Grandi Potenze

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I principali Stati mondiali nella seconda metà dell’Ottocento e la seconda rivoluzione industriale
In Francia nel 1848 era stato eletto tramite suffragio universale Luigi Napoleone a presidente della repubblica.
Si voleva garantire attraverso una repubblica presidenziale un potere esecutivo forte contro i disordini che
eventualmente l’opposizione di sinistra poteva scatenare. Napoleone, invece, mirò fin da subito a consolidare un
suo potere personale: nel 1851 forte dell’appoggio dell’esercito e grazie a due plebisciti popolari cambiò la
costituzione e restaurò l’impero sotto il suo dominio divenendo di fatto Napoleone III.
Il suo impero fu caratterizzato da un particolare modo di governare, definito bonapartismo, basato sulla ricerca
del consenso popolare tramite i plebisciti e l’uso di metodi autoritari e antiliberali. Riuscì ad attirarsi il sostegno
delle masse contadine alleandosi con la Chiesa cattolica e divenendone il costante protettore. Avviò inoltre
un’imponente serie di lavori pubblici e favorì il decollo dell’industria francese che sotto di lui ebbe uno sviluppo
enorme così come tutta l’economia francese.
In campo internazionale mirò a far tornare la Francia ai vertici dell’Europa partecipando alla guerra di Crimea
(1854-56) e alla seconda guerra d’indipendenza italiana, che tuttavia gli attirò più antipatie dai francesi per
l’esito che ebbe che simpatie. Nel 1866 appoggiò la Prussia nella guerra contro l’Austria. In questi anni, viste le
contestazioni che ebbe per la sua politica estera, egli cercò di allargare le basi del suo consenso da parte dei
francesi concedendo spazio a liberali e repubblicani. Tra il 1867 e il 1870 le relazioni tra Prussia e Francia si
fanno sempre più cariche per le velleità espansionistiche della Prussia che, dopo aver ridimensionato il potere
austriaco, puntava ora a fare altrettanto nei confronti dell’egemonia francese. La guerra scoppiò nel 1870
(dispaccio di Ems) e la Prussia travolse con facilità l’esercito francese a Sedan facendo prigioniero lo stesso
Napoleone.
Dopo aver perso la guerra, la Francia si trasformò in repubblica con presidente Adolph Thiers che rimase in
carica fino al 1873, poi sostituito da Patrice Mac Mahon. Nel 1871, però, il popolo di Parigi, ostile al nuovo
governo, insorse e instaurò la Comune di Parigi governata da un consiglio di stampo socialista che avviò
incisive riforme molto progressiste (democrazia diretta, laicità dello Stato, lotta alla povertà e alle disuguaglianze
sociali, suffragio universale, fabbriche gestite direttamente dagli operai, ecc.). Il suo modello di stampo
comunista faceva paura alla borghesia francese e internazionale, però, per cui dopo appena due mesi di vita
l’esperienza venne duramente repressa dall’esercito francese insieme all’esercito prussiano.
Nei primi anni della nuova repubblica vi furono all’interno della Francia molti dissidi fomentati dai monarchici,
che non l’accettavano, così come si svilupparono scontri sociali, scioperi, proteste da parte del mondo operaio,
sempre più organizzato e battagliero grazie al partito socialista in forte crescita. Dal 1879 i repubblicani ebbero
sempre la maggioranza in parlamento fino al 1912 (quando divenne primo ministro il conservatore Raymond
Poincarè). La stabilità che ne derivò permise alla Francia di attuare importanti riforme (garanzia delle libertà
politiche, riduzione della giornata lavorativa a 10 ore, diritto all’organizzazione sindacale, introduzione del
divorzio e del matrimonio civile, istruzione laica e gratuita per le elementari).
L’affermazione dei repubblicani e del parlamentarismo non impedì che si manifestassero ogni tanto tentativi di
sovversione autoritaria, di stampo nazionalista e razzista, delle istituzioni statali, soprattutto con la volontà di
vendicarsi contro i prussiani (revanchismo) per la sconfitta subita. Fu in questo clima che maturò il cosiddetto
affare Dreyfus: costui era un capitano francese ebreo che nel 1894 venne accusato ingiustamente di essere una
spia dei tedeschi, fatto che scatenò nel paese un violento clima antisemita.
La Prussia dopo la vittoria contro l’Austria a Sadowa (1866)1 e la Francia a Sedan (1870) unì tutta l’area
germanica e proclamò l’Impero Tedesco (Secondo Reich), che fu guidato fino al 1890 dal cancelliere Otto von
Bismarck. Egli mirò costantemente a rafforzare l’esercito prussiano e l’autorità dello Stato, sostenuto in questa
politica nazionalista ed espansionistica dalla ricca borghesia tedesca, che premeva per una forte
industrializzazione, e dagli Junker (nobili proprietari terrieri).
Economicamente attuò una politica di stampo protezionistico. Politicamente volle l’affermazione dell’Impero
Tedesco come grande potenza. Internamente attuò una sistematica lotta contro coloro che riteneva nemici dei
tedeschi, ovvero cattolici e socialisti. Contro i cattolici lanciò dal 1871 una battaglia di tipo culturale e laico
(Kulturkampf) abolendo alcuni ordini religiosi, e facendo tenere sotto controllo da parte dello Stato le scuole
cattoliche e la formazione dei sacerdoti. Questa politica però non ebbe successo in quanto non riuscì a
ridimensionare il numero dei cattolici, che anzi aumentarono i loro rappresentanti nel reichstag (parlamento).
Visto il fallimento della kulturkampf, Bismarck abbandonò la politica anticattolica.
Nel 1875 venne fondato la SPD, il Partito Socialdemocratico Tedesco, in quanto il forte sviluppo industriale
del periodo aveva rafforzato notevolmente il movimento operaio e, di conseguenza, le organizzazioni socialiste.
Bismarck per sconfiggere il socialismo adottò il sistema della repressione, limitando la libertà di stampa e
mettendo fuori legge i gruppi socialisti ritenuti più eversivi, e il sistema delle riforme sociali per togliere consenso
ai socialisti e alle richieste che avanzavano: con lui nacque il welfare state (stato sociale) tedesco poiché varò
Questa sconfitta indebolì parecchio l’Austria, ormai ininfluente nell’area tedesca e cacciata da molti dei suoi domini
italiani. Optò quindi di allearsi con l’Ungheria nel 1867 dando vita così all’Impero Austro-Ungarico sotto il comando
di Francesco Giuseppe d’Asburgo.
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leggi che obbligavano all’assicurazione contro le malattie, contro gl’infortuni e contro l’invalidità e la vecchiaia.
Anche in questo caso, comunque, fu un parziale insuccesso perché il socialismo continuò a crescere come
aderenti.
Nel 1888 salì sul trono del Reich Guglielmo II il quale diede alla politica tedesca un nuovo corso avviando una
politica di respiro mondiale (weltpolitik), anche se continuò in una linea di ideologia nazionalista sostenuta dalle
alte sfere dell’esercito. Due anni dopo Bismarck si ritirò.
L’Inghilterra del periodo, detta vittoriana perché retta dalla regina Vittoria (1837-1901), era una nazione
potente economicamente e dove vi era pace sociale, forte sviluppo e stabilità politica, nonostante che si
alternassero periodicamente alla guida del paese i Whigs (progressisti) ed i Tories (conservatori). Gladstone,
progressista, e Disraeli, conservatore, furono i protagonisti della politica inglese fino al 1886. Nel 1885 venne
varata una riforma elettorale che permetteva di votare ad una schiera molto ampia di cittadini. Altre riforme
importanti del periodo furono il riconoscimento delle Trade Unions, l’obbligo scolastico elementare, grandi
aperture verso il mondo operaio per evitare scontri di natura sindacale. Nel 1906 nacque il Partito Laburista
(del lavoro) d’ispirazione socialista, che subito divenne il terzo partito inglese.
Ormai era un impero vastissimo con colonie in tutte le parti del mondo, con la produzione industriale più
sviluppata di tutti, con un tenore di vita dei suoi cittadini molto più elevato della media. Londra era diventata il
centro commerciale e finanziario di riferimento per tutta l’Europa e anche internazionale.
Un grave problema del periodo fu la questione irlandese. L’Irlanda da secoli non accettava volentieri la
dominazione inglese e vi si erano formati due partiti: uno che voleva la totale indipendenza dall’Inghilterra, un
altro più moderato che chiedeva invece l’Home rule, ossia l’autogoverno all’interno del Regno Unito. Alla fine
prevalse questa volontà, che fu accettata dal governo inglese nel 1914, ma durante il Novecento la questione
irlandese continuerà ad agitare la situazione politica inglese perché si formeranno gruppi estremisti terroristici
che rivendicheranno la totale indipendenza con azioni violente e sanguinose.
Gli Stati Uniti conobbero una rapida espansione territoriale, in particolare verso l’ovest (far west) ed un forte
sviluppo economico nella prima metà dell’800. Il nord divenne il polo dello sviluppo industriale con le città più
ricche e la produzione industriale più accentuata. Il suo partito politico di riferimento era il Partito
Repubblicano. Il sud, invece, era ancora prevalentemente agricolo (cotone, tabacco, canna da zucchero) e
latifondista, economia retta dallo sfruttamento dello schiavismo. Il suo partito di riferimento era il Partito
Democratico. Tra nord e sud si svilupparono tensioni sia per contrasti di natura economica, sia soprattutto per
le posizioni antischiaviste del nord. Nel 1861 il sud decise di staccarsi dal nord formando la Confederazione
autonoma del sud: questo fu il motivo scatenante della guerra civile tra Unionisti del nord, e Confederati del
sud che durò fino al 1865 e vide la vittoria dei nordisti, che occuparono militarmente il sud.
Nel 1866 nacque nel sud il Ku Klux Klan con lo scopo di terrorizzare i neri e di non farli partecipare alla vita
politica. In effetti la popolazione nera verrà discriminata ancora a lungo, sia nel sud che nel nord, e solo nella
seconda metà del ‘900 riuscirà ad ottenere una certa parità di diritti con i bianchi.
Con la fine della guerra civile gli Stati Uniti raggiunsero una floridezza economica ingente, che attirò emigrati da
tutto il mondo, ponendoli ai vertici dell’economia internazionale. Nel 1890 arrivarono all’estensione territoriale
attuale, anche se a pagarne il prezzo furono i pellerossa, ovvero le popolazioni indigene che subirono un vero
genocidio.
Anche il Giappone iniziò a svilupparsi come grande potenza nella seconda metà dell’800. In precedenza era
ancora un paese che viveva in totale isolamento, con un’agricoltura di tipo feudale, governato da un imperatore,
considerato un dio, e dagli shogun, che erano governatori militari. Nel 1853 gli Stati Uniti inviarono in Giappone
una flotta per avviare rapporti commerciali col paese. In seguito lo fecero anche altri Stati europei sempre per gli
stessi motivi. La nuova politica commerciale imposta dagli Stati occidentali sconvolse l’economia giapponese,
provocando numerose rivolte contadine e lotte politiche intestine. La situazione fu pacificata dall’imperatore
Mutsuhito, che decise di modernizzare l’economia giapponese, abbandonando il feudalesimo e copiando i
sistemi occidentali, per renderla indipendente dal pericolo colonialista che stava correndo. Fu una rivoluzione
industriale voluta dall’alto con massicci investimenti da parte dello Stato in tecnologia straniera, e
modernizzazione delle strutture politiche, sempre rifacendosi ai sistemi costituzionali occidentali.
Alla fine dell’800 il Giappone era ormai una grande potenza, pronta a competere con l’Occidente sul piano
economico, militare e coloniale.
Il periodo compreso tra 1870 e 1914 è definito Età dell’imperialismo poiché le principali nazioni europee
gareggiarono tra loro per acquisire colonie in tutto il mondo su cui governavano direttamente, oppure che
gestivano come protettorati, cioè tramite governi fedeli. Il colonialismo nacque da motivi culturali, ovvero la
convinzione che la civiltà bianca avesse la missione di civilizzare i popoli meno progrediti, dalla forte mentalità
nazionalista ed espansionistica del periodo, ma soprattutto da motivi economici in quanto la grande depressione
di fine ‘800, ed il protezionismo che causò in tutti i paesi industrializzati, determinarono il bisogno di individuare
nuove aree e mercati a cui vendere prodotti e da cui ricavare materie prime a basso costo.
Africa ed Asia furono le principali aree geografiche colonizzate con metodi militari nel periodo da Inghilterra
(Egitto, Sud Africa, Birmania), Francia (Tunisia, Madagascar, Indocina), Germania (Togo, Camerun) e Italia
(Eritrea-1895-, Somalia-1899-, Libia-1911-). Per darsi delle regole sulla spartizione delle colonie conquistate, nel
1884-85 si svolse la Conferenza di Berlino che sancì il principio dell’occupazione di fatto dei territori africani,
ovvero chi occupava in concreto la colonia aveva diritto a dominarla.
La Cina divenne in questi anni un obiettivo del colonialismo europeo e giapponese, che stava rapidamente
interessandosi alla conquista delle aree del Pacifico, perché avendo un territorio vasto ed una popolazione
numerosa, rappresentava un mercato dalle grandi potenzialità. Già nel 1842 e nel 1860 erano scoppiate due
guerre dell’oppio perché l’Inghilterra pretendeva la vendita libera di tale droga tra i cinesi, mentre questi la
volevano evitare. Nel 1900 la cosiddetta rivolta dei boxer, che era un movimento nazionalistico xenofobo, diede
l’occasione ad una spedizione internazionale di intervenire in Cina per sedarla. Sconfitti i boxer, la Cina fu
costretta a praticare la politica della porta aperta, ovvero a permettere la più ampia penetrazione commerciale
da parte dei paesi colonizzatori.
La gara imperialistica tra gli Stati europei portò ad un sistema di alleanze contrapposte basate su revanchismo,
nazionalismo, volontà di espandersi sempre più. Alla Triplica Alleanza tra Italia, Austria, Germania, nel 1907
si oppose la Triplice Intesa, composta da Inghilterra, Francia, Russia. Il clima politico internazionale cominciò
così a registrare forti tensioni di guerra per l’insanabilità dei contrasti prodotti dalle politiche espansionistiche
aggressive dei diversi imperialismi.
I primi episodi di questa crisi avvennero per la conquista del Marocco nel 1905 e nel 1911, su cui avevano
fissato le loro mire Francia e Germania, che in questi anni attuerà una meticolosa politica di riarmo, e uno
spregiudicato dumping commerciale (vendita sottocosto delle merci) per mettere in crisi l’economia dei suoi
avversari. Alla fine, però, sarà la Francia, con l’aiuto dell’Inghilterra, a fare del Marocco un suo protettorato.
Altra grave crisi si registrerà per le mire espansionistiche sui Balcani, che i Turchi non riuscivano più a
controllare e a tenere sotto il loro governo. Questa crisi sarà alla base della prima guerra mondiale.
Dal 1870 circa prese avvio la seconda rivoluzione industriale caratterizzata da nuove fonti d’energia
(elettricità e petrolio), lo sviluppo di nuovi settori produttivi (chimica, automobili, siderurgia), catena di montaggio
e taylorismo, ricerca scientifica universitaria collegata alla tecnologia, società di massa consumistica.
Fino al 1914 la produzione mondiale quadruplicò, anche se tra il 1873 e il 1896 avvenne la cosiddetta grande
depressione causata dai problemi tipici e periodici del sistema capitalistico, ovvero sovrapproduzione e
sottoconsumo.
Proprio in questi anni, in cui molti Stati instaurarono il protezionismo, il capitalismo mondiale per far fronte alla
crisi ed eliminare quanto più possibile la concorrenza delle aziende più piccole subì quasi ovunque una
metamorfosi diventando monopolistico (il monopolio avviene quando un’unica impresa controlla un settore
produttivo) o oligopolistico (l’oligopolio si ha quando sono poche le industrie che controllano un settore
produttivo). Il capitalismo mondiale divenne anche finanziario perché aumentò l’importanza delle banche che
finanziavano con prestiti lo sviluppo industriale.
Negli stessi anni aumentarono gli operai nelle fabbriche come conseguenza della seconda rivoluzione
industriale, così come le loro rivendicazioni per una vita migliore e garanzie di tipo sindacale. Nel 1864 nacque
l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, nota come Prima Internazionale, che vide al suo interno lo scontro
tra l’ideologia comunista di Marx e quella anarchica di Bakunin (gli anarchici sostenevano che era necessario
abbattere del tutto lo Stato e che lo avrebbero potuto fare i diseredati, cioè il sottoproletariato e i braccianti, non i
proletari, come sosteneva Marx). Le tensioni interne determinarono la fine della Prima Internazionale nel 1876.
La Chiesa Cattolica si dimostrò ostile ai mutamenti sociali che stavano avvenendo grazie alla rivoluzione
industriale; soprattutto con l’enciclica chiamata il Sillabo del 1864 condannò: la morale laica, il liberalismo, il
socialismo e il comunismo, la separazione fra Chiesa e Stato, la libertà di culto, di pensiero e di stampa.
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