Ruolo dei retrovirus - Università degli Studi di Firenze

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RUOLO DEI RETROVIRUS NELLA GENESI DELL’ADENOCARCINOMA
PROSTATICO
Progetto di Ricerca su XMRV, HPV ed MFV
Questo progetto di ricerca vuole affrontare una delle questioni più importanti oggi
in campo oncologico: i meccanismi eziologici nel carcinoma della prostata (CaP).
Questo tumore è certamente il più frequente nei maschi, a fronte di oltre 250000
casi e 30000 morti annualmente, solo negli US. Un paragone appropriato è con il
tumore al seno nella donna, i cui valori di incidenza e mortalità sono assai simili.
Sembrerà oggi strano, ma persino i dettagli anatomici sulla prostata per poter
intervenire chirurgicamente su questo tumore, sono stati acquisiti in tempi
relativamente recenti (ad es. il complesso della vena dorsale, nel ’79 ed il plesso
pelvico che innerva i corpi cavernosi, nell ’82). E’ stato questo lavoro intelligente
del gruppo di Walsh che ha permesso l’introduzione delle prostectomie come
terapia elettiva a partire dagli anni ’90. Ciò può in parte spiegare un certo iato
nello sviluppo della ricerca cellulare e molecolare in questo campo, certo più
rallentata rispetto a quella sui tumori al seno. Si è assistito tuttavia negli
ultimissimi tempi (e si assiste) una specie di renaissance della ricerca su CaP. In
quest’ottica, Silverman ha pazientemente seguito la traccia da lui scoperta nelle
risposte antivirali suscitate da interferone (IFN). L’effettore della risposta IFN è
una RNase, RNASEL, clonata appunto da Silverman: il gene è stato mappato circa
8 anni fa sullo stesso locus della suscettibilità ereditaria al carcinoma della
prostata. Seguendo quello che ci hanno insegnato i grandi maestri della logica da
Wittgenstein a Russel a Goedel: se c’è una risposta antivirale, allora ci dovrebbe
anche essere un virus, giusto? Silverman ed i suoi collaboratori hanno utilizzato
un cosiddetto viro-chip –un sistema microarray sviluppato da Joe DeRisi- per
cercare di pescar su il microbo nascosto. Lo screeing di migliaia di sequenze
(circa 20K) sul microchip ha puntato l’indice su di un virus murino, simile a
quelli della leucemia –studiati per anni come modelli di cancro nell’uomo-: lo
Xentropic Murine Related Virus (XMRV). I dati ottenuti su XMRV hanno però dei
problemi importanti: 1. il virus si riscontra (negli studi positivi) solo in una
frazione (10-40%) di pazienti; 2. è presente in una piccola frazione di cellule; 3.
sopratutto, è stato finora scoperto solo in laboratori situati in US: tutti e 3 i
laboratori che lo hanno studiato in EU hanno finora ottenuto risultati negativi. Il
nostro progetto vuole quindi iniziare, chiarendo il ruolo di XMRV nel CaP. A
questo scopo: a. Standardizzeremo la tecnologia, essendo in contatto con
laboratori sia EU che US; b. Studieremo una coorte di pazienti verosimilmente
diversa –geograficamente, etnicamente e geneticamente- da quella studiata in
Nord Europa (DE); c. Aumenteremo il potere risolutivo per l’identificazione di un
nuovo agente infettivo, facendo crescere in vitro colture di carcinoma prostatico,
sopratutto arricchendole di CSC o cellule staminali del cancro. Si ritiene oggi che
le CSC siano cellule “iniziatrici” del tumore, capaci di generare una progenie che
può differenziare e creare la vera e propria “massa-tumorale”, peraltro spesso
assai eterogenea. Di questa massa, la CSC costituisce una minuscola frazione
(10-3 o anche meno). Cercheremo quindi di isolare o arricchire per CSC, in modo
da aumentare le chances di identificare il virus (o agente infettivo) responsabile
della trasformazione maligna. Uno di noi ha anche studiato un altro virus, che
infetta e trasforma cellule staminali (da tumori pediatrici): chiamato MFV,
potrrebbe essere ribattezzato a causa delle sue proprietà: virus di cellule
staminali (SCV). Analizzeremo quindi biopsie CaP, loro culture o CSC per la
presenza di MFV. Il terzo agente virale che verrà investigato è il Virus della
Papillomatosi Umano (HPV). La sua associazine con il carcinoma della cervice
uterina è certamente una pietra miliare della ricerca sul cancro, coronata dal
conferimento nel 2008 del Nobel a Harald zur Hausen, suo scopritore. Vi sono
tuttavia anche dati che suggeriscono un coinvolgimento di HPV nei tumori
genitali maschili ed il Prof. Bartoletti (UniFI) ha rilevato presenza di HPV anche in
patologie prostatiche. Pertanto, le biopsie di CaP verrano analizzate anche per
presenza di HPV, ando a tipizzare poi i casi positivi. Come per i tumori alla
cervice, l’infezione da HPV potrebbe essere un inziatore tumorale, che abbisogna
poi di molti steps e periodi di anni per arrivare alla carcinogenesi conclamata.
Questo progetto ha numerose ed importanti implicazioni, in quanto potrebbe:
1. trasformare un dato controverso della ricerca in un importante reagente per
valutare il CaP; 2. chiarire meccanismi infiammatori, spesso scatenati da virus
ubiquitari quali gli HPVs, ed il loro ruolo nel CaP e 3. particolarmente nelle CSC,
identificare nuovi meccanismi essenziali di carcinogenesi, permettendo così lo
sviluppo di strategie terapeutiche nuove ed importanti.
Obiettivi finali che il Progetto si propone di raggiungere
Il progetto sarà incentrato sul carcinoma della prostata (CaP), che rappresenta
oggi il carcinoma più frequentemente diagnosticato nei maschi, con oltre 250000
casi quest’anno solo negli USA ed oltre 30000 decessi, quindi la seconda causa di
morte neoplastica dopo il carcinoma polmonare. Il CaP può essere facilmente
paragonato con il tumore solido più frequente nelle donne, cioè il carcinoma
mammario, anche qui seconda causa di morte neoplastica dopo il carcinoma
polmonare: entrambi i tumori hanno importanti correlazioni con la sessualità e
sono
profondamente
legati
a
fattori
ambientali
e
genetici.
Sebbene siano stati fatti importanti progressi nel campo della genetica e della
etiopatologia del carcinoma mammario, è ancora necessario approfondire le
conoscenze sulla patogenesi del CaP, considerando anche la sua elevata
incidenza ( colpisce un uomo su 6).
I fattori più importanti sono 1)età 2)razza/genetica 3)dieta 4) fattori ambientali: in
questo aspetto l’epidemiologia del CaP è simile ad altre forme di tumori umani, in
primis
quello
mammario.
Lo scopo principale del presente progetto sarà centrato sui fattori ambientali, dal
momento che recenti scoperte hanno sottolineato la potenziale importanza degli
agenti infettivi come possibili cause o cofattori del CaP. Verrano esaminati 3
agenti infettivi, nei quali precedenti studi dimostrano potenziali correlazioni con
CaP: 1. il virus XMRV [1], 2. i virus della papillomatosi umana (HPVs) [2]; e 3.
MFV,
un
nuovo
virus
isolato
da
tumori
aggressivi
di
organi
ghiandolari/neuroendocrini [3].
I 3 principali scopi del presente progetto saranno:
Scopo 1. Screening e scoperta in frammenti di CaP di sequenze XMRV mediante
tecnologia PCR per molecule di provirus DNA, RT-PCR per espressione a livello di
RNA e metodiche immunologiche per peptidi virus-specifici e/o per anticorpi
antivirus specifici nel siero dei pazienti.
Scopo 2. Screening epidemiologico per la presenza di sequenze HPV, MFV o
presenza di ulteriori agenti infettivi. L’infezione da HPV è stata ipotizzata come
fattore scatenante o contributivo nell’origine del CaP : il Prof. Bartoletti dell’Unità
dell’Università di Firenze ha recentemente pubblicato interessanti dati sulla
associazione tra CaP e pregresse infezioni HPV [4]. MFV è stato originariamente
isolato da carcinoma pediatrici interessanti tessuti ghiandolari (surrene,
pancreas)
ed
è
associato
ad
instabilità
genetica[3].
Scopo 3. Creazione di culture cellulari primarie, a lungo termine : cellule
staminali neoplastiche coltivate in vitro in aggregati o micro-sfere ( dette anche
sfere neoplastiche o micro-foci) o eventualmente anche linee cellulari.
Come prova di principio culture di prostata normale e/o prostatite verranno
anche infettate/transfettate in vitro con sequenze HPV E6/E7 [5], il gene della
telomerasi hTERT [6], MFV/MFRVs [3].
Quali saranno gli scopi finali del presente progetto, come elencati e spiegati negli
scopi precedenti?
Lo scopo fondamentale è di fare chiarezza sugli aspetti patogenetici del CaP, a
tutt’oggi piuttosto oscuri, confusi o francamente contraddittori.
Ipotizziamo che il presente progetto di ricerca avrà la capacità di discriminare fra
i fattori etiopatogenetici del CaP, ancora molto controversi.
Il primo punto riguarda XMRV ed è discusso nella sezione “stato dell’arte”[7]:
inizialmente scoperto come avanzata conseguenza di precedenti lavori sulla
risposta antivirale dell’interferone, XMRV è stato riscontrato soltanto in laboratori
statunitensi [1] [7] [8] [9] mentre centri europei hanno sinora pubblicato solo
risultati negativi [10][11]. Il presente progetto distinguerà le varie spiegazioni per
tali discrepanze e fondamentalmente 1)testerà le tecnologie impiegate nei
laboratori statunitensi in confronto con quelli europei, anche interagendo e
scambiando materiali con i laboratori stessi in entrambe le collocazioni
geografiche e 2) testerà l’ipotesi che un diverso substrato razziale/genetico possa
essere alla base di tali differenze.
L’aspetto dell’interessamento di HPV nella carcinogenesi è stato dibattuto per
quasi 20 anni [12]. Sebbene molti studi pubblicati fossero negativi per tale
associazione e molti illustri scienziati siano francamente scettici, come Harald zur
Hausen, vincitore del premio Nobel per la scoperta dell’associazione HPVcarcinoma cervicale [2][13] sono state pubblicate anche correlazioni positive.
Recentemente il gruppo del Prof. Bartoletti, saggiando una ampia popolazione di
soggetti maschi giovani con prostatite, ha riscontrato in circa il 25%
l’associazione con HPV. Tali dati verranno estesi ed analizzati anche
epidemiologicamente, poiché potrebbero fornire spunti importanti. La risoluzione
di tale punto appare cruciale per il trattamento di tali pazienti, anche perché nelle
correlazioni positive con HPV finora pubblicate i dati sono molto variabili e
discrepanti
[12][14][15][]16][17][18][19].
Infine verrà testata la presenza di sequenze di MFV nel carcinoma prostatico
mediante tecnologie PCR ed altre tecniche, allo scopo di cercare un virus sinora
associato solo a tumori molto aggressivi e letali [3]. Sia HPV che MFV verranno
impiegati in esperimenti di infezione/transfezione. Verranno anche impiegate
culture di cellule staminali neoplastiche e micro-sfere [20] dal momento che 1)le
cellule con caratteristiche staminali sono bersagli adeguati per la trasformazione
e rappresentano anche un bersaglio ideale per la trasformazione virale in vitro,
dal momento che il virus MFV presenta le caratteristiche di un virus delle cellule
staminali (SCV)[21] 2)possono essere anche presenti nel compartimento stremale,
come indicato da vari gruppi: le cellule stromali fornirebbero le funzioni apocrine
essenziali per la trasformazione maligna e 3)potrebbero esprimere sequenze virali
con frequenze e percentuali maggiori (vedi il precedente esempio di SCV),
permettendo pertanto una più agevole scoperta degli agenti virali/infettivi
interessati.
La scoperta negli ultimi mesi di un nuovo agente infettivo –XMRV- come pure
l’associazione di un agente ben noto –HPV- potrebbero rivoluzionare
l’interpretazione della carcinogenesi prostatica. Quest’ultima potrebbe essere
fortemente correlata ad infezioni (da virus esogeni come HPV o simil-endogeni
come XMRV e MFV), a loro volta correlate nel CaP allo stato ormonale (come le
infezioni XMRV e MFV) ed ai processi di invecchiamento.
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BACKGROUND SCIENTIFICO ---- STATO DELL’ARTE
1. XMRV
La scoperta del virus Murine Xenotropic Related Virus o XMRV è un
bell’esempio di intelligenza scientifica e di ingegno in cui vari rami delle
scienze biologiche hanno interagito fra di loro in una impresa veramente
multidisciplinare [1]. L’impresa è cominciata con la scoperta della risposta
cellulare anti-interferone alla fine degli anni 70. Una delle attività più
importanti indotte dall’IFN è la 2’-5’ sintetasi (Oligo Adenilato Sintetasi o OAS),
scoperta da Ian Kerr nel 1976 ai laboratori di Mill Hill a Londra [2]. La risposta
dell’ IFN dipende dalla 2’-5’ sintetasi, la quale produce oligonucleotidi corti con
questo tipo di legame zucchero-fosfato non convenzionale (2’-5’) [3]. Qual è
l’effetto determinato dai 2’-5’-oligoadenilati? Questo problema fu affrontato da
Robert Silverman, il quale iniziò la sua carriera nel laboratorio di Kerr, quando
quest’ultimo si trasferì alla ICRF nel 1979 [4] (in quel periodo anche uno dei
proponenti del presente progetto di ricerca si trovava alla ICRF, lavorando sui
retrovirus oncogeni). In breve tempo, Silverman caratterizzò una RNase, che
viene fortemente indotta da 2’-5’A: fu chiamata RNASEL, L per latente, perché
è sempre presente, anche nelle cellule non indotte, sebbene a livelli basali [4,
5]. Ritornato alla NIH negli USA, Silverman riuscì a clonare il gene della
RNASEL , valutando una libreria di cDNA mediante una sonda marcata 2-5’A
[6]. RNASEL è l’unica proteina che lega 2’-5’ A e viene da esso attivata. Tale
enzima poi degrada molecole di ssRNA, tipicamente presenti come intermedi
della replicazione in numerosi virus RNA, degradando anche RNA cellulari più
solidi, come rRNA [1, 7] [4]. All’inizio degli anni 90 Silverman ha mappato il
gene RNASEL a livello 1q25, regione che è mutata o deleta nel carcinoma della
mammella [8]. In un editoriale su PNAS nel 1993, Peter Lengyel ha formulato
l’ipotesi che RNASEL sia un gene oncosoppressore,anche perché é un effettore
della attività anti proliferativa dell’ IFN [9]. Tuttavia, solo nel 2002 il gruppo di
Jeffrey Trent ha dimostrato mediante studi di linkage che nelle famiglie con
carcinoma prostatico ereditario (HPC1) il gene per la suscettibilità mappava
sul locus RNASEL [10]. Dopo questa scoperta basilare numerosi studi hanno
confermato tale associazione ed hanno rivelato la presenza di mutazioni o
varianti di tal gene , che alterano la funzione della RNASEL [11, 12]. Una delle
varianti più comuni, presente in circa il 35% della popolazione, è una
mutazione missenso in posizione nt 1385. In questa sede una transizione da G
ad A causa la sintesi di glu invece di arg in posizione 462 (R462Q): la variante
Q è presente fino al 13% dei CaP. Un allele mutante aumenta del 50% il
rischio di CaP, in omozigosi raddoppia tale rischio. L’ allele Q reduce di un
terzo l’attività della RNASEL [13]e si associa a diminuiti livelli di apoptosi. Vari
laboratori hanno anche caratterizzato la ridotta attività anti-virale causata da
tali mutazioni e varianti alleliche [13]. Wang e coll. hanno recentemente
sviluppato un sistema di micro-array “viro-chip” che rivela la maggioranza di
virus degli animali, piante e batteri [14]: Silverman in collaborazione con
Joseph DeRisi, Don Ganem and Eric Klein ha utilizzato il viro-chip in CaP, i
casi omozigoti per R462Q. La prima pubblicazione sul XMRV è apparsa del
dicembre 2006 [15] , la 2° tre mesi dopo su PNAS [16]. In totale, in 9 pazienti
su 86 (10%) vi era un virus xenotropo simile al virus della leucemia dei topi:.
Xenotropic Murine Related Virus (XMRV), per l’omologia nelle sequenze,
sebbene variazioni di queste nei singoli pazienti dimostravano che erano
infezioni successive. E’ interessante notare che fra tutti i pazienti dello studio
originale, 20 presentavano l’alleleR462Q e tra questi 8, pari al 40% risultavano
positivi per XMRV [15]. Lo studio originale dimostrava anche che il virus era
presente nelle cellule stromali del tumore, dato confermato solo in alcuni degli
studi successivi. Il secondo studio su PNAS dimostrava che un clone di XMRV
proveniente da carcinoma prostatico era 1) capace di replicarsi 2) sensibile alla
inibizione da IFN nella linea cellulare DU145, ma resistente nella linea LNcaP (
le linee cellulari DU145 e LNcaP presentano rispettivamente transduzione del
segnale di IFN normale e alterata ), 3) poteva infettare anche cellule di altre
specie, dopo che erano state transfettate con il recettore XRP1 4) I siti di
integrazione per XMRV mappavano in prossimità di tre geni (CREB5, NFATc3
and APPBP2): i primi due sono fattori di trascrizione ed il terzo interagisce con
il recettore androgenico e ne sopprime il segnale di trasduzione [16]. Tali siti
sono pertanto consistenti con un meccanismo denominato carcinogenesi per “
inserzione di promotore”, studiato tempo addietro da uno dei proponenti del
progetto. [17] [18] ).
Dopo queste pubblicazioni Nicole Fischer, coautrice del lavoro originale di
Urisman ritornata in Germania dalla UCSF, pubblicava il suo studio sulla
presenza di sequenze di XMRV su pazienti tedeschi di Amburgo [19].Su 105
pazienti con carcinoma prostatico non familiare solo uno risultava positivo per
questo virus, mentre un altro caso positivo veniva riscontrato in paziente con
ipertrofia prostatica benigna. Uno dei 2 casi era parzialmente deficitario di
RNASEL, essendo eterozigote per la variante R462Q [19]. Ulteriori risultati
negativi sono stati pubblicati nel 2009 dal gruppo tedesco di Bannert a Berlino:
nessuno di 589 campioni di carcinoma prostatico risultava positivo per sequenze
XMRV [20]. Inoltre i sieri di 146 pazienti testati per la presenza di anticorpi contro
XMRV gag and env risultavano ugualmente del tutto negativi [20]. Negli stessi
mesi di settembre-ottobre 2009 altri ricercatori di New York confermavano su
PNAS i dati originali di associazione tra carcinoma prostatico e XMRV [21] in un
lavoro in cui : 1) scoprivano l’espressione della proteina XMRV nel 23% dei
carcinomi prostatici (solo nel 6% a livello del DNA) ; 2) trovavano casi positivi nei
tumori più aggressivi(Gleason score > 6); 3) la presenza di XMRV veniva scoperta
a livello delle proteine con immunoistochimica non solo nelle cellule
stromali(come nel lavoro originale di Urisman)ma anche epiteliali ( cioè
carcinomatose), 4) La positività per XMRV era indipendente dallo stato di
RNASEL, suggerendo pertanto una popolazione molto più ampia a rischio per
questa infezione virale [21].
Sempre nell’ottobre 2009 veniva pubblicato uno studio su Science che rivelava la
presenza di XMRV in una percentuale sorprendentemente alta ( 68/101 = 67%) di
pazienti affetti da sindrome di stanchezza cronica (CFS), paragonati al 3,7% dei
controlli[22]. Ricerche del Whittemore Institute di Reno, NV, e del NCI hanno
rivelato che il virus presenta una infettività sia associata a cellule (di tipo
B/T/PBMC ) che senza cellule (plasma di pazienti con CFS) [22]. Comunque,
anche in considerazione di precedenti associazioni della CFS con diversi virus
(EBV, HHV-6, HHV-8 etc.), che erano in realtà state falsificate, questi dati sono
stati accolti con notevole scetticismo [23] [24]. Recentemente sono stati pubblicati
tre studi di gruppi europei, che non hanno dimostrato casi di pazienti con CFS
positivi per XMRV [25] [26] [27].
L’ultimo lavoro di questa “saga” è comparso su Urology nell’aprile 2010 : il gruppo
della Emory University usando un saggio immunologico sensibile per la presenza
di anticorpi contro XMRV (basato su test per HIV) ha dimostrato che 11/40 (27%)
pazienti affetti da carcinoma prostatico erano positivi per XMRV[28]. Tale saggio
immunologico presentava una correlazione totale con altri due test per acidi
nucleici virali, cioè la nested PCR e la FISH. Vi erano delle cellule positive anche
nel compartimento stromale, come nello studio originale di Urisman.
2. HPVs
La storia del coinvolgimento di HPV nel carcinoma umano è ormai datata attorno
al 19° secolo quando il medico italiano Rigoni Stern osservò nell'area veronese
che suore e vergini raramente sviluppavano carcinoma della cervice uterina, che
risultava al contrario più frequente nelle donne sposate, nelle vedove e nelle
prostitute [29] . Rigoni Stern concluse in sostanza uno dei primi studi
epidemiologici dove si evidenziava che il tumore cervicale era probabilmente
correlabile ad un agente patogeno sessualmente trasmesso. Sono stati necessari
altri 150 anni per trasformare le teorie di Rigoni Stern in documento scientifico
dove si evidenziava una correlazione biologica e molecolare fra l'infezione da HPV
e il carcinoma cervicale. La prima evidenza del virus dai condilomi fu individuata
dall'italiano Sanarelli, che lavorava a Montevideo, dal momento che Ciuffo,
sempre in Italia, poteva documentare la natura virale dell'agente patogeno [29]. Il
lavoro di Shope e Rous (vincitori del premio Nobel per la scoperta di un altro virus
oncogeno, l'RSV:
http://nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/1966/rous-lecture.html))
divenne inoltre strumentale per definire l'oncogenicità di HPV. Tuttavia solo negli
anni '70 si è verificato un rinnovato interesse verso HPV e sono iniziate nuove
ricerche: Zur Hausen fu uno dei primi ad utilizzare la biologia molecolare allo
scopo di individuarne differenze e variabilità, dimostrando peraltro che la sonda
utilizzata per le verruche cutanee non reagivano con il virus derivato dal
carcinoma cervicale [29]. Particelle virali furono inoltre dimostrate nelle cellule in
coilocitosi da Della Torre e collaboratori [30] e Hills e collaboratori [31].
Negli anni '80, con l'avvento di sonde molecolari più specifiche, vennero
pubblicate le prime sequenze virali: questi virus avevano genomi relativamente
piccoli e potevano essere sequenziati anche attraverso tecnologie non troppo
evolute.La positività delle sonde per HPV fu inizialmente documentata da
Gissman e coll. studiando pochi casi di condilomi acuminati [32]. Gissman,
appartenente al gruppo di lavoro di zur Hausen, clonò per la prima volta HPV-11
[33] e usando questo come sonda, documentò la presenza di una cross- reattività
virale con il carcinoma cervicale: questo fu denominato successivamente HPV-16
[34]. Successivamente un secondo virus fu isolato dallo stesso gruppo: HPV 18
[35]. La maggior parte di questi lavori scientifici sono stati pubblicati all'inizio
degi anni '80: da allora, un interesse crescente della comunità scientifica, ha
focalizzato la combinazione fra HPV e carcinoma cervicale. Senza ricordare tutti i
passaggi in un articolo di revisione, è sufficiente ricordare che : 1) dalla fine degli
anni '80 è stato confermato che HPV è integrato nel genoma delle cellule di
carcinoma cervicale [36]. 2) negli stessi anni, l'interazione fra proteine "early" E6
ed E7 è stata ipotizzata nell'evento trasformante. Negli anni '90 è stato chiarito
che ambedue le proteine interagiscono con i regolatori cellulari essenziali del
TSG: E6 con p53 [37] ed E7 con pRB [38]. 3) Negli stessi anni è stato
documentato il potere oncogeno di queste proteine attraverso la creazione di
animali transgenici [39] [40]. 4) gli studi epidemiologici di Munoz degli anni '90
hanno confermato che HPV 16 e 18 e pochi altri costituiscono un fattore di
rischio tremendo per lo sviluppo del carcinoma cervicale, dal momento che oltre il
95% delle donne diagnosticate hanno positività per questi virus [41] [42]. 5) Altri
studi confirmatori di queste ipotesi sono stati effettuati con metodiche
sierologiche negli anni '90 e negli anni più recenti attraverso la creazione di
vaccini sviluppati da Doug Lowy e dal suo gruppo ed hanno dimostrato
l'induzione della protezione verso il cancro [43] [44].
Nonostante diversi autori incluso Harald zur Hausen, vincitore del premio Nobel
2008, non considerino HPV quale elemento determinante della comprensione del
carcinoma maschile della prostata (relegato dallo stesso autore ad appena il 10%
dei casi femminili [45]), recentemente si è sviluppato un nuovo interesse verso il
possibile ruolo dell'infezione da HPV nel maschio. Il gruppo del Prof. Bartoletti ha
recentemente presentato dati interessanti riguardanti pazienti affetti da patologia
infiammatoria prostatica ed ipertrofia prostatica benigna nei quali è stata
individuata la presenza del virus in oltre il 25% dei casi [46]. Si pone quindi
l'accento sulla possibilità di individuare l'uomo non solo come un veicolo di
malattia, bensì anche come un vero e proprio bersaglio finale, con possibile
sviluppo di patologia neoplastica. Sono infatti ormai acquisiti dati interessanti
sulle potenzialità oncogene di HPV anche nel maschio in particolare per le
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Articolazione del Progetto e tempi di realizzazione:
Questo progetto potrà congiungere e sviluppare al meglio le potenzialità e le
expertise di due gruppi di ricerca: UniPI e UniFI. Come indicato nei Progetti B
delle singole Unità, ciascun gruppo si focalizzerà sulla presenza di potenziali
agenti infettivi nel carcinoma della prostata (e patologie associate, quali le
prostatiti, la BPH, etc) con un approccio in gran parte complementare. Una
differenza nel focus principale delle ricerche sarà costituita dall’interesse precipuo
del gruppo del prof. Selli/Rovigatti per un nuovo retrovirus xenotropico, chiamato
XMRV [1] e per un ulteriore virus ad RNA, chiamato MFV (un virus dsRNA), che è
stato descritto e studiato in precedenza dal Prof. Rovigatti [2]. Tuttavia questo
gruppo aiuterà anche il gruppo dell’UniFI (Prof. Carini e Prof. Bartoletti) per la
tipizzazione di alcuni ceppi di HPV, generalmente grazie al loro sequenziamento.
D’altro canto, le Unità del prof Carini e del Prof Bartoletti si focalizzeranno
principalmente sull’epidemiologia del virus HPV, vista anche la loro notevole
esperienza in questo campo e l’interessante casistica che hanno accumulato negli
ultimissimi anni.
Si fa qui una premessa sull’acquisizione del materiale bioptico, in accordo con le
linee guida che sono state elaborate dai chirurghi dell’UniFI e UniPI:
PREMESSA PER LA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI ISTOLOGICI
Gli aspetti sovra citati verranno valutati analizzando un notevole numero di
biopsie ottenute da prostatectomie radicali: prevediamo di poter analizzare tra 30
e 50 carcinomi prostatici nel corso del primo anno di ricerca fra i reparti urologici
di Pisa e Firenze.
Durante l’intervento di prostatectomia radicale, non appena rimossa la prostata,
verrà incisa in senso coronale dal lato positivo alla biopsia o in cui si palpa il
carcinoma, e verrà escisso un blocco di tessuto di 5 x 5 x5 mm.La capsula
prostatica verrà quindi risuturata e l’intero organo inviato per esame istologico
convenzionale. Nel blocchetto escisso, cica 1/3 verrà inviato per esame istologico
convenzionale (lesione speculare) per confermare la presenza ed il grado del
carcinoma prostatico, mentre il resto verrà impiegato per culture cellulari,
estrazione di acidi nucleici (DNA/RNA) ed immunoistochimica.
Dai pezzi chirurgici verranno ottenute delle culture cellulari primarie per le
seguenti ragioni: a) per ottenere materiale vitale in cui valutare la presenza di
XMRV b)per mantenere in cultura espianti neoplastici in cui determinare la
presenza di cellule con markers o potenzialità staminali (vedi punto 2) c) allo
scopo di valutare del materiale biologico per la possibile presenza di ulteriori virus
come HPV e MFV (vedi punti 3 e 4).
I. Il primo punto costituirà la parte fondamentale del progetto ed è stato
estesamente documentato , per le basi scientifiche e gli ulteriori sviluppi sino ad
oggi nella sezione “stato dell’arte”. Abbiamo precedentemente sottolineato nei
presupposti scientifici I problemi correlate alla rilevazione del virus XMRV nel
carcinoma prostatico, particolarmente il fatto che, sebbene la scoperta iniziale sia
stata ripetuta in altri laboratori, tutti e 4 sono situati negli Stati (Cleveland, San
Francisco, New York, Atlanta) [3]. In Europa sinora i tentativi di riprodurre tale
rilevazione hanno fallito, sebbene uno dei gruppi [4]sia coordinato da uno degli
autori della pubblicazione (Urisman et al. [5]). La discrepanza in questo caso
risulta così evidente e marcata (nel lavoro del gruppo di Berlino di Hohn et al. non
si riscontrava nessun vaso positivo su 589!) che si richiede una spiegazione
scientifica [6]. La spiegazione razionale proposta sinora è duplice:
A. Problemi tecnologici: in Europa i due gruppi tedeschi potrebbero avere una
bassa sensibilità negli assays (sebbene entrambi sembrino avere eccellenti
controlli interni, sia negativi che positivi). Cercheremo di chiarire questo aspetto
in vari modi, utilizzando controlli diversi, impiegando la tecnologia Virochip (non
utilizzata dai gruppi tedeschi) [7] ed anche possibilmente effettuando gli
esperimenti con il gruppo originale (sono stati già presi contatti).
B. Il secondo punto molto importante, discusso anche nei due lavori di Nicole
Fischer ed Oliver Hohn, riguarda una possibile diversa origine etnica dei pazienti
nei due gruppi di studi, cioè statunitensi ed europei. Comunque in entrambi la
maggioranza dei pazienti appariva di razza caucasica. L’unica differenza
apparente riguarda la frequenza dell’allele QQ per RNASEL, poichè lo studio della
Fischer dimostra una frequenza < 6%, mentre nei precedenti studi statunitensi il
valore era (11%-17%). Nello studio di Hohn non viene riportata la frequenza di
tale allele. Un modo di razionalizzare questi risultati in termine di variazioni
geografiche o etniche è di ipotizzare maggiori differenze nella frequenza delle
infezioni da XMRV. Differenze simili sono state riscontrate: 1. per HCVnella
popolazione italiana (molto più alta nel sud, vicina al 30%, mentre nel nord Italia
la prevalenza è 1-2% [8] [9]), 2. per EBV che è endemico in Africa centrale e le
infezioni si verificano nei primi anni di vita (qui è anche associate con una forma
particolare di linfoma di Burkitt e 100% di questi casi sono EBV+), mentre nei
paesi occidentali l’infezione si verifica solo negli adolescenti (malattia del bacio) e
risulta associata al linfoma di Burkitt solo nel 10-15% dei casi [10] 3. per HPV,
che dimostra ampie variazioni in diverse aree geografiche sia in termini di
incidenza che di specifici genotipi associati con la carcinogenesi [11].
1.1 Identificazione di XMRV grazie a tecnologia PCR
1.2 Sequenziamento di frammenti XMRV per caratterizzazione/comparazione
1.3 Genotipo del gene RNASEL e dei suoi alleli
1.4 DIRETTA COLLABORAZIONE PER QUEL CHE RIGUARDA LA PRESENZA DI
XMRV IN CaP ED IN CFS.
In questa fase, la presenza di XMRV –che è stato principalmente studiato
dall’Unità di Pisa- verrà anche anaizzato da UniFI in biopsie ottenute da:
a. tessuto prostatico normale, prostatiti, BPH e carcinoma prostatico. Il dettaglio
delle condizioni per le reazioni PCR, procedure di estrazione di DNA/RNA,
sequenze di primers/amplimers sono ormai note in modo dettagliato.
b. XMRV verrà anche analizzato in pazienti affetti da Sindrome da Fatica Cronica.
Come descritto nella Premessa Scientifica, questo dato riportato in letteratura
negli ultimi mesi è piuttosto controverso [12] [13] [14]. Inoltre, in questa parte del
progetto interagiremo con il Dott. Andrea Piccin dell’Azienda Ospedaliera di
Bolzano, per ottenere appunto materiale biottico (sangue periferico, previo firma
documento di consenso etico) sia da pazienti affetti da SFC che da controlli. Il DR.
Piccin eseguirà anche estrazioni e caratterizazioni preliminari di DNA/RNA.
II. II.A Malgrado il fatto che cellule embrionali neoplastiche siano state
prospettivamente identificate in passato, coltivarle dal carcinoma prostatico
risulta difficile, prima di tutto perchè costuiscono una piccola frazione (meno
dell’1%) e poi perchè le cellule neoplastiche primarie della prostata presentano
una vita limitata a circa 30 divisioni (anche a seconda dell’età del paziente). E’
stato infatti recentemente dimostrato che le culture di cellule prostatiche
mantengono la loro proliferazione/differenziazione gerarchica, e che le popolazioni
laterali, che costituiscono circa l’1% dell’epitelio prostatico, esprimono marcatori
come CD133. I campioni tissutali ottenuti da prostatectomia saranno trattati nel
modo seguente (vedi sezione precedente sulle modalità di prelievo): un
trattamento iniziale con collagenasi libererà le varie strutture (organoidi,
ghiandole microscopiche, dotti, single cellule) e queste ultime verranno separate
dalle cellule stromali mediante centrifugazione (trattamenti purificativi ripetuti)).
La metodica proposta è diversa da altre pubblicate nel senso che verrà raccolta e
coltivata anche la componente mesenchimale (cellule stromali): in realtà la
maggior parte degli studi pubblicati su XMRV hanno rivelato la presenza del virus
nella componente stromale.
II B. ULTERIORI ESPERIMENTI IN DIRETTA COLLABORAZIONE FRA LE UNITA’
OPERATIVE PER EVIDENZIARE UN EFFETTO TRASFORMANTE DI HPV IN
BIOPSIE ( prostatiti, BPHs e carcinoma prostatico).
Colture cellulari verranno iniziate grazie a dissezione e disintegrazione meccanica
in condizioni di completa sterilità. Si effettuerà una digestione enzimatica con
collagenasi e tripsina/EDTA. Piccoli frammenti di tessuto verranno posti in
pistrine Petri ricoperte di collagenasi di tipo-1 (BD, Boston, MA) in presenza di
terreno di crescita: si attenderà che aderscano al substrato, cioè il fondo delle
piastrine, per una settimana. Le cellule verranno poi fatte crescere in un
incubatore umidificato con 5% CO2 a temperatura di 37° C, fino aquando non
raggiungano la semiconfluenza. Aliquote di queste cellule verranno congelate in
azoto liquido fino a quando non si possano ristabilire colture secondarie per
ulteriori passaggi successivi. Per passaggi seriali, il protocollo di routine sarà
quello di una tripsinizzazione alla settimana su piastrine trattate con collagene ad
una densità di divisione di 1:2. Per la crescita delle cellule, verrà utilizzato il
terreno per keratinociti privo di siero e supplementato con estratto pituitario
bovino e con l’aggiunta di fattore di crescita ricombinante (Life Technology,
Gaithersburg, MD, USA). Al quarto passaggio, trasfetteremo le cellule o 1) con un
retrovirus ricombinante: LXSN16E6E7, che codifica sia per le proteine E6 ed E7
del virus oncogeno HPV-16 che per il gene di resistenza NEO: neomicina
fosforibosiltransferasi. Abbiamo ottenuto questo costrutto come donazione da
parte di Denise Galloway del Fred Hutchison Cancer Center in Seattle (WA, USA)
[15] [16]. Utilizzeremo per le trasfezioni –alternativamente- un costrutto
ricombinante: LXSN-hTERT (from Vimla Band, Ph.D., New England Medical
Center, Boston, MA) che contiene il gene per l’enzima telomerasi hTERT ed un
gene che conferisce resistenza alla neomicina (vedi sopra) [17]. Molto brevemente,
le cellule verranno trasfettate medianmte polibrene ad una concentrazione di 10
ug/ml ed incubate ON a 37° C in atmosfera 5% Co2. Cellule trasfettate/infettate
verranno poi laavte con PBS sterile, incubate e passate in coltura per ulteriori
passaggi seriali: si applicherà la selezione con G418 (i.e., per neimicina) solo se si
evidenzi la necessità: infatti la maggior parte delle colture non trattate va già in
senescenza al 5° passaggio ovvero ai passaggi immediatamente successivi. Le
colture ovvero linee cellulari che siano state immortalizzate verranno testate per
svariati parametri, inclusa la tumorigenicità nel topo nudo [17] .
III. La questione della presenza e della patogenicità di HPV nell’apparato
riproduttivo maschile è già stata posta in anni recenti, particolarmente grazie agli
studi fondamentali del Prof. Bartoletti. A questo riguardo forniremo supporto
tecnico di biologia molecolare e cellulare. Il riscontro di HPV nello sperma è stato
recentemente documentato dal gruppo di Bartoletti [18], ed un futuro Consensus
Meeting –in cui egli è uno degli esperti- determinerà l’impatto generale delle
infezioni da HPV nella popolazione maschile umana ( www.consensushpv.eu ). In
esperimenti pilota ci proponiamo di valutare tessuto neoplastico prostatico
mediante reazione PCR con primers specifici, nonchè con il kit Hybrid-Capture-2
(Digene Corporation, Gaithesburg, Maryland), allo scopo di determinare
l’eventuale presenza di HPV e di determinarne il sottotipo.
Un altro virus completamente diverso è stato scoperto da un componente di
questa unità in tumori ghiandolari (neuroblastoma del surrene e carcinoma
pancreatico) [2]. Tale virus determina la presenza di piccolissimi foci di cellule
trasformate in senso maligno ed è stato chiamato Micro-Foci Inducing Virus
(MFV) [19]. In una tipica infezione di cellule mesenchimali differenziat, MFV
causa apoptosi della maggioranza delle cellule, risparmiando solo rari elementi
con caratteristiche staminali: in culture di neuroblasti le cellule che sopravvivono
al forte effetto apoptotico del virus vengono anche trasformate in senso maligno,
fenomeno probabilmente associato ad una forte instabilità genetica associata
all’infezione con MFV [20]. Le cellule trasformate presentano riarrangiamenti
aberranti del DNA gnomico, come amplificazioni MYCN e delezioni nella regione
del cromosoma 1p, e sono tipicamente associate con marcatori di cellule
staminali. Per tutte queste ragioni MFV è stato anche chiamato Stem Cell Virus
or SCV [20]. Allo scopo di rivelare MFV in campioni di carcinoma prostatico, ci
proponiamo di utilizzare primers specifici in una reazione RT-PCR ed anche in un
assay biologico (Micro-Focus formation assay)come precedentemente descritto [2,
20] In casi in cui vi sia dimostrazione di alti titoli virali potrà anche essere
impiegata la microscopia elettronica.
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RISULTATI ATTESI
Questo progetto di ricerca può costituire un vero e proprio landmark nella
comprensione dei processi di base in Oncologia Urologia sia in Italia che a livello
internazionale. Le conseguenze di tali rilievi saranno inoltre estensibili ben oltre il
carcinoma prostatico, dal momento che i virus focalizzati nella nostra ricerca,
potrebbero essere implicai nella genesi di altre neoplasie e di altre patologie
umane in generale. In questa discussione, semplicemente per una questione di
organizzazione e di logica divisione dei temi, riferirò sui risultati attesi e le
conseguenze nelle quattro differenti aree considerate nel progetto:
1) XRMV nel carcinoma prostatico
2) cellule staminali di carcinoma prostatico e culture in vitro
3) HPV nel carcinoma prostatico
4) MFV nel carcinoma prostatico
XMRV nel carcinoma prostatico
XMRV è probabilmente il tema principale o meglio la “scintilla” dal quale prende
combustione l’intera idea del progetto. E’ importante tenere in mente l’intero
processo di scoperta che ha condotto al riscontro di questo virus. Questo
processo è descritto in modo estensivo nel Background scientifico/ Stato dell’Arte
dove è stato enfatizzato il lavoro o meglio il “viaggio” di Robert Silverman:
partendo dal lavoro sulla risposta all’Interferone alla fine degli anni ’70, e l’OAS
scoperto da Ian Kerr, Silverman isolò RNA SEL , l’effettore di detta risposta e
hanni dopo dimostrò le mappe dell’RNASEL su uno dei loci di suscettibilità per il
carcinoma pancreatico umano familiare o ereditario.(HPC1). Il prossimo passo fu
stimolato dalla disponibilità di un viro-chip, uno strumento di micro-array nel
quale il giovane e brillante scienziato Joseph De Risi individuò la maggior parte
delle sequenze da agenti infettivi da animali, pinate batteri fino ad oggi
conosciuti. Senza sminuire l’importanza del viro-chip è sufficiente dire che
rappresenta uno strumento di ricerca, una manifattura o artefatto capace di
individuare che cosa è stato scritto su quel particolare vetrino di microscopio.
Approssimativamente da circa tre anni, all’inizio del 2007 (il primo lavoro in PloS
è datato dicembre 2009), i reperti di questo nuovo retrovirus xenotropo murino
capace di infettare l’homo sapiens, ha occupato le prime pagine delle riviste
scientifiche e non, è stato discusso in dozzine di congressi scientifici, ritrovato in
una delle patologie umane più rilevanti quali la Sindrome da Affaticamento
Cronico (CFS) e, cosa più importante, riprodotto in numerosi articoli scientifici
indipendenti. Due gruppi indipendenti appunto (i reperti iniziali erano stati
presentati rispettivamente dai laboratori De Risi, Ganem e Silverman con base in
S:Francisco (UCSF) e Cleveland (CC) ) hanno confermato i reperti su XMRV: uno
studio di Schlaberg e coll. della Columbia University di New York pubblicato su
PNAS e l’altro di Arnold e coll. Della Emory University di Atlanta Georgia.
Nonostante ciò questi reperti non sono stati confermati da tre studi europei, due
dei quali pubblicati su riviste classificate da Pubmed, mentre la terza,
dall’Irlanda, è stata presentata solo in occasione di Congressi scientifici. Le due
pubblicazioni negative provengono dalla Germania: nella prima il gruppo di Nicole
Fisher ha individuato solo due casipositivi su 105 pazienti: solo in uno di essi
venne diagnosticato il carcinoma prostatico, mentre nell’altro solo iperplasia
prostatica benigna. Nel secondo studioHohn e coll. Da Berlino, non trovarono casi
positivi per XMRV su 589 soggetti studiati. Entrambi i gruppi avevano usato un
ottimo controllo interno (pos/neg), ma Fisher in particolare fu uno dei primi
autori nel lavoro originale di Urisman e coll. (aveva un posto di dottorato a
S.Francisco a quell’epoca): è molto difficile credere che lei avesse usato condizioni
diverse da quelle usate nel lavoro originale che aveva condotto a risultati positivi e
stimolanti. Al di là di tutto, il riscontro di risultati contraddittori da Stati Uniti ed
Europa hanno importanti implicazioni, prima di tutto per i pazienti e per le loro
famiglie: queste implicazioni devono essere risolte immediatamente. In altre
parole è giusto nutrire grande speranza per qualcosa che potrebbe non condurre
da qualche parte? Alternativamente il gran rifiuto degli scienziati Europei
potrebbe privare i pazienti e la ricerca scientifica di un importante strumento per
combattere il più importante (ed i numeri della diagnosi lo dimostrano) cancro
dell’uomo? Certamente la situazione può ricordare un rifiuto simile fatto da uno
scienziato tedesco (il mio vecchio amico Peter Duesberg [1] che lavora a Berkeley
negli Stati Uniti) sulla possibile causa virale dell’AIDS: l’HIV. Porta alla mente i
recenti premi Nobel del 2008 per scoperte sui Virus nella genesi dei carcinomi
umani e sull’AIDS: un premio totalmente dedicato a scienziati europei e nessun
scienziato statunitense. Devo dire che tutta la politica della scienza (richiamo a
“L’arte e la politica della scienza” di Harold Varmus pubblicato da Norton e
Company 2009) non mi interessa molto: ciò che ci dovrebbe interessare è
l’interesse per i pazienti e per le loro famiglie: l’XMRV è importante per le loro
malattie
o
no?.
Questo
progetto
risponderà
a
questa
domanda.
Come menzionato, rispondere a questa domanda avrà implicazioni profonde per
la salute in generale: non è chiaro come avviene la trasmissione del virus XMRV
ma le evidenze suggeriscono una diffusione attraverso il sangue ed il plasma. Se
questo è vero e con l’esempio importante del CFS in mente (che è studiato solo
marginalmente in questo progetto, vedi sezione 12) le implicazioni saranno
estremamente importanti nella medicina trasfusionale e nei trapianti d’organo.
Cellule staminali prostatiche e culture in vitro.
Le culture in vitro, principalmente da carcinoma prostatico ma anche da
prostatite e da IPB, costituiranno una parte importante del progetto, anche
perché strettamente connesso al riscontro di patologia virale nella prostata. Quali
saranno i risultati previsti ed il loro impatto potenziale? Che una cellula
staminale da carcinoma prostatico esiste è già stato dimostrato da diversi studi
che dimostrano che le cellule nel compartimento CD-133+, CD-44+ sembrano
avere aspetti caratteristici di cellule staminali da cancro, nonostante non esista
l’accordo sul reale CSC. Il nostro progetto non desidera risolvere il problema del
CSC nel carcinoma prostatico. Al contrario vuole impiegare la conoscenza e
l’esperienza CSC per arricchire i bersagli della carcinogenesi e dell’infezione
virale. In altre parole, tutti i modelli di carcinogenesi virale predicono che il
bersaglio da colpire acquisirà una vita illimitata così come svariate capacità di
differenziazione: queste sono anche le caratteristiche del CSC. Per il carcinoma
prostatico, i due modelli più accettati/dibattuti per l’oncogenesi virale sono (per
mancanza di spazio nonn posso distinguere qui tutti i modelli possibili, circa 5 o
6, della carcinogenesi virale) : 1. Un modello “promozione-inserimento-generale” e
2. Un modello “autocrino” e le sue varianti.
Nel modello “promozione-inserimento-generale” (uno dei proponenti di questo
progetto ha partecipato al lavoro originale sulla promozione-inserimento di
W.Hayward e S.Astrin [2,3]) si prevede che un menoma virale, integrandosi vicino
ad un gene essenziale del menoma cellulare, induca gli eventi genetici causa della
trasformazione verso il cancro, mentre nel modello “apocrifo”, la trasformazione di
cellule mesenchimali/stremali è rilevante o essenziale per stimolare la crescita
carcinomatosa delle cellule epiteliali. Le evidenze sviluppate per l’infezione da
XMRV – con riferimento a quanto indicato nel punto 1 - hanno dimostrato che
questo virus probabilmente agisce come promotore dal momento che è stato
riscontrato attraverso la clonazione e sequenziamento vicino a due fattori di
trascrizione ed una proteina coinvolta nel segnale di transduzione del recettore
per gli androgeni ( per favore, vedere lo Stato dell’Arte e [4]). Nonostante ciò il
modello apocrino potrebbe essere anche considerato attraverso la valutazione di
dati che dimostrano che solo le cellule stremali- ma non il compartimento
epiteliale neoplastico, come evidenziato da Schlaberg [5]- contiene XMRV
integrato [6,7]. D’altra parte un modello apocrino è più probabile nel modello
MFV, dal momento che abbiamo riscontrato sequenze virali in cellule stromali
isolate da tumori neuroectodermici e linfomi pediatrici [8,9,10]. La situazione per
la carcinogenesi di HPV pare essere contraddittoria o fra le due: mentre la ovvia
presenza di HPV DNA integrato suggerisce fortemente il meccanismo di promotore
ed instabilità genetica da sequenze di HPV [11,12,13,14], altri dati suggeriscono
una deregolazione dei meccanismi di trascrizione (particolarmente il fattore AP-1,
con cFos associato con la malignità e Fra-1 con un fenotipo revertante [15]
compatibili con i meccanismi apocrini.
In conclusione i nostri propositi con la crescita di colture primarie/ a lungo
termine come il CSC da carcinoma prostatico e malattie infiammatorie sarà
principalmente strumentale per purificare i bersagli del processo infezione
/trasformazione, aumentando così la percentuale di cellule positive. Questi studi
saranno inoltre strumentali per illuminare e distinguere fra meccanismi
carcinogenetici diversi esercitati da XMRV, HPV e MFV.
HPV nel carcinoma prostatico.
Abbiamo già discusso nella sezione del background scientifico l’importanza di
questo lavoro per definire il ruolo delle infezioni da HPV in diverse condizioni
patologiche prostatiche e nel carcinoma. I dati pubblicati forniscono risultati
contrastanti con la maggior parte dei lavori che presentano correlazioni negative
[16,17,18,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,29,30] e pochi che invece riportano
correlazioni positive [16,19,23,24,25,31]. Questo progetto sarà strumentale per
chiarire il ruolo di HPV come probabile causa di infezioni prostatiche, nonostante
la letteratura non sia chiara anche su questo argomento (U.Rovigattti, C.Selli,
R.Bartoletti, European Urology, 2010).
MFV nel carcinoma prostatico.
Sarà studiato il ruolo di questo virus . Ciò è suggerito dal suo isolamento da
tessuti ghiandolari, neuroectodermico e mesenchimale/stremale [8,10]., da
tumori molto aggressivi e da cellule tumorali con caratteristiche staminali (Stem
Cell Virus o SCV) [32]. Per tutte queste ragioni, MFV sarà studiato sia su culture
cellulari epidermiche e stromali sia nelle colture CSC (sfere-tumorali, organoidi o
micro-foci), dove avremo molte più possibilità di riscontro del virus. Riscontri
positivi avranno implicazioni importanti sulla comprensione dei meccanismi di
progressione e metastatizzazione. Abbiamo già citato, per esempio, che le infezioni
da XMRV sono riscontrate più frequentemente nei tumori prostatici aggressivi
(Gleason score >7, [5]). Le infezioni da HPV al contrario, sono note per avvenire in
assenza di malattia neoplastica e predisporre alla progressione carcinogenetica,
che può richiedere anche diversi anni [33]. Le infezioni da MFV sono associate
con tumori metastatici ed aggressivi, anche nei carcinomi pediatrici,
probabilmente perché questo virus induce una vera forte instabilità genetica
(meccanismi sconosciuti). Una scala di grading/aggressività biologica del tumore
dal grado più basso al più alto dovrebbe consentire l’individuazione del riscontro
virale nel seguente ordine: HPVs – XMRV – MFV. MFV può essre associato con i
meccanismi RNASEL, dal momento che è stato documentato in passato una forte
attivazione della degradazione ribosomiale di RNA nelle cellule infette da MFV in
fase di trasformazione. Questo punto sarà testato nel progetto: per esempio
l’ìinfettività di MFV dovrebbe incrementare in presenza dell’allele QQ RNASEL
[34].
I reperti su MFV avranno importanti implicazioni anche per la comprensione dei
trattamenti sul carcinoma: dal momento che l’instabilità genetica (stimolata da
MFV) così come i meccanismi infiammatori (associati a MFV) sono tipici dei
tumori aggressivi, lo studio di questo virus potrà fornire interventi importanti e
strategici possibili sia in termini epidemiologici che di monitoraggio dei pazienti o
delle possibili terapie future.
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