìpi essenziali del suo programma politico.
NAZIONALISMI: Nel 48 lo sviluppo del movimento nazionalista trovò un alleato nella piccola
borghesia terriera e in un ceto medio che cresceva: i più sensibili al fenomeno nazionalista furono i
gruppi a più alto livello culturale. Lo stato doveva rinnovarsi con uno spirito di sovranità popolare,
garantendo ai cittadini il benessere collettivo e la tutela delle libertà individuali. Un importante
obiettivo politico era il suffragio universale. Si può notare che la diffusione del nazionalismo
andava di pari passo con l’istruzione e con lo sviluppo economico; e che esso si affermava
soprattutto all’interno degli stati e nazioni che erano rinchiusi in contesti statuali plurinazionali.
L’Impero ottomano, nel 1853, fu sconfitto in una battaglia navale dai Russi, ma i turchi erano alleati
con Gran Bretagna, Francia e Piemonte. L’assedio di Sebastopoli finì solo nel 1855, e l’anno
successivo il congresso di Parigi imponeva alla Russia il rispetto dei confini dell’Impero ottomano.
La corrente di Russofobia generò soprattutto in Gran Bretagna un’ondata patriottica. Il Piemonte,
che partecipò a fianco di Francia e Gran Bretagna, sfruttò il momento per richiamare (nel congresso
di Parigi) l’attenzione sul problema della nazionalità italiana (poiché era un paese ad alto rischio di
nuove rivoluzioni). Nel frattempo però nasceva la cosiddetta “questione d’oriente”, caratterizzata da
una continua conflittualità tra la Russia e i territori dell’est Europa.
UNIFICAZIONE TEDESCA: A partire dal 1850, la Prussia e tutta l’area germanica non austriaca
conobbero una grande fase di sviluppo economico. L’estensione dello Zollverein (area di libero
scambio all’interno della stessa Confederazione germanica) a tutti gli stati della Confederazione fu
un grande passo verso la crescita economica. La rete ferroviaria crebbe esponenzialmente in pochi
anni, favorendo così lo scambio di materie prime come ad esempio il ferro: la Ruhr divenne una
delle aree industriali più dinamiche d’Europa. Nacquero anche grandi banche miste, che
concedevano credito a breve termine e assicuravano attività finanziarie e di investimento: ciò diede
un grande impulso all’industrializzazione.
Negli anni 50 si ebbe anche una grande crescita demografica e un rilevante tasso di urbanizzazione.
Tuttavia, la subordinazione dell’agricoltura all’industria comportò lo spostamento di ingenti quote
della popolazione rurale verso i centri manifatturieri. I disagi e il disorientamento causati da questi
spostamenti aumentarono la conflittualità all’interno della società e aprirono la strada alle teorie
socialiste. Venne fondata l’Associazione generale degli operai tedeschi (1863) e il Partito operaio
socialdemocratico (1869), che anticiparono il futuro Partito socialdemocratico tedesco (Spd – dopo
il 1890).
- PRUSSIA vs AUSTRIA: L’indipendenza italiana dall’Austria suscitò simpatia per l’Italia da parte
della Prussia, anche perché ciò aveva reso più evidente la crisi di identità che corrodeva l’Impero
asburgico. Bismarck irruppe sulla scena politica prussiana in questo contesto: fu nominato nel 1862
primo ministro (conservatore) per riacquisire un equilibrio. Il suo scopo era indebolire il ruolo del
parlamento (poiché non aveva approvato il bilancio per il peso delle spese militari) senza cedere
alle tentazioni assolutistiche del sovrano, e dall’altra parte doveva riformare l’esercito assecondando
le aspirazioni nazionali.
I nazionalisti vedevano nell’Impero asburgico un ostacolo al processo di unificazione del paese, in
quanto Vienna non era d’accordo sul progetto espansionistico tedesco: nel 1866 Bismarck cominciò
quindi la guerra contro l’Austria e alcuni piccoli stati della Confederazione germanica. La vittoria
prussiana a Sadowa decretò la sconfitta dell’Austria, nonostante le sconfitte italiane a Custoza e
Lissa. Così, pur senza merito, l’Italia otteneva il Veneto, e la Prussia invece guadagnava territori
della Danimarca e la città di Francoforte. Il nuovo sistema istituzionale tedesco era regolato da un
organismo esecutivo (sovrano prussiano), dal cancelliere Bismarck, e da un consiglio federale
(Bundesrat) eletto a suffragio maschile: nasceva la Confederazione della Germania del Nord.
Bismarck è consapevole che l’unificazione non è un progetto poi così impossibile da realizzare,
poiché in Germania già esisteva una “cultura tedesca”, improntata dall’alfabetismo pre-esistente,
dalla scolarizzazione e da un grado elevato (rispetto ad altri paesi) di istruzione. Ecco perché la
Germania possiede da sempre un’unità solida (grazie anche alla lettura della Bibbia proposta da
Lutero), rispetto ad esempio all’Italia, che invece possedeva piccoli stati interni frammentati e
esternamente poco dinamici.
- AUSTRIA: A causa della sconfitta e della grande frammentazione al suo interno, la situazione
nell’Impero asburgico si faceva sempre più complicata. Il governo asburgico tentò di dare un nuovo
ordine all’impero, rispondendo alle richieste di autonomia che provenivano dalle varie nazionalità.
Ciò portò alla separazione dell’Impero d’Austria dal Regno d’Ungheria. I due organismi statuali
però condividevano l’autorità della corona asburgica, la politica estera ed economica e le forze
armato. Rimanevano dunque propri e distinti solo i parlamenti e le istituzioni amministrative. Dalla
separazione, tuttavia, erano nati due nuovi piccoli imperi, dove si riproponevano gli stessi problemi
presenti in quello da cui erano nati.
CADUTA DEL SECONDO IMPERO (FRANCIA): Forti ambiguità politiche contrassegnavano il
ventennio del Secondo impero. Il Bonapartismo trovò nella forma di consultazione popolare (due
plebisciti) lo strumento più adeguato per saldare autoritarismo e consenso. Impero e democrazia
però rimanevano separati: da una parte, a sostenere l’impero vi erano i contadini, la chiesa, il
personale burocratico e militare. Dall’altra parte, il proletariato industriale, i giovani e gli
intellettuali appoggiavano la democrazia e la repubblica.
Il ventennio napoleonico può essere suddiviso un due fasi: una autoritaria e dittatoriale, l’altra più
liberale e attenta al richiamo delle nazioni senza stato (ciò che spinse l’imperatore ad appoggiare la
causa italiana contro l’Austria). Napoleone III possedeva una politica estera forte e aggressiva: ma
fu proprio questa che alla fine deluse le sue aspettative e che lo portò alla catastrofe dello scontro
con la Prussia. Inoltre, la neutralità assunta durante il conflitto austro-prussiano lasciava la Francia
completamente sola a fronteggiare il pericolo prussiano. Di fatto, la Francia dichiarò guerra alla
Prussia, ma nel 1870 venne sconfitta a Sedan, ponendo fine al Secondo impero e inaugurando la
Terza repubblica tanto desiderata dai liberali.
Nel 1871 il governo provvisorio di Thiers accettò la pace con condizioni umilianti, come ad
esempio la cessione dell’Alsazia e la Lorena alla Prussia. Ma il popolo parigino, che aveva difeso
un anno prima la città, respinse questo accordo. Il movimento socialista francese invocò l’elettività
di tutte le cariche pubbliche, salari uguali per tutti, interruzione dei finanziamenti pubblici alla
chiesa, gestione sociale delle imprese abbandonate dagli imprenditori. Ma nonostante la resistenza
dei francesi, il generale prussiano MacMahon conquistò la città. La ripetuta sconfitta della Francia
concluse il percorso di unificazione degli stati tedeschi: Guglielmo I divenne l’imperatore, e si
ribadiva la centralità dell’esercito nel futuro Secondo Reich.
UNIFICAZIONE ITALIANA: Anche in Italia l’unificazione ebbe una forte connotazione militare,
in quanto era apparentemente una guerra di liberazione dalla presenza straniera sul territorio. Ed
anche qui, i gruppi liberali moderati desideravano un paese indipendente, con una monarchia
costituzionale e un parlamento espresso da un’area ristretta di elettori. L’altro grosso filone, pur
minoritario, era quello repubblicano e mazziniano. Il Regno di Sardegna aveva il maggior peso
politico su tutta la penisola circa l’unificazione. In Piemonte era nata quindi una vita parlamentare,
con elezioni libere: il governo, pur essendo espressione della volontà del sovrano, doveva ottenere
la fiducia del parlamento.
L’Italia prospettata dagli accordi stipulati con la Francia a Plombières (1858), in cui si intendeva
l’appoggio francese nello scontro con l’Austria, risultava divisa in tre parti: Regno dei Savoia
(Sardegna, Lombardia e Veneto, ma senza Nizza e Savoia, cedute alla Francia), un Regno dell’Italia
centrale (Granducato di Toscana, Stato Pontificio), e una confederazione italiana (Regno dell’alta
Italia, dell’Italia centrale e il Regno delle due Sicilie sotto la presidenza del papa, che avrebbe
conservato la sovranità sulla sola città di Roma). Repubblicani e democratici dovettero cedere la
direzione ai liberal-moderati.
Il nuovo Regno d’Italia nasceva quindi già fragile, in quanto non vi era un’omogenea “cultura
italiana”, e bisognava ricostruire la trama civile, politica, istituzionale del nuovo stato, che dunque
non possedeva un’amministrazione uguale su tutto il territorio. Non vi erano infrastrutture e un
sistema ferroviario che collegassero le aree più isolate ai centri più dinamici del paese. Non esisteva
una struttura scolastica (analfabetismo) e universitaria o un sistema per a formazione professionale
che funzionasse in maniera equa da nord a sud. Si andava inoltre da un’economia largamente
industriale a Nord e una invece prettamente feudale al sud. Vi era però un asso nella manica che il
nuovo Regno doveva sfruttare: il ruolo della Chiesa. Essa era l’unica istituzione omogeneamente
diffusa in tutto il territorio, profondamente cattolico: ciò avrebbe reso più facili i processi di
unificazione.
Il governo della Destra storica, presieduto da Cavour, sin dal primo decennio dall’unificazione
scelse la strada dell’estensione del sistema piemontese su tutto il territorio nazionale. Veniva quindi
applicato in tutto il paese lo Statuto Albertino, la normativa elettorale (diritto di voto a una piccola
percentale della popolazione), la legislazione civile, amministrativa e penale. Si preferiva
un’amministrazione centralizzata (presieduta dal prefetto), in quanto si aveva il timore di
insorgenze legittimiste. La Destra storica consentì il pareggio del bilancio nel 1876, grazie alla
costruzione della rete ferroviaria, l’unificazione monetaria e tributaria, il riordino della finanza
pubblica (si ricorda che tutti i debiti dei singoli stati italiani diventavano ora un unico grande debito
di cui il Regno intero doveva assumersi la responsabilità).
I rapporti tra Regno e Santa sede si aggravarono ulteriormente a causa della conquista di Roma da
parte di Garibaldi (Breccia di Porta Pia), che coincise con la caduta di Napoleone III. Così, Pio IX
nel 1874, con il Non expedit, proibì ai cattolici di partecipare alla vita politica del nuovo stato: fu un
colpo basso, in quanto il popolo italiano era largamente cattolico. La frattura con la chiesa fu sanata
solo nel 1929 coi Patti lateranensi.
STATI UNITI: I modelli politici francesi e inglesi influenzarono fortemente questo nuovo paese,
ancora alla ricerca di un equilibrio tra i singoli stati e le istituzioni federali. Due erano le maggiori
fazioni statunitensi:
- I Federalisti, che avevano in Alexander Hamilton il principale esponente, ritenevano necessario un
governo centrale forte, con ampi poteri rispetto agli stati e capace di regolare l’Unione all’interno di
un sistema costituzionale equilibrato. Essi erano i gruppi mercantili e imprenditoriali degli stati del
Nord, e ponevano come obiettivo centrale stabilità politica economica, solidità della finanza
pubblica, e protezionismo.
- I Repubblicani invece avevano come rappresentante Jefferson, ed erano più tendenti a governi
centrali con poteri limitati, fondati sul consenso popolare, alla ricerca del benessere collettivo. Essi
erano i grandi agricoltori del Sud.
Il nuovo secolo (1800) portò al governo i Repubblicani, anche se il sistema americano diventava
ormai fondato su due organizzazioni di partito che si alternavano, in modo da rinnovare l’intero
gruppo dirigente della federazione. Dai federalisti nacque il Partito repubblicano (1831), e nello
stesso periodo nacque il Partito democratico. Un anno dopo (1832) le due fazioni scesero in campo
per la prima volta l’una contro l’altra. Erano partiti di massa, strumenti essenziali per cogliere
l’interesse collettivo e rispondere alle aspettative dei gruppi sociali a cui facevano riferimento.
Entrambi i partiti, comunque, riconoscevano al governo federale il compito di dettare le linee della
politica economica. Si sviluppò il sistema della distribuzione e sostituzione delle cariche più
importanti (Spoils System).
Le vicende napoleoniche d’oltreoceano condizionarono la politica degli USA, e ne determinarono
un coinvolgimento sul piano militare. Il mandato di confisca, da parte degli inglesi, delle navi
americane (per cercare disertori), fu visto dagli Stati uniti come un’offesa per l’indipendenza delle
ex colonie. Perciò, Jefferson rispose prima tagliando i commerci con la Gran Bretagna, e poi
dichiarandole guerra. La guerra durò due anni, ma vedeva gli inglesi avvantaggiati. Ciò fece
scaturire agli americani l’idea che gli Stati uniti non dovessero più dipendere dalla politica europea,
a condizione che le potenze europee facessero altrettanto. Fu proprio il presidente Monroe che diede
una dimensione politica a questi atteggiamenti: la “Dottrina Monroe” postulava l’inconciliabilità tra
e monarchie europee e le repubbliche americane, ed impediva alle potenze europee di fondare altre
colonie in America.
Dal 1820 in poi, gli Stati uniti conobbero un periodo di forte crescita demografica, territoriale ed
economica, grazie soprattutto all’ampliamento della rete stradale, delle ferrovie e dei mezzi di
trasporto. Si intensificò anche la navigazione fluviale, grazie ai battelli a vapore. Importantissimi
furono anche i canali che raggiungevano i porti atlantici: da New York, infatti, nel 1850 partiva la
metà delle merci esportate da tutti gli Stati Uniti. Le ferrovie furono un grande strumento di
colonizzazione del paese. Lo spostamento verso ovest degli americani era cominciato molto prima,
ma nel primo ventennio non era andato oltre la parte centrale del continente, e ciò fino al 1840. Alla
fine del secolo, la colonizzazione si era estesa a tutto il continente e gli stati dell’Unione erano
diventati 45. Gran parte del territorio, comunque, dovette essere strappato agli indiani nativi e
difeso con le armi.
A proposito degli indiani, è noto “il caso degli indiani Cherokee della Georgia”. Una serie di trattati
aveva riconosciuti ai Cherokee la dignità di nazione con cultura e leggi proprie. Tuttavia, la scoperta
dell’oro nei loro territori spinse le autorità dello stato della Georgia a dichiarare nulli i diritti di
possesso degli indiani. Nonostante la Corte suprema nel 1832 avesse riconosciuto l’illegittimità
delle pretese della Georgia, le autorità statali (anche grazie al tacito appoggio del presidente
Jackson) cacciarono gli indiani con le armi.
- GUERRA CIVILE: Negli USA scoppiò una guerra civile tra il 1861 e il 1865 a causa delle
tensioni che accompagnarono il decollo di un’economia moderna. All’interno del grande paese vi
erano interessi diversi: al Sud interessavano le piantagioni di cotone (e altre), con l’utilizzo
prevalente degli schiavi. Il Nord invece era industriale, e la forza lavoro era costituita da uomini
liberi. Vi erano quindi due progetti di sviluppo economico opposti: da una parte al Nord interessava
il Protezionismo, e il Sud chiedeva il liberismo (per lo smercio dei propri prodotti all’estero), e un
ulteriore contrasto era dato dal continuo utilizzo al Sud degli schiavi. Lo scontro si infiammò
quando nel 1860 fu eletto Lincoln, repubblicano, protezionista e antischiavista.
Si crearono quindi degli stati secessionisti, affidati alla gestione di Jefferson Davis. La guerra tra i
due organismi statuali scoppiò per volere di Lincoln: dovevano essere riportati con le armi
all’interno dell’Unione. La schiavitù divenne una giustificazione per la guerra civile, che fu poi di
fatto vinta dagli stati del Nord, i quali imposero a quelli secessionisti il loro modello economico. La
guerra contò 600.000 morti e 400.000 feriti. Il Congresso attuò atteggiamenti punitivi contro gli
stati del Sud, istituendo i Reconstruction Acts (1866), che imposero una dittatura militare negli stati
del Sud. La “ricostruzione” durò circa 10 anni, e successivamente i poteri del governo federale si
allargarono agli stati del Sud, completando (non senza contrasti) l’Unione (anche politica). Tra le
novità ci furono l’emancipazione dei neri, la concessione del diritto di voto, la partecipazione dei
neri nelle assemblee rappresentative nel Congresso. Ma gli stati del Sud tentarono di contrastare
queste norme, generando ondate di ribellioni e di sette violente, come il Ku Klux Klan (1866 –
Tennessee).
IMPERIALISMO E NAZIONALISMI: (1870 – 1918) L’Europa, tra l’Unificazione tedesca e il
1918 conobbe prima un periodo di pace, per poi passare ad uno scontro sanguinoso: la Prima guerra
mondiale. Anche se le grandi potenze europee riuscivano ad impedire grandi guerre, rimanevano
comunque confitti in paesi più piccoli e talvolta frammentati. Fu in questo clima di pace armata che
si andarono definendo le alleanze strategiche tra i vari paesi, le stesse che poi avrebbero portato agli
schieramenti della prima guerra mondiale.
Ma i problemi vi erano anche in campo economico. L’importazione dei cereali dagli Stati uniti, ad
esempio, aveva recato non pochi danni all’economia europea, affrontati poi con restrizioni alla
circolazione commerciale. Si creavano poi squilibri tra le campagne e i centri industrializzati, in
quanto vi era una forte emigrazione verso i paesi a grande sviluppo economico. L’emigrazione degli
Italiani, ad esempio, contribuì per l’88% alla perdita della popolazione nazionale. Lo sviluppo
economico aveva inoltre favorito la nascita dei grandi magazzini, che consentivano ai clienti di
conoscere meglio gli articoli in vendita. La modernizzazione era favorita anche dalla grande
distribuzione e da catene di negozi di un’unica società, e dal marchio commerciale. Non bisogna
dimenticare comunque che se da un lato crescevano vari gruppi sociali in alcuni spazi pubblici,
dall’altro il progresso e i nuovi consumi accentuavano le disuguaglianze. Ad esempio, il teatro
evidenziava la distanza tra le varie categorie (platea, loggione ecc).
Si allargava sempre di più la società di massa, con maggiore partecipazione in politica del popolo. Il
diritto di voto fu esteso a lungo andare in quasi tutti i paesi europei tra il 1870 e il 1930 (mentre già
entro il 1840 negli USA). L’ingresso delle masse in politica avvenne con la creazione di formazioni
sociali con il compito di tutelare gli interessi dei lavoratori (sindacati, associazioni di mutuo
soccorso e assicurazioni obbligatorie). Sorse ad esempio in Italia la Confederazione generale del
lavoro (1906). Tutto ciò anche grazie alle formazioni socialiste (nasce la Seconda Internazionale),
che avevano a modello l’Spd tedesco: i socialisti anticipavano i caratteri organizzativi dei moderni
partiti politici.
La scuola, inoltre, svolse un ruolo fondamentale nel processo di nazionalizzazione delle masse.
Veniva insegnato a decifrare codici, simboli, formule ideologiche che esaltavano i valori della
patria: la scuola contribuiva a predisporre la società a mobilitarsi in vista del suo sviluppo interno o
della sua espansione all’obbligo scolastico. La creazione di grandi eserciti di massa a reclutamento
obbligatorio (in tutti i paesi europei tranne la Gran Bretagna), funzionava come strumento della
nazionalizzazione delle masse, ma anche come sistema di disciplinamento, indispensabile per
inserire i società sostanzialmente simmetriche e gerarchiche.
L’ECONOMIA MONDIALE: Ciò che caratterizza principalmente l’economia mondiale è la
correlazione tra i vari mercati, e la predisposizione sempre più nitida alla globalizzazione (dal punto
di vista economico, per ora). Infatti, la politica imperialista delle potenze mondiali contribuì a tirare
fuori dall’isolamento popolazioni fino ad all’ora ai margini del mondo. Aree come l’Africa erano
ancora parzialmente inesplorate, mentre alla fine del secolo quasi tutto il continente africano era
stato collegato col mercato internazionale. Ciò che velocizzava il processo di collegamenti era
soprattutto la costruzione di nuove navi e flotte più grandi, veloci ed economiche.
Un elemento da non sottovalutare fu il Gold Standard, un sistema monetario fondato sulla piena
convertibilità delle banconote in oro, in tutto il mondo. Tale sistema era largamente favorito dalla
Gran Bretagna, centro del sistema e di maggior attrazione. Non a caso, il Gold standard cominciò a
declinare quando la Gran Bretagna perse la leadership economica all’interno del mondo
occidentale.
- CRISI AGRARIA: (1873) I progressi della navigazione mercantile producevano sulle piazze
europee un’inondazione di cereali statunitensi. La grande disponibilità di terra vergine (negli USA),
la precoce meccanizzazione dell’agricoltura americana, la grande dimensione delle aziende,
consentivano ai produttori statunitensi profitti straordinari e bassi prezzi. Ma se in America vi era
guadagno, in Europa conseguentemente si verificava un vero problema: quei cereali, infatti,
producevano sui mercati europei una brusca discesa dei prezzi dei grani.
La discesa dei prezzi dei prodotti agricoli fece aumentare quello dei terreni, e per elevare la
produzione i contadini cercavano di aumentare la dimensione dei terreni coltivati. Ma il risultato
era: bassi prezzi agricoli, aumento della rendita fondiaria e alto costo della terra, che come
conseguenza ebbe l’espulsione dei lavoratori più poveri che non potevano acquistare terra da
coltivare. Per tentare di reprimere la crisi, furono introdotti dazi che elevavano il prezzo delle merci
importate (protezionismo): l’unica eccezione era caratterizzata dalla Gran Bretagna, che manteneva
una politica liberista.
Tuttavia, la crisi fu un buon motivo, per i paesi europei, per diventare più concorrenti rispetto al
mercato americano. Si determinò una più forte specializzazione produttiva delle aree agricole
europee, e l’agricoltura (ove possibile finanziariamente) fu modernizzata, utilizzando attrezzi più
efficaci e meccanizzando le attività caratterizzate in precedenza dalla manodopera: l’espulsione di
una parte dei lavoratori agricoli fu inevitabile.
INDUSTRIA TEDESCA: Dopo le vittorie contro Austria e Francia, l’industria tedesca cominciò la
corsa che l’avrebbe portata in pochi decenni a fare della Germania la maggiore potenza europea. La
necessità di creare aziende sempre più forti produceva una crescita vertiginosa delle grandi società
per azioni, e contribuiva a generare legami forti e stabili con il sistema bancario. Era proprio
quest’ultimo ad essere una vera e propria marcia in più per la Germania (rispetto alla Gran
Bretagna). Qui, l’interdipendenza tra banca e industria favorì forti concentrazioni produttive e
forme di integrazione, che assicuravano posizioni commerciali dominanti. I grandi colossi
industriali erano in grado di generare una forte pressione politica, e addirittura di influenzare i
prezzi.
La Germania godeva di una leadership incontrastata in Europa nella produzione dell’acciaio,
chimica e elettromeccanica. Questo anche grazie ai legami con le istituzioni scientifiche,
universitarie, e la creazione di un sistema scolastico che preparava a entrare nel mondo della
produzione: la Germania godeva quindi di una manodopera preparata che forniva un maggiore
impulso all’industria tedesca. Rimaneva solo un grande competitore industriale, gli Stati uniti.
Come in Germania, anche negli USA l’industria aveva stretti legami con le banche e con la ricerca
scientifica, e anche qui le industrie esercitavano una forte influenza politica, in grado di mobilitare
l’opinione pubblica. Gli Stati uniti erano differenti dalla Germania in particolar modo per la
mancanza di interventi statali nell’economia.
MODERNIZZAZIONE del GIAPPONE: L’azione della flotta militare degli Stati Uniti e il
trattato di Kanegawa (1853) avevano imposto al Giappone l’apertura al commercio internazionale.
A partire dal 1870, l’imperatore Mutsuhito abolì il regime feudale (si ricorda che il Giappone fino
ad allora era in un forte stato di arretratezza rispetto al mondo occidentale) e inaugurò un lungo
processo di modernizzazione. Venne creata una struttura scolastica aperta a tutta la società, abolito il
sistema dei ceti ereditari, sancito il diritto alla proprietà e alla vendita dei terreni. I numerosi
contrasti a seguito della modernizzazione condussero alla concessione di una costituzione.
Si trattava comunque di un governo rappresentativo con gestione del potere in nome
dell’imperatore, comunque in linea con le premesse della sua politica di potenza. Nacquero
industrie tessili, di materiali per l’edilizia, di munizioni, cantieri navali. Lo sviluppo economico,
però, per quanto modesto, legittimava le pretese espansionistiche dei gruppi dominanti, che
aspiravano a sostituire l’influenza cinese sulla Corea, ponte verso i mercati asiatici. La vittoria
riportava nella guerra contro l’Impero cinese (1895) valse al Giappone il riconoscimento dello
status di “nazione più favorita”, l’indipendenza della Corea, la cessione di Taiwan e il pagamento di
una indennità di guerra.
La restituzione di parte dei territori cinesi imposta al Giappone da Russia, Francia e Germania fu
un’umiliazione che accentuò le tendenze militariste dell’oligarchia nipponica. Diventava sempre più
urgente, per il Giappone, creare un apparato bellico-industriale capace di contrastare una potenza
occidentale. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, dunque, il Giappone disponeva di un apparato
industriale in cui vi erano tutti i settori produttivi. La prima vittoria però la ebbe prima della grande
guerra: si trattava della sconfitta dell’Impero russo da parte del Giappone, per il controllo della
Corea e della Manciuria. La Russia entrò in una fase di crisi che alla lunga si dimostrò
irrimediabile, e contemporaneamente il Giappone entrava tra le grandi potenze mondiali.
L’IMPERO TEDESCO: La Germania doveva la sua autorità e il suo prestigio internazionale al
dinamismo della sua struttura produttiva, ma anche ai risultati ottenuti nella cultura e nella ricerca
scientifica. Possedeva una costituzione imperiale, il cui sistema istituzionale era stato costruito dal
cancelliere Bismarck (fino al 1890). Il sovrano della Prussia, invece, era imperatore dell’intero
Reich, capo delle forze armate, nominava il cancelliere (che a sua volta governava la burocrazia
imperiale), era primo ministro della Prussia e presidente del Consiglio federale (Bundesrat).
La costituzione prevedeva la creazione di uno stato superiore (l’impero) al quale gli stati
componenti delegavano tutta una serie di competenze. Il Consiglio federale raccoglieva i
rappresentanti dei vari governi degli stati federati, e quindi espressione delle forze locali. Accanto al
Budesrat vi era il Parlamento dell’impero (Reichstag), formato da rappresentanti eletti da tutta la
nazione. Bismarck, fiducioso nel conservatorismo dell’elettorato, estese il suffragio per la creazione
di questo organismo a tutta la popolazione maschile.
- POLITICA INTERNA: Il cancelliere cercò di affermare la completa egemonia prussiana
attraverso la supremazia dell’esecutivo sul parlamento, e si impegnò a contrastare l’influenza di
cattolici e di socialisti. Tuttavia, la lotta ingaggiata contro i cattolici ebbe come esito la nascita
(1870) del partito cattolico Centro. Fu dunque varata (1875) una legislazione ispirata al laicismo, e
in particolare al controllo dell’attività del clero cattolico, l’espulsione di alcuni ordini religiosi, la
limitazione della giurisdizione ecclesiastica, e l’obbligo del matrimonio civile. Ma ciò non bastò,
poiché nelle elezioni del 1878 il partito cattolico Centro raggiunse un ottimo risultato: così,
Bismarck deviò per una politica più moderata verso i cattolici, che per altro potevano essere utili
alleati nella lotta antisocialista.
Circa lo stesso esito ebbe la lotta contro il socialismo: fu proprio la buona prova elettorale del 1877
che spinse Bismarck ad aprire il conflitto contro i socialisti, presentati all’opinione pubblica come
una forza che minacciava la costituzione imperiale. Dunque, l’azione antisocialista di Bismarck si
basava su limitazioni alla libertà di stampa e di riunione (che costrinsero i socialisti alla
semiclandestinità) e da una serie di provvedimenti come le assicurazioni sociali, rivolte ad occupare
lo spazio politico in cui i socialisti si muovevano. Ma anche stavolta fu tutto inefficace, e finì col
rafforzare la formazione socialista.
- POLITICA ESTERA: La politica estera fu decisamente più fortunata, concentrata in Europa. Ciò
che minacciava l’equilibrio europeo, secondo il Cancelliere, erano la questione balcanica,
l’ideologia nazionalista francese, e la competizione tra Gran Bretagna e Russia. La Germania quindi
si doveva impegnare a distrarre la Francia da un eventuale accordo con la Russia, che avrebbe
schiacciato il paese tedesco tra due fuochi. Per evitare questo pericolo Bismarck promosse la “Lega
dei tre imperatori (1873)” che impegnava Austria-Ungheria, Russia e Germania al mantenimento
della pace in Europa orientale.
Il primo incontro tra le potenze europee, noto come il Congresso di Berlino, dovette risolvere la
situazione complessa venutasi a creare in seguito alla guerra Russo-Turca. Il Trattato di Santo
Stefano (1878), che aveva chiuso il conflitto imponendo alla Turchia la creazione di una grande
Bulgaria, fu sconfessato dal Congresso di Berlino:
- la Bulgaria riprese le dimensioni precedenti,
- la Bosnia-Erzegovina fu sottoposta all’amministrazione dell’Austria-Ungheria,
- Cipro passò sotto il controllo britannico,
- mentre a Serbia, Montenegro e Romania fu riconosciuta l’indipendenza.
L’umiliazione della Russia a seguito del trattato di Santo Stefano scuoteva ora il timore di
Bismarck. Così, egli favorì la nascita della Triplice Alleanza (1882) tra Germania, Austria-Ungheria
e Italia. Era un accordo difensivo, che talvolta causava alcune tensioni tra Italia e Austria (separate
dagli scontri precedenti).
- CONGO: Di maggior rilievo fu il secondo vertice internazionale, con il nome di Conferenza di
Berlino (1884-85), in cui parteciparono un numero straordinario di paesi (gran parte dell’Europa,
Stati Uniti, Turchia, Russia). Tutti i paesi che vi presero parte chiedevano una maggiore libertà di
commercio nell’Africa occidentale. Il problema fu risolto con la creazione di uno stato libero del
Congo sotto la sovranità del re del Belgio Leopoldo II.
- CADUTA DI BISMARCK: Nonostante gli sforzi, nel 1890 il successo socialdemocratico rese
evidente quanto la politica bismarckiana antisocialista fosse stata vana e controproducente. Il nuovo
sovrano Guglielo II, quindi, ebbe una buona ragione per liberarsi di quella figura troppo
ingombrante. L’uscita di scena di Bismarck accentuò il peso della corona nella vita politica: il
nuovo imperatore inseguiva ora un governo personale. I cancellieri successivi, dunque, provenivano
esclusivamente dall’ambiente di corte, e i loro incarichi gli erano affidati direttamente dal sovrano.
L’equilibrio e la conservazione della pace erano ora un vago ricordo, e fu dato quindi sfogo ad una
politica nettamente imperialista.
La politica di espansione imperiale, che assecondava il crescente nazionalismo tedesco, contrastava
l’opposizione socialista in maniera molto più efficace delle leggi repressive sperimentate da
Bismarck. La Germania, rinomata forza militare di terra, sperimentava ora una nuova flotta capace
di rivaleggiare con i paesi dalle antiche tradizioni navali: era seconda solo alla Gran Bretagna.
Quest’ultima, intanto, vedeva passare territori importanti per i propri interessi sotto l’influenza
commerciale e politica tedesca. Così, la Gran Bretagna trovava un accordo con la Francia (nemiche
ma con gli stessi timori), “l’entente cordiale (1904)”, una serie di accordi coloniali che valsero alla
Francia ampie agevolazioni e cessioni di territori in Africa e in Asia. L’intesa tra i due paesi divenne
l’asse centrale di un accordo più ampio che comprendeva altri paesi (Russia e Giappone): era
proprio la situazione che Bismarck aveva sempre cercato di evitare, ossia l’accordo franco-russo,
con l’aggravante inglese.
GRAN BRETAGNA: La seconda riforma elettorale realizzata dai conservatori nel 1867, aveva
esteso enormemente l’elettorato, conferendo il diritto di voto alla classe operaia (solo i
contribuenti). Venivano esclusi le donne, i figli anche maggiorenni che vivevano in casa col padre
(perché non erano contribuenti), i domestici e i poveri. Il voto fu reso segreto solo nel 1872. Il
sistema rimase bicamerale, con una camera elettiva e una riservata ai pari del regno (Camera dei
Lord): quest’ultima nel 1911 dovette subire una limitazione del suo diritto di veto (limitato a sole 3
volte). La Gran Bretagna, nel 1870, godeva di un primato economico e finanziario fuori
discussione, che però all’inizio del nuovo secolo fu raggiunto da altri paesi (es. Germania e Usa). Ci
si chiedeva e il paese fosse ormai in declino, se l’industria fosse ormai arretrata, poco competitiva.
A livello politico, poi, l’alternanza tra due soli partiti dava spesso origine a figure tra loro
politicamente poco compatibili.
Disraeli, politico conservatore inglese, aveva compreso nel 1867 che l’allargamento dell’elettorato
voluto dalla legge non rappresentava la fine della vecchia Inghilterra. Egli, diventato primo
ministro, tentò un programma di consolidamento e di espansione della presenza britannica nel
mondo, creando anche un piano di interventi sociali. La regina Vittoria in tal senso diventava
(simbolicamente) Imperatrice delle Indie (1876). Sempre nel 1876 Disraeli acquistò la quota
azionaria egiziana della Compagnia universale del canale di Suez, e si affiancò alla Francia nella
gestione. Ma nel 1880 la guida del paese tornò ai liberali, con Gladstone. Egli era contrario alle
imprese imperialiste, ma col tempo rimase impigliato nelle questioni coloniali. Questo perché in
Egitto vi era una rivolta antistraniera, che diede inizio all’occupazione della regione: il risultato fu
l’occupazione britannica dell’Egitto
- QUESTIONE IRLANDESE: Gladstone dedicò buona parte delle sue energie a cercare di
risolvere la questione irlandese. Congiunta alla Gran Bretagna nel 1801, l’Irlanda non riusciva a
integrarsi nel Regno Unito. L’opposizione era costituita dal problema della terra (controllata dalla
grande proprietà inglese), e la questione religiosa (l’anglicanesimo era la religione di stato). Il
partito liberale era solidale in generale con le ragioni di tutte le nazioni senza stato, e la componente
Labour trovava intollerabili le condizioni di ingiustizia e di oppressione sociale degli irlandesi. Le
violenze irlandesi provocarono misure repressive di straordinaria severità, mentre sullo sfondo
crescevano i contrasti tra la maggioranza nazionalista cattolica e la minoranza di unionisti
protestanti, che volevano il mantenimento dell’unione tra Gran Bretagna e Irlanda.
Gladstone esordì con un piano di riforme che prevedeva l’abolizione della condizione di religione di
stato dell’anglicanesimo, e una serie di agevolazioni per i contadini affittuari. Ma il risultato non fu
felice, poiché si finì nello scontentare sia inglesi che irlandesi. Ormai i nazionalisti irlandesi
desideravano la “Home Rule”, ossia il parlamento indipendente: Gladston fu praticamente costretto
a concederglielo nel 1886 (diventò legge nel 1914). Ciò causò l’uscita dal Partito liberale di 93
parlamentari, che formarono il Partito unionista liberale (guidato da Chamberlain). Solo dopo la
Grande Guerra si giungeva nel 1921 alla costituzione dello Stato libero d’Irlanda (dominion della
corona, ossia membro indipendente del Commonwealth): solo nel 1937 lo Stato libero d’Irlanda
diventerà completamente sovrano e indipendente.
- POLITICA FISCALE LIBERALE: Dall’attivismo di personaggi come Hardie e MacDonald,
nacquero l’Indipendent Labour Party e nel 1906 il Labour Party, legato alle Trade Unions. Il
ventennio conservatore lasciò in ereditàà enormi problemi di equità sociale e fiscale, una vasta
povertà e organismi di assistenza inefficaci. L’accordo stretto dal Partito liberale e dalle forze
Labour poggiava sulla convinzione comune che solo l’intervento dello stato avrebbe potuto
garantire equità sociale e risorse per un riformismo che agisse in profondità, attraverso una politica
fiscale che spostasse la tassazione dai consumi a un prelievo diretto sulla rendita e sulla ricchezza.
La legge di programmazione finanziaria (di Lloyd George - 1909), detta “Budget”, non andò avanti
perché fermata dalla Camera dei Lord, aprendo un conflitto costituzionale. Questo conflitto fu
risolto con il Parliament Act (1911), che sottraeva alla Camera dei Lord ogni potere sulle materie
finanziarie e consentiva alla Camera dei Comuni di superare il veto della camera alta approvando
per tre volte la legge in discussione.
LA TERZA REPUBBLICA FRANCESE: Alla sanguinosa repressione della Comune di Parigi
(governo democratico-socialista del 1871) seguì l’istituzione della Terza repubblica. La scelta di
una repubblica di stampo conservatore era il segno di una rottura col passato. Il Presidente della
Repubblica, espresso da un’Assemblea a maggioranza monarchica, era una sorta di sovrano
costituzionale. Era titolare del potere esecutivo, aveva il potere di nominare o revocare i ministri,
scioglieva la Camera dei deputati, rinviava alle Camere le leggi per una seconda lettura. Il potere
legislativo invece era affidato al Senato, eletto indirettamente dai rappresentanti delle municipalità,
contrappeso di una Camera dei deputati eletta a suffragio universale. Si aveva quindi un sistema
liberale, con un parlamento e un presidente della repubblica politicamente responsabile che aveva
bisogno (per ogni legge) della controfirma di un ministro.
Il risultato, nelle prime elezioni del 1876, fu un Senato prevalentemente monarchico, una Camera
dei deputati con maggioranza repubblicana, e un presidente della repubblica monarchico. Nel 1877
MacMahon rimosse il capo del governo (“Colpo di stato di maggio”), ma il presidente della
repubblica rispose sciogliendo il parlamento. Le elezioni del 1877 chiamavano di fatto il paese a
esprimersi. I risultati confermarono la maggioranza repubblicana alla Camera, nel 1879 anche al
Senato, e le dimissioni di MacMahon, sostituito dal repubblicano Grévy: fu questo il vero inizio
della Terza Repubblica.
- POLITICA INTERNA: I repubblicani condussero il governo per ben 20 anni: dal 1881 in poi
veniva ripristinata la libertà di stampa, riconosciuto il diritto di associazione, limitato il controllo sui
raduni pubblici, democratizzate le elezioni del sindaco in tutti i comuni. Ancora più rilevante fu la
laicizzazione dell’insegnamento scolastico, reso oltretutto gratuito e obbligatorio.
- POLITICA ESTERA: I repubblicani si muovevano con troppa prudenza in politica estera, e ciò
contrastava i sentimenti di una larga parte del paese, che ricordava la forte umiliazione subita nella
guerra, e nella pace, con la Prussia. I francesi erano turbati dalla cura con cui il Secondo Reich
cercava di isolare la Francia, impauriti dai progressi militari e industriali della Germania e dalla
situazione stagnante dell’economia del proprio paese. La crisi agraria, inoltre, aveva colpito la
Francia più duramente degli altri paesi europei. L’industria non cresceva come negli altri paesi più
progrediti.
Nel frattempo, Boulanger era stato nominato ministro della Guerra (1886): le sue priorità erano il
miglioramento delle condizioni dei militari e la riorganizzazione delle forze armate. Egli si appellò,
in stile bonapartista, direttamente al popolo, e così ebbe uno straordinario successo. Il suo
movimento lo spinse a tentare il colpo di stato, ma il rispetto per la legalità e il senso dell’onore gli
impedirono l’attuazione del piano: fu comunque accusato di attentato alla sicurezza dello stato, e
dunque, riparatosi in Belgio, si tolse la vita.
- IL CASO DREYFUS: La prima fase della Terza repubblica si chiuse con il caso Dreyfus. Nel
1894, il capitano Alfred Dreyfus, ufficiale di stato maggiore di origine ebraica, fu accusato di
tradimento e processato da un tribunale militare. Venne poi condannato alla deportazione a vita, e
nel 1895 inviato nell’isola del Diavolo nella Guyana.
Solo nel 1896 lo stato maggiore ebbe la prova che era stato un altro l’ufficiale traditore. Nonostante
questa scoperta, il caso non fu riaperto e lo stato maggiore impose il silenzio al colpevole,
mandandolo in Tunisia: non solo, predispose inoltre un falso documento che doveva dimostrare con
maggior evidenza la colpevolezza di Dreyfus. Ma alcune informazioni trapelarono, e cominciò una
rumorosa campagna stampa. Famoso è l’articolo di Zola intitolato “J’accuse”, pubblicato sul
giornale “L’aurore”: sotto forma di lettera aperta al presidente della repubblica, Zola denunciava le
responsabilità delle autorità militari e governative nella condanna di un innocente sulla base di una
documentazione segreta. L’articolo gli valse una denuncia per diffamazione da parte del ministro
della Guerra: il processo contro di lui, nel 1898, permise però di riaprire il caso Dreyfus. Nello
stesso anno, grazie al nuovo governo Brisson, la verità venne resa nota a tutti, e guerra aperta contro
l’antisemitismo e le organizzazioni cattoliche.
- LAICIZZAZIONE dello STATO: Tra la fine del caso Dreyfus e il primo decennio del 900 la
sinistra francese fu dominata da una forte spinta di laicizzazione del paese. Il governo WaldeckRousseau, e poi quello Combes, realizzarono una serie di interventi legislativi contro le
congregazioni cattoliche, con l’obiettivo di consolidare la laicità dell’istruzione e dello stato
francese. Questa fase di laicizzazione iniziò nel 1905 con la legge per la separazione della chiesa
dallo stato.
L’ITALIA: Nel 1876 cadde il governo Minghetti e il paese passò alla Sinistra storica. Tuttavia,
l’enorme lavoro di unificazione compiuto nel quindicennio precedente consentiva alla Sinistra
storica un periodo di rendita. Infatti, erano stati diffusi su tutto il territorio nazionale tribunali, uffici
delle imposte, corpi militari e forze dell’ordine. Nel decennio successivo, sotto la guida di Depretis,
il governo consolidò il modello di unificazione precedente: si cercò di sostenere gli interessi locali,
anche se le periferie rimasero uguali a loro stesse fino a periodi relativamente recenti. Sinistra e
Destra storica avevano più o meno gli stessi interessi, e diedero origine a governi senza
maggioranze stabili, sistema chiamato “Trasformismo”.
- PROGRESSI: L’intervento dello stato favoriva la nascita del primo stabilimento della produzione
dell’acciaio a Terni (1884). L’abolizione del corso forzoso (1883 - la non convertibilità tra
la moneta e l'equivalente in metallo prezioso) rivitalizzava le spinte imprenditoriali; Roma e molte
città medie e grandi si rinnovavano profondamente con la creazione di nuovi quartieri residenziali,
nuovi monumenti, infrastrutture e servizi urbani. La costruzione di stazioni ferroviarie e di grandi
viali che le mettevano in comunicazione con il centro, e l’abbattimento di molte cinte murarie,
davano bene l’idea di questo tentativo di espansione delle città e del paese.
Ma il progresso doveva far fronte ad alcuni problemi e scandali: un fatto eclatante fu quello dello
scandalo della Banca romana (1893), in cui rimasero coinvolti uomini politici di primo piano
(stampavano un numero maggiore di carta moneta, rispetto a quello consentito, e dunque vi erano in
circolazione più banconote con lo stesso codice identificativo). Questo fatto suscitò sentimenti di
riprovazione nell’opinione pubblica, considerando gli atteggiamenti quasi offensivi dei politici.
- CRISPI: Il governo che si formò nel 1887, sotto la guida di Francesco Crispi, doveva dare
risposte ai delusi, trovare soluzioni per i problemi sociali più urgenti, tagliando così le ali alle
fazioni socialiste nascenti (scaturite dall’aria di delusione). Crispi, quindi, orientò la sua politica
verso il consolidamento del modello statalista (che aveva caratterizzato il liberalismo italiano),
verso l’antisocialismo, e verso l’allargamento delle iniziative coloniali, inaugurate dall’occupazione
di Massaua (Eritrea). Crispi promosse anche numerose riforme: fece approvare una legge sul voto
amministrativo che ampliava l’elettorato e affidata alla scelta dei cittadini la carica di sindaco nei
comuni con oltre 10.000 abitanti; affidò poi a Zanardelli il compito di realizzare un nuovo codice
penale (concluso nel 1892), che aboliva la pena di morte.
Anche in Italia fu applicato il protezionismo attraverso l’imposizione di nuove tariffe doganali: ciò
servì all’industria italiana di tenersi al riparo dalla sfrenata concorrenza straniera, e nello stesso
tempo consentì ad alzare il prezzo dei prodotti agricoli (aiutando la proprietà fondiaria). Grazie poi
alla Triplice alleanza, l’economia italiana trovava un maggiore sfogo in seguito ai capitali tedeschi,
che facevano nascere nel 1894 la Banca commerciale italiana. Si trattava di una banca mista (la
prima in Italia con credito ordinario e attività di investimento) che ebbe un ruolo decisivo per
l’industrializzazione italiana. Tuttavia, la politica di Crispi cedette in seguito alla sconfitta italiana
di Adua (in Etiopia), interrompendo l’avventura militare e chiudendo la sua carriera politica.
- PARTITO SOCIALISTA: Proprio da questa situazione di completa povertà e dalla lotta dei
contadini nasce il socialismo italiano, rappresentato inizialmente da Andrea Costa (fondatore
dell’Avanti!). Egli, rifugiatosi a Parigi essendo stato arrestato (era anarchico), conobbe Anna
Kuliscioff che lo portò su ideali marxisti. Costa scrisse una lettera “agli amici di Romagna”, in cui
esortava il movimento anarchico ad abbracciare l’ideologia socialista e riformista,
impegnandosi nella costruzione di un partito politico. La Kuliscioff divenne la prima donna
dirigente del movimento operaio italiano.
Se gli operai avessero chiesto un accordo con lo Stato, si sarebbe perso lo spirito e la coerenza
del socialismo. L’altra via invece era la rivolta violenta, che però produceva insuccessi anche
drammatici. Ecco quindi che nel 1892, delegati da tutta Italia si riunirono in congresso a Genova e
diedero vita al Partito dei lavoratori italiani, che negli anni seguenti prese il nome di Partito
socialista italiano. Esso fu il punto di riferimento intellettuale e politico della sinistra italiana per
molto tempo, grazie anche all’Avanti, suo quotidiano.
Tuttavia, all’interno del PSI, i socialisti italiani finirono col dividersi fra una destra riformista,
un centro e una sinistra rivoluzionaria:
- La destra era guidata da Bissolati ed era favorevole a collaborare con Giolitti per realizzare un
programma di riforme che migliorasse le condizioni dei lavoratori italiani.
- La sinistra rimaneva massimalista, ovvero favorevole al programma “massimo” da attuarsi subito
per mezzo della rivoluzione. Fra gli esponenti della sinistra socialista vi era anche Benito
Mussolini, che già aveva in mente l’idea di trasformare l’organizzazione del partito, ma a capo vi
era ancora Turati.
Le divergenze interne erano profonde, e i contrasti portarono all’espulsione, da parte dell’ala
massimalista (con a capo Benito Mussolini), del gruppo riformista di Bissolati e Bonomi. In seguito
anche allo scioglimento parziale (concesso da Pio X) del “non expedit” di Pio IX, nel 1913 si
celebrarono per la prima volta elezioni a suffragio universale maschile, con la forte minaccia di un
successo socialista. Ma esistevano forze in grado di fare concorrenza a quella socialista: la Santa
Sede aveva assecondato l’attivismo sociale, condannando però il socialismo e il capitalismo.
L’enciclica della chiesa conteneva un appello alla solidarietà cristiana e alla collaborazione tra
datori di lavoro e maestranze.
- CRISI DI FINE SECOLO: La vastità delle tensioni sociali e la scarsa validità dei progetti
politici produssero, alla fine dell’800, la “crisi di fine secolo”. Il sovrano aveva creduto di poter
risolvere la crisi con la repressione militare: nel 1898 a Milano furono sparati colpi di cannone sulla
folla dall’esercito guidato dal generale Beccaris. Nel frattempo Giolitti si preparava a perseguire le
volontà del popolo, ma non prima dell’uccisione di Umberto I e la successione di Vittorio Emanuele
II.
- GIOLITTI: Durante il periodo giolittiano l’Italia conobbe una fase di espansione economica che
sembrava creare le condizioni per soddisfare le ambizioni internazionali del paese. La macchina
statale di mostrò determinante nel favorire le strutture produttive strategiche. Il settore siderurgico
italiano (1902), ad esempio, fu favorito direttamente dalle agevolazioni statali. Anche l’industria
meccanica e chimica registravano progressi notevoli grazie alla crescita della produzione
dell’energia idroelettrica, che consentiva all’Italia di ridurre la dipendenza dai paesi esportatori di
combustibili. Lo sviluppo vi era anche in ambito del sistema bancario: alla Banca commerciale
italiana si affiancò il Credito italiano.
Non mancavano però le proteste da parte delle formazioni politiche di sinistra. Giolitti a riguardo
reagiva in modo differente tra Nord e Sud: al Nord si usava equilibrio e equidistanza, mentre al Sud
vi era una durissima repressione poliziesca. Inoltre, i riformisti del PSI, a cui Giolitti guardava per
estendere la base politica e sociale dei suoi governi, non accettarono le proposte di collaborazione.
Questo anche perché dovevano necessariamente lasciare il partito nelle mani di Mussolini o
Labriola. Anche i cattolici rifiutarono qualunque tipo di legame, pur non essendo organizzati in
forma di partito. Giolitti lasciò il governo nelle mani di Salandra nel 1914.
AMERICA LATINA: Ottenuta l’indipendenza, i paesi latinoamericani (dal 1850 in poi) avevano il
problema di farsi riconoscere come stati sovrani, per sottrarsi alle tentazioni egemoniche delle
grandi potenze europee. Essi dovevano difendere i confini territoriali, ricchi di risorse naturali,
anche dall’egemonia del Nord America. In questo caso i paesi latinoamericani si appoggiavano alle
grandi potenze europee di cui divenivano grandi acquirenti di armamenti. L’immagine che
l’America latina si prestava a dare, era quella di un subcontinente capace di decidere sulla tutela dei
propri interessi: la Conferenza di Washington (1889) in proposito diede origine alla prima intesa di
collaborazione tra 17 dei 19 stati del continente.
- ECONOMIA: Nonostante la scelta liberista, la chiusura commerciale internazionale deprimeva
fortemente le prospettive dei paesi dell’America del Sud. Anche così, però, l’economia era in
straordinario aumento: le esportazioni latinoamericane erano inferiori solo a quelle degli Stati Uniti.
Verso l’inizio del 900, l’aumento delle relazioni commerciali con l’Europa ebbe riflessi positivi
sugli stati latinoamericani, determinando una crescita del reddito pro capite. L’America latina
esportava e importava essenzialmente beni di consumo, anche se più tardi, con l’inizio del nuovo
secolo (1900) si ebbe un passaggio verso ai beni intermedi. Si specializzarono nell’esportazione di
prodotti semilavorati (petrolio, piombo, rame ecc), ma anche dell’agricoltura.
- ISTRUZIONE: Le classi dirigenti dei paesi latinoamericani prestarono grande attenzione ai
problemi dell’istruzione e dell’analfabetismo, che riguardava la stragrande maggioranza della
popolazione. La “rivoluzione liberale” durò un ventennio (1850-70), e ridefinì, con le dovute
differenze locali, gli impianti costituzionali. Nascevano sistemi che riconoscevano l’uguaglianza
giuridica di tutti i cittadini e attribuivano il diritto di voto a settori sempre più ampi della
popolazione.
- POLITICA: Alla vigilia della prima guerra mondiale, l’equilibrio si spezzò in Argentina e in
Messico. In Argentina, la concessione di suffragio universale e voto segreto (1912) fece eleggere
Irigoyen, leader radicale. Egli avviò un vasto programma di riforme sociali e adoperò il potere di
intervento federale nelle province per limitare il monopolio politico dei vecchi potentati locali. In
Messico, invece, la caduta di Diaz (a seguito del fallimento della riforma agraria) e le successive
elezioni presidenziali, provocarono forti tensioni sociali e suscitarono tra i braccianti agricoli un
senso di frustrazione. Al governo prese posto Madero, esponente del movimento rivoluzionario.
L’equilibrio fu presto rotto da una controffensiva reazionaria guidata dal generale Huerta, che
rovesciò il potere del presidente (1913). L’arresto e il successivo assassinio di Madero scatenarono
la guerra civile, che durò fino al 1917, causando 22 milioni di morti.
STATI UNITI: Tra il 1863 e il 1877 gli Stati Uniti passarono un periodo di contraddizioni. Furono
anni di grande crescita demografica ed economica, anche grazie al protezionismo doganale e
all’intervento pubblico. Tuttavia, questo straordinario dinamismo fu accompagnato da un affarismo
senza scrupoli e da sempre più frequenti casi di corruzione. A seguito di ciò, l’opinione pubblica
non rimase indifferente: si diffusero una serie di associazioni segrete, in cui si raccoglievano
agricoltori per organizzare iniziative contro le pratiche commerciali monopolistiche (la più grande
si chiamava “Cavalieri del lavoro” – 700.000 membri). Ad esse si contrapponevano banche e
imprese. L’associazione dei Cavalieri del lavoro costituì un punto di riferimento per la prima vera
organizzazione sindacale (Federazione americana del lavoro – 1900).
- POLITICA: A partire dagli anni 80, per soddisfare il bisogno inesauribile di braccia per le
fabbriche e per l’edilizia delle città americane, cominciava la seconda ondata migratoria,
proveniente prevalentemente dall’Europa mediterranea e orientale. Le città crescevano
esponenzialmente. Tuttavia, gli immigrati rappresentavano una importante risorsa elettorale per i
cosiddetti Bosses: la loro intenzione era lo scambio tra consensi politici e la corruzione. Una svolta
significativa si ebbe quando i repubblicani trovarono un nuovo slancio. Il grande successo
repubblicano consegnò a McKinley una maggioranza vasta e una coalizione che andava dal mondo
dell’industria e della finanza, a quello dei lavoratori delle città, fino alle minoranze etniche e
religiose.
Nel 1898 il governo statunitense decise di sostenere la rivolta indipendentista cubana contro il
governo spagnolo. La flotta spagnola però affondò una corazzata americana nel porto dell’Avana, e
il Congresso dichiarò guerra alla Spagna. Il conflitto fu breve e la vittoria procurò all’Unione
importanti possedimenti nei Caraibi e nell’area del Pacifico. Per quanto riguarda Cuba, invece, non
ottenne immediatamente l’indipendenza: le truppe statunitensi rimasero sul suo territorio fino al
1902 e, quando si ritirarono, lasciarono nella costituzione repubblicana una serie di clausole che
subordinavano fortemente l’isola agli Stati Uniti.
Prima della Grande Guerra, i progressisti (ala del Partito repubblicano) si assicurarono la leadership
del paese con il primo e secondo mandato presidenziale di Roosevelt, quello di Taft e quello di
Wilson. La richiesta di un nuovo sistema elettorale per le presidenziali (voluto anche dai populisti)
faceva parte dei programmi di moralizzazione della politica. Un altro tema caro ai populisti, che
divenne interesse dei progressisti, fu quello della lotta alle grandi concentrazioni industriali e del
rispetto della libera concorrenza. Si vedevano all’orizzonte anche il suffragio femminile, la
riduzione del lavoro di donne e bambini, il miglioramento degli alloggi e della salute pubblica, la
lotta contro la povertà e il crimine, la tassa progressiva sul reddito.
IMPERIALISMO e COLONIALISMO: L’imperialismo può essere definito in due modi:
1) Imperialismo tout court: un’occupazione territoriale compiuta da un organismo statuale a
danno di un altro con il ricorso alla forza e la creazione di un dominio diretto per lo sfruttamento
delle risorse,
2) Imperialismo informale: l’uso di strumenti coercitivi per ottenere il diritto di sfruttare le risorse
di un territorio senza occuparlo, ma lasciandone il dominio a un diverso organismo statuale.
L’imperialismo degli anni 1870-1914 è però diverso da quello precedente: questo presenta una
dimensione maggiore del fenomeno, a cui partecipano un numero straordinario di paesi. Un altro
elemento è la presenza di apparati produttivi molto forti, tra cui si distinguono i colossi
dell’industria pesante che hanno l’interesse e la capacità di imporre ai governi il perseguimento di
politiche imperialiste. Il nuovo imperialismo, poi, sfrutta spesso elementi di orgoglio nazionalista
con posizioni razziste sempre più esplicite.
ASIA: In Asia il fenomeno coloniale fu differenziato a seconda dei luoghi. In Cina e India, ad
esempio, la penetrazione straniera ebbe date, modalità e forme di dominio assai diverse:
- INDIA: La penetrazione britannica in India avvenne grazie alla Compagnia delle Indie orientali,
una società commerciale sotto il controllo parlamentare. Con le truppe armate, la Gran Bretagna
occupò il territorio indiano tra il 1754 e il 1840. Nel 1858, però, a seguito delle rivolte, il governo
britannico decise che l’India aveva bisogno di una diversa amministrazione: il governo trasferì i
territori e le proprietà della Compagnia alla corona. Il cambiamento istituzionale fu seguito dal varo
di un consistente piano di lavori pubblici (infrastrutture stradali e ferroviarie, bonifiche ecc). la
creazione di un sistema legislativo unitario, l’abolizione delle dogane interne, l’uso della lingua
inglese contribuirono a ridurre la frammentarietà del paese.
Gli inglesi non miravano a costituire una nuova società indiana, ma piuttosto a garantire l’ordinata
sopravvivenza della vecchia. La prima affermazione di nazionalismo indiano ebbe luogo del 1876,
quando a Calcutta si formò l’India Association. Si trattava di un gruppo di intellettuali di
formazione occidentale che criticava il modo in cui l’amministrazione indiana tradiva i princìpi di
libertà e civiltà inglesi. Nacque così il Partito del Congresso, contenente però un’ala rivoluzionaria
che in certi casi sfociò in una vera e propria strategia terroristica. Dopo la Prima guerra mondiale,
Gandhi e la sua leadership nel Partito del Congresso resero ancora più pressante la richiesta
all’amministrazione britannica della completa indipendenza.
- CINA: La vicenda coloniale della Cina cominciò con la sconfitta nella guerra dell’oppio, conclusa
con il trattato di Nanhino (1842). Si trattava di un trattato che prevedeva la cessione alla Gran
Bretagna di Hong Kong e l’apertura al commercio inglese di una serie di porti. Il trattato imponeva
alla Cina la libera circolazione nel paese dei tessuti britannici e dell’oppio, nonostante la volontà
contraria delle autorità cinesi. Anche la seconda guerra dell’oppio, terminata nel 1860, vide
sconfitta la Cina, che dovette cedere altri pezzi della sua sovranità. Da quel momento in poi, fino al
1890, la penetrazione occidentale in Cina non trovò più alcun ostacolo. Per la Cina furono imposte
tariffe doganali bassissime (rispetto al protezionismo adottato in Europa), e così il fragile settore
manifatturiero cinese e l’artigianato, devastati dalla concorrenza dell’industria tessile, cominciarono
progressivamente a declinare: anche lo sviluppo della Cina sembrava da rinviare.
L’esito disastroso della guerra combattuta nel 1894 contro il Giappone non fece altro che accrescere
le tensioni già esistenti. Ebbe così luogo, quattro anni dopo (1898), la rivolta dei Boxer,
caratterizzata da sentimenti xenofobi e anticristiani. Si arrivò a uno scontro tra la Cina e una
coalizione di forze che comprendeva Usa, Uk, Francia, Giappone, Russia, Austria-Ungheria,
Germania e Italia. La coalizione sconfisse i rivoltosi e umiliò ulteriormente l’impero cinese con il
Protocollo del 1901 (pagamento di una indennità da parte della Cina di oltre 67 milioni di sterline,
smilitarizzazione del paese e presidio di Pechino da parte delle truppe straniere). La Cina assumeva
sempre più la forma di una colonia spartita tra le potenze occidentali. Al Giappone andò la
Manciuria e la Corea. Gli Stati Uniti invece occuparono le Filippine, il cui controllo gli conferiva
una maggiore sicurezza commerciale e la possibilità di rinsaldare la loro presenza militare nel
Pacifico.
AFRICA: In Africa l’imperialismo si manifestò con l’occupazione dei territori. L’obiettivo era lo
sfruttamento delle risorse locali: la popolazione locale forniva la manodopera in imprese istituite
con capitali straniere, e straniero era anche il commercio di importazione e esportazione. La
convivenza tra bianchi e popolazione di colore era regolamentata da sistemi di Apartheid
(separazione dei bianchi dai neri nelle zone abitate da entrambi): era questo il caso delle “colonie di
popolamento”. In altri casi, invece, gli stranieri si limitavano a sfruttare l’attività agricola locale
(“colonie di sfruttamento”).
- INGLESI: Le zone maggiormente interessate dalla presenza della Gran Bretagna erano il
Sudafrica, la Valle del Nilo e l’area occidentale. Tuttavia, la Gran Bretagna fu costretta, a causa
della rivolta degli arabi, ad espandersi verso nuovi territori: Sudan, lago Vittoria, in cui crearono le
due colonie dell’Uganda e Kenya. Nell’Africa occidentale gli inglesi erano presenti in Sierra Leone,
Gambia, Costa d’Oro e Nigeria.
- FRANCESI: Il perno del colonialismo francese era costituito dai territori dell’Algeria, di cui la
Francia aveva cominciato l’occupazione a partire dal 1830. Nel 1881, poi, la Francia istituì un
protettorato sulla Tunisia, dopo aver francesizzato le popolazioni Algerine. L’allargamento verso il
Senegal mise l’azione francese contro quella inglese: nel 1898 fu sfiorato lo scontro armato tra le
due potenze. Alla vigilia della prima guerra mondiale, la Francia aveva occupato dalla Mauritania al
Dahomey: la Mauritania era fondamentale, poiché attraverso il Sahara si univa col Marocco e con
l’Algeria.
- GERMANIA e ITALIA: L’Italia conservò due colonie sul Mar Rosso, Eritrea e Somalia. Nel
1912 si assicurò tutta l’area della Libia, e solo negli anni 30 tornerà in Africa per occupare
l’Etiopia.La Germania, invece, riuscì a creare un’area coloniale abbastanza vasta, comprendente
Togo e Camerun, parte dell’Africa occidentale e di quella orientale sull’Oceano Indiano.
RUSSIA, AUSTRIA e TURCHIA: Gli imperi Russo, Ottomano e Austro-ungarico erano tutti
egualmente multietnici. Due di essi scomparirono verso la fine dell’800, mentre quello Russo
rinacque sotto altri ambiti. Nell’Europa orientale si crearono in quegli anni particolari relazioni tra
arretratezza economica, politica e istituzionale, e nazionalismi.
- IMPERO OTTOMANO: L’Impero ottomano conobbe un processo di liberalizzazione e di
secolarizzazione delle istituzioni fin dal 1839. La grave umiliazione militare subita nella guerra
contro la Russia, e quella diplomatica di Berlino, ebbero importanti ripercussioni politiche: ad
esempio, fu sospesa la Camera dei deputati. Alcune comunità religiose non musulmane
funzionavano come veri e propri organi di autogoverno delle minoranze, soggette alle norme
generali del diritto islamico. La rivoluzione dei Giovani Turchi del 1908, però, prendendo la forma
di un colpo di stato, costrinse il sovrano a ripristinare la costituzione del 1876. In seguito furono
ridotti i poteri del sovrano e i ministri furono resi responsabili verso il parlamento. Tuttavia il
parlamento sfruttò i suoi poteri per reprimere le libertà individuali, collettive e di stampa: la crisi si
amplificò.
Nel 1911 l’Italia invase le province di Tripoli e Bengasi. Nel 1912, Bulgaria, Serbia, Grecia e
Montenegro, unite nella Lega balcanica, attaccarono la Turchia. Ebbe così inizio la prima guerra
balcanica, che vide sconfitta la Turchia. La seconda guerra balcanica fu data pochi anni dopo
dall’attacco della sola Bulgaria (fu svantaggiata nella spartizione dei territori) verso i paesi
precedentemente alleati e la Turchia, la quale però aveva al suo fianco anche la Romania: la
sconfitta della Bulgaria fu inevitabile. L’Impero ottomano, infine, a seguito del trattato di Londra e
di Bucarest, perse quasi tutti i suoi territori europei.
- UNGHERIA: Più faticosa fu la ricerca di stabilità nel Regno d’Ungheria, in cui la superiorità
della componente magiara (ungheresi) era ben evidente. La legge delle nazionalità riconosceva tutte
le lingue delle minoranze non magiare nella scuola come nell’amministrazione. Rumeni, slovacchi,
e tutti gli altri che adottavano la lingua e la cultura magiara, rinunciando alla propria, venivano
assimilati al gruppo egemone. Tutti i non assimilati (pur non essendo obbligati all’assimilazione)
rischiavano di essere discriminati e perseguitati.
La componente ebraica diventò particolarmente presente nelle attività commerciali, creditizie,
industriali e nelle professioni liberali. I gruppi dirigenti tradizionali però ebbero atteggiamenti
antimoderni e antiebraici. Gli ebrei, a Vienna, ebbero sempre una vita difficile: il movimento
sionista, non a caso, nacque proprio nella capitale austriaca (1897) per iniziativa dello scrittore
ungherese Theodor Herzl.
- IMPERO RUSSO: Dotato di un’estensione sterminata, l‘Impero russo era costituito da
popolazioni di diverse etnie e religioni. I russi addirittura non riuscivano ad essere maggioranza
assoluta. Maggioritaria, in complesso, era la componente slava (ucraini, polacchi, bielorussi, ecc).
gli ebrei erano solo una minoranza. Tutti questi popoli, comunque, caddero sotto il dominio degli
zar. La politica svolta in questa direzione fu spesso autoritaria e repressiva. Anche grazie
all’abolizione del servaggio, tuttavia, consentì crescita demografica, urbanizzazione, flussi
migratori, trasformazioni agrarie ecc.
Contro le minoranze, in particolare quelle ebraiche (circa il 4% di ebrei), si andavano diffondendo i
Pogrom (saccheggi e violenze) nelle loro comunità. Con il regno di Alessandro III (1881), inoltre,
gli ebrei furono colpiti da norme discriminatorie che ne limitarono la libertà di movimento e li
esclusero dagli uffici pubblici. L’antisemitismo si radicava e diffondeva: è proprio in questo periodo
che si parla dei “Protocolli dei Savi di Sion”, dove si illustrava il (fantomatico) piano ebraico per
raggiungere il dominio del mondo attraverso il controllo della finanza internazionale, rivoluzioni e
conflitti armati. Solo successivamente si poté accertare con chiarezza che si trattava di un falso.
- POLITICA INTERNA: La gestione del potere all’interno dell’Impero era affidata
completamente al potere autarchico dello zar. La discussione politica era quindi una pratica segreta
e cospirativa, che spesso sfociava in atti estremi o in azioni terroristiche. Fu questo il caso del
Populismo (simile a quello americano), che si opponeva al capitalismo e alla grande finanza e
favoriva una rivoluzione agraria (redistribuzione della terra tra i contadini). Lo Zar Alessandro II
rimase ucciso proprio in un attentato populista nel 1881: dal populismo sarebbe poi nato il Partito
socialista rivoluzionario.
Nel 1903 la formazione socialdemocratica si era divisa in due gruppi politici distinti: Bolscevichi
(guidati da Lenin – partito di rivoluzionari, gerarchizzato e clandestino), e Menscevichi (che
volevano realizzare una coscienza politica più diffusa per una trasformazione democratica del
paese). Nel 1905 l’Assemblea dei lavoratori russi presentò un appello allo zar, contenente la
richiesta di una costituzione, organi di rappresentanza, libertà civili, oltre a una serie di
miglioramenti delle condizioni di lavoro e di retribuzione: il Palazzo d’Inverno la polizia aprì
immediatamente il fuoco.
Le proteste dilagavano e si formarono i Soviet (consigli), strumenti di una democrazia diretta e della
rivoluzione. Lo zar si impegnò a costruire istituti di rappresentanza e garantire libertà politiche e
civili, ma la Duma eletta a suffragio universale fu sciolta dallo zar, che riprese il controllo della
situazione.
- POLITICA ESTERA: Dopo l’umiliazione del Congresso di Berlino (che riconosceva ai paesi
satelliti russi l’indipendenza dalla Russia), la sconfitta nella guerra contro il Giappone vanificò gli
sforzi per affermare l’influenza russa in Manciuria. La Russia si alleò quindi con Francia,
Inghilterra e Giappone, e si opponeva alla Germania, che aveva ostacolato i suoi tentativi
espansionistici.
PRIMA GUERRA MONDIALE: La Prima guerra mondiale, più che segnare l’età della catastrofe,
marco la fine di un periodo: il “lungo 800”. Questo perché la guerra pose fine a molti aspetti che
avevano caratterizzato la società e le istituzioni del 19° secolo. La monarchia, forma di governo
prevalente nel Vecchio Continente, dovette cedere il passo alla repubblica, così come l’aristocrazia
perdeva man mano il suo peso politico.
- LE CAUSE: La Serbia, concluse le guerre balcaniche, mirava ad allargarsi a Nord, nei territori
dominati dall’Austria. Il confronto di interessi più grave era quello tra Inghilterra e Germania,
poiché entrambe competevano sul terreno più pericoloso, quello degli armamenti e delle flotte
navali, campo in cui l’Inghilterra possedeva il primato storico. Vi era inoltre un problema
fondamentale tra Francia e Germania, data la diversità dei due modelli culturali, politici,
nazionali. Inoltre la Germania aveva strappato alla Francia l’Alsazia e la Lorena, creando un vero e
proprio odio tra le due nazioni. In ogni caso, vi era l’idea che le ostilità sarebbero stati brevi.
- LO SCOPPIO: Il 28 giugno del 1914, un giovane nazionalista serbo di Bosnia (di nome Princip),
riuscì ad avvicinarsi alla carrozza imperiale uccidendo a Sarajevo l’arciduca Ferdinando d’Austria e
sua moglie Sofia. L’Austria avanzò la richiesta di poter indagare autonomamente in territorio serbo
circa l’accaduto, ma il re di Serbia si irrigidì. All’ultimatum austriaco, la Serbia rispose con la
mobilitazione dell’esercito. Così, l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia (un mese dopo
l’attentato): l’assassinio dell’arciduca Ferdinando rappresentò l’occasione per l’Austria per mettere
fine alle aspirazioni serbe.
Successivamente, come reazione a catena, la Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia.
La Germania invase il Belgio per arrivare rapidamente in Francia, e l’Inghilterra così dichiarò
guerra alla Germania (si ricorda l’Intesa cordiale tra Francia e Inghilterra, e la Triplice alleanza tra
Austria, Germania e Italia). L’Italia nel frattempo rimase neutrale, nonostante la Triplice Alleanza. Il
conflitto, nato nell’est dell’Europa, si era spostato a occidente. Anche il Giappone partecipò alla
guerra al fianco di Francia e Inghilterra, ma con l’unico scopo di impadronirsi delle colonie
tedesche in Oriente. La guerra in seguito si allargò ad altri paesi: Impero ottomano, Bulgaria,
Portogallo, Romania, Grecia con la Triplice alleanza. Nel 1917 anche gli Stati Uniti entrano in
guerra.
- ITALIA: Prima di entrare in guerra, l’Italia scrutò attentamente il quadro della situazione e valutò
da che parte le sarebbe convenuta stare: Salandra e Sonnino, senza che il parlamento fosse a
conoscenza, avviano contatti diplomatici per negoziare l’entrata in guerra.
- Gli imperi centrali (Triplice Alleanza) sono disposti a concedere all’Italia tutti i territori di
lingua italiana del Trentino e del Friuli, escluse Trieste e Gorizia.
- Ma l’Intesa offre di più se l’Italia scende in guerra al suo fianco: l’Alto Adige, tutta la Venezia
Giulia, Trieste, Gorizia, Istria e Dalmazia, esclusa Fiume. L’Italia avrebbe poi ottenuto il
protettorato sull’Albania, la provincia turca di Adalia, la Libia, e avrebbe poi potuto espandersi in
Africa orientale per il colonialismo.
Il 24 maggio 1915, dunque, l’Italia entra in guerra al fianco dell’Intesa, avendo stipulato il Patto di
Londra (26 aprile 1915).
Il problema economico più grande dell’Italia, durante l’entrata in guerra, è che la Germania
costituisce il più importante partner commerciale per la produzione industriale italiana. Dunque,
l’entrata in guerra contro la Germania, significa il taglio netto dei rapporti economici tra i due
paesi. L’industria bellica italiana contava ora un milione di addetti, tra cui anche donne. Nascono
quindi settori industriali per prodotti precedentemente importati dalla nazione tedesca,
incrementando la produzione di energia idroelettrica.
- PROPAGANDA: Nessuna guerra può essere combattuta senza un grande sostegno del popolo.
Il nazionalismo aveva svolto con cura il suo obiettivo, quello di un grande lavaggio del cervello a
favore della superiorità nazionale e dello spirito bellicoso. Aveva inoltre assicurato l’approvazione
della maggior parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche. Perfino i socialisti finirono con
lo schierarsi con i rispettivi governi (l’SPD tedesco votò a favore dello sforzo bellico contro il
regime zarista russo). La Russia difendeva le radici slave insieme alla Serbia, in Francia si
difendevano i princìpi di libertà, uguaglianza e fraternità. Pochissime erano le voci contro la
guerra, e la maggior parte degli esponenti che intralciavano la strada verso la guerra venne accusata
di disfattismo; gruppi di pacifisti erano presenti ovunque, ma rimasero del tutto inascoltati.
Il mondo politico italiano era indignato di fronte al realismo di Giolitti, secondo il quale la
neutralità sarebbe stata meglio ricompensata della partecipazione. Nemmeno i partiti cristiani si
sottrassero alla grande avventura, e le chiese benedissero le bandiere.
- AVVENIMENTI: La guerra divenne ben presto una causa mondiale, in particolar modo con la
scesa in campo degli Stati Uniti nel 1917. Prima di allora, gli uomini che presero parte al conflitto
non erano solo europei: la Francia arruolò nelle colonie oltre 600.000 uomini destinati a combattere
in Europa. Quasi il doppio invece furono i soldati stranieri arruolati dalla Gran Bretagna. La guerra
era diventata uno strumento politico, favorita dall’estasi e dallo spirito nazionalistico dei vari paesi.
Cresceva il livello di ostilità verso gli stranieri: essi producevano timore. Imprenditori stranieri
furono costretti a vendere le loro imprese, così come i commercianti furono abbandonati dai clienti.
La stessa famiglia reale inglese decise di abbandonare i nomi tedeschi di Hannover e SassoniaCoburgo per assumere quello inglese di Windsor. Parte degli “stranieri nemici” furono rimpatriati,
altri rinchiusi in campi di internamento. In Russia, ad esempio, le autorità fecero deportare verso le
regioni più interne circa un milione di ebrei; gli armeni, invece, subirono le aggressioni dei curdi.
Anche nell’Impero ottomano gli armeni subirono una propaganda per instillare nei turchi l’odio
verso di essi: in totale, si contano 2 milioni di armeni massacrati (genocidio).
- GERMANIA vs FRANCIA: In tutti i paesi che parteciparono alla guerra la leva era obbligatoria.
La Germania, ad esempio, mise in campo un esercito di circa 5 milioni di uomini disciplinati e
addestrati, che in precedenza spesso facevano gli artigiani, operai ecc. Nell’esperienza della guerra
contro la Francia nel 1870 la capacità di movimento e la velocità erano state le carte vincenti delle
forze prussiane: l’esercito tedesco intendeva adoperare le stesse armi. Già il 4 agosto iniziò
l’invasione del Belgio, superandolo, e costringendo la Francia ad arretrare e ad attestarsi sul fiume
Marna, a ovest di Parigi. Tuttavia, proprio qui i tedeschi dovettero arrestare la loro avanzata:
cominciava un lungo conflitto di logoramento, che portò (come tutte le guerre di trincea) a
moltissime uccisioni di soldati, da entrambi gli schieramenti.
- GERMANIA vs RUSSIA: Sul fronte orientale, dopo i tentativi di invadere il territorio tedesco, i
russi furono costretti a ripiegare. I tedeschi, in poco tempo, divennero padroni di un territorio di
enormi dimensioni. Qui, dunque, la guerra era più movimentata: le condizioni delle truppe erano
più drammatiche, a causa del tempo, dell’equipaggiamento scadente e per l’insufficienza del cibo.
Era ormai evidente che avrebbe vinto la guerra chi fosse riuscito a farsi logorare di meno dal
nemico.
- ITALIA vs GERMANIA: Unico avvenimento significativo nel 1917 fu la disfatta a Caporetto e
l’arretramento dell’esercito italiano sulla linea del Piave (furono moltissimi in questo caso i
disertori). Ciò causò la caduta del governo Boselli e la salita di Orlando: il generale Armando Diaz
sostituì Cadorna come capo di stato maggiore. Il 1918 l’Intesa tentò di respingere i tedeschi,
impegnati nello sfondare il fronte prima dell’arrivo degli americani. Nel frattempo l’Italia, con la
battaglia di Vittorio Veneto, sfondò il fronte austriaco, continuando l’avanzata fino a Trento e
Trieste.
- LAVORO: Gli eserciti avevano fame di uomini per rimpiazzare i caduti, ma non solo, poiché tutti
i paesi, durante lo sforzo bellicoso, dovevano garantire il funzionamento delle fabbriche. Esse,
private della forza lavoro degli uomini inviati al fronte, ricorrevano alla manodopera femminile e a
quella straniera. Negli anni di guerra le fabbriche francesi occuparono 660.000 stranieri (prigionieri
di guerra), mentre in Germania i lavoratori non tedeschi furono 3 milioni, di cui 2 erano prigionieri
di guerra. Lo sforzo della donna nel lavoro produsse cambiamenti profondi e irreversibili nella
collocazione di essa nella società, anche dopo la guerra.
- ESITO FINALE: Nel 1917 furono due gli avvenimenti decisivi per l’esito finale della guerra,
ancora in bilico. 1) In Russia, le morti e le condizioni di fame, scaturite anche dai disastri causati
dalla guerra, saldavano lo scontento popolare con quello dell’esercito: la rivoluzione di febbraio
portò alla formazione di un comitato esecutivo provvisorio e all’abdicazione dello zar Nicola II. La
sconfitta della Russia contro la Germania, e l’ostinazione dei governi provvisori (russi) a continuare
la guerra crearono le premesse per la Rivoluzione d’ottobre, in cui si affermarono i Bolscevichi.
2) Il secondo avvenimento fu l’entrata in guerra degli Stati Uniti e alcuni paesi sud americani. Nel
1916, il presidente americano Wilson si era impegnato in una campagna di mediazione tra
Germania, Austria-Ungheria e le forze dell’Intesa. I suoi sforzi non portarono risultati. Ne seguì da
parte tedesca la decisione di intraprendere una guerra sottomarina illimitata (ossia colpivano
qualsiasi sottomarino e nave mercantile, in particolar modo gli approvvigionamenti inglesi e
francesi, e poi americani). I numerosi danni subiti dagli interessi americani spinsero Wilson a
portare gli Stati Uniti in guerra.
Gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in guerra nel 1917, partecipando di fatto solo agli ultimi
cinque mesi di battaglie. Nonostante il breve periodo di partecipazione, gli States portarono in
guerra quasi cinque milioni di uomini, con perdite nettamente inferiori rispetto a quelle degli altri
paesi, circa 100 mila morti e 200 mila feriti. L’apporto che offrirono si rivelò decisivo ai fini della
vittoria dell’Intesa.
LA FINE DELLA GUERRA: Nel 1918, i tedeschi sfruttarono la formalizzazione di pace con la
Russia per attaccare il fronte francese, conseguendo notevoli successi, anche se i francesi
iniziarono a contrattaccare. Così, i soldati inglesi, francesi e americani contrattaccarono
insieme in direzione del Belgio usando quattrocento carri armati: riuscirono a travolgere le
truppe avanzate dei tedeschi. La Germania, se inizialmente era riuscita a sfondare le linee francesi,
si trovava ora con le proprie fortificazioni arretrate, ed era ormai costretta ad avviare trattative
per l’armistizio, firmato l’11 novembre del 1918.
Gli Stati Uniti erano i veri vincitori del conflitto. Avevano pagato un costo umano molto più
basso rispetto alle altri nazioni belligeranti, determinando la vittoria dell’Intesa anche grazie al
prestito di ingenti capitali necessari alla vittoria, di cui avrebbero incassato per anni i benefici. I
paesi vincitori europei si erano gravemente indebitati, e i paesi vinti erano altrettanto distrutti: gli
unici arricchiti erano dunque gli Usa. Il messaggio che mandavano gli States era quello di una
vittoria del bene sul male, volta alla convivenza pacifica delle nazioni basate sulla democrazia,
contro il vecchio autoritarismo illiberale e militarista.
DALLA GUERRA ALLA PACE ARMATA (1917-1956):
- RIVOLUZIONE RUSSA: La rivoluzione di febbraio e l’abdicazione dello zar avvennero durante
la prima guerra mondiale, anche se essa non fu la causa. Le rivolte a seguito dell’inesistenza di
diritti e di tutela sul lavoro, e dell’assenza di una riforma agraria, erano già sfociate intorno al 1905.
La guerra, i morti, la fame e le sconfitte non fecero altro che acuire un malessere preesistente, dato
ulteriormente dall’indisponibilità dello zar a mettere in discussione la forma autoritaria dell’impero.
La rivoluzione di febbraio lasciò però la Russia in una situazione di stallo: vi era una repubblica
affidata a un governo provvisorio, costituito da aristocratici e borghesi liberali. Il potere di questo
governo era ostacolato dal potente soviet (consiglio) degli operai e dei soldati di Pietrogrado. La
popolazione e i soldati pensavano che l’abdicazione dello zar avesse significato automaticamente la
fine della partecipazione della Russia in guerra: ma non fu così, poiché il governo provvisorio
decise di proseguirla.
Il paese entrò nel caos, e nel 1917 i Bolscevichi continuarono a preparare la rivoluzione. Aumentava
il numero degli iscritti; i soviet degli operai e dei soldati di Mosca e Pietrogrado assumevano il
controllo, scalzando i menscevichi (democrazia rivoluzionaria e sostegno al governo) e i socialisti
rivoluzionari. A seguito del ritorno in Russia di Lenin (era esule in Svizzera), i Bolscevichi decisero
di dare la spallata definitiva. Anche con l’aiuto di Trotskij L’insurrezione cominciò il 24 ottobre e
durò solo due giorni, sufficienti per avere il controllo di Pietrogrado, grazie anche al sostegno del
soviet della capitale e dell’esercito rivoluzionario. Vi erano Lenin capo del governo, Trotskij
commissario agli esteri e Stalin commissario delle nazionalità: iniziava una nuova storia per la
Russia.
- LENIN: L’assalto al Palazzo d’Inverno e l’arresto di Kerenskij e degli altri ministri rimase a
lungo uno dei momenti più celebrati nella retorica sovietica. Tuttavia, i Bolscevichi non riuscirono a
mantenere le posizioni conquistate, e furono sconfitti nella elezione per la creazione dell’Assemblea
costituente. Lenin ne approfittò per sciogliere l’Assemblea (1918), trasformando a rivoluzione di
ottobre in un colpo di stato, imponendo l’uscita dei socialisti rivoluzionari dal governo. La capitale
fu trasferita a Mosca, l’esercito divenne l’Armata rossa, e il partito bolscevico assunse il nome di
Partito comunista dell’Unione Sovietica (Pcus).
Iniziò uno stato di guerra civile, in cui l’organizzazione militare veniva imposta a tutti i livelli della
vita del paese, e il degrado dell’economia era accentuato dalla perdita del controllo su aree assai
ricche. Le forze avverse alla rivoluzione, i Bianchi, con cui i bolscevichi dovettero combattere,
costituivano un esercito assai scarno e senza unità politica: tuttavia, i Bianchi potevano contare sul
sostegno di Francia, Inghilterra e Giappone, e sulla incapacità dei Bolscevichi di mantenere il
controllo sull’enorme territorio. Il governo sovietico di Trotskij rispose con un esercito di 5
milioni di soldati, riuscendo a sconfiggere (in due anni) la controrivoluzione. Il risultato di tale
guerra civile fu 7 milioni di morti in totale, fame e miseria ovunque.
- CENTRALINISMO: Vi era il tentativo di creare un sistema centralizzato, unico strumento
capace, secondo i bolscevichi, di mantenere il controllo del paese. Un altro elemento di questa
politica accentratrice fu la nazionalizzazione di ogni tipo di impresa, cominciata nel 1918
(riguardava 37.000 imprese). L’altra faccia del centralismo esasperato era la dittatura politica,
cresciuta attraverso l’eliminazione di tutte le forze politiche: proibizione della stampa non
bolscevica, soppressione delle organizzazioni politiche di opposizione, il tutto sotto la vigilanza
della polizia politica (Ceka). Si trattava di una vera e propria dittatura del proletariato. Inoltre, stava
allo stato stesso acquisire e distribuire le derrate agricole, proprio per regolarne le finalità,
costringendo i contadini e requisendo i loro prodotti. La brutalità che accompagnava i sequestri di
grani non poté evitare lo scontro con i contadini e la guerriglia che questi organizzarono nel 1918.
In seguito al timore che i contadini potessero saldarsi con altre parti della società (come ad esempio
i marinai), Lenin stesso impose un provvisorio e limitato ritorno all’economia di mercato. Questa
nuova fase, detta Nuova politica economica (Nep), limitò le requisizioni, consentendo ai contadini
di immettere sul mercato le eccedenze. La Nep innescò una fase di crescita: nel 1925 la produzione
ritornò al livello della vigilia della guerra mondiale, ma la crisi dell’industria pesante arrestò questa
ripresa economica. Lenin morì nel 1924, e si profilava il dominio di Stalin.
NUOVI EQUILIBRI: La fine del conflitto modificò completamente la carta geopolitica
dell’Europa. Il vuoto istituzionale e politico lasciato dai conflitti fu occupato da nuove forme di
burocratizzazione e militarizzazione dello stato, insieme a forme di centralizzazione del potere. Con
la sola esclusione degli Usa, tutti i paesi che avevano partecipato alla guerra, vincitori o sconfitti, ne
uscirono indeboliti: si andava comunque verso una cultura liberale.
- GRAN BRETAGNA: Durante il conflitto, nonostante il liberalismo, lo stato centrale assunse
funzioni di controllo dell’economia sempre più estese. Lo sforzo bellico obbligò il governo a
prendere misure sempre più costrittive. Le ferrovie furono seminazionalizzate, molte navi furono
requisite, e furono istituite fabbriche statali. Vi era anche una forma politica di protezione
dell’industria interna e di completa regolamentazione dei prezzi.
- EST EUROPA: In Jugoslavia, e in particolare in Slovenia, istanze nazionaliste e aspirazioni
socialiste si intrecciavano assai strettamente. Si moltiplicavano i soviet contadini e operai, mentre il
Partito comunista si preparava a uno scontro rivoluzionario. La repressione militare delle forze
comuniste portò, nel 1920, ad un sistema politico conservatore e autoritario, violentemente
antibolscevico. Simile fu il caso di Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria.
- AUSTRIA e UNGHERIA: L’Austria del dopoguerra lamentava la distruzione quasi completa del
proprio sistema politico-istituzionale. L’unico partito con ancora uno scheletro era quello
socialdemocratico. Proclamata la Repubblica nel 1918, furono indette le elezioni a suffragio
universale per formare un’Assemblea costituente. Le elezioni confermarono i socialdemocratici
come primo partito, che furono però costretti a dividere il governo con i cristiano-sociali (cattolici
delle aree rurali del paese): questa coabitazione governativa indebolì ulteriormente le forze
socialdemocratiche, giungendo in secondo piano e consegnando la maggioranza ai Cristiano-sociali.
Anche in Ungheria fu proclamata la Repubblica lo stesso anno: il governo era retto da una
coalizione di socialisti e liberal-democratici. Tuttavia seguì una fase di agitazioni rivoluzionarie che
vide il forte protagonismo del movimento operaio. Sotto la direzione dei comunisti, appoggiati dai
socialdemocratici, nacque la Repubblica sovietica ungherese. Ma il governo ungherese di Béla Kun
fu presto rovesciato a causa del rifiuto dei socialdemocratici viennesi di radicalizzare le loro
posizioni politiche, e a causa degli attacchi dell’esercito rumeno: con l’ingresso di quest’ultimo a
Budapest, nel 1919 si insediò un governo controrivoluzionario che chiudeva nel sangue l’esperienza
comunista e costituiva il primo episodio dei successivi regimi parafascisti europei.
- GERMANIA: Più importante fu la rivoluzione apertasi in Germania. Mentre la guerra andava
concludendosi, il 28 ottobre cominciò la rivolta dei marinai della flotta di Kiel che chiedevano
l’interruzione immediata delle ostilità, le dimissioni dell’imperatore, il suffragio universale. Il 7
novembre a Monaco fu proclamata la Repubblica della Baviera. Il Reich sembrava sul punto di
disintegrarsi: il cancelliere Max von Baden rassegnò le dimissioni, e salì al governo Friedrich Ebert.
Il 9 novembre fu proclamata la repubblica e due giorni dopo il nuovo governo firmò la resa.
Il quadro politico era caratterizzato dalle forze di sinistra (Socialdemocratici, socialisti indipendenti
e Partito comunista). Si allargava il numero dei consigli nati sul modello dei soviet. La Spd era
moderatamente riformista e intendeva consolidare il ruolo del parlamento. L’Uspd (socialisti
indipendenti) sosteneva forme di collettivizzazione in alcuni settori economici di particolare rilievo.
Il Partito comunista mirava invece a un’egemonia del proletariato rivoluzionario.
Dietro tutti questi, si muovevano forze legate al vecchio ordine e per niente inclini a cedere il passo
alle formazioni socialiste. Si trattava di un gruppo di ufficiali superiori: erano dunque militari, che
rifiutarono la sconfitta e si candidarono alla leadership del paese per combattere il movimento
socialista. Ai consigli socialisti le forze militari opposero i Freikorps, corpi franchi di volontari
armati nati per combattere il comunismo. Si trattava di ex combattenti che nella guerra giocavano
un ruolo di primo piano.
In questo quadro di tensioni nacque la Repubblica di Weimar. I socialisti indipendenti si allearono
con le forze armate, e quindi con i corpi franchi: sorta su queste basi, la Repubblica di Weimar
dimostrava già tutta la sua fragilità. Il governo, indebolito dall’abbandono dei socialisti
indipendenti, divenne oggetto di contestazione. Alle azioni armate dei socialisti indipendenti il
governo rispose con una violentissima repressione affidata alle poche milizie operaie rimaste fedeli
alla Spd e ai corpi franchi.
TRATTATI DI PACE: Il 18 gennaio 1919 con la conferenza della pace di Parigi, i quattro leader
dei paesi vincitori definirono i princìpi generali con cui consolidare gli equilibri europei e coloniali,
e gettarono le basi di un organismo internazionale, la Società delle Nazioni, capace di garantire la
pacifica convivenza tra gli stati. I princìpi stabiliti nella conferenza di Parigi erano i seguenti: una
pace basata sull’uguaglianza delle nazioni, sul loro diritto di autodeterminazione, sulla libertà di
navigazione, una riduzione degli armamenti, rettifiche dei confini.
- NUOVI CONFINI: Tuttavia, la conferenza diede vita a paure che avrebbero alimentato nel tempo
contrasti e spiriti di rivalsa. La Germania, ad esempio, fu territorialmente mutilata: perse le sue
colonie in Africa e nel Pacifico, fu obbligata a restituire Alsazia e Lorena alla Francia, dovette
cedere alla Polonia una parte della Prussia orientale (il corridoio di Danzica). Fu inoltre imposta la
smilitarizzazione di Danzica e la trasformazione di essa in città libera. Riconosciuta responsabile di
guerra, la Germania fu costretta inoltre a forti limitazioni dell’esercito e dell’armamento, e al
pagamento di un indennizzo (circa 2 miliardi di marchi all’anno).
La polverizzazione dell’Impero asburgico diede origine alle repubbliche di Austria e di
Cecoslovacchia e ai regni di Ungheria e Jugoslavia. Contemporaneamente la Romania ottenne
dall’Ungheria la Transilvania, mentre l’Italia strappò all’Austria il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e
Istria. Nacquero anche le repubbliche di Lituania, Estonia, Lettonia e Finlandia. Parte dell’Impero
turco fu spartito tra Francia e Inghilterra: alla Francia andarono il Libano e la Siria, mentre alla
Gran Bretagna l’Iraq e la Palestina. È chiaro quindi che né i trattati di pace, né la Società delle
Nazioni furono in grado di chiudere definitivamente i conflitti. Molte aree erano da costruire da
zero, e dunque presentavano un futuro incerto.
NASCITA DEL FASCISMO: Finita la guerra, l’abbandono della conferenza di pace da parte della
delegazione italiana, incapace di strappare vantaggi territoriali adeguati allo sforzo bellico
sostenuto, era un segnale della delusione dei gruppi nazionalisti e delle difficoltà in cui versava la
classe dirigente. L’antiparlamentarismo, il disprezzo per l’egualitarismo e per il socialismo, la
diffusione di nuovi valori, come il culto della giovinezza e la fede nella superiorità dell’Italia,
testimoniavano il bisogno dell’epoca di rinnovare le istituzioni statali.
Socialista rivoluzionario, anticonformista e antiborghese, tra i maggiori rappresentanti della
corrente massimalista del Psi, direttore dell’Avanti, fondatore de “Il popolo d’Italia”, Benito
Mussolini costituì nel marzo 1919 i Fasci di combattimento. Il fascismo rimaneva però un
fenomeno ristretto e di scarso rilievo politico. Si trattava ancora di un movimento, e non di un
partito, e dunque alle elezioni del 1919 raccolse poco più di 4.000 voti. Un anno dopo, nel 1920, il
fascismo intensificò le azioni squadriste (Fasci di combattimento) antisocialiste e antisindacali,
dando così spazio alle componenti nazionaliste più attive e aggressive.
I fascisti credevano che il disordine politico italiano era il risultato del proletariato. Per questo,
squadre in camicia nera e armate di manganello aggredivano i dirigenti della classe operaia,
facendogli bere forzatamente l’olio di ricino, un potentissimo lassativo, umiliando e
demoralizzando gli avversari politici. L’organizzazione fascista aumentò rapidamente il numero
degli iscritti (oltre 200.000 nel 1921), anche intrecciando relazioni strette con gruppi di
imprenditori, creandosi la nomea di forza di rinnovamento politico e culturale.
- ESPANSIONE: Questa veloce espansione, che poi nel giro di due anni avrebbe portato Mussolini
al governo, è dovuta all’attività di distruzione delle organizzazioni del mondo del lavoro (per mezzo
di gruppi armati); violenze tollerate e appoggiate anche dalle forze dell’ordine, e apprezzate dalle
organizzazioni padronali. Inoltre, un secondo fattore che favoriva la crescita del fascismo era la
capacità di mettere in risalto il disagio dei ceti medi, sfruttando l’elogio della difesa della nazione e
dell’italianità. I fascisti, infatti, difendevano l’intervento italiano in guerra, ma non i trattati di
pace, che portarono ad una vittoria mutilata, senza risultati concreti. Proprio per questo trovavano
un grande consenso nell’insoddisfazione di ex combattenti. Alle elezioni del 1921, 35 deputati
fascisti (contro i 100 del partito popolare) entrarono nel parlamento italiano. Instauratosi anche
all’interno del parlamento, Mussolini doveva solo impegnarsi a trasformare il movimento in un
partito stabile, capace di porsi come riferimento dei ceti medi.
- PARTITO FASCISTA: Dunque, al congresso di Roma del 1921, fu istituito il Partito nazionale
fascista (Pnf), in cui Mussolini ricevette il ruolo di “duce”, mentre la direzione del partito fu affidata
a un segretario generale. Lo squadrismo non fu abbandonato, ma istituzionalizzato: esso divenne
l’essenza stessa del fascismo. Il movimento fascista non aveva un vero e proprio programma
politico, ma raccoglieva una serie di istanze e di linee principali, anche contrastanti tra loro, come la
politica estera di grande potenza, il giovanilismo, il mito della romanità e dell’impero, combattere il
conflitto sociale ecc.
Un fattore importante che giovò moltissimo al fascismo fu la crisi economica e la fragilità degli
ultimi governi liberali: la combinazione di questi elementi aveva prodotto poca credibilità nelle
istituzioni da parte del popolo, e il fascismo sembrava essere l’unico movimento più vicino agli
italiani e ai loro problemi sociali, l’unico possedente un programma ideale credibile, volto a
costruire un ordine nuovo e una nuova civiltà. Si ricorda inoltre che inizialmente il fascismo era
favorevole al suffragio universale maschile e femminile (poi abbandonato a seguito della dittatura).
- MARCIA SU ROMA: I fascisti organizzarono manifestazioni contro il governo (occupazione di
Bolzano e Trento), e nell’ottobre del 1922 realizzarono la “Marcia su Roma”: diverse colonne di
camicie nere (50 mila uomini) si diressero verso Roma per occupare la città (ferrovie, strade,
centrali elettriche e telefoniche) e costringere il Re a nominare Mussolini capo del governo. Il
capo del governo Luigi Facta proclamò lo stato d’assedio affinché i carabinieri e l’esercito
potessero intervenire. Il Re Vittorio Emanuele III, però, vedeva il Fascismo come il male minore:
chiamò Mussolini a dirigere il nuovo governo. Al suo primo governo lo squadrismo fu
istituzionalizzato con la creazione della “Milizia volontaria per la sicurezza nazionale”, che di fatto
agiva in maniera parallela alle altre forze dell’ordine. Nel 1922 fu creato il Gran Consiglio del
fascismo. La legge Acerbo (1923) garantiva i 2/3 dei seggi al partito di maggioranza, e dunque
assicurava a Mussolini parlamenti con minore opposizione e più docili.
- ORGANIZZAZIONI: Oltre alla propaganda, il fascismo acquisiva il consenso per mezzo della
mobilitazione del popolo. Il regime fascista tentava di rispondere a tutti i bisogni organizzativi,
associativi e assistenziali della società: erano state create organizzazioni in base all’età, al sesso e
alla categoria sociale. I bambini più piccoli facevano parte dei “figli della lupa”, i più grandi dei
Balilla (Giambattista Perasso – ribellione di Genova contro l’Austria – simbolo patriottico). Gli
adolescenti, che già ricevevano un’educazione militare, entravano negli “avanguardisti”;
seguivano i “giovani fascisti”, mentre gli studenti universitari facevano parte dei GUF (gruppi
universitari fascisti).
Tutte queste organizzazioni vennero riunite nel 1937 nella GIL (gioventù italiana del littorio). La
società era praticamente controllata dalle organizzazioni statali, i dopolavoro: la ginnastica
collettiva fu imposta nei luoghi di studio e di lavoro. Erano stati creati degli spazi appositi di
dissenso, dove ci si poteva esprimere (con molti limiti e prudenza), dando opinioni critiche e non
allineate con il regime.
- POLITICA INTERNA: il Fascismo, nato come movimento rurale, si interessava soprattutto
delle campagne. Una delle prime mosse fu estendere la piccola proprietà contadina: si pensò
addirittura ad una riforma del latifondo siciliano, ma mancava la volontà il tempo per espropriare i
grandi proprietari. Fu corrisposto un incentivo economico per ogni figlio nato, fornendo attraverso
L’ONMI (l’Opera nazionale maternità e infanzia) assistenza alle donne in gravidanza e ai bambini.
LA CRISI DEL 29: Il crollo della borsa di Wall Street del 1929 segnò l’inizio di un periodo di
profonda crisi, che investì grandi speculatori e milioni di piccoli risparmiatori. Come in ogni grande
crisi economica, i consumi calavano velocemente, di conseguenza la produzione si contraeva e i
disoccupati aumentavano a vista d’occhio (12 milioni nel 1932).
- STATI UNITI: Il presidente degli Stati Uniti (Hoover) ritenne che un intervento statale avrebbe
aggravato ulteriormente la crisi: dunque sollecitò una collaborazione tra imprenditori e
amministratori locali e rifiutò qualunque intervento federale per l’assistenza dei disoccupati. I
provvedimenti adottati però si mostrarono inutili e talvolta dannosi. Tentò inoltre di mantenere alti i
prezzi del grano per mezzo di alti dazi doganali: ma ciò non fece altro che esportare oltre oceano la
crisi economica, danneggiando lo scambio commerciale. Gli anni 1932-33 furono per gli Usa
drammatici. La progressiva diminuzione del consenso nei confronti dell’intera classe dirigente
(macchiata anche dal fallimento di numerose banche) produsse una crescita del conflitto sociale:
proteste, marce della fame, disordini, barricate per le strade, furti, violenze verso i creditori e gli
ufficiali giudiziari.
- GERMANIA: Maggiormente colpita da questo aggravamento fu la Germania, in quanto qui la
crisi si intrecciava con le tensioni procurate dall’instabilità politica. Il 1930 vide l’attribuzione di
poteri speciali al cancelliere, l’opposizione del parlamento alle sue strategie economiche e nuove
elezioni politiche. I nazionalsocialisti di Hitler passarono a quasi 1 milione (1928) a quasi 7 milioni.
I socialisti però si confermarono il primo partito del paese. In Germania si verificò la fuga dei
capitali, che aumentò il numero dei disoccupati. Le elezioni presidenziali del 1932 consentirono ad
Hitler un ulteriore passo avanti verso il potere, e attribuirono al Partito nazionalsocialista tedesco la
posizione di maggior partito del Reichstag. In questo contesto di difficoltà e fragilità politica ed
economica, l’accordo tra Hitler, Papen e Hindenburg, con il sostegno di esponenti del mondo
finanziario e industriale, portò nel 1933 alla formazione del primo governo Hitler: possedeva
l’appoggio del parlamento, e quindi perfettamente legale, per ora.
- GRAN BRETAGNA: Un altro paese colpito dalla crisi, seppur in maniera più lieve rispetto a Usa
e Germania, fu l’Inghilterra. Le elezioni del 1929, eseguite a suffragio universale femminile e
maschile, portarono al governo il Labour Party. Il numero dei senza lavoro, qui, ebbe una brusca
impennata. L’incremento dei lavori pubblici non produsse la sperata diminuzione dei disoccupati.
Così come in Germania, si verificò la fuga di capitali, in previsione di una svalutazione della
sterlina. Il protezionismo guadagnò l’appoggio di buona parte dell’opinione pubblica e di numerosi
finanzieri. Tuttavia, MacDonald (a capo del Labour Party) giocò una carta sbagliata, ossia quella di
ridurre i sussidi di disoccupazione; fu così costretto alle dimissioni.
Il “Governo nazionale” che seguì vide come protagonisti ancora MacDonald, insieme a liberali,
conservatori e laburisti. Il nuovo governo fu costretto a fare le scelte fino a quel punto rinviate. Nel
1931 abolì la convertibilità della Sterlina in oro, dichiarando la fine del Gold standard: si crearono
le premesse per un miglioramento delle attività commerciali e produttive degli anni successivi. Un
anno dopo si fissarono i dazi di ingresso sui prodotti stranieri (tranne quelli provenienti dai
dominions inglesi). Nel 1933 la disoccupazione cominciò a calare. La scelta britannica fu quindi
imitata da altri paesi.
- FRANCIA: Tra il 1928 e il 1931 la Banque de France aveva praticamente raddoppiato le riserve
di oro e la produzione industriale non registro arretramenti. Inizialmente, la crisi borsistica di Wall
Street non creò in Francia particolari apprensioni. A metà del 1931, però, si verificò la svalutazione
della sterlina e l’abbandono del gold standard da parte di quasi tutti i paesi del mondo; l’economia
francese ne risentì, ma in minor modo. L’instabilità politica e il rifiuto di abbandonare il tallone
aureo per motivi di prestigio portarono la Francia ad adottare una politica di contenimento della
spesa statale, basata sulla riduzione dei salari e su una serie di altre misure deflazionistiche.
Naturale fu l’agitazione di operai, disoccupati e lavoratori agricoli: il governo cadde, e crebbero
nuovi movimenti radicali di sinistra e di estrema destra.
- ITALIA: In Italia la crisi cominciò a farsi sentire nel 1931, quando le scelte protezionistiche e
inflazionistiche amplificarono l’isolamento commerciale del paese. Ma non tutti i settori furono
colpiti: a rimetterci furono l’industria automobilistica e la produzione ortofrutticola, mentre
registrarono progressi la produzione elettrica, dell’acciaio e del ferro, e la cerealicoltura. La crisi
aggravò le condizioni già misere del mondo contadino, facendo nascere continui scontri con le forze
dell’ordine. L’Italia dovette ricorrere alla riduzione dei salari, al contenimento dei prezzi, solo in
parte compensati da una politica di opere pubbliche e di aumento degli occupati nelle
amministrazioni statali e locali.
Si può affermare in generale che in Italia la crisi non ebbe effetti devastanti, piuttosto accentuò
ritardi e squilibri che da tempo caratterizzavano l’economia del paese. Si accentuò la statalizzazione
dell’economia italiana, ben rappresentata dalla costituzione dell’Imi (Istituto mobiliare italiano,
1931), che si impegnò nel credito industriale a lungo termine dopo che le grandi banche italiane
furono investite da una grave crisi di liquidità (anch’esse avevano investito in borsa); e dell’Iri
(Istituto per la ricostruzione industriale – 1933), che nacque per eliminare le passività delle banche
miste e per finanziare le imprese industriali in difficoltà. Passarono così all’Iri alcune banche
(Banca commerciale italiana, Credito italiano, Banco di Roma), e conseguentemente numerose
imprese industriali, e cui azioni erano possedute dagli istituti di credito. L’Iri si trovava così a
gestire la produzione nazionale della siderurgia, delle costruzioni aeronautiche e meccaniche, e di
quella cantieristica. L’Italia era il paese europeo con il più alto numero di attività economiche sotto
il controllo dello stato (dopo l’Urss).
POLITICHE CONTRO LA CRISI: La ricetta più nota per uscire dalla crisi, ridurre la
disoccupazione e rilanciare la produzione e i consumi fu quella statunitense: questo periodo della
storia americana è chiamato comunemente “New deal”. Protagonista di questa stagione politica fu
Roosevelt, eletto nel 1932. Egli attribuiva allo stato un ruolo centrale nel rilancio dell’economia e
nel sostegno dei consumi, in modo da aumentare produzione e occupazione. Una prima misura fu
l’Emergency Banking Relief Bill, che sottoponeva tutto il sistema bancario al controllo federale. Il
Congresso fu sommerso da progetti, disegni di legge che sostenevano l’agricoltura, l’industria, i
disoccupati, il trasporto, il sistema bancario.
Un secondo progetto fu il Federal Emergency Relief Act, che disponeva un’assegnazione agli stati
di 500 milioni di dollari per sussidi ai disoccupati. Si trattava più in particolare di retribuzioni per
attività lavorative disposte per i disoccupati. Furono poi finanziate opere di manutenzione delle
strade, di tutela dell’ambiente, di costruzione di parchi, scuole, campi gioco, ecc. Queste iniziative
miravano a rilanciare i consumi, e a ripristinare un contesto di fiducia ed entusiasmo, per far
recuperare ai lavoratori quel senso di dignità che la disoccupazione aveva profondamente minato.
Una delle iniziative più note e apprezzate di questi anni fu la costruzione della Tennessee Valley
Authority nel 1933: in 15 anni venne regolato il corso del fiume Tennessee, costruendo sedici dighe
e creando quindici laghi, per ottenere una migliore navigabilità del fiume, un argine alle
inondazioni, e la produzione di energia elettrica.
- POLITICA MONETARIA: Nel 1933 gli Usa abbandonarono il tallone aureo. Le merci
americane divennero più competitive, ma la chiusura del mercato internazionale smorzò i vantaggi
dell’iniziativa. Si ottennero perciò risultati poco fortunati, e nel 1935 Roosevelt decise di dare un
ulteriore impulso alla sua politica:
- istituì la Works Projects Administration, volta a creare occupazione. Il nuovo ente agì con efficacia
e creatività: in 8 anni trovarono lavoro quasi 9 milioni di persone.
- Ma il più importante dei provvedimenti di questo periodo fu la nuova legge sulle previdenze dei
lavoratori, approvata nel 1935 col nome di Social Security Act: questa legge istituiva per la prima
volta negli Usa un sistema pensionistico nazionale obbligatorio e uno di previdenza a favore dei
disoccupati, gestiti dalle autorità federali e dagli stati.
- Inoltre, col Wagner Act, venne riconosciuto il pieno diritto dei lavoratori ad essere rappresentati
dalle organizzazioni sindacali.
Con il secondo mandato presidenziale, Roosevelt perse credibilità, soprattutto a causa del ritorno di
un forte conflitto sociale, legato al rafforzamento di un’organizzazione sindacale fondata nel 1935:
la Cio (Committee of Industrial Organization), in concorrenza con l’American Federation of Labor.
Questa nuova radicalizzazione del contrasto sociale ebbe il suo momento più drammatico nel 1937,
quando la polizia di Chicago sparò su un gruppo di 500 operai che picchettavano degli impianti
siderurgici. Un secondo motivo del declino di Roosevelt fu la recessione economica cominciata nel
1937.
FASCISMO, NAZISMO, COMUNISMO: Fascismo, nazismo e comunismo condivisero forme di
dominio autoritarie e un uso sistematico della violenza per rafforzare il monopolio della politica.
Tuttavia, non si tratta di un unico fenomeno autoritario. Innanzi tutto, fascismo e nazismo nacquero
nel periodo tra le due guerre, e i regimi a cui diedero origine furono travolti dal secondo conflitto
mondiale; il comunismo, invece, nacque nel dramma della Grande Guerra nel blocco sovietico, e si
sgretolò solo nel 1989. Esso nacque dallo sfacelo dell’impero zarista ed ebbe una vicenda
complessa he ne mutò nel tempo la fisionomia.
Il nazismo fu frutto della volontà di rivalsa e di riscatto di una nazione sconfitta, mutilata e umiliata
dai caratteri vendicativi e vessatori dei trattati di pace. Il fascismo si affermò in una nazione che,
pur vittoriosa, si sentiva altrettanto umiliata dal rifiuto degli altri paesi vincitori di dare
soddisfazione alle sue aspirazioni di espansione territoriale e frustrata nelle sue pretese di maggiore
prestigio internazionale. In ogni caso, tutti e tre i sistemi si fondavano su un leader riconosciuto di
cui si celebrava la figura con un vero e proprio culto della personalità. Il consenso di cui godettero
Hitler e Mussolini, infatti, è dovuto al ricorso del potere carismatico
In Italia, le pretese di controllo materiale e morale avanzate dal regime fascista dovevano convivere
con la presenza di un sovrano e di un altro contendente assai temibile: la chiesa. Va precisato che la
corona, nonostante le limitazioni imposte dal fascismo, conservava ancora ambiti di intervento e
spazi di manovra non del tutto secondari. Il rapporto tra la corona e le forze armate, ad esempio,
rimase assai forte in tutto il ventennio. Il sovrano, era per il popolo un’istituzione che difendeva la
patria, le forze armate, gli interessi dei sudditi. Per quanto riguarda la chiesa, evidenti furono i
tentativi della Santa Sede di contrastare il progetto mussoliniano di creare nuovi italiani attraverso il
fascismo, presentato come una sorta di “nuova religione laica”. Quando si parla di totalitarismo,
quindi, bisogna fare molta attenzione: nel caso del fascismo, come abbiamo appena visto, l’uso
della categoria di totalitarismo è assai precario.
FASCISMO: Il fascismo cominciò a gettare le sue basi attraverso una serie di leggi emanate dal
giurista Alfredo Rocco (a lui si deve il Codice penale italiano). Queste ultime ampliavano i caratteri
autoritari dello Statuto Albertino, realizzando una “rivoluzione legale”. La costruzione del regime
ebbe propriamente inizio nel 1924 attraverso norme apertamente autoritarie. Nel 1928 il più era
stato fatto: grazie alle norme della legge Acerbo (riforma elettorale – sistema proporzionale con
premio di maggioranza), le elezioni del 1924 videro la vittoria assoluta del Pnf.
Sempre nello stesso anno Giacomo Matteotti denunciò in parlamento i brogli, le violenze e le
intimidazioni che avevano favorito la vittoria elettorale del Pnf. Pochi giorni dopo, Matteotti fu
rapito e ucciso da un gruppo di squadristi. I partiti d’opposizione abbandonarono il parlamento,
mentre gli elementi moderati del governo minacciarono di dimettersi: altri aspettarono inutilmente
l’intervento del re. Il ritorno dei comunisti in parlamento, il silenzio della corona, i tentativi della
Santa Sede di invitare i cattolici ad astenersi dalla lotta politica spinsero Mussolini a liberarsi
definitivamente degli oppositori. Nel 1925 Mussolini alla Camera si assunse la responsabilità
politica dell’uccisione di Matteotti: questo fatto vide le dimissioni di personaggi importanti del
governo, e uno scontro interno al Pnf: Farinacci divenne segretario del partito.
- LEGGI FASCISTE: A seguito del rapimento di Matteotti, il Pnf attuò una liquidazione dello stato
liberale.
- Fu promulgata poi una legge per disciplinare l’attività delle associazioni segrete (es. Massoneria).
- Sempre nel 1925 fu inasprita la legge sul diritto di stampa e una nuova norma costituzionale
allargava le prerogative dell’esecutivo, istituendo la figura del “capo” di governo.
- Nel 1926 furono abolite tutte le cariche elettive delle amministrazioni locali; il potere fu affidato al
podestà nominato dal prefetto.
- Ogni forma di dissenso fu bandita, così come i maggiori organi di opposizione (partiti,
organizzazione contrarie al fascismo ecc).
- Fu istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato: in maniera correlata, fu introdotta la
pena di morte per gli attentatori alla vita dei membri della famiglia reale o al capo del governo, e
per i reati contro la sicurezza dello stato.
- CONTROLLO SULLA SOCIETA’: Il regime estese gradualmente il controllo su tutti i settori
della società. Alla scuola il fascismo aveva già provveduto con la riforma del 1923 realizzata dal
filosofo neoidealista Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione. I princìpi di tale legge
erano la natura gerarchica e classista del sistema scolastico, e la preminenza dell’insegnamento
liceale, unica via per l’accesso all’università. La legge fu continuamente aggiornata negli anni
successivi per favorire l’indottrinamento ideologico delle masse: dall’introduzione del libro di testo
unico per le scuole primarie (1928 - Tramite il Testo unico lo Stato poteva esercitare un controllo
diretto sull’insegnamento, infatti esso si rivelava uno dei più validi strumenti di diffusione
dell’ideologia fascista sia tra i bambini che tra le numerose famiglie italiane), all’accentuata
fascistizzazione dei manuali per la scuola secondaria, al controllo esercitato dal partito sui docenti.
Erano state create organizzazioni in base all’età, al sesso e alla categoria sociale. I bambini più
piccoli facevano parte dei “figli della lupa”, i più grandi dell’Opera Nazionale Balilla:
un'istituzione fascista complementare all'istituzione scolastica, finalizzata all'assistenza,
all'educazione fisica e morale della gioventù (il nome Balilla deriva dal giovane Giambattista
Perasso, che nel 1746 diede inizio alla ribellione di Genova contro l’Austria – simbolo patriottico).
Gli adolescenti, che già ricevevano un’educazione militare, entravano negli “avanguardisti”;
seguivano i “giovani fascisti”, mentre gli studenti universitari facevano parte dei GUF (gruppi
universitari fascisti). Soprattutto a questi ultimi fu lasciato il compito di promuovere la concezione
fascista del mondo e della politica, di diffondere l’ideale dell’Italiano nuovo, di epurare l’università
dagli elementi non simpatizzanti il fascismo. Tutte queste organizzazioni vennero riunite nel 1937
nella GIL (gioventù italiana del littorio).
Ma il più importante elemento di controllo sulle masse fu l’Opera Nazionale Dopolavoro: creato nel
1925, questo organismo divenne più tardi il principale strumento di formazione ideologica di massa
e di mobilitazione collettiva del regime. Per quanto riguarda la politica del lavoro, il fascismo si
impegnò nella demolizione sistematica dei sindacati: di fatto, la disciplina sindacale veniva
subordinata al controllo esclusivo del Pnf. Nel 1926 fu abolito lo sciopero e qualunque forma di
agitazione, e fu sancito che solo un sindacato poteva rappresentare sia i lavoratori e sia i datori di
lavoro. Il fascismo, inoltre, per evitare scontri tra gruppi di interesse diversi, creo le Corporazioni,
organismi di coordinamento tra le organizzazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro.
- POLIZIA POLITICA: L’opposizione era stata zittita: molti avversarsi erano stati uccisi, mandati
in esilio, o messi in prigione e al confino. La costituzione dell’Ovra (1929 – secondo alcuni “Opera
Volontaria per la Repressione dell'Antifascismo”, mentre per altri non è un acronimo ma viene
sfruttato perché ha un suono minaccioso, che ricorda la piovra), una sorta di Gestapo italiana,
destinata alla sorveglianza e al controllo degli oppositori politici attraverso una rete di fiduciari e di
collaboratori, testimonia che il fascismo continuava a mantenere repressione contro tutte le forme di
dissenso. La polizia politica era necessaria affinché non vi fossero insurrezioni di gruppi antifascisti
o comunisti (nascevano all’estero movimenti formati da antifascisti italiani, mentre all’interno
dell’Italia i comunisti agivano clandestinamente).
- CONCILIAZIONE CON LA CHIESA: Attraverso la conciliazione con la chiesa, Mussolini
attuò un altro importante capitolo del processo di normalizzazione del paese e sanò la frattura tra la
Santa Sede e il Regno d’Italia causata dall’occupazione di Roma. I Patti lateranensi (1929) non
riuscirono a mettere fine ai dissidi tra chiesa e fascismo per l’evidente concorrenza ideologica, ma
furono obiettivamente un grande successo politico. I patti lateranensi stabilivano il riconoscimento
della confessione cattolica come religione di stato e una riparazione economica dei danni subiti
dalla Santa Sede per l’occupazione di Roma. Venivano inoltre riconosciuti alla chiesa gli effetti
civili del matrimonio religioso, l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine, l’attività dell’azione
cattolica, e la diffusione (in maniera limitata) dei princìpi cattolici.
- LEGGI RAZZIALI: La dittatura conobbe una decisa accelerazione totalitaria nel 1938, quando
fu promulgata la legge per la difesa della razza italiana. Il fascismo aveva il timore (comune a gran
parte dei paesi autoritari) dell’indebolimento della razza indoeuropea e della contaminazione
razziale. L’incremento della popolazione, tema propagandistico particolarmente caro al fascismo, fu
sostenuto da numerose iniziative e misure legislative: tassa sul celibato, sostegno delle famiglie
numerose, assegni familiari, premi di nuzialità, prestiti matrimoniali, creazione dell’Opera
Nazionale Maternità e Infanzia.
Nelle colonie la pratica segregazionista, aveva prodotto un vero e proprio sistema di apartheid: la
conquista dell’Etiopia (1935) si rivelò una guerra di sterminio, sfruttata poi per gli studi volti a
dimostrare l’inferiorità razziale degli africani. L’esercito italiano fece ricorso alle armi chimiche,
alle uccisioni di massa, alla sanguinosa repressione della guerriglia. Mussolini offrì a Vittorio
Emanuele III la corona di imperatore d’Etiopia.
La conseguenza dell’invasione dell’Etiopia fu una sanzione contro l’Italia da parte della Società
delle Nazioni: i paesi aderenti si impegnarono a non esportare in Italia merci di uso bellico. Ciò
spinse l’Italia ad avvicinarsi alla Germania, mentre si aggravarono le relazioni con Francia e Gran
Bretagna (che richiesero la sanzione). Mai come in questo periodo il fascismo raggiunse così alti
livelli di consenso e adesione: infatti, lo scontro con la Società delle Nazioni diede al regime lo
spunto per una massiccia campagna propagandistica, che sfruttava l’ondata di orgoglio nazionalista
suscitata dalle sanzioni.
Il razzismo divenne una componente fondamentale dell’ideologia fascista. Al 1938 risalgono la
pubblicazione del Manifesto degli scienziati razzisti, l’esordio della rivista “La difesa della razza”, e
soprattutto la promulgazione delle norme antisemite: queste ultime prevedevano l’espulsione degli
ebrei stranieri, la privazione della cittadinanza per quelli che l’avevano ottenuta dopo il 1918,
l’esclusione dall’insegnamento nelle scuole statali, dall’esercito, dalle cariche pubbliche, il divieto
del matrimonio misto.
- ECONOMIA: La sostituzione, nel 1925, di De Stefani (liberista) con Giuseppe Volpi, coincise
con la fine delle timide politiche liberiste del periodo precedente.
- Quota Novanta: Per rivalutare la lira nei confronti delle altre monete, fu accentuata la politica
deflazionistica: il tasso di cambio tra lira e sterlina (moneta leader mondiale) fu portato a quota
novanta (90 lire per 1 sterlina). Il mantenimento del tasso di cambio fu sostenuto attraverso la
decurtazione dei salari, che limitò i consumi e ridusse le esportazioni dei prodotti italiani all’estero
(perché i prodotti italiani ora costano di più). L’innalzamento delle tariffe doganali sui cereali diede
origine alla “battaglia del grano”, tema propagandistico che doveva sostenere la politica di
autosufficienza nella produzione delle derrate alimentari, per limitare il disavanzo pubblico.
- Bonifica: A partire dal 1928, fu avviata la bonifica integrale sotto la direzione di Arrigo Serpieri. I
risultati furono inferiori agli esiti attesi e propagandati, ma comunque notevoli: i frutti migliori si
ottennero nell’agro pontino, dove negli anni successivi sarebbero nati poderi per coloni venuti dal
Nord Italia.
NAZISMO: Il nazismo fu un sistema autoritario caratterizzato da un violento anticomunismo, da
una cultura antidemocratica, da una forte ideologia razzista. Il progetto fondamentale del nazismo si
fondava su pretese espansionistiche della nazione tedesca, la germanizzazione delle aree conquistate
e l’allontanamento di slavi ed ebrei agli estremi dell’Europa. Il carattere fortemente nazionalista del
nazismo, da cui l’orgoglio scaturito, dipende dall’opposizione al trattato di Versailles e ai
risarcimenti di guerra (si ricorda la mutilazione della Germania alla fine della Prima guerra
mondiale), e dalla convinzione della superiorità razziale del popolo tedesco: il tutto si congiungeva
nell’intento di restituire alla Germania il suo ruolo di guida mondiale.
- HITLER: Hitler sin dall’inizio rappresentò e ingigantì questi temi. Nato nel 1889 in Austria, visse
prima a Vienna e poi a Monaco. Qui, a 20 anni, dopo aver combattuto nella Grande Guerra, Hitler si
iscrisse al Partito tedesco dei lavoratori, presto rinominato Partito nazionalsocialista tedesco dei
lavoratori. Nel 1921 ne divenne presidente con poteri dittatoriali. L’antisemitismo costituì uno degli
elementi ideologici centrali della visione del mondo di Hitler. Non tutto il territorio nazionale e né
tutta la società tedesca si avvicinarono al nazionalsocialismo nello stesso periodo: ad esempio,
Hitler trovò più consensi nelle aree nord e est della Germania, e solo più tardi nelle aree a
maggioranza cattolica; più velocemente nelle aree rurali e nei centri urbani più piccoli e meno nelle
grandi città. Furono i giovani, inoltre, a schierarsi più rapidamente a fianco della Nsdap (partito
nazionalsocialista). Solo dopo il 1933, in mancanza di opposizione e grazie a un enorme dispiego di
energie e di mezzi propagandistici, Hitler acquisì consenso anche nelle aree geografiche e nei
gruppi sociali più ostili.
Fin dagli anni 20, Hitler fu sostenuto dalle autorità politiche e militari e dalla ricca borghesia di
Monaco: ma solo nel 1933 il mondo degli affari, gli esponenti dell’industria, la grande possidenza
agraria, si decisero ad appoggiarlo. Non a caso, proprio in quell’anno Hitler dissolse la democrazia,
ed esercitò il potere in modo dispotico, senza le mediazioni di organismi rappresentativi. La
violenza fu rivolta contro gli avversari politici, gli operai legati ai partiti di sinistra, ebrei, zingari,
omosessuali, mendicanti: per loro già nel 1933 cominciò a funzionare il campo di concentramento
di Dachau. Il carattere selettivo della violenza nazista spinse la maggior parte della società tedesca
ad adeguarsi rapidamente alle forme del dominio politico hitleriano (la stessa chiesa non protestò
quasi mai).
- DITTATURA: Contrariamente a quanto era accaduto in Italia, al Partito nazionalsocialista
bastarono pochi mesi per liberarsi degli oppositori politici e meno di un anno per instaurare un
regime dittatoriale. Nel 1933, a un mese dalla nomina a cancelliere di Hitler, l’incendio del
Reichstag (presentato dal Nsdap come una rivoluzione comunista) fu il segnale di inizio di una
vasta azione di repressione degli oppositori di sinistra. Nelle città universitarie cominciavano i roghi
dei libri antitedeschi. Nel marzo del 1933 la Germania fu portata fuori dalla Società delle Nazioni.
Da questo momento Hitler cominciò a realizzare il programma già anticipato nel Mein Kampf,
pubblicato tra il 1925 e il 1926.
Oltre alle chiese cristiane, che mantenevano un atteggiamento poco disposto allo scontro, nel 1933
l’unica istituzione a conservare una completa autonomia era la Wehrmacht (l’esercito). Motivo di
scontro tra esercito e nazismo era il ruolo delle formazioni paramilitari: le SA (squadre d’assalto)
erano infatti una forza straordinaria per condurre lo scontro politico, ossia l’esercito privato del
partito. La concorrenza esplicita delle SA nei confronti della Wehrmacht attirò l’antipatia di
Himmler (capo delle SS – squadre di difesa). Nel 1934 però le tensioni tra le formazioni
paramilitari e la Wehrmacht si accentuarono, e Hitler decise di agire: la notte del 30 giugno, nota
come “la notte dei lunghi coltelli”, le SA, accusate di preparare un colpo di stato, vennero
sbaragliate (lo stesso loro capo, Rohm, fu arrestato e poi ucciso). Il risultato fu un accordo tra
l’esercito e il partito nazista, e portò al riconoscimento di Hitler come Fuhrer e capo delle forze
armate. Così, la Wehrmacht fu dichiarata unica forza armata della nazione. Rimanevano però le SS,
altro corpo paramilitare, destinato a crescere.
- ECONOMIA: Un altro elemento che agevolò la costruzione del consenso a favore di Hitler fu la
ripresa economica che coincise con il suo avvento al potere. I due principali obiettivi economici
erano la limitazione dell’alienabilità (e la divisibilità dei fondi rustici), e l’esclusione delle donne da
tutta la pubblica amministrazione (in modo da restituire alla donna la figura di madre): a ciò seguiva
poi la propaganda sulla preservazione dei caratteri originari della stirpe tedesca, a cui si collega il
concetto di razza. L’espansione industriale era però frenata dalla dipendenza dal mercato estero per
le materie prime: l’economia del paese era in questo modo fragile e incerta, ma non fece cambiare
idea ad Hitler, che concentrò la spesa sul riarmo (considerando l’accordo tra Hitler, l’esercito e la
grande industria).
Nel 1936 fu varato un piano quadriennale per elevare la produzione e favorire l’industria bellica. Si
realizzarono interessanti esperimenti di politica fordista, con aumento dei salari, l’attuazione di
elevati ritmi di lavoro. Non a caso un anno dopo ebbe inizio la produzione della Volkswagen
(letteralmente Auto del popolo). La disoccupazione tendeva a scomparire: la popolazione aveva i
tassi di crescita più elevati d’Europa, e come è facile immaginare, il consenso aumentava.
- POLITICA: Nel frattempo, Hitler ottenne una vittoria politica nel 1935 grazie alla conferma del
ritorno della Polonia alla Germania, scelta votata al 90%. Inoltre, Hitler approfittò della confusione
in cui si trovava la Società delle Nazioni a causa dell’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia: nel
1936, dunque, la Germania rioccupò la Renania, violando gli accordi di Locarno del 1925. Concluse
poi con Mussolini l’Asse Roma-Berlino e con il Giappone il patto anti-Comintern (cooperazione
tramite scambio di informazioni, pressione sull'opinione pubblica, e lotta contro gli agenti
comunisti).
La politica Hitleriana non avrebbe potuto consolidarsi senza un’adeguata espansione territoriale
(Lebensraum – spazio vitale), uno dei punti cardinali del progetto nazista. Anche la politica
antiebraica venne attuava con decisione, attraverso la promulgazione delle leggi di Norimberga: si
stabiliva che i 500.000 ebrei tedeschi non appartenevano al sangue germanico, e quindi non erano
cittadini del Reich.
COMUNISMO: Fino alla fine degli anni 30, Stalin era un dittatore debole, che non disponeva di
un apparato capace di imporre con la forza le sue direttive politiche. Solo dopo il 1937 Stalin decise
di appoggiarsi al gruppo radicale (Molotov, Ezov e Kaganovic) e di raggiungere il potere assoluto
attraverso pratiche dispotiche e poliziesche. Vi era però una forte frattura tra due diverse logiche di
organizzazione del sistema sovietico: una era costituita da un modello di amministrazione
burocratica creata dallo Stato. La seconda era costituita da una conduzione dispotica affidata alla
assoluta discrezionalità di Stalin e del gruppo dirigente.
- ECONOMIA: Alla fine degli anni 20, con la crisi degli ammassi dei cereali (prezzi agricoli
troppo bassi rispetto a quelli dei prodotti industriali), ebbe inizio la grande collettivizzazione della
proprietà fondiaria. È questo il momento in cui cominciò a crescere lo stalinismo. Le aziende
collettivizzate aumentarono sempre più velocemente: passarono dal 65% nel 1933 al 90% nel 1937.
I giornali invitavano a combattere lo sciopero del grano attuato dai Kulaki (contadini più ricchi).
- Piano quinquennale: Nel 1928 Stalin abbandonò la Nep (nuova politica economica) con lo
scopo di promuovere una rapida industrializzazione e di rafforzare la posizione militare
dell’Urss: era il “piano quinquennale”. Lo stato assegnava alle unità produttive gli obiettivi da
raggiungere, distribuiva le risorse e stabiliva i prezzi delle merci e i flussi commerciali. Tuttavia,
gli obiettivi erano troppo ambiziosi, e nella maggior parte dei casi il piano non fu rispettato. Ciò
che frenava il piano era la carenza di combustibili, di attrezzature e di forza lavoro. La produzione
industriale comunque raddoppiò, con particolare attenzione sull’industria pesante. Nacquero
settori come l’aviazione, macchine per l’agricoltura, automobili ecc. Fu costruita l’industria
bellica e l’industria meccanica. L’imposizione, nel 1929, del razionamento in molte città aumentò
l’ostilità della popolazione urbana verso i contadini. Ecco perché il gruppo dirigente staliniano
decise per una collettivizzazione totale, un sistema basato su grandi unità produttive sotto il
controllo dello stato (invece di tante aziende contadine): ciò fu attuato non senza violenza.
- Collettivizzazione: La collettivizzazione a ritmi forzati infatti fu una vera e propria guerra contro i
contadini: essi furono cacciati dalle loro abitazioni e costretti a lavorare nei Kolchozy, con
retribuzioni in natura da fame. I più agiati erano condannati alla deportazione e trasportati in
condizioni disumane. In tal modo, il numero dei lager e l’attività del Gulag (direzione centrale
statale dei campi di lavoro dell’Urss) crebbero a dismisura. Tra il 1928 e il 1940 esistevano almeno
162 lager e un numero di internati fino a 20 milioni. Ne risultò una guerra civile, in cui fu sfruttata
la legge sulla difesa della proprietà socialista, che imponeva pene severissime per quelli che
rubavano grano e altri prodotti alimentari. Nel giro di pochi mesi furono condannate 103.000
persone (alcune fucilate). Ma non fu solo la violenza a creare vittime: la grande carestia del 1932
fece nelle campagne 7 milioni di vittime. I passaporti interni, introdotti lo stesso anno per limitare
l’afflusso dei contadini nelle città, impedì a questi ultimi di sfuggire alla fame e di sottrarsi alla
morte andando altrove.
- POLITICA: Gli anni che vanno dal 1934 al 1939 furono quelli più drammatici per l’Urss. Nel
1934, infatti, fu ucciso il dirigente bolscevico Kirov; tale assassinio offrì a Stalin il pretesto per
intensificare la persecuzione dei suoi rivali. Fu il periodo delle grandi purghe, che decapitarono
il Partito bolscevico ed eliminarono qualsiasi forma di dialettica politica al suo interno. Dopo
aver sterminato i suoi oppositori, Stalin si rivolse contro la “destra” del partito; l’esponente più
importante era Bucharin, il quale intendeva ripristinare l’iniziativa privata. Egli venne accusato
di essere un traditore e di voler ricostituire il capitalismo: venne fucilato nel 1938. Furono
eliminati tutti i dirigenti e i funzionari statali che avevano fatto la rivoluzione. La Russia era
ormai di Stalin.
ALLEANZA TRA I PARTITI COMUNISTI: A causa dell’ascesa al potere di Hitler, col
nazismo, vennero firmati patti di collaborazione fra i partiti socialisti e comunisti francesi,
italiani e spagnoli. Alcuni fra i massimi dirigenti dell’Internazionale comunista (tra cui Togliatti),
decisero di creare Fronti Popolari in ogni Paese (alleanze in funzione antifascista fra comunisti,
socialisti e democratici radicali): essi dovevano difendere la democrazia.
AVVICINAMENTO TRA URSS E GERMANIA: Tuttavia, ci sarà il patto di Molotov tra
Russia e Germania: i due paesi, entrambi sconfitti dalla guerra, trovavano un punto di incontro
nella loro ostilità. L’Urss rinunciava a sostenere la rivoluzione in Germania e rinunciava ad
occupare la Polonia. La Germania, però, non doveva occupare la Russia, e poteva ricostruire la
Wehrmacht sul suolo sovietico, offrendo aiuti economici e tecnologie alla Russia.
SECONDA GUERRA MONDIALE:
- I FRONTI POPOLARI: Un elemento che favorì la nascita del secondo conflitto mondiale fu
sicuramente la circospezione dei sistemi autoritari rispetto ai fronti popolari (unioni internazionali
dei partiti di sinistra) che crescevano velocemente in Europa. Uno dei primi obiettivi della Nsdap
(partito nazionalsocialista) fu l’annientamento del Partito socialdemocratico e di quello comunista,
le organizzazioni politiche più forti d’Europa. L’Urss entrava a far parte della Società delle Nazioni,
e nel frattempo stringeva l’accordo bilaterale di cooperazione con la Francia.
La Terza Internazionale (detta l’Internazionale - Comintern), ovvero l’organizzazione nazionale dei
partiti comunisti, rimarcò il carattere aggressivo del fascismo e la necessità di batterlo per ottenere
la pace. Di qui la spinta a realizzare delle alleanze più vaste: per questo si formò il Fronte popolare,
che raccoglieva tutte le forze liberali e democratiche di opposizione ai regimi autoritari. Tale
sistema portò alla vittoria in Francia e Spagna delle alleanze politiche di sinistra alle elezioni del
1936.
- LA GUERRA DI SPAGNA: Tra il 1936 e il 1939 la Spagna tremò a causa di una guerra civile
interna causata dalle tensioni irrisolte presenti nella società spagnola. Tuttavia, qualcosa stavolta
sembrava apparire diversamente: l’opinione pubblica si mostrava attiva e partecipe circa il fatto, e
arrivavano aiuti da forze straniere. La guerra civile consentì alle forze più conservatrici del paese di
rinsaldare il loro controllo politico.
Nel 1931, dopo la dittatura di De Rivera, nasceva la Seconda repubblica, di cui Zamora ne diveniva
il presidente (con con Azaña al governo). Il nuovo governo, composto da repubblicani e socialisti,
aveva in programma una profonda modernizzazione sul modello dei maggiori paesi europei: fu
presto stesa una costituzione di natura laica e democratica, contemporaneamente liberale e
riformista. Un ostacolo era però l’opposizione delle forze armate al governo, così come
l’opposizione degli anarchici e del loro potente sindacato. Il governo cedette e nel 1933 si svolsero
nuove elezioni, in cui furono favorite le forze conservatrici: queste ultime si impegnarono in
un’opera di smantellamento della legislazione repubblicana. La politica si fece sempre più
autoritaria e reazionaria.
- FRANCISCO FRANCO: In seguito nasce la “Falange”, una formazione radicale di destra per
iniziativa del figlio dell’ex dittatore De Rivera: una formazione destinata a grande fortuna
successivamente. Le agitazioni dovute alla politica autoritaria sfociarono in vere e proprie
repressioni, con circa 30 mila imprigionati, centinaia uccisi (noto è il caso delle Asturie). Si ritornò
ad una concezione centralista dello stato, generando inevitabilmente due fronti contrapposti: il
Fronte popolare spagnolo (sostenuto dalla Terza Internazionale), e le Forze conservatrici (sostenute
dai militari e da grandi proprietari). Nel 1936 il Fronte popolare vinse le elezioni, anche se le Forze
conservatrici cercarono di respingere l’esito e ribellarsi al governo repubblicano.
I militari erano guidati da Francisco Franco, ritornato in patria alla testa delle truppe di stanza in
Marocco, e subito nominato capo dello stato, con il titolo di Generalissimo. L’arrivo delle truppe dal
Marocco fu possibile grazie ad un ponte aereo organizzato dall’aviazione tedesca e italiana.
Germania e Italia sostennero i militari fornendo aerei, mezzi, uomini addestrati. L’Urss d’altro canto
si schierò dalla parte dei repubblicani, assicurando anche ad essi armi e munizioni. Il conflitto
assumeva la forma di una lotta tra fascismo e forze comuniste. Francia e Gran Bretagna rimasero a
guardare, desiderose della pace.
Il Nord-ovest della spagna si schierò con Franco, mentre tutta la parte orientale del Paese fino a
Madrid favoriva la Repubblica. La maggior parte degli ufficiali esperti si era schierata con Franco.
Il fronte repubblicano, essendo meno organizzato rispetto alle forze franchiste, non riuscì a
competere con i nazionalisti. Inoltre, Franco sfruttò le lesioni interne al fronte repubblicano, in cui
vi era uno scontro aperto tra anarchici/comunisti antistalinisti, contro socialisti/comunisti. Fu una
guerra civile dentro una guerra civile. L’aviazione tedesca rase al suolo la cittadina di Guernica (il
primo bombardamento a tappeto). Il Nord della Spagna venne perduto dalla Repubblica. I
Franchisti nel 1938 spinsero il fronte fino in Catalogna, occupando poi Madrid e Barcellona nel
1939: Franco dichiarò conclusa la guerra. Nacque così un regime autoritario a partito unico: la
Falange española tradizionalista. Il risultato fu due milioni di arresti e 200mila esecuzioni. Non si
limitava però ad una vittoria dei nazionalisti: la sconfitta delle forze repubblicane, infatti, fu accolta
con sollievo da molti paesi, anche democratici, in quanto erano più timorosi dell’allargamento
bolscevismo che dei regimi autoritari.
- CINA, GIAPPONE e USA: La riunificazione della Cina, dopo la repressione anticomunista, e
l’appoggio statunitense di cui questi godeva, cambiarono duramente i rapporti di forza nell’area del
Pacifico. Il Giappone, timoroso di una possibile modernizzazione della Cina, sotto la tutela
americana, aveva ripreso le ideologie panasiatiche aggressive. Il governo autoritario infatti mirava a
fare del Giappone una grande potenza. L’invasione e l’occupazione della Manciuria nel 1931, come
si vedrà, spingeranno il Giappone verso l’abbandono della Società delle Nazioni, insieme al patto
anti-Comintern con Germania e Italia (1937), con cui di fatto si definiva la posizione nipponica nel
sistema delle alleanze internazionali.
GERMANIA: Più volte Hitler, dopo aver indebolito e poi abolito del tutto il governo collegiale,
aveva richiamato l’attenzione sulla necessità di estendere lo spazio vitale della Germania
(Lebensraum). Tale spazio era uno strumento per definire obiettivi sempre novi, capaci di
giustificare una condizione collettiva di mobilitazione permanente, unico antidoto contro la perdita
del consenso. Nel 1937, sentendosi ormai pronto, Hitler presentò i suoi piani di politica estera:
l’Austria e la Cecoslovacchia furono indicate come le prime prede. Era convinto che la Gran
Bretagna, preoccupata delle lotte indipendentiste in India, avrebbe evitato di infilarsi in un altro
conflitto; riteneva poi che la Francia da sola non sarebbe intervenuta.
- FRONTE ORIENTALE:
1) Quindi nel 1938 Hitler preparò l’Anschluss con l’Austria (annessione), con una miscela di
minacce militari e pressioni politiche. Il cancelliere austriaco era stanco delle interferenze tedesche
e della indifferenza degli altri paesi europei: così, l’esercito tedesco entrò indisturbato in Austria, e
il paese prese il nome di Ostmark (marca orientale).
2) Hitler passava alla seconda parte dei suoi programmi: la conquista della Cecoslovacchia. Decise
di annettere la regione abitata dai Sudeti (una zona al confine con la Germania), in cui risiedeva una
minoranza tedescofona. La conferenza di Monaco del 1938, nata per dare una soluzione politica alle
rivendicazioni tedesche, vide la partecipazione dei capi di stato di Gran Bretagna, Germania,
Francia e Italia: la Cecoslovacchia non fu invitata. La conferenza assecondò le mire tedesche, in
quanto, come già affermato, Francia e Gran Bretagna non intendevano rinunciare alla pace, anche a
costo di larghe concessioni. In pratica, veniva riconosciuto il diritto della Germania ad aggredire la
Cecoslovacchia. La Slovacchia, con un trattato di amicizia, proclamò la sua indipendenza e si legò
alla Germania. Nel frattempo l’esercito polacco apriva ai tedeschi la strada per la completa
invasione del paese (1939).
3) Dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, Hitler mostrò l’intenzione di attaccare la Polonia,
rivendicando la restituzione di Danzica (città di lingua tedesca) e del corridoio polacco: Francia e
Gran Bretagna si dichiararono garanti dell’integrità territoriale della Polonia, e quest’ultima si
oppose alle richieste tedesche. Ma la situazione precipitò con il Patto d’acciaio (tra Germania e
Italia - 1939) e il Patto di non aggressione con l’Urss (patto di Ribbentrop-Molotov): la Polonia fu
praticamente cancellata a causa dell’occupazione dell’esercito tedesco e di quello sovietico. La
guerra lampo condotta dall’esercito tedesco in due settimane ebbe la meglio sull’antiquato esercito
polacco. Successivamente, la Germania attraversò la Danimarca e si impossessò della Norvegia
(area strategica per l’accerchiamento dell’Inghilterra), con una velocità impressionante grazie alle
Divisioni corazzate e all’aviazione. Eppure, Francia e Gran Bretagna rimanevano ancora in attesa.
(Nel frattempo l’Urss invadeva Finlandia, Lituania, Lettonia, Estonia).
4) Anche nell’Africa settentrionale i tedeschi ottenevano successi. Il generale Rommel, alla testa
dell’Afrika Korps, costrinse gli inglesi ad arretrare fino ad El Alamein, mentre le forze tedesche
entravano in Egitto. Ma dalla fine del 1942, dopo l’invasione di Algeria e Marocco, l’esercito angloamericano annientò le forze dell’Asse in Tunisia e contemporaneamente liberò il Mediterraneo,
assicurandosi il controllo del canale di Suez, e distruggendo così i sogni imperiali dell’Italia.
- FRONTE OCCIDENTALE:
1) Il 10 maggio 1940 la Germania cominciò l’offensiva sul fronte occidentale. Le truppe
attraversarono Olanda, Lussemburgo, Belgio, nonostante la loro neutralità, e aggirarono le
fortificazioni: un mese dopo i tedeschi erano già a Parigi, e infatti il 22 giugno i francesi firmarono
la resa. La Francia venne divisa in due: la parte maggiore, compresa Parigi, fu occupata (governo
Vichy, collaborazionista e sotto la tutela tedesca); quella centromeridionale rimase sotto il controllo
francese.
2) A questo punto Hitler non avrebbe disdegnato un accordo con la Gran Bretagna, ma ciò che
glielo impediva era Churchill: conservatore, imperialista, violentemente anticomunista, egli era
determinato a condurre la guerra alla Germania fino alla vittoria. Non esitò ad accordarsi con l’Urss
per sconfiggere il nazismo. Così, Hitler preparava l’invasione della Gran Bretagna (operazione
“Leone marino”), ricorrendo principalmente a bombardamenti aerei contro le città, l’esercito e i
civili. Malgrado ciò, grazie ad aerei tecnologicamente più avanzati e all’aiuto dei radar, la Royal Air
Force inglese ottenne successi sulla Luftwaffe tedesca.
ITALIA:
1) Fronte occidentale: Nel frattempo l’Italia, che si era dichiarata non belligerante (per nascondere
l’impreparazione allo sforzo bellico), si affrettò a dichiarare guerra a Francia e Gran Bretagna (10
giugno) in particolar modo per tentare di strappare ai due paesi le chiavi del mediterraneo
(Gibilterra, Suez). Mussolini era infatti convinto che la guerra fosse ormai quasi vinta. Ma il
tentativo di avanzata delle truppe alle frontiere alpine fu arrestato dai francesi, e questi ultimi si
portarono sul territorio italiano.
2) Fronte orientale: All’Italia non rimase che la ricerca di tardive avventure coloniali, o un
allargamento delle posizioni nei Balcani. Il nuovo Impero italiano in Africa era isolato e
impossibilitato a ricevere aiuti e risorse: esso venne rapidamente perduto. Le truppe italiane,
comandate male e armate miseramente, vennero sconfitte dagli inglesi. Solo il generale tedesco
Rommel impedì che l’Italia perdesse completamente la Libia. In generale, sia in Africa che in
Grecia le iniziative militari furono disastrose, in quanto in entrambi i casi furono i tedeschi a
chiudere le falle aperte dall’intervento Italiano. La conquista della Jugoslavia si era rivelata
necessaria per raggiungere la Grecia e trarre dalle difficoltà i soldati italiani. Nel 1941 la guerra
parallela dell’Italia era già finita, mentre la Germania controllava praticamente l’intera Europa.
GERMANIA vs. URSS: Nel 1941 Hitler diede il via all’invasione dell’Urss, nota anche come
“operazione Barbarossa”. Questa decisione repentina fu dovuta alle difficoltà incontrate
nell’invasione della Gran Bretagna e alla necessità di trovare un nuovo obiettivo per le forze
militari. Vi erano poi le preoccupazioni tedesche per l’espansione sovietica in alcune aree
strategiche per lo sforzo bellico: il Baltico e i Balcani. Hitler riteneva che l’invasione dell’Urss
avrebbe favorito, per il comune antibolscevismo, un accordo con la Gran Bretagna.
1) L’esercito tedesco contava 3 milioni di soldati, ed era impegnato su un fronte di oltre 3 mila
chilometri: 10 mila erano i carri armati e 3 mila gli aerei. In pochi mesi le armate tedesche avevano
occupato la Russia bianca, l’Ucraina, la Crimea, e assediato Leningrado: i tedeschi erano a soli 40
chilometri da Mosca. Il motivo per cui avevano occupato Leningrado era strategico; era una zona
importante per l’estrazione di carbone e di sostanze ferrose.
2) Ma l’Urss resisteva: lo slogan, voluto da Stalin, della guerra patriottica, fu un elemento
propagandistico di estrema efficacia. La controffensiva lanciata dall’Armata rossa nell’inverno del
1941 allontanò i tedeschi da Mosca e chiuse la guerra lampo: l’inverno russo e gli enormi spazi
furono essenziali per fermare i tedeschi. I mezzi motorizzati si impantanarono prima nel fango e
poi nella neve. I sovietici, inoltre, distruggevano quelle poche strade che vi erano, rendendo quasi
impossibili le comunicazioni e i rifornimenti. I russi trasferirono gli impianti industriali negli Urali
e in Siberia (dove i tedeschi non potevano arrivare), dove ripresero la produzione bellica per
continuare la guerra.
3) Nell’inverno del 1943 le forze dell’Asse subirono una drammatica sconfitta nella battaglia di
Stalingrado. Di circa 250 mila soldati tedeschi, ne sopravvissero meno di 100 mila. Anche l’Urss in
quella sola battaglia perse un numero di uomini superiore ai caduti americani di tutto il conflitto.
Ma da questo momento l’Armata rossa poteva contare nel sostegno degli Stati Uniti, che fornirono
materiale bellico alla Russia (con la legge sugli “affitti e prestiti”, con cui gli armamenti venivano
pagati solo a fine guerra).
STATI UNITI: Gli Usa attenuarono la loro neutralità. Nel 1941 fu promulgata la suddetta legge
sugli “affitti e prestiti” con cui gli Stati Uniti vendevano armamenti alla Gran Bretagna con
pagamento solo alla fine ella guerra, garantito dalle riserve auree:
1) Ma in quello stesso anno, senza preavviso, l’aviazione giapponese sferrò un attacco alla base
navale americana di Pearl Harbor (Hawaii), i cui danni furono alti: si contavano 4 mila morti, 230
aerei distrutti. Gran Bretagna e Stati Uniti dichiararono guerra al Giappone. Mentre Germania, Italia
e paesi alleati dell’Asse dichiararono guerra agli Usa. I giapponesi, approfittando
dell’impreparazione e dell’indebolimento della flotta americana, invasero le Filippine, Hong Kong,
Malesia e Singapore. Nel 1942 il Giappone controllava l’importante via di traffico marittima dal
Pacifico all’Oceano Indiano.
2) Nell’estate del 1943 le truppe anglo-americane sbarcarono in Sicilia (si ricorda che avevano
ripreso il possesso del Mediterraneo sbaragliando le truppe italiane e tedesche).
CROLLO DEL FASCISMO e RSI: Il fascismo si andava sgretolando, e il 25 luglio del 1943
Mussolini fu prima esautorato dal voto del Gran Consiglio (su richiesta di Dino Grandi – politico
fascista -, accettata anche dal Re), e poi arrestato, mentre il generale Badoglio formò un nuovo
governo che smantellava tutte le istituzioni di quella sorta di stato parallelo costruito dal fascismo.
Furono sciolti il Pnf, il Tribunale speciale, il Gran Consiglio, la Camera dei fasci e delle
corporazioni. Badoglio nel frattempo aveva avviato trattative segrete con gli angloamericani, e per
non insospettire i tedeschi continuava a dichiarare “La guerra continua”. Solo l’8 settembre
Badoglio informò il Paese di aver firmato l’armistizio quattro giorni prima: quella stessa notte il re,
il capo del governo e alcuni ufficiali lasciarono Roma per Pescara, rifugiandosi a Brindisi, già
liberata dagli Alleati.
- RSI: Il 12 settembre Mussolini fu scarcerato da un gruppo di paracadutisti tedeschi (era detenuto
sul Gran Sasso) e poi condotto in Germania. Da qui annunciò la ricostituzione del Pnf (ora Pfr –
partito fascista repubblicano) e la nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI) nel territorio
occupato dai tedeschi. Tornato dunque in Italia, Mussolini stabilì il nuovo governo a Salò, sul lago
di Garda (Repubblica di Salò, per l’appunto). A Roma, in risposta a un’azione dei Gruppi di azione
patriottica (che uccisero 33 militari tedeschi), furono consegnati dai fascisti alle SS e fucilati alle
Fosse Ardeatine 335 civili, ebrei, antifascisti e cittadini (24 marzo 1944).
Il Pfr divenne una sorte di centro coordinatore delle milizie civili che si agitavano nel nuovo stato e
si costituivano rapidamente in partito armato. Lo scopo era l’offensiva contro le formazioni
partigiane: in questo contesto, si consolidavano una serie di eserciti e polizie parallele,
generalmente definite “bande”, in quanto non erano una forza in grado di contrastare l’esercito degli
Alleati, ma erano utili nel sostegno all’esercito tedesco e nel rastrellamento di partigiani ed ebrei.
Tra il 1943 e la fine della guerra, dai territori della RSI furono deportati più di 7 mila ebrei: nella
Risiera di S. Sabba (Trieste), in territorio controllato dai tedeschi, fu creato l’unico campo di
sterminio italiano, in cui furono eliminati centinaia di ebrei, partigiani italiani e jugoslavi.
VERSO LA FINE: Non era solo il fascismo ad essere crollato. Anche Hitler ormai mostrava segni
di cedimento contro le forze anglo-americane (e l’Armata rossa). Per tutto il 1943 gli angloamericani, infatti, avevano bombardato con continuità la Germania per fiaccarne la capacità
produttiva: solo inizialmente si puntò alle fabbriche e alle infrastrutture strategiche. Tremendo fu il
bombardamento di Dresda che procurò la morte a circa 200 mila civili e la quasi completa
distruzione del centro storico della città:
1) Nel 1944, infatti, le truppe alleate sbarcarono sulla costa della Normandia. Contemporaneamente
arrivarono a Parigi, pur con una lotta sanguinosa.
2) Nel 1945 gli alleati attraversarono il Reno, e contemporaneamente i sovietici liberarono e
occuparono in successione Ucraina, Russia bianca, stati baltici, Polonia orientale, Prussia orientale.
Berlino, il cuore del Terzo Reich, quasi completamente distrutta dopo l’ultima disperata resistenza,
fu occupata da truppe alleate e sovietiche. Hitler era già morto suicida nel bunker della cancelleria
della capitale (30 aprile 1945).
3) Rimaneva ancora da chiudere la guerra con un Giappone stremato ma non ancora battuto.
Roosevelt era morto da pochi mesi, e a lui succedette Harry Truman. Il Giappone firmò una resa
formale il 2 settembre del 1945, ma dopo un ultimatum, Truman decise di ricorrere alla bomba
atomica (già pronta e sperimentata): il 6 e il 9 agosto due ordigni nucleari colpirono Hiroshima e
Nagasaki. La distruzione delle città fu totale, con 160 mila morti (tra le due città), e moltissime
furono le persone morte in seguito per le radiazioni.
LA CONFERENZA DI YALTA e GLI ACCORDI DI BRETTON WOODS: La Conferenza di
Yalta (febbraio 1945) serviva a definire i nuovi equilibri post-guerra. Churchill, Roosevelt (sarebbe
morto due mesi dopo) e Stalin presero semplicemente atto di una situazione di fatto: la guerra non
era ancora formalmente conclusa, e bisognava riconoscere gli interessi degli altri. Furono dunque
affrontati alcuni problemi come l’assetto della Germania, il diritto di veto al Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite, le riparazioni di guerra. Non si discusse però della vera e propria spartizione
che era in atto in Europa. L’Armata rossa, infatti, occupava Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria,
Cecoslovacchia; e, insieme agli alleati, Germania e Austria.
Gli accordi di Bretton Woods, stipulati nel luglio 1944 tra i 44 paesi impegnati nella guerra contro
le forze dell’Asse, miravano a ripristinare le condizioni di convertibilità delle monete e a creare un
sistema di compensazione multilaterale delle bilance dei pagamenti per il dopoguerra. Erano misure
atte a favorire il commercio internazionale e una veloce ripresa dell’economia. Furono così
progettati il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e la Banca internazionale per la ricostruzione e
lo sviluppo: il sistema fu basato sul dollaro, mentre l’Urss e i suoi alleati decisero di non aderire.
- RISULTATI DELLA GUERRA: I costi della seconda guerra mondiale apparivano drammatici e
incomparabili con quelli della carneficina del primo conflitto mondiale:
- I morti si aggiravano intorno ai 55 milioni.
- Il numero dei civili uccisi dea bombardamenti, dalle persecuzioni razziali e dalla fame fu
altissimo.
- Il paese che aveva pagato il tributo di sangue più elevato era l’Urss: 20 milioni di morti, di cui la
maggior parte sterminati nei campi di prigionia.
- La persecuzione antiebraica aggiunse alla lista almeno 5 milioni di vittime a cui vanno sommate le
uccisioni di zingari e serbi.
- Straordinario fu il numero di cinesi massacrati dai giapponesi nella loro guerra parallela: circa 20
milioni.
- Germania e Polonia avevano subito intorno ai 5 milioni di morti, in gran parte civili.
- L’OLOCAUSTO: L’olocausto consiste nell’impegno assoluto di sopprimere l’intero popolo
ebraico, con qualsiasi mezzo. Non si può certamente cercare di giustificare le azioni brutali del
nazionalsocialismo contro il popolo ebraico, ma è possibile comunque affermare i motivi che
spinsero Hitler a concentrare gran parte della sua politica nell’antisemitismo: già nelle pagine del
Mein Kampf Hitler identificava negli ebrei i nemici peggiori di tutte le nazioni e della Germania in
particolare, in quanto essi indebolivano e corrompevano la razza con la diffusione di idee come la
democrazia o il parlamento o, peggio, il socialismo. Lo stesso bolscevismo era per Hitler
un’invenzione ebraica. Agli ebrei egli attribuiva la paternità dei valori negativi della società
contemporanea: l’internazionalismo, la democrazia, il pacifismo. Bisogna infatti tener conto del
fatto che il popolo ebraico non ha nazione, e tal principio va contro le fondamenta naziste, i quali
vedevano negli ebrei una minaccia per l’unità tedesca, unità di razza, di popolo e di nazione.
Già nel 1933 gli ebrei erano oggetto di intimidazioni e violenze su tutto il territorio nazionale da
parte delle camicie brune e degli attivisti della Nsdap. I loro negozi venivano boicottati, così come
le loro altre forme di attività economiche. Il primo intervento legislativo apertamente
discriminatorio nei confronti della popolazione ebraica fu quello del 1935: le “Leggi di
Norimberga” impiegavano una base pseudo-scientifica per la discriminazione razziale nei confronti
della comunità ebraica tedesca (con 4 nonni tedeschi = eri tedesco, mentre con 4 nonni ebrei = eri
ebreo). Il divieto per gli avvocati e i medici di esercitare la professione, l’obbligo per gli ebrei di
aggiungere al loro nome il prenome Israel o Sara, si accompagnarono al trasferimento forzato in
Polonia di 28 mila ebrei di origine polacca.
Famosa è la notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938, detta “Notte dei cristalli”: 91 ebrei uccisi, 191
sinagoghe incendiate, migliaia di negozi distrutti, 30 mila ebrei maschi arrestati e inviati nei campi
di concentramento. 120 mila ebrei emigrarono tra il 1938 e il 1939. Quelli che non riuscirono a
scappare furono deportati nei campi di concentramento, in particolare dagli anni 40 fino alla fine
della guerra. Venivano deportati in Polonia ebrei tedeschi e ebrei provenienti da altri territori
occupati. La Polonia era diventato luogo di morte e di terrore senza fine: non vi erano più leggi o
norme, bensì a regnare era l’assoluto arbitrio. Ad agire non erano solo le SS e la Wehrmacht, ma
anche i Pogrom (sommosse popolari antisemite) spinti dalla propaganda e il Gauleiter (suddivisione
amministrativa dello stato), che prendeva decisioni a riguardo con assoluta libertà.
- L’ORGANIZZAZIONE: Nell’ottobre del 1941 si ebbe la svolta definitiva per l’eliminazione
degli ebrei. Nel convegno di Wannsee (un anno dopo), con la presenza di importanti ministri, tra cui
Adolf Eichmann (funzionario della “RSHA" - "ufficio centrale per la sicurezza del Reich”), uomo
chiave dell’organizzazione dello sterminio, si riassunsero le opinioni e le indicazioni di Hitler: gli
ebrei dovevano essere sterminati tutti, ovunque e in ogni modo. Lo sterminio doveva concludersi
prima della fine della guerra, poiché in tempo di pace sarebbe stato tutto più difficile. Nel 1941 le
SS bloccarono tutte le frontiere: da questo momento gli ebrei non potevano più emigrare.
Il più famoso campo di concentramento è Auschwitz (in Polonia), tristemente noto per la sua
straordinaria produttività: almeno un milione di vittime tra il 1942 e il 1944. Auschwitz funzionò
per tutto il periodo bellico come centro schiavistico per lo sfruttamento dei prigionieri. Fu lo stesso
Himmler a volerlo utilizzare anche come campo di sterminio, per la prossimità alla ferrovia e per le
dimensioni sufficientemente estese. Come negli altri campi di sterminio, ad Auschwitz i prigionieri
venivano selezionati al momento dell’arrivo sulla banchina ferroviaria stessa. Quelli in grado di
lavorare (pochissimi, dopo il viaggio stremante) venivano destinati al campo di concentramento,
dove lavoravano fino a quando non morivano di fatica e di fame (alcuni venivano invece gassati).
Gli altri venivano immediatamente spediti nelle camere a gas. Vi erano poi i forni crematori che
servivano a liberarsi dei cadaveri.
RESISTENZE e GUERRE CIVILI:
- IN EUROPA: La natura politica della resistenza in Europa dipese in particolar modo da sentimenti
condivisi di lealtà istituzionale e di patriottismo. Fu questo il caso di Olanda, Belgio, Norvegia e
Danimarca, che lottarono per liberare i loro territori dagli eserciti di occupazione e ripristinare le
istituzioni rappresentative. Gli eserciti della resistenza erano strettamente legati a quelli degli
Alleati: i partigiani dovevano limitare le loro azioni al sabotaggio, alla intelligence e alle attività
dimostrative capaci di dar prova dell’esistenza di un’opposizione ampia e radicata. Le forze alleate
temevano l’instabilità o la deriva comunista soprattutto in Italia e Grecia. Le potenze alleate infatti
intervennero apertamente a favore delle forze che ritenevano più affidabili e politicamente vicine.
- JUGOSLAVIA: Il caso del movimento resistenziale jugoslavo è certo tra i più noti per la sua
ampiezza e perché fu l’unico, in tutta l’Europa orientale, capace di liberare il paese senza l’aiuto
dell’Armata rossa. Le forze della resistenza avevano due capi: Tito e Mihajlovic. Prevalse Tito, che
vedeva nella resistenza una lotta di liberazione per la creazione di un paese ove convivessero tutte le
nazioni. Nacque per sua iniziativa il “Fronte di liberazione nazionale” con centinaia di migliaia di
partigiani di tutte le etnie.
- FOIBE: La brutalità degli ultimi due anni di guerra, la natura fortemente ideologica della
resistenza, la facile equazione fra fascismo e italiani, insieme a rancori personali, portarono a una
selvaggia persecuzione degli italiani in Istria, nella città di Fiume, nelle province di Trieste e
Gorizia, da parte dei partigiani croati e sloveni e dei comunisti italiani filo jugoslavi. Le “Foibe”,
come viene di solito indicato questo eccidio, dal nome delle cavità naturali in cui venivano gettati i
corpi degli italiani uccisi, si concentrarono tra il 1943 e il 1945 e causarono alcune migliaia di
vittime.
- GRECIA: Restaurata la monarchia nel 1946, il Partito comunista riaprì le ostilità e instaurò la
repubblica nella zona settentrionale del paese. La guerriglia che le forze comuniste opposero
all’alleanza delle truppe governative e delle forze conservatrici, con l’aiuto di ufficiali angloamericani, fu alla fine debellata. La guerra civile scoppiata in Grecia tra il 1947 e il 1949 lasciò il
paese economicamente impoverito, socialmente spaccato e politicamente sottomesso a forze
monarchico-conservatrici con vocazioni autoritarie.
- URSS: Il patriottismo, la contiguità strategica con le forze regolari conferirono alla resistenza
russa una forte legittimazione nei confronti dell’élite sovietica. La vittoria di Stalingrado e il grande
sacrificio di vite umane che comportò, accrebbe fortemente il prestigio dell’Unione sovietica tra i
nuovi gruppi dirigenti europei, formatisi nella resistenza e pronti ad assumere la guida dei loro
paesi.
- POLONIA: In Polonia la resistenza agì in primo luogo come rete culturale ed educativa per
preservare valori e identità. La Polonia infatti aveva subito un’occupazione volta a sradicare le
forme di identità nazionale e a ridurre al silenzio le classi dirigenti, gli intellettuali, il clero cattolico.
Complicava le logiche di schieramento la contemporanea occupazione del territorio polacco di
tedeschi e sovietici. Ecco perché la resistenza polacca possedeva diverse strategie. Ad esempio, la
Rivolta di Varsavia (1944) intendeva liberare dai tedeschi la capitale polacca prima dell’arrivo delle
truppe alleate e sovietiche, in modo da rivendicare il diritto all’autogoverno. Varsavia resistette per
due mesi all’esercito tedesco attendendo l’aiuto dell’Armata rossa, quasi alle sue porte: ma
l’insurrezione fallì, e Varsavia fu spietatamente schiacciata dalle forze tedesche.
- FRANCIA: In Francia la resistenza visse sull’impegno delle forze politiche tradizionali (socialisti
e comunisti) che riuscirono a saldare l’antifascismo dei militari sconfitti degli operai politicizzati,
degli intellettuali. La situazione però era delicata, dato che parte del paese (Nord) era sotto il
controllo del governo Vichy, subordinato ai tedeschi. Per iniziativa di De Gaulle, nel 1943 nacque a
Parigi il Conseil National de la Résistance, che riuniva il movimento di resistenza, le formazioni
politiche e le maggiori organizzazioni sindacali.
- ITALIA: L’esercito, a causa della fuga di Badoglio e del Re a Brindisi, non riceveva più ordini e
faceva acqua da tutte le parti: alcuni schieramenti disertarono, altri continuarono a combattere. Fra i
vari schieramenti, vi erano anche quelli che decidevano di resistere ai tedeschi. A Cefalonia, il
presidio italiano aprì il fuoco contro di essi: si decise di resistere a oltranza. Tuttavia le forze italiane
erano assolutamente inferiori a quelle tedesche, con il risultato di 400 mila morti tra soldati e
ufficiali. Altri reparti si unirono ai partigiani dei vari paesi. Le forze italiane della resistenza si
battevano per un’Italia democratica o rivoluzionaria. I soldati in fuga cominciarono a organizzare
bande di resistenti insieme ad antifascisti e giovani che non accettavano di farsi reclutare nelle forze
armate asservite ai tedeschi.
Il Partito d’azione e le connesse brigate di Giustizia e libertà, che avevano in Ferruccio Parri il
proprio leader, puntavano alla formazione di una forza partigiana democratica e non politicizzata.
Dall’altro lato vi erano i comunisti, intenzionati a mantenere lal guerra partigiana entro schermi
poco rigidi, ricorrendo alla guerriglia e alla mobilitazione popolare. Si può affermare comunque che
il numero di combattenti partigiani era di 10 mila nel dicembre del 1943, e divenne 30 mila nel
febbraio del 1944.
Nacquero così il 9 settembre del 1943 le unità combattenti della resistenza e i Comitati di
liberazione nazionale (CLN - del Sud e dell’Alta Italia). Le formazioni partigiane vennero
inquadrate nel Corpo dei volontari della libertà, con a capo il generale Cadorna, riconosciuto dal
governo. Le componenti della resistenza erano i comunisti, i socialisti, i socialdemocratici e i
cattolici. Comunisti e Socialisti vedevano la resistenza come un buon motivo per attuare la
rivoluzione socialista. I partigiani jugoslavi, invece, erano contro quelli italiani: fecero infatti
massacri contro i civili, che venivano gettati nelle foibe (vedi su).
- ANTIFASCISTI vs MONARCHIA: Nel 1944, il passaggio del governo da Brindisi a Salerno
coincise con l’allargamento del “Regno del Sud” all’intero Mezzogiorno. Le forze antifasciste, che
non nascondevano la loro ostilità nei confronti del sovrano e del suo governo, facevano pressioni
sugli Alleati perché prendessero atto della necessità di una democratizzazione del regno del Sud.
Ma Inghilterra e Usa si mostrarono chiusi al dialogo in questo senso, per via di convenienza. La
situazione fu sbloccata con la “Svolta di Salerno”, e ciò dalla decisione, suggerita da Togliatti, di
accantonare per il momento la questione della monarchia e di risolverla alla fine del conflitto con un
referendum.
Tuttavia, in quegli stessi giorni, il riconoscimento sovietico del governo Badoglio catalizzò
l’attenzione degli Alleati: gli anglo-americani, preoccupati di essere scavalcati dall’iniziativa
sovietica, imposero al re di uscire di scena, di nominare il figlio luogotenente del regno alla
liberazione di Roma e di allargare il governo ai rappresentanti dei CLN. La formazione del governo
Bonomi (giugno 1944), dopo la liberazione di Roma e l’inizio della luogotenenza di Umberto II, fu
resa possibile dal nuovo atteggiamento delle forze americane, sempre più orientate a stabilizzare il
paese attraverso aiuti economici e una completa democratizzazione.
L’arrivo a Roma delle truppe alleate (4 giugno del 1944), e la “caccia all’uomo” spietata condotta
dalle forze partigiane costrinse Mussolini a fuggire anche dalla sua nuova Repubblica. Egli fuggì
verso la Svizzera travestito da soldato tedesco. fu però intercettato sul lago di Como da una
pattuglia partigiana e venne fucilato il 28 aprile 1945, insieme a Claretta (sua amante). I corpi di
entrambi furono portati a Milano ed esposti per alcune ore in piazzale Loreto, appesi per i piedi,
nello stesso luogo dove i fascisti avevano fucilato nel 1944 alcuni partigiani. Successivamente, il 2
giugno del 1946 si tennero referendum e elezioni per la Costituente, e l’affermazione della
Repubblica.
IL DOPOGUERRA: “Superpotenze” fu l’espressione che si affermò, dopo il 1945, per indicare i
vertici della nuova gerarchia. In questa espressione sono impliciti il Carattere militare (l’Urss era
una superpotenza dal punto di vista militare) e il Ruolo di secondo piano degli altri paesi. Le due
superpotenze erano quindi Usa e Urss, le quali erano di dimensioni semicontinentali e di grandi
potenzialità di sviluppo economico e tecnologico. La guerra poi non aveva danneggiato
internamente gli Usa, in quanto i caduti erano morti in guerra, e le città non erano state toccate. Ben
diversa invece era la condizione dell’Urss, impoverita dalle imponenti distruzioni della guerra e
indebolita dal numero straordinario di caduti, militari e civili. Ma l’Urss e il sistema comunista
godevano di straordinarie simpatie in tutta l’Europa, forse anche a seguito della dimostrazione di
distruttività degli apparati autoritari.
Il periodo immediatamente successivo alla guerra fu teatro di grande vivacità progettuale e di
confronto tra le potenze vincitrici. Alla conferenza di Yalta fu progettata l’Organizzazione delle
Nazioni Unite, poi istituita definitivamente il 26 giugno del 1945. Le Nazioni Unite si occupavano
anche della salvaguardia dei diritti umani, di commercio internazionale, di sanità, di istruzione, di
alimentazione (attraverso Fao, Unesco, Unicef ecc). I membri permanenti sono ovviamente le tre
nazioni vincitrici, ossia Usa, Urss e Gran Bretagna, cui furono aggregate Francia e Cina.
- USA: L’intervento militare americano nella seconda guerra mondiale era stato dettato dal bisogno
di creare un sistema economico internazionale aperto e senza barriere protezionistiche e autarchiche
tipiche del ventennio precedente. Gli Usa miravano a costruire un ordine generale fondato su stati
democratici e a un interscambio basato sul dollaro. Essi consentirono anche all’Urss di costituire un
suo apparato di difesa unilaterale, oltre al sistema di sicurezza internazionale dettato dall’Onu: ciò
significava garantire al gigante sovietico il controllo delle aree dell’Europa orientale liberate
dall’Armata rossa, facendole diventare stati amici subordinati.
La situazione, però, cambiò rapidamente, poiché il gruppo dirigente sovietico non riusciva a
concepire modelli politici estranei alla logica autoritaria del sistema staliniano. I primi segnali di
tensione si fecero sentire alla conferenza di Potsdam a cui parteciparono Truman, Stalin e Churchill.
Gli incontri servivano a risolvere parecchie questioni sul futuro equilibrio europeo. Agli Usa però
non andava giù il fatto di dover contribuire alla crescita del sistema comunista in Europa, questione
comunque inizialmente accantonata. Nel 1946 si tenne a Parigi la conferenza sugli accordi di Pace.
- ITALIA: L’Italia dovette cedere alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia, Istria, Fiume e Zara,
mentre Trieste divenne territorio libero, sotto amministrazione delle Nazioni Unite. Libia, Etiopia e
Albania divennero stati indipendenti, mentre l’Italia conservò l’amministrazione fiduciaria della
Somalia per dieci anni. L’Italia fu obbligata inoltre a ridurre le forze armate e pagare 360.000
dollari per le riparazioni di guerra.
- GERMANIA: Riguardo la Germania, essa fu divisa in quattro parti, ognuna delle quali fu affidata
all’amministrazione di Usa, Gran Bretagna, Francia e Urss. A Potsdam (vedi su) erano stati acquisiti
solo i nuovi confini e l’espulsione delle minoranze tedesche da Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria.
I tedeschi dovettero provare molte delle atrocità inflitte alle popolazioni dell’Europa orientale, non
esclusi i campi per i lavori forzati e le sevizie di aguzzini spietati. Circa 2 milioni di tedeschi
persero la vita mentre erano in fuga o venivano espulsi.
Dal 1947 si decise di concludere la questione tedesca. Gli alleati occidentali decisero di unificare le
tre zone sotto a loro amministrazione, di allargare alla Germania gli aiuti previsti dal piano Marshall
e di avviare le procedure per la promulgazione di una nuova costituzione su base federale. Nel 1948
fu adottata una riforma monetaria, con la creazione di un marco unico. L’unico problema era
Berlino, sotto il controllo dell’amministrazione sovietica. Quando gli alleati occidentali
dichiararono l’intenzione di estendere la riforma monetaria anche alle zone di Berlino sotto la loro
amministrazione, i sovietici decisero di chiudere i corridoi che consentivano l’accesso alla capitale.
Nacquero così due stati interni alla Germania: la Repubblica federale tedesca (Rft) nella parte
occidentale, e la Repubblica democratica tedesca (Rdt) a est.
- URSS: L’Unione sovietica aveva disperato bisogno di risorse economiche per rilanciare la propria
economia: intendeva utilizzare per questo i soldi delle riparazioni di guerra, ma un secondo scopo
era quello di deprimere l’economia industriale tedesca. Gli alleati occidentali vedevano i pericoli di
un’occupazione prolungata della Germania da parte sovietica. La paura che da questa situazione
potesse emergere una Germania sotto l’egemonia sovietica spinse gli alleati occidentali a lasciar
cadere qualsiasi ipotesi di amministrazione comune, a puntare su una separazione dall’Urss e sulla
ricostituzione delle strutture produttive tedesche.
- GIAPPONE: Dal 1945 al 1952 il Giappone riamse sotto l’occupazione delle foze americane. Fu
mantenuto l’imperatore, ma sciolto l’esercito e smantellata l’industria bellica. Fu condotta
un’epurazione delle persone più compromesse con il vecchio regime; celebrati processi contro
coloro che si erano macchiati di crimi di guerra; realizzata una riforma agraria, preparata una nuova
costituzione e riformato il codice civile. Furono repressi il movimento sindacale e il Partito
comunista. Nel 1951 il Giappone sottoscrisse il trattato di pace di San Francisco e l’anno successivo
ottenne la piena sovranità. Da questo momento, nel giro di un decennio, il Giappone sarebbe
diventato una delle principali potenze industriali del mondo, diventando libero e politicamente
stabile.
GUERRA FREDDA: Era ormai ovvio che si stavano creando le condizioni della guerra fredda.
Non vi fu una dichiarazione di guerra in senso stretto, ma la sterzata nella politica estera
statunitense operata da Truman nel 1947 corrispondeva ad una dichiarazione di guerra politica e
ideologica, con forti implicazioni economiche e diplomatiche. I rapporti tra Urss e Usa inoltre si
aggravarono con la capitolazione del Giappone. Si pensa infatti che il motivo dell’utilizzo repentino
della bomba atomica da parte degli Usa fosse quello di minacciare indirettamente l’Urss, mostrando
in tal modo la superiorità scientifica e militare degli Stati uniti.
La “Dottrina Truman” mirava al contenimento del comunismo e del sistema sovietico. Truman,
così, impose dei vincoli alle relazioni diplomatiche ed economiche internazionali, in quanto non era
possibile una collaborazione di qualsiasi genere con gli Stati Uniti, se non a condizione di una
collocazione internazionale anticomunista. Tutti i nuovi stati nati nel dopoguerra saranno forzati a
legarsi ad uno dei due blocchi (Sovietico o americano), fino a quando il movimento dei paesi non
allineati non creerà delle diverse opportunità.
- USA: Gli Stati Uniti non temevano un conflitto militare contro l’Urss, in quanto consapevoli della
propria superiorità in campo bellico, anche grazie alla bomba atomica. Ma la preoccupazione
principale era quella di realizzare un contesto di paesi liberi con cui creare un interscambio
economico, indispensabile alla crescita di tutto il mondo occidentale. Il programma era da attuare
con una certa urgenza, a causa di alcuni segnali di una crisi economica generale (1947), legata alla
mancanza di risorse finanziarie per acquistare materie prime e beni di ogni genere. Per sostenere la
ripresa si attuò un programma di aiuti ai paesi europei definito dal Piano Marshall (Erp – European
Recovery Program).
Quella americana era una tattica ben studiata, in quanto il piano di aiuti poteva far portare alcuni
paesi dell’Europa orientale sotto il controllo indiretto degli Stati Uniti (attraverso gli investimenti).
L’intervento di Stalin impose a tutti gli altri paesi del blocco sovietico di non aderire al piano
Marshall e di non lasciarsi soggiogare dalle astuzie americane. Il piano Erp mise a disposizione, tra
il 1948 e il 1952, ben 13 miliardi di dollari. I finanziamenti americani portarono senza dubbio
segnali di ripresa della produzione industriale, e diedero un’accelerazione notevole alla produzione
industriale.
- URSS: A seguito della suddetta divisione della Germania, nel 1948 tutti i paesi dell’Europa
orientale erano retti da regimi basati sul modello sovietico, con la repressione di ogni forma di
dissenso e il monopolio politico dei partiti comunisti. La seconda preoccupazione di Stalin fu la
ricostruzione del paese e il potenziamento del suo sistema industriale: era implicita la concorrenza
con l’armamento americano. Ciò spinse l’Urss a concentrare gli sforzi sull’industria pesante,
trascurando completamente quella per beni di consumo e agricoltura. I campi di concentramento si
riempirono dei prigionieri ritornati in patria, colpevoli di essersi consegnati al nemico. La struttura
produttiva fu organizzata sul modello sovietico: i terreni vennero espropriati e trasferiti ai contadini
nel quadro di un processo di collettivizzazione, le Istituzioni bancarie e le industrie furono
nazionalizzate, e tutto il commercio passò sotto il controllo dello stato.
DECOLONIZZAZIONE:
- INDIA: Paese sterminato, con circa 400 milioni di abitanti nel 1941 con lingue e confessioni
diverse, l’India era al quarto posto al mondo nella produzione cotoniera. Aveva sperimentato lo
scontro tra tre forme di nazionalismo: quello Hindu (Gandhi), quello Socialista, e infine quello
Musulmano, con un progetto separatista. Il governo laburista inglese, da tempo convinto della
necessità di concedere all’India la condizione di dominion, fu costretto ad accettare l’indipendenza
e la completa separazione di uno stato musulmano. Nel 1947 il parlamento britannico dichiarò
l’indipendenza dell’india e autorizzò la costituzione di due stati: l’Unione indiana e il Pakistan (che
comprendeva anche il Pakistan orientale, odierno Bangladesh).
- CINA: La Cina aveva combattuto contro il Giappone una guerra durata dall’invasione giapponese
nel 1937 fino al 1945. La rapida avanzata dei giapponesi costrinse il Guomindang cinese a
realizzare un’alleanza con i comunisti. Così, per sottrarsi all’assedio, i comunisti erano stati costretti
a spostarsi vero la Cina del Nord-Ovest (la lunga marcia – 5 mila chilometri). Nonostante il
sostegno degli Usa (alla Cina anti-comunista), che parteciparono al conflitto solo con rifornimenti
di armi, i comunisti riuscirono a conquistare il controllo di una regione dopo l’altra, mentre il
governo e l’esercito nazionalista si sbriciolavano. Dunque, nel 1949 Pechino fu occupata e fu
proclamata la Repubblica popolare cinese, ultima tappa di questa guerra.
- ISRAELE e PALESTINA: Quella del medio oriente è una storia che racchiude popolazioni con
diverse culture, religioni e lingue: armeni, kurdi, ebrei e altri. L’elemento di maggiore instabilità del
Medio Oriente fu la questione ebraica e il futuro della Palestina. Gli ebrei presenti in Palestina, alla
vigilia della Prima guerra mondiale, erano circa 85 mila, concentrati per la maggior parte a
Gerusalemme. Da non sottovalutare però era la presenza dei nazionalisti arabi contrari
all’immigrazione ebraica. L’amministrazione britannica in loco, favorevole a promuovere il dialogo
tra le due nazionalità, oscillava tra un progetto di spartizione del territorio e l’intenzione di creare
uno stato palestinese binazionale.
Tra il 1933 e il 1935, a causa dell’avvento al potere di Hitler, 134 mila ebrei migrarono in Palestina,
provocando la crescente opposizione degli arabi palestinesi. Vi era ormai l’esigenza di creare uno
stato ebraico, ricercando anche l’appoggio degli Stati Uniti e la creazione di un’organizzazione
armata capace di realizzare il progetto anche con la forza. Ma la Gran Bretagna, avendo fallito i
tentativi di giungere a una soluzione condivisa da entrambe le nazionalità interessate, rimise il
mandato all’Onu (1947). Nello stesso anno l’Onu approvò un progetto di spartizione della Palestina
in uno stato arabo e uno ebraico. Gerusalemme e i luoghi sacri circostanti sarebbero stati affidati
all’amministrazione dell’Onu.
Nel 1948 gli ebrei proclamarono lo Stato di Israele: la guerra cominciò immediatamente. Si trattava
di due schieramenti, uno composto dagli eserciti arabi di Egitto, Siria, Iraq e Transgiordania, e
l’altro composto dall’esercito ebraico. Gli arabi non furono in grado di sostenere lo scontro con
l’esercito israeliano, più numeroso e meglio equipaggiato. Un anno dopo, tramite la sospensione del
conflitto imposta dall’Onu, gli israeliani controllavano l’80% del territorio del mandato originario.
Urss e Usa, ma nessuno dei paesi arabi, riconobbero il nuovo stato, che fu ammesso all’Onu. Israele
rimase sotto la tutela degli Usa, i quali fornirono sempre sostegni finanziari e politici.
UNA NUOVA EUROPA: Nell’Europa occidentale del dopoguerra bisognava ricostruire le
infrastrutture, le fabbriche e i palazzi distrutti, ma non solo: era necessario ripensare completamente
il sistema politico e istituzionale. La prima fase postbellica si caratterizzò per una sorta di continuità
delle alleanze antifasciste. In Francia presero il controllo politico socialisti, comunisti e repubblicani
popolari. Ma presto i socialisti espulsero il blocco comunista dal governo, fondando una nuova
organizzazione: i governi che si succedettero tra il 1947 e il 1954, con il dominio delle forze
centriste, ebbero durata media non superiore ai cinque mesi.
Anche in Italia dominavano le forze antifasciste. Nel 1947, la Democrazia Cristiana (centrista), nel
quadro di una più stretta alleanza con gli Usa, interruppe la collaborazione di governo on le forze di
sinistra comunista e socialista. La politica di alleanze che la Dc praticò in tutti gli anni successivi
con le forze centriste e poi con il Partito socialista, le consentì di essere ininterrottamente al governo
per oltre 40 anni e di mantenere il Pci fuori dall’esecutivo.
- EPURAZIONI: La questione tedesca era assai più complessa. Metà paese (perché la parte est era
sotto il controllo russo) era sorvegliato dagli Stati Uniti. Solo nel 1949 ci furono le prime elezioni,
che portò al governo l’alleanza Cdu-Csu (Unione democratica cristiana, Unione cristiano-sociale),
con Adenauer primo cancelliere della Rft. Ma la Germania doveva essere sottoposta ad una rigida
epurazione della pubblica amministrazione: un sospetto pesava su tutti i tedeschi che non erano stati
perseguitati dal regime nazista. Le punizioni per quelli che si erano macchiati di gravi crimini di
guerra e contro l’umanità furono assai più pesanti. I processi, affidati a una corte internazionale,
servirono a sancire la colpa del nazismo e dei suoi funzionari. I più importanti si svolsero tra il 1945
e il 1946 a Norimberga: 12 condanne a morte in totale. Anche in Italia ci furono processi di
epurazione, che però si attenuarono a seguito della concessione, da parte del ministro della Giustizia
Palmiro Togliatti, dell’amnistia per i reati politici (estinzione del reato).
- POLITICA ECONOMICA: Al fine di combattere la povertà e la miseria, il governo inglese
applicò il piano Beveridge, un programma di riorganizzazione delle norme sullo stato sociale
presentato nel 1942 al parlamento dallo stesso Beveridge. Il piano prevedeva una diffusione delle
assicurazioni sociali a quasi tutti i cittadini e la creazione di un salario minimo nazionale capace di
assicurare un’esistenza dignitosa. Si allargavano così le tutele dai lavoratori a tutti i cittadini, così
come avveniva da tempo nei paesi scandinavi, attraverso gli assegni familiari e l’assistenza sanitaria
gratuita per tutti. Il piano Beveridge suscitò l’interesse di quasi tutta l’Europa.
Nel 1950 nacque l’Unione europea dei pagamenti, che rappresentò una prima risposta agli obiettivi
del piano Mashall: la creazione di un’area di libero scambio e il consolidamento di relazioni
economiche internazionali. L’Unione serviva infatti a rafforzare il commercio tra i paesi membri
attraverso forme di compensazione multilaterali. Un anno dopo nacque la Comunità europea per il
carbone e per l’acciaio (Ceca), che diede sul piano economico risultati confortanti, tanto da
continuare sulla stessa strada, fino ad arrivare alla Comunità Economica Europea (Cee – 1957) e la
Comunità europea per l’energia atomica (Euratom).
USA vs CINA e URSS: Il 1949 lasciò un segno nella competizione tra le due superpotenze, in
quanto si succedettero, in ordine di tempo, lo scoppio sperimentale della prima bomba atomica
sovietica, la proclamazione della Repubblica popolare cinese, la visita di Mao a Mosca:
-USA: Gli Usa, di fatto, non rimanevano a guardare, e si preparavano a fronteggiare un tentativo
sovietico di espansione del comunismo in tutto il mondo. L’idea che fosse in atto un tentativo
comunista di espansione in tutto il mondo creò nell’opinione pubblica americana il timore di
un’infiltrazione comunista anche negli Stati Uniti. Si produsse un clima di sospetto, una caccia alle
spie dei sovietici, ai comunisti nel mondo dello spettacolo e dell’informazione. Dal 1950 al 1953 il
senatore repubblicano McCarthy organizzò una campagna violentissima alimentata da sospetti,
indagini che riguardavano la sfera delle relazioni private.
Sembrava quindi indispensabile ripristinare un sistema politico e militare capace di far fronte ad
eventuali allargamenti delle posizioni sovietiche. Per questo, l’amministrazione Truman diede il via
alle ricerche per la costruzione della bomba all’idrogeno. Ma gli Usa necessitavano di alleati, e il
problema si pose quando fu deciso il riarmo della Germania occidentale: alla fine, fu riconosciuto il
pieno diritto delle istituzioni tedesco-occidentali a costituire un esercito di difesa e ammettere la
Repubblica federale nella Nato (organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa).
- URSS: La morte inaspettata di Stalin, avvenuta nel 1953, mise in movimento tutta la dirigenza
sovietica. Prevalse un metodo di direzione collegiale, ridistribuendo gli incarichi tra partito e
macchina dello stato: emersero due figure importanti, Chruščёv e Malenkov. Fu liberata la metà dei
detenuti del Gulag (più di 1 milione di persone). Si cercava ora una nuova coesistenza pacifica,
segnata dal trattato di stato con l’Austria, dallo scioglimento del Cominform e dalla ripresa delle
relazioni diplomatiche con il Giappone: un nuovo dialogo con il mondo occidentale. Fu siglato
inoltre il “Patto di Varsavia”, un'alleanza militare (voluta da Chruščёv) tra i paesi del Blocco
Sovietico, nata come contrapposizione alla NATO. Chruščёv, in seguito, chiese ed ottenne la
denuncia pubblica dei crimini di Stalin.
IL MONDO BIPOLARE:
- LA QUESTIONE DEL PETROLIO: Un avvenimento importante del 1956 è sicuramente la
guerra mossa all’Egitto dall’alleanza tra Francia, Gran Bretagna e Israele. Il motivo della cosiddetta
“crisi di Suez” non era di certo celato, e si trattava di una sfida per il controllo delle due principali
risorse della regione: lo stesso canale, e il petrolio. In Iran, nel 1951, il primo ministro aveva
nazionalizzato la società petrolifera Anglo-Iranian Oil Company: ne seguirono una crisi governativa
e ritorsioni delle potenze interessate allo sfruttamento del petrolio. Fu però presto rinegoziata la
nazionalizzazione della società, e per l’appunti fu istituito un consorzio internazionale per lo
sfruttamento del petrolio, che assegnava all’Iran il 50% del proventi delle esportazioni.
- ISRAELE vs EGITTO: Riguardo la suddetta guerra contro l’Egitto, un reparto dell’eserito
israeliano penetrò in territorio egiziano, in modo da offrire agli altri due paesi (Francia e Gran
Bretagna) il pretesto per inviare un ultimatum che avrebbe intimato a Egitto e Israele di cessare le
ostilità. Nonostante la richiesta da parte dell’Onu di cessare le attività militari, le truppe israeliane si
spinsero fino al Sinai: nel frattempo francesi e inglesi cercavano di prendere il controllo del canale
di Suez. Il tentativo fu però interrotto dalla dura opposizione dell’Urss e degli Usa (con iniziative
diplomatiche e finanziarie). Furono proprio queste ultime a vivere tra il 1956 e il 1963 una
“coesistenza competitiva”, con il tacito riconoscimento reciproco delle posizioni acquisite e una
definizione dei confini entro cui ciascuna poteva agire senza l’opposizione dell’altra.
PAESI NON ALLINEATI:
- INDIA: Si andava ormai delineando un assetto in cui i vari paesi rimanevano indipendenti
dall’una o dall’altra superpotenza: “Paesi non allineati”, così si indicano i paesi che preferivano
rimanere fuori sia dal blocco sovietico che da quello americano. Sebbene fosse nata dalla
integrazione di 500 stati principeschi semiautonomi, l’India riuscì ad evitare la frammentazione.
Tale risultato fu ottenuto grazie alla scelta di fare dell’India una repubblica parlamentare di tipo
federale e all’abilità della leadership politica. Disuguali invece furono i risultati dello sviluppo
economico. Strumenti della politica economica furono i piani quinquennali, che sembravano idonei
a correggere le distorsioni prodotte dal dominio britannico. Lo sforzo massiccio per industrializzare
il paese ebbe contraccolpi nelle campagne. A metà anni 60 si produsse una terribile carestia che non
causò milioni di morti solo grazie agli aiuti alimentari statunitensi, ma provocò una forte recessione
di tutto il sistema economico.
- JUGOSLAVIA: Tito, politico jugoslavo, praticò a lungo una politica di disimpegno dalle due
superpotenze. La convinzione che ogni paese avesse il diritto di arrivare al socialismo secondo una
propria strada, non consentì a Tito di avere un dialogo con Stalin; ne risultò l’uscita di Tito dal
Cominform. L’autonomia nei confronti dell’Unione sovietica contribuì alla stabilizzazione del
sistema politico jugoslavo. Quello jugoslavo era un comunismo sempre più diverso da quello
sovietico. Nel 1950 la gestione statale delle imprese fu sostituita dall’autogestione sociale, e la
collettivizzazione della terra fu rimpiazzata dai piccoli poderi. Nel 1965 furono introdotti
meccanismi di mercato e ancora più tardi fu introdotto un decentramento istituzionale. I buoni
risultati di sviluppo economico però allargarono le differenze di sviluppo tra le nazioni del Sud e del
Nord della Jugoslavia (Bosnia-Erzegovina, Serbia, Croazia, Macedonia, Montenegro, Slovenia e
Kosovo). Si accentuarono di conseguenza i conflitti tra le varie repubbliche. La morte di Tito nel
1980 non aiutò a risolvere questi problemi.
USA vs CUBA: Gli Stati Uniti continuavano ad attuare una politica fieramente anti-comunista, non
solo nei paesi non americani, ma anche in quelli dell’America latina. Il più importante caso è quello
di Cuba, che ebbe un rilievo internazionale importante. Tutto il periodo della storia cubana era stato
caratterizzato da forte instabilità e da continui interventi americani. Grazie all’intervento
statunitense si dovette l’avvio della lunga dittatura di Batista. Ma nel 1956 Fidel Castro, seguito da
un gruppo di un’ottantina di persone (tra cui Ernesto Guevara), sbarcò a Cuba (perché era fuggito in
Messico) deciso a rimuovere il governo autoritario e filoamericano di Batista. Gli esiti militari
furono disastrosi: Castro e i pochi sopravvissuti furono costretti ad iniziare un’azione di guerriglia e
di radicamento nel mondo contadino, che irrobustì notevolmente il gruppo dei rivoluzionari e dei
loro sostenitori in tutto il paese.
Nel 1959 Castro riuscì a mettere in fuga Batista. Il governo fu riconosciuto dagli Usa poiché Castro
dichiarò che non avrebbe inserito comunisti nel nuovo governo. Tuttavia nel 1960 Cuba accettò
l’offerta dell’Urss per la vendita del raccolto di canna da zucchero e gli Stati Uniti posero l’embargo
sull’importazione della produzione cubana e su tutte le merci americane dirette all’isola. Nel 1961
gli Usa ruppero così le relazioni diplomatiche con Cuba. Castro proclamò Cuba prima repubblica
socialista d’America, e si affrettò a richiedere sostegno militare ai sovietici: essi installarono rampe
missilistiche a Cuba che, scoperte dagli americani, determinarono una brusca crisi nei rapporti tra le
due superpotenze (il conflitto fu evitato per poco). Ma un accordo voluto da entrambi i paesi portò
allo smantellamento dei missili cubani, in cambio dell’impegno statunitense a non invadere Cuba e
a rimuovere a sua volta le basi missilistiche costruite lo stesso anno in Turchia.
GLI STATI UNITI:
- MARTIN LUTHER KING: Dagli anni 50 in poi, gli Stati Uniti seppero cogliere un forte slancio
di crescita economica. Il benessere si estese a strati sociali nuovi e produsse mutazioni profonde nei
modelli di vita. La televisione divenne uno strumento di espressione culturale e un punto di
riferimento a cui tendere. Non mancavano comunque fratture all’interno della società: l’esclusione
razziale, ad esempio, era ancora molto forte, mentre discriminazione e segregazione avevano corso
in tutte le parti degli Usa. Il grande attivismo organizzato di cui i neri furono capaci creò un vasto
movimento, consolidando un gruppo di dirigenti politici di colore, tra cui Martin Luther King. Ma
fu in particolare dagli anni 60 che cominciò una lotta aperta contro la segregazioni, che costo ai neri
molte vittime. Il momento più alto di queste iniziative fu la marcia di Washington nel 1963, che
raccolse circa 250 mila persone. Un anno dopo, Luther King ricevette il premio Nobel per la pace.
Martin Luther King fu assassinato nel 1968 con un colpo d’arma da fuoco.
- MALCOM X: Alcuni gruppi, però, predicavano forme estreme di separatismo e aspiravano a
creare una società nera parallela a quella bianca. Leader di questo separatismo nero radicale fu
Malcom X, convertitosi in carcere all’Islam perché ritenuto estraneo ad ogni forma di razzismo.
Altre organizzazioni radicali nere furono il “Black power”, che enfatizzava l’orgoglio nero e
l’uguaglianza sociale, e il “Black panthers”, quest’ultima proiettata verso una lotta armata dei neri
contro i bianchi sfruttatori.
- KENNEDY: La vivacità di questo periodo ebbe una corrispondenza in una straordinaria stagione
politica sotto la guida di John Kennedy. Egli ebbe due principali fronti politici aperti: quello della
competizione con l’Urss, ma anche della ricerca di un terreno di dialogo, e quello della battaglia per
i diritti civili, per una società più equa e più giusta, come da più parti gli chiedeva il paese. Kennedy
doveva quindi ricreare l’entusiasmo, la creatività e l’intraprendenza dei colonizzatori del West:
l’obiettivo era riportare i nuovi stati nati dalla decolonizzazione dell’Asia e dell’Africa nel campo
dei paesi occidentali, attraverso massicci contributi economici e sociali. Ma il suo programma
prevedeva anche il potenziamento del parco missilistico nucleare americano, indispensabile per
avviare una politica di disarmo (in quanto l’Urss si era dimostrata ormai tecnologicamente accorta,
attraverso il lancio nello spazio dei vari satelliti Sputnik).
Il Vietnam si presentò come un’occasione per dimostrare la superiorità americana e il suo diritto a
condurre un processo di omologazione del paese al modello di sviluppo economico e politico
occidentale: l’intervento militare diretto delle forze armate americane contro i vietcong e l’esercito
del Vietnam del Nord iniziò solo nel 1964. Le forze comuniste vietnamite, comandate da Ho Chi
Minh, poterono contare sulle forniture militari provenienti dalla Cina e dall’Urss. Furono milioni i
giovani americani che a turno poterono sperimentare gli orrori della guerra.
- JOHNSON: Nel 1963, a Dallas, Kennedy fu assassinato, colpito da un fucile di precisione. Il suo
successore, Johnson, si mosse lungo le stesse direzioni della politica Kennediana. Sul piano
internazionale, essa puntava alla affermazione della superiorità del modello americano. Sul piano
interno, mirava allo sviluppo economico, all’allargamento dei diritti civili e alla lotta alla povertà. A
Johnson si deve la legge sui diritti civili del 1964: la Civil Rights Act, così si chiamava, abolì le
discriminazioni razziali, religiose e nazionali, ed eliminò l’impedimento dell’esercizio del voto ai
neri; proibì la segregazione nelle scuole pubbliche e la discriminazione in tutti gli organismi statali
e federali, favorì le pari opportunità senza pregiudizio per la razza e il sesso.
Quando nel 1968, a fronte di costi umani e finanziari enormi, fu evidente che gli Usa non riuscivano
a vincere la guerra, ma anzi dovevano subire l’offensiva vietnamita, si sviluppò una protesta in tutto
il paese. Johnson perse credito e decise di non ricandidarsi nelle elezioni presidenziali di quell’anno.
- NIXON: Le vicende della guerra in Vietnam convinsero il nuovo presidente della necessità di
passare dall’impegno bellico diretto al sostegno finanziario e militare dei paesi in lotta contro forze
comuniste interne o esterne. Furono ritirate le forze armate americane dal Vietnam, anche se gli
Stati Uniti continuarono ad offrire aiuti all’esercito del Vietnam del Sud attraverso bombardamenti
aerei sul Vietnam del Nord. Lo scontro non si fermò prima del 1975: un anno dopo nacque la
Repubblica socialista del Vietnam.
Nixon riconobbe la Repubblica popolare Cinese, e conseguì risultati importanti anche nella politica
di distensione con l’Urss, concludendo un accordo sulla limitazione delle armi nucleari (Strategical
Arms Limitation Talks - 1972). I buoni risultati della politica interna, come l’abolizione della
convertibilità del dollaro in oro e il controllo di prezzi e salari, consentirono a Nixon di conquistare
una seconda vittoria delle elezioni nel 1972. Mandato che però durò ben poco, a causa di scandali
che colpirono Nixon stesso: emerse che il presidente aveva fatto installare un congegno di
intercettazione telefonica nella centrale operativa del Partito democratico, e che egli stesso aveva
imposto tangenti, e altro. Nixon, così, si dimise.
EUROPA: Le necessità della ricostruzione postbellica avevano innescato in tutta Europa un
processo di espansione economica che negli anni 60 era diventato prodigioso, così come lo erano
state le trasformazioni negli stili di vita e di consumo che essa aveva reso possibili.
- ETA’ DELL’ORO: Non a caso, verso gli anni 60 si ebbe un’età dell’oro, che sarebbe terminata
soltanto nei primi anni 70 a causa della grande crisi petrolifera del 1973, che impose politiche di
“austerity” (risparmio dell’energia e di combustibile). I livelli di crescita economica di quel periodo
non saranno più raggiunti in seguito. La cosiddetta “società del benessere” venutasi a creare in
quegli anni, era data da politiche economiche che prevedevano forme di tutela, di protezione e di
equità sociale. Vi erano poi alti consumi, la crescita del settore terziario, l’aumento del tempo libero,
il miglioramento complessivo delle condizioni abitative, l’innalzamento dei livelli di istruzione ecc.
A livello mondiale, la crescita economica era data dall’introduzione in società scarsamente
industrializzate di tecnologie e procedure impiegate nei paesi più avanzati: ciò fu inevitabilmente
causato dall’ampliamento del mercato mondiale, che impose la competizione e costrinse alla
specializzazione e alla innovazione. I paesi che incrementarono maggiormente le loro economie
furono quelli usciti sconfitti dalla guerra, come Germania e Italia.
- GRAN BRETAGNA: Paradossalmente, l’Inghilterra, pur vincitrice della guerra, era la “malata
d’Europa”. Nel 1950, questa destinava il 14% del suo Prodotto nazionale lordo per mantenere un
esercito di 900 mila uomini, in tempo di pace. Solo dopo la crisi di Suez cominciarono lo
smantellamento dell’esercito e la riduzione delle spese per la difesa. Ma l’industria era condotta
secondo modelli antiquati, gli investimenti nella struttura produttiva e nella ricerca erano assai
scarsi. Inoltre, la Gran Bretagna concentrava le sue relazioni commerciali verso gli Usa e il
Commonwealth, trascurando (e quindi compromettendo) il processo di integrazione europeo,
restringendo le sue opportunità economiche. La sua tardiva richiesta di adesione alla Comunità
Europea (di questa si parlerà tra poco) fu bloccata dal veto di De Gaulle, che rifiutò a causa delle
relazioni speciali mantenute dal paese con gli Usa.
- IL MURO DI BERLINO: Per la Germania, la divisione in due del paese (e della stessa Berlino)
costituì una grave limitazione in campo economico. Solo tra il 1949 e il 1958 erano stati più di 2
milioni quelli che avevano lasciato Berlino est: per arginare questa emorragia, che offendeva il
patriottismo comunista, il governo della Repubblica Democratica Tedesca (Germania est),
d’accordo con l’Urss, decise di erigere un muro che corresse lungo tutto il confine di separazione
delle due città. Quel muro, cominciato nel 1961, sarebbe diventato il simbolo dell’inconciliabilità
tra il mondo dell’Occidente e quello comunista: pur evitando la guerra, rimanevano le sfide, anche
non esplicite.
IL 68: Il 1968 vide un movimento di mobilitazione giovanile come mai in precedenza. Aveva molte
affinità con la contestazione partita da Berkeley: nell’omonima università, in California, gli
studenti americani chiedevano sia di poter intervenire sui metodi d'insegnamento e sulle finalità
della ricerca universitaria, sia di poter usare gli atenei per discutere dei problemi di fondo della
società. Presto, anche in conseguenza della dura reazione delle autorità e della polizia, gli studenti
cominciarono a contestare radicalmente i legami che univano l'università all'industria, in particolare
quella bellica, e trovarono un immediato riferimento alla lotta contro l'impegno statunitense nella
guerra del Vietnam.
La fascinazione di personaggi esemplari (come Guevera, Castro, Mao, Ho Chi Minh) fu capace di
dare suggestioni ed entusiasmo: in Francia, Germania e Italia il movimento giovanile fu un
fenomeno assai diffuso, radicale e ovunque caratterizzato da un atteggiamento fortemente critico
nei confronti dei partiti della sinistra ufficiale, colpevoli di non distinguersi a sufficienza dalle altre
formazioni politiche. Il movimento del 68 fu dunque una miscela di motivi libertari e antiautoritari,
di radicalismo di sinistra, terzomondismo, antiamericanismo, antimperialismo, atteggiamenti
antiborghesi e anticonvenzionali. Degno di nota è il movimento femminista che spiccò in quegli
anni: il femminismo perseguiva l’affermazione della differenza della donna e un progetto di
costruzione di una cultura di genere autonoma, indipendente da quella maschile.
- BRIGATE ROSSE: Nel 1969 la campagna di agitazioni e manifestazioni sindacali per il rinnovo
dei contratti creò un terreno di comunicazione tra i bisogni espressi dal movimento del 68 e quelli
dei lavoratori in lotta. Il 12 dicembre dello stesso anno fu fatta esplodere una bomba nella Banca
Nazionale dell’Agricoltura a piazza Fontana (Milano); morirono 16 persone, e ancora oggi il
colpevole è sconosciuto. Con questo attentato fece la sua prima comparsa in Italia il terrorismo, che
avrebbe avvelenato la vita del paese per quasi un ventennio. Con perfetta coincidenza, nacquero nel
1970 le Brigate Rosse (in Italia) e le Raf (in Germania), protagoniste le prime di una serie di delitti
politici, che culminarono nel rapimento (e poi nell’uccisione) di Aldo Moro, presidente della
Democrazia Cristiana.
LA COMUNITA’ EUROPEA: Per quanto riguarda il notevole sviluppo economico dei vari paesi,
l’integrazione europea fu uno degli elementi chiave che spinse verso una crescita sempre maggiore.
La piccola Europa dei sei, nata a Roma nel 1957, indicata come Comunità Economica Europea
(Cee), svolse un ruolo decisivo in quanto creò un’area di scambio integrata, in cui vennero poi
aboliti i dazi. L’Urss, come è facile immaginare, era decisamente ostile alla formazione di
un’Europa federata o unificata, per timore di essere schiacciata tra gli Usa e la stessa Cee.
Nel 1973 la Cee acquistò i primi nuovi partner: Danimarca, Irlanda e Gran Bretagna. Solo dopo
quasi 10 anni fecero seguito la Grecia, la Spagna e il Portogallo. La Cee prese lentamente il primo
posto nel commercio internazionale e contribuì alla liberalizzazione del mercato. Uno dei passaggi
più importanti per il futuro fu l’accordo Schmidt-Giscard (il primo tedesco e il secondo francese),
che condusse nel 1979 alla costituzione del Sistema monetario europeo (Sme). Sempre nello stesso
anno tutti i paesi aderenti elessero a suffragio universale il parlamento della Comunità.
PROBLEMI NELL’’UNIONE SOVIETICA: Nel 1964 Chruscev fu dimesso e sostituito da
Breznev. Quest’ultimo mostrò una maggiore cautela nel governare, acquisendo più consenso e
stabilità per il regime. Il periodo non era però dei migliori per l’Urss, in quanto le relazioni
internazionali si facevano particolarmente difficili: negli anni 60 i rapporti con la Cina furono
disastrosi, e nel 1969 si arrivò allo scontro armato: l’Albania, uscita pochi anno prima dall’orbita
sovietica, prese posizione a favore della Cina. Altro elemento d’allarme giungeva dalla Romania,
che sotto la direzione di Ceausescu rivendicava una maggiore autonomia dall’Urss. Ancor più grave
era la situazione in Cecoslovacchia, dove si intrecciavano vari elementi di disagio e di insofferenza
alla subordinazione che spinsero il Partito comunista a intraprendere riforme economiche e sociali.
CINA: Le basi del potere nella Cina di Mao Zedong erano nelle campagne, le stesse da cui
proveniva il potere dei comunisti in tutto il paese. La natura rurale del sistema maoista era
accentuata dalla distribuzione della terra tra gli agricoltori poveri. Più difficile, dunque, era il
radicamento del partito comunista nei centri urbani, anche se il primo piano quinquennale (1953)
diede origine a una serie di progressi dati dall’industrializzazione. La prima grande mobilitazione,
detta “Grande balzo”, non fece altro che portare disastrosi danni, causando una grave carestia (anni
60) che uccise 13 milioni di persone. Il Partito comunista non prese atto della situazione, e si limitò
a elencare i grandi successi ottenuti nello sviluppo industriale.
Mao, pur non pagandone direttamente le conseguenze, perse credibilità, così come la sua politica. Si
creò di fatto una situazione di stallo e talvolta di vera e propria lotta sotterranea (1965) combattuta
tra il gruppo Maoista e quello degli oppositori (movimento per l’educazione socialista): solo la
morte di Mao, avvenuta nel 1976, e l’instaurazione di un nuovo governo, consentirono l’arresto
della banda dei quattro (Mao, la moglie e i leader più radicali) e la stabilizzazione della situazione. I
rapporti con l’Unione sovietica, di diffidenza nel periodo staliniano, più aperti negli esordi di
Chruscev, dopo il 1958 divennero sempre più ostili (nel 1969 si arriva allo scontro armato – vedi
su).
LA FINE DEL BIPOLARISMO: Gli istituti dello stato sociale, ormai negli anni 70, erano
inadeguati ai reali bisogni collettivi. Essi apparivano incapaci di dare risposte ai nuovi bisogni dei
ceti medi, e non riuscivano a tutelare nuove figure, diverse da quella del lavoratore dipendente. Il
problema comunque non assunse una dimensione conflittuale e non creò tensioni sociali,
probabilmente perché le nuove figure professionali erano raramente sindacalizzate. In generale,
quindi, gli elementi che scardinarono gli equilibri fin qui raggiunti (ossia fino agli anni 60-70) erano
la progressiva crescita delle aspettative di vita della popolazione, e l’allungamento dei processi
formativi, che spostava in avanti l’età di ingresso nel mercato del lavoro. La nuova politica degli
anni 70 prendeva dunque il nome di “Neoliberismo”: essa consisteva nelle teorie di Milton
Friedman, ossia nel dominio del mercato, che avrebbe smantellato la politica Keynesiana, basata
invece essenzialmente sull’allargamento della spesa pubblica per stimolare la produzione.
- INGHILTERRA: I primi a sperimentare il neoliberismo furono Margaret Thatcher, prima donna
alla guida di un governo in Europa (quello inglese), e Ronald Reagan, allora presidente degli Usa:
puntavano entrambi a una riduzione del carico fiscale sulle fasce sociali a più alto reddito, a un
ridimensionamento della spesa pubblica, e alla limitazione dell’attività sindacale. Ma i risultati
furono deludenti: tuttavia, nel 1982 la giunta militare che governava l’Argentina decise di invadere
le isole Falkland, dal 1830 possedimento inglese. La Thatcher non esitò a rispondere con una guerra
che in due mesi e mezzo diede al paese una facile vittoria, e portò in Gran Bretagna un’ondata di
orgoglio nazionalista che premiò la Thatcher e le diede il nome “Lady di ferro”.
Successivamente, si continuò per la strada neoliberista: le aziende di proprietà pubblica furono
privatizzate. Tra queste vi erano le imprese petrolifere, aerospaziali e aeree, compagnie telefoniche
e per l’erogazione del gas. Tale privatizzazione portò ad una nuova cultura dell’investimento nei
titoli del debito pubblico. Ma il provvedimento di politica fiscale fu meno fortunato: fu introdotta la
Poll tax, che doveva colpire la trascuranza finanziaria delle amministrazioni cittadine laburiste. Era
un’imposta locale indipendente dalle capacità contributive dei cittadini. Per quanto riguarda i
sindacati, la Thatcher limitò fortemente le capacità di iniziativa delle Trade unions; il sindacato
minatori riportò una sconfitta che non sarebbe stato facile dimenticare.
- STATI UNITI: La politica neoliberista adottata da Reagan fu ancora più netta. Attuò una riduzione
dei salari, una limitazione degli oneri pubblici attraverso la contrazione della spesa sociale, un taglio
delle imposte per le imprese produttive e per gli strati più ricchi della popolazione. Stavolta la
politica neoliberista ebbe esiti visibilmente più fortunati, rispetto a quelli della Thatcher. Reagan
puntò inoltre verso una minimizzazione dei vincoli che frenavano l’iniziativa privata: ma fu una
delusione. Non poteva funzionare a causa dell’aumento contemporaneo della spesa pubblica per
finanziare un grande programma di spese militari. Vi era in fatti in atto il progetto Sid, noto come
“Guerre stellari”, che puntava a creare una protezione totale contro ogni attacco missilistico, e a
rilanciare una nuova corsa al riarmo per costringere l’Urss e un investimento che non era in grado di
sopportare senza creare gravi scompensi economici. Un’altra caratteristica della politica di Reagan
era l’atteggiamento anti-sovietico che si manifestava attraverso la stretta di buoni rapporti con i
paesi avversi all’Urss, come la Cina, Israele, Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Kuwait; i rapporti
erano saldati per mezzo della vendita da parte degli Usa, a tali paesi, degli armamenti necessari a
combattere contro l’Urss.
- ITALIA: In Italia i tentativi di alleggerimento della spesa pubblica registrarono risultati più
precari. Questo perché la spesa pubblica rappresentava la fonte principale del consenso politico
della Dc e dei partiti affiliati. L’incapacità di trovare consenso per altre vie impediva alle forze
politiche di governo di ridurre la spesa, mentre il debito pubblico aumentava sempre di più.
Numerose procure italiane svelavano estesi fenomeni di corruzione in cui erano coinvolti
imprenditori politici di primo piano e quasi tutti i partiti politici. L’inchiesta sulla corruzione,
comunemente indicata come “mani pulite”, in cui si distinse la procura di Milano e qualche
magistrato tra cui Antonio Di Pietro, produsse un vero terremoto politico. Negli stessi anni, gli
slogan antipolitici e secessionisti della Lega Nord di Umberto Bossi facevano dubitare della
capacità dell’Italia di superare la crisi.
- ARGENTINA E BRASILE: In Argentina, nel 1976, in una situazione di gravissima risi
economica, un colpo di stato militare diede il via ad un regime dittatoriale brutale. Ma nel 1983 ci
fu la guerra delle isole Falkland, che portarono la sconfitta del dittatore Vidal e alla vittoria del
presidente civile Alfonsìn. Nel 1989 prevalse Carlos Menem, che portò risultati straordinari di
risanamento economico. L’Argentina si impegnò in una rigorosa politica neoliberista che portò a un
minore tasso di inflazione.
Analogo fu il caso del Brasile. Nel 1985 Sarney varò una politica deflazionistica di ispirazione
neoliberista per riportare sotto controllo il debito pubblico, ma non riuscì ad evitare le proteste
popolari. Fernando Collor de Mello, il nuovo presidente, insistette nella politica neoliberista ma i
risultati furono disastrosi. In ogni caso, il passaggio alla democrazia si poteva dire compiuto.
- GIAPPONE: La posizione di seconda potenza economica mondiale fu per il Giappone frutto della
grande capacità di innovazione tecnologica e dei sistemi di organizzazione del lavoro, ma anche di
forti investimenti nella formazione e nella ricerca scientifica. Tutto ciò garantiva retribuzioni e
consumi assai elevati, ma anche livelli di produttività ignoti in quasi tutto il mondo capitalista.
L’industria automobilistica giapponese divenne la più importante al mondo. L’apprezzamento dello
Yen (moneta nipponica) e i bassi tassi di sconto delle banche, negli anni 80 fecero aumentare
enormemente la domanda di abitazioni e i consumi.
URSS: Nel 1985, nell’Unione sovietica si arrivò alla nomina di Gorbacev. Egli era poco più che
cinquantenne, e dunque era totalmente estraneo all’esperienza staliniana. Ci diede immediatamente
la percezione di una svolta: i suoi obiettivi infatti erano quelli di tirare fuori l’Urss dalle secche
della stagnazione economica, uscire definitivamente dalla guerra fredda, ridurre le spese militari e
concentrare le risorse sulla ripresa del paese. Ciò che voleva Gorbacev, era riallacciare i rapporti
internazionali uscendo dalla corsa verso la superiorità strategica. Il risultato fu un riavvicinamento
agli Stati Uniti: l’Urss accettò la cosiddetta “opzione zero” ed entrambi i paesi decisero lo
smantellamento di tutti i missili a lungo raggio installati in Europa. Gorbacev trovò un interlocutore
importante anche nel papa polacco Giovanni Paolo II (primo papa non italiano dal 1523): il
presidente russo abolì l’ateismo di stato in Unione sovietica, ed ascoltò il papa circa il ruolo della
chiesa nell’estensione della democrazia e del rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa.
Tuttavia, meno fortunata fu la sua politica interna e di innovazione del sistema economico: un
enorme groviglio di problemi mai seriamente affrontati (sistemi di proprietà della terra, rapporto tra
industria pesante e produzione di beni di consumi, i diritti civili, le relazioni delle nazionalità con il
centro, ecc) fu l’oggetto di una politica di troppo cauto riformismo. Gorbacev non si impegnò in
effetti a scogliere questi nodi, bensì puntava a conservare il socialismo reale e mantenere il sistema
di potere su cui si fondava. L’incidente nucleare di Cernobil nel 1986 fu per molti aspetti la
dimostrazione dell’arretratezza tecnologica, dell’inadeguatezza delle procedure, della totale
inefficienza istituzionale che impedì allo stesso governo per giorni di avere informazioni chiare
sull’accaduto.
Nel 1988 si assistette al varo della quinta costituzione sovietica, che come elemento di rinnovo
conteneva un nuovo istituto, il Congresso dei deputati del popolo, che fornì uno spazio di lotta
politica. Una parte del Congresso chiese l’abrogazione della funzione dirigente del Partito
comunista: la richiesta non fu approvata, ma era comunque un fatto clamoroso e degno di nota,
poiché se ne discuteva per la prima volta in un luogo istituzionale sotto le luci della televisione. La
richiesta sarebbe poi stata approvata nel 1990.
- USCITA DALL’URSS: La Polonia fu la prima a liberarsi dal sistema sovietico. Nel 1989 ci fu la
vittoria del primo governo non comunista, e in quello stesso anno il nome di Repubblica popolare di
Polonia fu cambiato in Repubblica di Polonia. Con modalità analoghe, tutta l’Europa orientale si
liberò dall’egemonia comunista tra il 1989 e il 1990. In Ungheria le prime elezioni libere ebbero
luogo proprio nel 1990. Nel 1989 furono aperte le frontiere tra le due Germanie e abbattuto il muro
di Berlino. Non vi erano più ostacoli all’unificazione. In Cecoslovacchia il regime cadde nel 1989, e
nacque una nuova repubblica.
Diverso era il caso del crollo comunista in Bulgaria, Romania, Jugoslavia e Albania. Ovunque, pur
ripristinando un sistema di tolleranza interetnica, non si riuscì ad affrontare la grave crisi
economica. In Romania, il potere autocratico di Ceausescu violava costantemente i diritti umani e
tutta la regione era aggravata da un forte debito estero. Dopo un processo farsa, attuato anche grazie
ad un’inchiesta della commissione dell’Onu, Ceausescu fu condannato a morte e giustiziato insieme
alla moglie. Le prime libere elezioni si tennero nel 1990, anche se non furono in grado di produrre
un governo stabile.
Per quanto riguarda la Jugoslavia, gli avvenimenti del 1989 nei paesi dell’Europa orientale furono
decisivi nello spingere le varie nazioni a liberarsi dai vincoli della federazione jugoslava. Le prime a
separarsi dalla federazione furono la Slovenia e la Croazia; seguirono la Macedonia e poi la BosniaErzegovina. In Bosnia vi era però una minoranza serba che, forte dell’appoggio della Serbia cercò
di sottrarre parti del territorio della nuova repubblica, dando così il via a una guerra civile che si
intrecciava con lo sterminio di massa dei musulmani e alla pulizia etnica. Lettonia, Estonia e
Lituania furono le prime repubbliche, nel 1990, a uscire dall’Unione sovietica; seguirono
Uzbekistan, Moldavia, Ucraina, Bielorussia e via di seguito le repubbliche dell’Asia centrale.
IL PRESENTE COME STORIA:
- LA GLOBALIZZAZIONE: Il crollo dell’Unione sovietica ha reso più evidente un sistema
multilaterale, diverso da quello bipolare o addirittura unipolare di cui si parlava pochi anni prima. Il
multilateralismo consente il progressivo aumento degli interlocutori e la nascita di nuovi spazi e
organismi di diplomazia internazionale, in cui un gran numero di paesi può definire relazioni
commerciali, strategie economiche e di sviluppo. Si tratta quindi di un’apertura al mercato
internazionale e un’integrazione progressiva dei sistemi economici. Nel 1985 nasce il G7, ossia la
riunione dei sette paesi più industrializzati del mondo (Usa, Canada, Giappone, Germania, Francia,
Gran Bretagna e Italia): diventerà poi G8 con la partecipazione della Russia. Si parla poi di un G15,
che raccoglie una serie di paesi in via di sviluppo (tra cui Argentina, Brasile, Egitto, India, Messico,
e alcuni paesi centro africani).
- IN ECONOMIA: Uno dei caratteri fondamentali della globalizzazione è la grande espansione
delle multinazionali, e cioè di aziende che agiscono contemporaneamente in aree territoriali e
mercati molto differenziati. Il mercato del lavoro internazionale, fino alla seconda guerra mondiale,
era definito solo con lo spostamento di masse di lavoratori da zone povere verso aree con sistemi
produttivi più sviluppati. Oggi invece il mercato internazionale del lavoro si manifesta sempre più
frequentemente con la delocalizzazione delle imprese in aree poco sviluppate, in cui la manodopera
è abbondante (i paesi poveri hanno bisogno di lavorare) e poco cara.
Contribuiscono a definire la globalizzazione la crescita straordinaria del commercio internazionale e
gli investimenti esteri, nonché l’integrazione dei mercati finanziari: vi è una forte mobilitazione dei
capitali necessari per realizzare queste attività. Nello stesso tempo, l’informatizzazione delle
procedure ha creato la possibilità di lavorare su scala globale in tempo reale. Il livello della
globalizzazione può essere misurato sull’impato che avvenimento verificatasi in una parte del
mondo hanno avuto in tutto il resto.
Strumenti centrali della globalizzazione economica sono i due organismi definiti nella conferenza di
Bretton Woods, il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca mondiale, e uno più recente,
l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto, 1995). Alla Wto aderiscono 147 stati (tranne la
Russia e la Cina, ma quest’ultima vi aderirà nel 2001 a seguito dell’apertura al capitalismo): è uno
spazio in cui si svolgono negoziati che stabiliscono accordi ratificati dai parlamenti dei singoli stati.
Tuttavia, non esiste una vera e propria equità in termini di mercato: per raggiungerla, bisognerebbe
che i paesi più sviluppati aprissero realmente le loro frontiere al commercio dei prodotti dei paesi
meno sviluppati, come ha cominciato a fare l’Europa, ammettendo la libera circolazione dei
prodotti dei paesi più poveri, fatta eccezione per le armi.
- IL RUOLO DELL’FMI: Il fondo monetario internazionale non è sempre in grado di favorire
l’equilibrio monetario internazionale. Questo perché in qualunque condizione siano i paesi in
difficoltà, il Fmi impone sempre riduzioni degli interventi pubblici, un aumento delle imposte e del
tasso di interesse, la completa fiducia nei meccanismi di mercato. Il Fmi si è dunque orientato verso
un neoliberismo fiducioso nelle capacità del mercato, ma ciò si è rivelato inefficiente: succede che
le politiche imposte dal Fmi ai paesi in crisi, ossia la liberalizzazione dei mercati finanziari, non
solo non hanno ottenuto risultati apprezzabili, ma in alcuni casi si sono dimostrate dannose.
L’UNIONE EUROPEA: Fino agli anni 80 la Comunità europea era ancora un organismo rivolto a
creare migliori opportunità economiche ai suoi partner. L’elaborazione, gidata da Delors, del
cosiddetto “Atto unico europeo” (1985), entrato in vigore nel 1987, fu un passaggio importante
nella vita futura della comunità: il piano definiva il percorso e gli strumenti per raggiungere la
formazione di un vero e proprio mercato integrato, quindi furono dati maggiori poteri al Parlamento
e alla Commissione, fu introdotto per alcune materie il voto a maggioranza qualificata invece del
voto all’unanimità, vi erano riunioni periodiche dei ministri degli Esteri dei paesi membri.
Insomma, la Comunità stava assumendo un ruolo politico più significativo. Fu proprio Delors che
nel 1988 propose l’introduzione di una moneta unica e la fondazione della Banca centrale europea
(Bce). La moneta unica era la via più sicura per ottimizzare le opportunità economiche create dal
mercato unico. Nel 1998 cominciò ad operare la Bce, l’anno successivo furono definiti i cambi tra
l’euro e le altre monete, e il 1° gennaio del 2002 l’euro cominciò a circolare nei principali paesi
europei, tra cui l’Italia.
Nel 1992 venne firmato il trattato di Maastricht, sottoscritto dai 12 paesi della Comunità, entrato in
vigore l’anno successivo. La Comunità europea prendeva ora il nome di “Unione europea”:
l’Unione si proponeva di raggiungere alcuni obiettivi, come il rafforzamento e la convergenza delle
proprie economiche, l’istituzione di un’unione economica e monetaria che comporti una moneta
unica e stabile, una cittadinanza comune, quindi la libera circolazione delle persone, una politica
estera e di sicurezza comune che preveda la definizione di una politica di difesa comune,
rafforzando così l’identità dell’Europea e la sua indipendenza, al fine di promuovere la pace, la
sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo. Il programma guadagnò l’adesione di altri paesi (ad
oggi 27 paesi, che nel 2013 diventeranno 28 con l’entrata della Croazia).
SECESSIONI: La perdita di sovranità degli stati uniti su numerose materie alimenta una serie di
nazionalismi, che si manifestano avanzando pretese di maggiori autonomie, auspicando
l’introduzione di sistemi federali o la completa secessione. Ad esempio, il nazionalismo scozzese,
rappresentato politicamente dal Partito nazionalista scozzese, ha ottenuto un proprio parlamento nel
1999; nel Belgio le rivendicazioni dei due gruppi costitutivi (fiamminghi di lingua olandese e
valloni francofoni) hanno condotto nel 1993 a una nuova costituzione che lo ha trasformato in uno
stato federale composto di tre regioni (Bruxelles, Fiandre e Vallonia); le tendenze separatiste del
Québec di lingua francese nei confronti del Canada anglofono invece non hanno avuto la meglio.
In Austria l’ingresso al governo del Partito liberalnazionale fu molto criticato da parte dell’Ue, in
quanto manifestava atteggiamenti xenofobi e neonazisti. Con caratteri diversi invece si manifestò la
separazione della Cecoslovacchia: questa era nata nel 1918 riunendo le tre regioni di Boemia,
Moravia e Slovacchia, e nel 1992 si separò in Repubblica ceca e Slovacchia. Lotte secessioniste si
combattono anche in Asia, quindi in India, e in Africa.
- LEGA NORD: Non molto lontano dal modello del Partito liberalnazionale era la Lega Nord, nata
in Italia per l’attività di Umberto Bossi che ha per lungo tempo coltivato il progetto di una
secessione della “Padania”, la regione settentrionale del paese, per poi approdare a un meno
eversivo programma federalista e alla partecipazione all’esecutivo in entrambe le esperienze di
governo del Popolo della libertà guidato da Berlusconi. La Lega Nord faceva ricorso a una retorica
che si appellava a un’origine celtica del popolo padano, e a un eroico passato medievale che si
intrecciava con motivi anti-italiani e antimeridionali: la Lega nasce come reazione alla
disgregazione della vecchia classe politica coinvolta in casi di corruzione e di malgoverno che
videro implicati grandi imprenditori, ex ministri ecc.
- SERBIA: Il progetto della “Grande Serbia”, coltivato da Milosevic, cominciò a trovare attuazione
nel 1991 con la deportazione di tutta la popolazione non serba di Slovenia e Krajina. Numerosi i
casi di violenze atroci, uccisioni, e cadaveri seppelliti in fosse comuni. I 14 mila caschi blu inviati
per mantenere la pace custodirono di fatto le conquiste serbe. Il riconoscimento diplomatico da
parte della Comunità europea di Slovenia e Croazia suonò come ammonimento ai serbi. Questi
ultimi erano già pronti alla guerra imminente: il 5 aprile ebbe inizio la guerra tra la Bosnia e i serbi,
che durò 3 anni e mezzo. Anche in questo caso si verificarono massacri di civili, torture, stupri,
espulsioni forzate. Già nel 1992 erano cominciati a nascere in Bosnia i campi di concentramento.
L’orrore investì il mondo occidentale, ma non fu in grado di produrre un’efficace azione per
arrestare il conflitto: la mediazione risultò inutile, e i soldati delle Nazioni Unite inviati in Bosnia
non riuscirono a cambiare la situazione.
Un successivo intervento militare della Nato riuscì a imporre una conferenza di pace (1995). Si
giunse così al riconoscimento della Repubblica della Bosnia-Erzegovina costituita da due entità
statali con propri governi. La Serbia ottenne la separazione dei suoi territori dalla Bosnia, ma rimase
un piccolo stato in cui approdavano criminali di guerra, trafficanti di armi e di droga.
- KOSOVO: L’ultimo atto del conflitto delle nazioni della ex Jugoslavia fu la guerra del Kosovo,
privato nel 1989 della sua autonomia e sottoposto a un processo di serbizzazione. Le prime azioni di
guerriglia antiserba, cominciate nel 1996, suscitarono la risposta del governo di Belgrado,
generando 300 mila profughi kosovari. La conferenza di Rambouillet (Parigi) portò al
riconoscimento dell’autonomia del Kosovo. Il rifiuto dell’accordo da parte dei serbi provocò
l’intervento militare della Nato e i bombardamenti aerei degli obiettivi militari in tutta la
Repubblica federale jugoslava, Kosovo compreso. I bombardamenti misero in ginocchio la
Repubblica federale jugoslava, e obbligarono Milosevic ad accettare il ritiro dell’esercito dal
Kosovo. Ci vorrà ancora del tempo prima di acquisire una nuova convivenza serena tra serbi,
kosovari, bosniaci e croati.
- AFRICA: La situazione africana dagli anni 70 in poi è visibilmente tragica. Gli indici parlano di
un’aspettativa di vita bassissima, e di un aumento demografico assai al di sopra del tasso di crescita
economica. Il tutto in uno scenario di guerre civili in numerosi paesi del continente. La fame, la
violenza, le epidemie uccidevano e continuano a uccidere milioni di persone. Tra il 1981 e il 2001
sono raddoppiate le persone che vivono con meno di 30 dollari al mese; a ciò si aggiunge una
mortalità infantile elevatissima l’esclusione da qualunque tipo di istruzione per oltre 80 milioni di
bambini, una grandissima diffusione dell’Hiv. La convivenza con la guerra ha creato una cultura
della violenza che non sarà facile estirpare.
Ma non solo di atrocità è stata testimone l’Africa dell’ultimo decennio. Va segnalata la forte volontà
di pacificazione della popolazione del Sudafrica uscita dall’apartheid, di cui si è fatto interprete
Nelson Mandela, nominato nel 1994 presidente di un governo di coalizione.
CONFLITTO ISRAELE vs PALESTINA: La restituzione dei territori occupati con le guerre
arabo-israeliane (in cui Israele aveva avuto la meglio ed era riuscita ad allargare i suoi confini),
nonostante la risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite, non è mai stata realizzata dal governo
israeliano. Pronto ad intervenire per reprimere sul nascere qualunque ostilità era lo Shin-Beth, il
servizio di sicurezza israeliano. Nel 1987 tutto ciò diede il via alla “intifada”, ossia alla protesta di
massa da parte dei palestinesi con il lancio di pietre contro la polizia israeliana: fu a tale seguito che
nacque Hamas, un’organizzazione radicale musulmana presente nella Striscia di Gaza, che praticava
il terrorismo ai danni di militari e di civili. Il lancio della Jihad, la guerra santa per la distruzione
dello stato di Israele e la costruzione di uno stato islamico in Palestina, produceva una crescita della
violenza e una nuova fase dello scontro.
La crescita delle violenze costrinse la mobilitazione delle grandi potenze occidentali verso una
soluzione pacifica: l’accordo di Oslo, sottoscritto dalla Casa bianca nel 1993 da Arafat (palestinese)
e Rabin (israeliano), prevedeva il riconoscimento palestinese dell’esistenza dello stato di Israele, e
la creazione di un’entità statale palestinese che avrebbe esercitato la sua autorità su quasi tutta la
striscia di Gaza e sulla città di Gerico. Ma lo scontro non era affatto finito: gli attentati terroristici di
Hamas e la violenza delle forze israeliane non consentirono la pace e resero difficile l’applicazione
degli accordi. Anche questa volta le violenze portarono al nuovo accordo di Washington, che
stabiliva un ulteriore allargamento dell’autonomia palestinese. Ma l’assassinio di Rabin, e la vittoria
del partito di destra, dimostrarono che Israele non si sentiva pronta a dare per buoni gli impegni
palestinesi, congelando così gli accordi.
La vittoria elettorale in Israele, nel 2001, del Likud (partito nazionalista liberale) e la formazione
del governo Sharon coincisero con l’avvio della fase più drammatica del conflitto israelopalestinese. Si alternavano attentati terroristici di Hamas e la risposta dell’esercito israeliano: una
spirale perversa di violenza. Solo la recente morte di Arafat, e l’elezione di Abu Mazen alla
presidenza dell’Autorità palestinese, hanno consentito una riapertura del dialogo e l’inizio del ritiro
israeliano da alcuni insediamenti.
- GUERRA DEL GOLFO: Al 1991 risalgono le vicende dell’Iraq e della cosiddetta “Guerra del
golfo”, mossa da una larga coalizione multinazionale appoggiata dall’Onu e guidata da Usa, UK e
Francia per contrastare l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, condotta da Saddam Hussein. Le
ragioni dell'invasione vanno rintracciate su due livelli: il primo, consistente in una prova di forza
con gli Stati Uniti ed i loro alleati, come conseguenza della ambigua politica mediorientale portata
avanti dal governo di Washington durante e dopo la Guerra Iran-Iraq; il secondo rivendicando
l'appartenenza del Kuwait alla comunità nazionale irachena, sulla scorta del comune passato
ottomano e di una sostanziale identità etnica. L'invasione provocò delle immediate sanzioni da parte
dell'ONU che lanciò un ultimatum, imponendo il ritiro delle truppe irachene. La richiesta non
conseguì risultati e il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della
coalizione, penetrarono in territorio iracheno. Le operazioni di aria e di terra furono chiamate, dalle
forze armate statunitensi, Operation Desert Storm.
DOPO L’11 SETTEMBRE: L’11 Settembre 2001 quattro aerei di linea statunitensi furono dirottati
da altrettanti gruppi di terroristi arabi votati al suicidio. Due di questi si schiantarono contro le Twin
Towers del World Trade Center di Manhattan, provocandone la distruzione totale e la morte di
migliaia di persone. Un altro colpì il Pentagono, mentre il quarto, forse diretto contro la Casa
Bianca, cadde al suolo in seguito a una lotta tra i dirottatori e i passeggeri. “Nulla sarà mai come
prima” era la frase che ritornava più frequentemente tra i media: c’è chi afferma che siamo entrati in
una fase nuova della storia, ma ciò sarà più chiaro nei prossimi anni.
I kamikaze erano tutti arabi legati ad Al Qaeda, la milizia terrorista internazionale nata in
Afghanistan tra i Mujahidin (guerriglieri islamici) che avevano combattuto l’Armata Rossa e il
governo filosovietico. Erano guidati dallo sceicco miliardario Bin Laden, cacciato dall’Arabia
Saudita e accolto proprio in Afghanistan dai talebani, e già accusato dagli Usa di essere il mandante
dei due attentati terroristici del 1989 contro le ambasciate americane in Tanzania e Kenya. Gli Stati
Uniti, sotto la presidenza di George W. Bush, dichiararono guerra ad Al Qaeda, a Bin Laden e al
terrorismo internazionale. Aderirono sotto il comando statunitense gli alleati della Nato, la Russia,
la Cina, il Pakistan (fino a quel momento alleato dei talebani). Il governo di Kabul fu fatto cadere in
breve tempo e con una certa facilità. Più difficile fu vincere la resistenza dei mujahidin asserragliati
nelle montagne.
- GUERRA PREVENTIVA: In questo contesto, l’amministrazione Bush indicò al mondo intero un
altro nemico nell’Iraq di Saddam Hussein, presunto alleato di Al Qaeda e in grado di colpire tutto il
mondo grazie ad armi di distruzione di massa. Questa affermazione poi risultò infondata, ma su
quelle premesse nacque la dottrina della Guerra preventiva, che delegittimava gli organismi
costruiti per risolvere i conflitti con la pace. L’idea di base era che i nuovi nemici, i terroristi, non
possono essere scoraggiati nelle loro iniziative con semplici strumenti di deterrenza: si tratta di
giocare in anticipo, puntando sulla superiorità militare.
- ATTENTATI: La guerra all’Iraq non trovò ostacoli e poté contare sui contingenti militari
provenienti da altri paesi. Cominciata nel 2003, la guerra è dichiarata conclusa da Bush il 1° maggio
dello stesso anno. Ma nonostante la cattura di Saddam alimentò una guerriglia spietata che tutt’oggi
compie numerosi morti tra guerriglieri iracheni laici e fondamentalisti islamici. Gli attentati
terroristici della nuova Jihad non hanno risparmiato nessuno: uno degli attentati più drammatici è
stato quello contro il contingente italiano di distanza a Nassirya avvenuto il 12 novembre del 2003,
che ha fatto 19 morti. I vari gruppi della guerriglia si impegnano in una serie di sequestri di militari:
attraverso le immagini dei sequestrati, legati, bendati, sotto il tiro delle armi di guerriglieri
incappucciati trasmesse da Al Jazira, la guerriglia ottenne un effetto mediatico straordinario.
L’attentato avvenuto in Spagna l’11 marzo del 2004 compiuto da terroristi islamici, costato la morte
a 200 persone, ha convinto l’Occidente che nessuno è più al sicuro. Le conseguenze politiche della
guerra provocarono inoltre non poche lesioni all’interno del mondo occidentale stesso. Alcuni paesi
presero le distanze dalle posizioni statunitensi: tra di essi, Francia, Germania, Russia, Cina, Stati
arabi auspicavano uno sforzo maggiore nella ricerca di una soluzione politica e diplomatica. Questo
creò una rottura all’interno delle forze Nato e del’Unione europea, tra i paesi sopracitati e quelli che
avevano dato un largo sostegno all’iniziativa bellica (come Spagna, Italia, Inghilterra ecc). Questa
spaccatura impedì qualunque iniziativa dell’Ue, condannandola ancora una volta a una sorta di
minorità politica.
- LA MORTE DI BIN LADEN: La guerra inizialmente non riuscì ad assicurare alla giustizia
Osama Bin Laden: dopo essere stato inserito dall'FBI nella lista Most Wanted, Bin Laden rimase in
latitanza durante tre amministrazioni presidenziali statunitensi. Il 2 Maggio 2011, però, nel corso di
un'operazione segreta ordinata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama e portata a
compimento dai Navy SEAL statunitensi e da agenti CIA, lo sceicco viene scovato all'interno di un
complesso residenziale in Pakistan. Poco dopo la sua morte, il corpo di Bin Laden è stato sepolto in
mare. Al-Qaeda ha confermato la sua morte il 6 Maggio 2011, promettendo vendetta.
Riassunti tratti dal sito, ora non più esistente, “http://riassunti-scienzepolitiche.blogspot.com”.
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