RUOLO DEI RETROVIRUS NELLA GENESI DELL’ADENOCARCINOMA PROSTATICO Progetto di Ricerca su XMRV, HPV ed MFV Questo progetto di ricerca vuole affrontare una delle questioni più importanti oggi in campo oncologico: i meccanismi eziologici nel carcinoma della prostata (CaP). Questo tumore è certamente il più frequente nei maschi, a fronte di oltre 250000 casi e 30000 morti annualmente, solo negli US. Un paragone appropriato è con il tumore al seno nella donna, i cui valori di incidenza e mortalità sono assai simili. Sembrerà oggi strano, ma persino i dettagli anatomici sulla prostata per poter intervenire chirurgicamente su questo tumore, sono stati acquisiti in tempi relativamente recenti (ad es. il complesso della vena dorsale, nel ’79 ed il plesso pelvico che innerva i corpi cavernosi, nell ’82). E’ stato questo lavoro intelligente del gruppo di Walsh che ha permesso l’introduzione delle prostectomie come terapia elettiva a partire dagli anni ’90. Ciò può in parte spiegare un certo iato nello sviluppo della ricerca cellulare e molecolare in questo campo, certo più rallentata rispetto a quella sui tumori al seno. Si è assistito tuttavia negli ultimissimi tempi (e si assiste) una specie di renaissance della ricerca su CaP. In quest’ottica, Silverman ha pazientemente seguito la traccia da lui scoperta nelle risposte antivirali suscitate da interferone (IFN). L’effettore della risposta IFN è una RNase, RNASEL, clonata appunto da Silverman: il gene è stato mappato circa 8 anni fa sullo stesso locus della suscettibilità ereditaria al carcinoma della prostata. Seguendo quello che ci hanno insegnato i grandi maestri della logica da Wittgenstein a Russel a Goedel: se c’è una risposta antivirale, allora ci dovrebbe anche essere un virus, giusto? Silverman ed i suoi collaboratori hanno utilizzato un cosiddetto viro-chip –un sistema microarray sviluppato da Joe DeRisi- per cercare di pescar su il microbo nascosto. Lo screeing di migliaia di sequenze (circa 20K) sul microchip ha puntato l’indice su di un virus murino, simile a quelli della leucemia –studiati per anni come modelli di cancro nell’uomo-: lo Xentropic Murine Related Virus (XMRV). I dati ottenuti su XMRV hanno però dei problemi importanti: 1. il virus si riscontra (negli studi positivi) solo in una frazione (10-40%) di pazienti; 2. è presente in una piccola frazione di cellule; 3. sopratutto, è stato finora scoperto solo in laboratori situati in US: tutti e 3 i laboratori che lo hanno studiato in EU hanno finora ottenuto risultati negativi. Il nostro progetto vuole quindi iniziare, chiarendo il ruolo di XMRV nel CaP. A questo scopo: a. Standardizzeremo la tecnologia, essendo in contatto con laboratori sia EU che US; b. Studieremo una coorte di pazienti verosimilmente diversa –geograficamente, etnicamente e geneticamente- da quella studiata in Nord Europa (DE); c. Aumenteremo il potere risolutivo per l’identificazione di un nuovo agente infettivo, facendo crescere in vitro colture di carcinoma prostatico, sopratutto arricchendole di CSC o cellule staminali del cancro. Si ritiene oggi che le CSC siano cellule “iniziatrici” del tumore, capaci di generare una progenie che può differenziare e creare la vera e propria “massa-tumorale”, peraltro spesso assai eterogenea. Di questa massa, la CSC costituisce una minuscola frazione (10-3 o anche meno). Cercheremo quindi di isolare o arricchire per CSC, in modo da aumentare le chances di identificare il virus (o agente infettivo) responsabile della trasformazione maligna. Uno di noi ha anche studiato un altro virus, che infetta e trasforma cellule staminali (da tumori pediatrici): chiamato MFV, potrrebbe essere ribattezzato a causa delle sue proprietà: virus di cellule staminali (SCV). Analizzeremo quindi biopsie CaP, loro culture o CSC per la presenza di MFV. Il terzo agente virale che verrà investigato è il Virus della Papillomatosi Umano (HPV). La sua associazine con il carcinoma della cervice uterina è certamente una pietra miliare della ricerca sul cancro, coronata dal conferimento nel 2008 del Nobel a Harald zur Hausen, suo scopritore. Vi sono tuttavia anche dati che suggeriscono un coinvolgimento di HPV nei tumori genitali maschili ed il Prof. Bartoletti (UniFI) ha rilevato presenza di HPV anche in patologie prostatiche. Pertanto, le biopsie di CaP verrano analizzate anche per presenza di HPV, ando a tipizzare poi i casi positivi. Come per i tumori alla cervice, l’infezione da HPV potrebbe essere un inziatore tumorale, che abbisogna poi di molti steps e periodi di anni per arrivare alla carcinogenesi conclamata. Questo progetto ha numerose ed importanti implicazioni, in quanto potrebbe: 1. trasformare un dato controverso della ricerca in un importante reagente per valutare il CaP; 2. chiarire meccanismi infiammatori, spesso scatenati da virus ubiquitari quali gli HPVs, ed il loro ruolo nel CaP e 3. particolarmente nelle CSC, identificare nuovi meccanismi essenziali di carcinogenesi, permettendo così lo sviluppo di strategie terapeutiche nuove ed importanti. Obiettivi finali che il Progetto si propone di raggiungere Il progetto sarà incentrato sul carcinoma della prostata (CaP), che rappresenta oggi il carcinoma più frequentemente diagnosticato nei maschi, con oltre 250000 casi quest’anno solo negli USA ed oltre 30000 decessi, quindi la seconda causa di morte neoplastica dopo il carcinoma polmonare. Il CaP può essere facilmente paragonato con il tumore solido più frequente nelle donne, cioè il carcinoma mammario, anche qui seconda causa di morte neoplastica dopo il carcinoma polmonare: entrambi i tumori hanno importanti correlazioni con la sessualità e sono profondamente legati a fattori ambientali e genetici. Sebbene siano stati fatti importanti progressi nel campo della genetica e della etiopatologia del carcinoma mammario, è ancora necessario approfondire le conoscenze sulla patogenesi del CaP, considerando anche la sua elevata incidenza ( colpisce un uomo su 6). I fattori più importanti sono 1)età 2)razza/genetica 3)dieta 4) fattori ambientali: in questo aspetto l’epidemiologia del CaP è simile ad altre forme di tumori umani, in primis quello mammario. Lo scopo principale del presente progetto sarà centrato sui fattori ambientali, dal momento che recenti scoperte hanno sottolineato la potenziale importanza degli agenti infettivi come possibili cause o cofattori del CaP. Verrano esaminati 3 agenti infettivi, nei quali precedenti studi dimostrano potenziali correlazioni con CaP: 1. il virus XMRV [1], 2. i virus della papillomatosi umana (HPVs) [2]; e 3. MFV, un nuovo virus isolato da tumori aggressivi di organi ghiandolari/neuroendocrini [3]. I 3 principali scopi del presente progetto saranno: Scopo 1. Screening e scoperta in frammenti di CaP di sequenze XMRV mediante tecnologia PCR per molecule di provirus DNA, RT-PCR per espressione a livello di RNA e metodiche immunologiche per peptidi virus-specifici e/o per anticorpi antivirus specifici nel siero dei pazienti. Scopo 2. Screening epidemiologico per la presenza di sequenze HPV, MFV o presenza di ulteriori agenti infettivi. L’infezione da HPV è stata ipotizzata come fattore scatenante o contributivo nell’origine del CaP : il Prof. Bartoletti dell’Unità dell’Università di Firenze ha recentemente pubblicato interessanti dati sulla associazione tra CaP e pregresse infezioni HPV [4]. MFV è stato originariamente isolato da carcinoma pediatrici interessanti tessuti ghiandolari (surrene, pancreas) ed è associato ad instabilità genetica[3]. Scopo 3. Creazione di culture cellulari primarie, a lungo termine : cellule staminali neoplastiche coltivate in vitro in aggregati o micro-sfere ( dette anche sfere neoplastiche o micro-foci) o eventualmente anche linee cellulari. Come prova di principio culture di prostata normale e/o prostatite verranno anche infettate/transfettate in vitro con sequenze HPV E6/E7 [5], il gene della telomerasi hTERT [6], MFV/MFRVs [3]. Quali saranno gli scopi finali del presente progetto, come elencati e spiegati negli scopi precedenti? Lo scopo fondamentale è di fare chiarezza sugli aspetti patogenetici del CaP, a tutt’oggi piuttosto oscuri, confusi o francamente contraddittori. Ipotizziamo che il presente progetto di ricerca avrà la capacità di discriminare fra i fattori etiopatogenetici del CaP, ancora molto controversi. Il primo punto riguarda XMRV ed è discusso nella sezione “stato dell’arte”[7]: inizialmente scoperto come avanzata conseguenza di precedenti lavori sulla risposta antivirale dell’interferone, XMRV è stato riscontrato soltanto in laboratori statunitensi [1] [7] [8] [9] mentre centri europei hanno sinora pubblicato solo risultati negativi [10][11]. Il presente progetto distinguerà le varie spiegazioni per tali discrepanze e fondamentalmente 1)testerà le tecnologie impiegate nei laboratori statunitensi in confronto con quelli europei, anche interagendo e scambiando materiali con i laboratori stessi in entrambe le collocazioni geografiche e 2) testerà l’ipotesi che un diverso substrato razziale/genetico possa essere alla base di tali differenze. L’aspetto dell’interessamento di HPV nella carcinogenesi è stato dibattuto per quasi 20 anni [12]. Sebbene molti studi pubblicati fossero negativi per tale associazione e molti illustri scienziati siano francamente scettici, come Harald zur Hausen, vincitore del premio Nobel per la scoperta dell’associazione HPVcarcinoma cervicale [2][13] sono state pubblicate anche correlazioni positive. Recentemente il gruppo del Prof. Bartoletti, saggiando una ampia popolazione di soggetti maschi giovani con prostatite, ha riscontrato in circa il 25% l’associazione con HPV. Tali dati verranno estesi ed analizzati anche epidemiologicamente, poiché potrebbero fornire spunti importanti. La risoluzione di tale punto appare cruciale per il trattamento di tali pazienti, anche perché nelle correlazioni positive con HPV finora pubblicate i dati sono molto variabili e discrepanti [12][14][15][]16][17][18][19]. Infine verrà testata la presenza di sequenze di MFV nel carcinoma prostatico mediante tecnologie PCR ed altre tecniche, allo scopo di cercare un virus sinora associato solo a tumori molto aggressivi e letali [3]. Sia HPV che MFV verranno impiegati in esperimenti di infezione/transfezione. Verranno anche impiegate culture di cellule staminali neoplastiche e micro-sfere [20] dal momento che 1)le cellule con caratteristiche staminali sono bersagli adeguati per la trasformazione e rappresentano anche un bersaglio ideale per la trasformazione virale in vitro, dal momento che il virus MFV presenta le caratteristiche di un virus delle cellule staminali (SCV)[21] 2)possono essere anche presenti nel compartimento stremale, come indicato da vari gruppi: le cellule stromali fornirebbero le funzioni apocrine essenziali per la trasformazione maligna e 3)potrebbero esprimere sequenze virali con frequenze e percentuali maggiori (vedi il precedente esempio di SCV), permettendo pertanto una più agevole scoperta degli agenti virali/infettivi interessati. La scoperta negli ultimi mesi di un nuovo agente infettivo –XMRV- come pure l’associazione di un agente ben noto –HPV- potrebbero rivoluzionare l’interpretazione della carcinogenesi prostatica. Quest’ultima potrebbe essere fortemente correlata ad infezioni (da virus esogeni come HPV o simil-endogeni come XMRV e MFV), a loro volta correlate nel CaP allo stato ormonale (come le infezioni XMRV e MFV) ed ai processi di invecchiamento. 1. Baraniuk, J., Current Allergy and Asthma Reports, 2010. 10(3): p. 210-214. 2. zur Hausen, H., Virology, 2009. 384: p. 260 265. 3. U. Rovigatti, A.T., A. Piccin, R. Colognato amd B. Sordat. in Intn. Conference Childhood Leukaemia. Section P1-18 pp I-IV, September 2004. 2004. London, United Kingdom: Editor: CwL. 4. Cai, T., et al., Eur Urol 2007;52:464-9. European Urology, 2008. 53(4): p. 858-859. 5. Choo, C.-K., et al., The Prostate, 1999. 40(3): p. 150-158. 6. Gu, Y., et al., Experimental Cell Research, 2006. 312(6): p. 831-843. 7. Silverman, R., Cytokine Growth Factor Rev, 2007. 18: p. 381 - 388. 8. Schlaberg, R., et al., Proc Natl Acad Sci USA, 2009. 9. Arnold, R.S., et al., Urology, 2010. 75(4): p. 755-761. 10. 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XMRV La scoperta del virus Murine Xenotropic Related Virus o XMRV è un bell’esempio di intelligenza scientifica e di ingegno in cui vari rami delle scienze biologiche hanno interagito fra di loro in una impresa veramente multidisciplinare [1]. L’impresa è cominciata con la scoperta della risposta cellulare anti-interferone alla fine degli anni 70. Una delle attività più importanti indotte dall’IFN è la 2’-5’ sintetasi (Oligo Adenilato Sintetasi o OAS), scoperta da Ian Kerr nel 1976 ai laboratori di Mill Hill a Londra [2]. La risposta dell’ IFN dipende dalla 2’-5’ sintetasi, la quale produce oligonucleotidi corti con questo tipo di legame zucchero-fosfato non convenzionale (2’-5’) [3]. Qual è l’effetto determinato dai 2’-5’-oligoadenilati? Questo problema fu affrontato da Robert Silverman, il quale iniziò la sua carriera nel laboratorio di Kerr, quando quest’ultimo si trasferì alla ICRF nel 1979 [4] (in quel periodo anche uno dei proponenti del presente progetto di ricerca si trovava alla ICRF, lavorando sui retrovirus oncogeni). In breve tempo, Silverman caratterizzò una RNase, che viene fortemente indotta da 2’-5’A: fu chiamata RNASEL, L per latente, perché è sempre presente, anche nelle cellule non indotte, sebbene a livelli basali [4, 5]. Ritornato alla NIH negli USA, Silverman riuscì a clonare il gene della RNASEL , valutando una libreria di cDNA mediante una sonda marcata 2-5’A [6]. RNASEL è l’unica proteina che lega 2’-5’ A e viene da esso attivata. Tale enzima poi degrada molecole di ssRNA, tipicamente presenti come intermedi della replicazione in numerosi virus RNA, degradando anche RNA cellulari più solidi, come rRNA [1, 7] [4]. All’inizio degli anni 90 Silverman ha mappato il gene RNASEL a livello 1q25, regione che è mutata o deleta nel carcinoma della mammella [8]. In un editoriale su PNAS nel 1993, Peter Lengyel ha formulato l’ipotesi che RNASEL sia un gene oncosoppressore,anche perché é un effettore della attività anti proliferativa dell’ IFN [9]. Tuttavia, solo nel 2002 il gruppo di Jeffrey Trent ha dimostrato mediante studi di linkage che nelle famiglie con carcinoma prostatico ereditario (HPC1) il gene per la suscettibilità mappava sul locus RNASEL [10]. Dopo questa scoperta basilare numerosi studi hanno confermato tale associazione ed hanno rivelato la presenza di mutazioni o varianti di tal gene , che alterano la funzione della RNASEL [11, 12]. Una delle varianti più comuni, presente in circa il 35% della popolazione, è una mutazione missenso in posizione nt 1385. In questa sede una transizione da G ad A causa la sintesi di glu invece di arg in posizione 462 (R462Q): la variante Q è presente fino al 13% dei CaP. Un allele mutante aumenta del 50% il rischio di CaP, in omozigosi raddoppia tale rischio. L’ allele Q reduce di un terzo l’attività della RNASEL [13]e si associa a diminuiti livelli di apoptosi. Vari laboratori hanno anche caratterizzato la ridotta attività anti-virale causata da tali mutazioni e varianti alleliche [13]. Wang e coll. hanno recentemente sviluppato un sistema di micro-array “viro-chip” che rivela la maggioranza di virus degli animali, piante e batteri [14]: Silverman in collaborazione con Joseph DeRisi, Don Ganem and Eric Klein ha utilizzato il viro-chip in CaP, i casi omozigoti per R462Q. La prima pubblicazione sul XMRV è apparsa del dicembre 2006 [15] , la 2° tre mesi dopo su PNAS [16]. In totale, in 9 pazienti su 86 (10%) vi era un virus xenotropo simile al virus della leucemia dei topi:. Xenotropic Murine Related Virus (XMRV), per l’omologia nelle sequenze, sebbene variazioni di queste nei singoli pazienti dimostravano che erano infezioni successive. E’ interessante notare che fra tutti i pazienti dello studio originale, 20 presentavano l’alleleR462Q e tra questi 8, pari al 40% risultavano positivi per XMRV [15]. Lo studio originale dimostrava anche che il virus era presente nelle cellule stromali del tumore, dato confermato solo in alcuni degli studi successivi. Il secondo studio su PNAS dimostrava che un clone di XMRV proveniente da carcinoma prostatico era 1) capace di replicarsi 2) sensibile alla inibizione da IFN nella linea cellulare DU145, ma resistente nella linea LNcaP ( le linee cellulari DU145 e LNcaP presentano rispettivamente transduzione del segnale di IFN normale e alterata ), 3) poteva infettare anche cellule di altre specie, dopo che erano state transfettate con il recettore XRP1 4) I siti di integrazione per XMRV mappavano in prossimità di tre geni (CREB5, NFATc3 and APPBP2): i primi due sono fattori di trascrizione ed il terzo interagisce con il recettore androgenico e ne sopprime il segnale di trasduzione [16]. Tali siti sono pertanto consistenti con un meccanismo denominato carcinogenesi per “ inserzione di promotore”, studiato tempo addietro da uno dei proponenti del progetto. [17] [18] ). Dopo queste pubblicazioni Nicole Fischer, coautrice del lavoro originale di Urisman ritornata in Germania dalla UCSF, pubblicava il suo studio sulla presenza di sequenze di XMRV su pazienti tedeschi di Amburgo [19].Su 105 pazienti con carcinoma prostatico non familiare solo uno risultava positivo per questo virus, mentre un altro caso positivo veniva riscontrato in paziente con ipertrofia prostatica benigna. Uno dei 2 casi era parzialmente deficitario di RNASEL, essendo eterozigote per la variante R462Q [19]. Ulteriori risultati negativi sono stati pubblicati nel 2009 dal gruppo tedesco di Bannert a Berlino: nessuno di 589 campioni di carcinoma prostatico risultava positivo per sequenze XMRV [20]. Inoltre i sieri di 146 pazienti testati per la presenza di anticorpi contro XMRV gag and env risultavano ugualmente del tutto negativi [20]. Negli stessi mesi di settembre-ottobre 2009 altri ricercatori di New York confermavano su PNAS i dati originali di associazione tra carcinoma prostatico e XMRV [21] in un lavoro in cui : 1) scoprivano l’espressione della proteina XMRV nel 23% dei carcinomi prostatici (solo nel 6% a livello del DNA) ; 2) trovavano casi positivi nei tumori più aggressivi(Gleason score > 6); 3) la presenza di XMRV veniva scoperta a livello delle proteine con immunoistochimica non solo nelle cellule stromali(come nel lavoro originale di Urisman)ma anche epiteliali ( cioè carcinomatose), 4) La positività per XMRV era indipendente dallo stato di RNASEL, suggerendo pertanto una popolazione molto più ampia a rischio per questa infezione virale [21]. Sempre nell’ottobre 2009 veniva pubblicato uno studio su Science che rivelava la presenza di XMRV in una percentuale sorprendentemente alta ( 68/101 = 67%) di pazienti affetti da sindrome di stanchezza cronica (CFS), paragonati al 3,7% dei controlli[22]. Ricerche del Whittemore Institute di Reno, NV, e del NCI hanno rivelato che il virus presenta una infettività sia associata a cellule (di tipo B/T/PBMC ) che senza cellule (plasma di pazienti con CFS) [22]. Comunque, anche in considerazione di precedenti associazioni della CFS con diversi virus (EBV, HHV-6, HHV-8 etc.), che erano in realtà state falsificate, questi dati sono stati accolti con notevole scetticismo [23] [24]. Recentemente sono stati pubblicati tre studi di gruppi europei, che non hanno dimostrato casi di pazienti con CFS positivi per XMRV [25] [26] [27]. L’ultimo lavoro di questa “saga” è comparso su Urology nell’aprile 2010 : il gruppo della Emory University usando un saggio immunologico sensibile per la presenza di anticorpi contro XMRV (basato su test per HIV) ha dimostrato che 11/40 (27%) pazienti affetti da carcinoma prostatico erano positivi per XMRV[28]. Tale saggio immunologico presentava una correlazione totale con altri due test per acidi nucleici virali, cioè la nested PCR e la FISH. Vi erano delle cellule positive anche nel compartimento stromale, come nello studio originale di Urisman. 2. HPVs La storia del coinvolgimento di HPV nel carcinoma umano è ormai datata attorno al 19° secolo quando il medico italiano Rigoni Stern osservò nell'area veronese che suore e vergini raramente sviluppavano carcinoma della cervice uterina, che risultava al contrario più frequente nelle donne sposate, nelle vedove e nelle prostitute [29] . Rigoni Stern concluse in sostanza uno dei primi studi epidemiologici dove si evidenziava che il tumore cervicale era probabilmente correlabile ad un agente patogeno sessualmente trasmesso. Sono stati necessari altri 150 anni per trasformare le teorie di Rigoni Stern in documento scientifico dove si evidenziava una correlazione biologica e molecolare fra l'infezione da HPV e il carcinoma cervicale. La prima evidenza del virus dai condilomi fu individuata dall'italiano Sanarelli, che lavorava a Montevideo, dal momento che Ciuffo, sempre in Italia, poteva documentare la natura virale dell'agente patogeno [29]. Il lavoro di Shope e Rous (vincitori del premio Nobel per la scoperta di un altro virus oncogeno, l'RSV: http://nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/1966/rous-lecture.html)) divenne inoltre strumentale per definire l'oncogenicità di HPV. Tuttavia solo negli anni '70 si è verificato un rinnovato interesse verso HPV e sono iniziate nuove ricerche: Zur Hausen fu uno dei primi ad utilizzare la biologia molecolare allo scopo di individuarne differenze e variabilità, dimostrando peraltro che la sonda utilizzata per le verruche cutanee non reagivano con il virus derivato dal carcinoma cervicale [29]. Particelle virali furono inoltre dimostrate nelle cellule in coilocitosi da Della Torre e collaboratori [30] e Hills e collaboratori [31]. Negli anni '80, con l'avvento di sonde molecolari più specifiche, vennero pubblicate le prime sequenze virali: questi virus avevano genomi relativamente piccoli e potevano essere sequenziati anche attraverso tecnologie non troppo evolute.La positività delle sonde per HPV fu inizialmente documentata da Gissman e coll. studiando pochi casi di condilomi acuminati [32]. Gissman, appartenente al gruppo di lavoro di zur Hausen, clonò per la prima volta HPV-11 [33] e usando questo come sonda, documentò la presenza di una cross- reattività virale con il carcinoma cervicale: questo fu denominato successivamente HPV-16 [34]. Successivamente un secondo virus fu isolato dallo stesso gruppo: HPV 18 [35]. La maggior parte di questi lavori scientifici sono stati pubblicati all'inizio degi anni '80: da allora, un interesse crescente della comunità scientifica, ha focalizzato la combinazione fra HPV e carcinoma cervicale. Senza ricordare tutti i passaggi in un articolo di revisione, è sufficiente ricordare che : 1) dalla fine degli anni '80 è stato confermato che HPV è integrato nel genoma delle cellule di carcinoma cervicale [36]. 2) negli stessi anni, l'interazione fra proteine "early" E6 ed E7 è stata ipotizzata nell'evento trasformante. Negli anni '90 è stato chiarito che ambedue le proteine interagiscono con i regolatori cellulari essenziali del TSG: E6 con p53 [37] ed E7 con pRB [38]. 3) Negli stessi anni è stato documentato il potere oncogeno di queste proteine attraverso la creazione di animali transgenici [39] [40]. 4) gli studi epidemiologici di Munoz degli anni '90 hanno confermato che HPV 16 e 18 e pochi altri costituiscono un fattore di rischio tremendo per lo sviluppo del carcinoma cervicale, dal momento che oltre il 95% delle donne diagnosticate hanno positività per questi virus [41] [42]. 5) Altri studi confirmatori di queste ipotesi sono stati effettuati con metodiche sierologiche negli anni '90 e negli anni più recenti attraverso la creazione di vaccini sviluppati da Doug Lowy e dal suo gruppo ed hanno dimostrato l'induzione della protezione verso il cancro [43] [44]. Nonostante diversi autori incluso Harald zur Hausen, vincitore del premio Nobel 2008, non considerino HPV quale elemento determinante della comprensione del carcinoma maschile della prostata (relegato dallo stesso autore ad appena il 10% dei casi femminili [45]), recentemente si è sviluppato un nuovo interesse verso il possibile ruolo dell'infezione da HPV nel maschio. Il gruppo del Prof. Bartoletti ha recentemente presentato dati interessanti riguardanti pazienti affetti da patologia infiammatoria prostatica ed ipertrofia prostatica benigna nei quali è stata individuata la presenza del virus in oltre il 25% dei casi [46]. Si pone quindi l'accento sulla possibilità di individuare l'uomo non solo come un veicolo di malattia, bensì anche come un vero e proprio bersaglio finale, con possibile sviluppo di patologia neoplastica. Sono infatti ormai acquisiti dati interessanti sulle potenzialità oncogene di HPV anche nel maschio in particolare per le neoplasie anali, alcune neoplasie testa-collo e neoplasie peniene. 1. Silverman, R.H., Cytokine & growth factor reviews, 2007. 18(5): p. 381-388. 2. Stark, G.R., et al., Annual Review of Biochemistry, 1998. 67(1): p. 227-264. 3. Samuel, C.E., Clin. Microbiol. Rev., 2001. 14(4): p. 778-809. 4. Silverman, R.H., J. Virol., 2007. 81(23): p. 12720-12729. 5. Silverman, R.H., et al., European Journal of Biochemistry, 1981. 115(1): p. 79-85. 6. Zhou, A., B.A. Hassel, and R.H. Silverman, Cell, 1993. 72(5): p. 753-765. 7. Silverman, R.H., J.J. Skehel, and T.C. James, Journal of Virology, 1983. 46(3): p. 10511055. 8. Squire, J., et al., Genomics, 1994. 19(1): p. 174-175. 9. Lengyel, P., PNAS USA 1993. 90(13): p. 5893-5895. 10. Rökman, A., et al., The American Journal of Human Genetics, 2002. 70(5): p. 1299-1304. 11. Rennert, H., et al., The American Journal of Human Genetics, 2002. 71(4): p. 981-984. 12. Casey, G., et al., Nature Genetics, 2002. 32(4): p. 581-583. 13. Silverman, R.H., Biochemistry, 2003. 42(7): p. 1805-1812. 14. Wang, D., et al., PNAS USA 2002. 99(24): p. 15687-15692. 15. Urisman, A., et al., PLoS Pathog, 2006. 2(3): p. e25. 16. Dong, B., et al., PNAS USA, 2007. 104: p. 1655 1660. 17. Rothberg, P.G., et al., Mol Cell Biol, 1984. 4(6): p. 1096-103. 18. Rovigatti, U.G. and S.M. Astrin, Avian endogenous viral genes. Curr Top Microbiol Immunol, 1983. 103: p. 1-21. 19. Fischer, N., et al., Journal of clinical virology 2008. 43(3): p. 277-283. 20. Hohn, O., et al., Retrovirology, 2009. 6(1): p. 92. 21. Schlaberg, R., et al.,PNAS USA 2009. 106(38): p. 16351-16356. 22. Lombardi, V.C., et al., Science, 2009. 326(5952): p. 585-589. 23. McClure, M. and S. Wessely, BMJ, 2010. 340(7745): p. 489. 24. Lee, K. and K.S. Jones, Molecular Interventions, 2010. 10(1): p. 20-24. 25. Erlwein, O., et al., PLoS ONE, 2010. 5(1). 26. Groom, H.C.T., et al., Retrovirology, 2010. 7. 27. Van Kuppeveld, F.J.M., et al., BMJ, 2010. 340(7745): p. 520. 28. Arnold, R.S., et al., Urology, 2010. 75(4): p. 755-761. 29. zur Hausen, H., Virology, 2009. 384: p. 260 265. 30. Della Torre, G., et al., Tumori, 1978. 64(5): p. 549-553. 31. Hills, E. and C.R. Laverty, Acta Cytologica, 1979. 23(1): p. 53-56. 32. Gissmann, L., E.-M.D. Villiers, and H.Z. Hausen, International Journal of Cancer, 1982. 29(2): p. 143-146. 33. Gissmann, L., et al., PNAS USA, 1983. 80(2): p. 560-563. 34. Dürst, M., et al., PNAS USA , 1983. 80(12): p. 3812-3815. 35. Boshart, M., et al.,. Embo J., 1984. 3(5): p. 1151-7. 36. Crum, C.P., et al., N Engl J Med., 1984. 310(14): p. 880-3. 37. Werness, B.A., A.J. Levine, and P.M. Howley, Science, 1990. 248(4951): p. 76-79. 38. Dyson, N., et al., Journal of Virology, 1992. 66(12): p. 6893-6902. 39. Arbeit, J.M., et al., Am J Pathol., 1993. 142(4): p. 1187-97. 40. Lambert, P.F., et al.,PNAS U S A., 1993. 90(12): p. 5583-7. 41. Munoz, N., et al., Int J Cancer., 1992. 52(5): p. 743-9. 42. Bosch, F.X., et al., Int J Cancer., 1992. 52(5): p. 750-8. 43. Schiller, J.T. and D.R. Lowy, Cancer Res, 2006. 66(21): p. 10229-10232. 44. Frazer, I., International Journal of Infectious Diseases 2007. 11(Supplement 2): p. S10S16. 45. zur Hausen, H., Virology, 2009. 392(1): p. 1-10. 46. Cai, T., et al., Eur Urol 2007;52:464-9. European Urology, 2008. 53(4): p. 858-859. Articolazione del Progetto e tempi di realizzazione: Questo progetto potrà congiungere e sviluppare al meglio le potenzialità e le expertise di due gruppi di ricerca: UniPI e UniFI. Come indicato nei Progetti B delle singole Unità, ciascun gruppo si focalizzerà sulla presenza di potenziali agenti infettivi nel carcinoma della prostata (e patologie associate, quali le prostatiti, la BPH, etc) con un approccio in gran parte complementare. Una differenza nel focus principale delle ricerche sarà costituita dall’interesse precipuo del gruppo del prof. Selli/Rovigatti per un nuovo retrovirus xenotropico, chiamato XMRV [1] e per un ulteriore virus ad RNA, chiamato MFV (un virus dsRNA), che è stato descritto e studiato in precedenza dal Prof. Rovigatti [2]. Tuttavia questo gruppo aiuterà anche il gruppo dell’UniFI (Prof. Carini e Prof. Bartoletti) per la tipizzazione di alcuni ceppi di HPV, generalmente grazie al loro sequenziamento. D’altro canto, le Unità del prof Carini e del Prof Bartoletti si focalizzeranno principalmente sull’epidemiologia del virus HPV, vista anche la loro notevole esperienza in questo campo e l’interessante casistica che hanno accumulato negli ultimissimi anni. Si fa qui una premessa sull’acquisizione del materiale bioptico, in accordo con le linee guida che sono state elaborate dai chirurghi dell’UniFI e UniPI: PREMESSA PER LA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI ISTOLOGICI Gli aspetti sovra citati verranno valutati analizzando un notevole numero di biopsie ottenute da prostatectomie radicali: prevediamo di poter analizzare tra 30 e 50 carcinomi prostatici nel corso del primo anno di ricerca fra i reparti urologici di Pisa e Firenze. Durante l’intervento di prostatectomia radicale, non appena rimossa la prostata, verrà incisa in senso coronale dal lato positivo alla biopsia o in cui si palpa il carcinoma, e verrà escisso un blocco di tessuto di 5 x 5 x5 mm.La capsula prostatica verrà quindi risuturata e l’intero organo inviato per esame istologico convenzionale. Nel blocchetto escisso, cica 1/3 verrà inviato per esame istologico convenzionale (lesione speculare) per confermare la presenza ed il grado del carcinoma prostatico, mentre il resto verrà impiegato per culture cellulari, estrazione di acidi nucleici (DNA/RNA) ed immunoistochimica. Dai pezzi chirurgici verranno ottenute delle culture cellulari primarie per le seguenti ragioni: a) per ottenere materiale vitale in cui valutare la presenza di XMRV b)per mantenere in cultura espianti neoplastici in cui determinare la presenza di cellule con markers o potenzialità staminali (vedi punto 2) c) allo scopo di valutare del materiale biologico per la possibile presenza di ulteriori virus come HPV e MFV (vedi punti 3 e 4). I. Il primo punto costituirà la parte fondamentale del progetto ed è stato estesamente documentato , per le basi scientifiche e gli ulteriori sviluppi sino ad oggi nella sezione “stato dell’arte”. Abbiamo precedentemente sottolineato nei presupposti scientifici I problemi correlate alla rilevazione del virus XMRV nel carcinoma prostatico, particolarmente il fatto che, sebbene la scoperta iniziale sia stata ripetuta in altri laboratori, tutti e 4 sono situati negli Stati (Cleveland, San Francisco, New York, Atlanta) [3]. In Europa sinora i tentativi di riprodurre tale rilevazione hanno fallito, sebbene uno dei gruppi [4]sia coordinato da uno degli autori della pubblicazione (Urisman et al. [5]). La discrepanza in questo caso risulta così evidente e marcata (nel lavoro del gruppo di Berlino di Hohn et al. non si riscontrava nessun vaso positivo su 589!) che si richiede una spiegazione scientifica [6]. La spiegazione razionale proposta sinora è duplice: A. Problemi tecnologici: in Europa i due gruppi tedeschi potrebbero avere una bassa sensibilità negli assays (sebbene entrambi sembrino avere eccellenti controlli interni, sia negativi che positivi). Cercheremo di chiarire questo aspetto in vari modi, utilizzando controlli diversi, impiegando la tecnologia Virochip (non utilizzata dai gruppi tedeschi) [7] ed anche possibilmente effettuando gli esperimenti con il gruppo originale (sono stati già presi contatti). B. Il secondo punto molto importante, discusso anche nei due lavori di Nicole Fischer ed Oliver Hohn, riguarda una possibile diversa origine etnica dei pazienti nei due gruppi di studi, cioè statunitensi ed europei. Comunque in entrambi la maggioranza dei pazienti appariva di razza caucasica. L’unica differenza apparente riguarda la frequenza dell’allele QQ per RNASEL, poichè lo studio della Fischer dimostra una frequenza < 6%, mentre nei precedenti studi statunitensi il valore era (11%-17%). Nello studio di Hohn non viene riportata la frequenza di tale allele. Un modo di razionalizzare questi risultati in termine di variazioni geografiche o etniche è di ipotizzare maggiori differenze nella frequenza delle infezioni da XMRV. Differenze simili sono state riscontrate: 1. per HCVnella popolazione italiana (molto più alta nel sud, vicina al 30%, mentre nel nord Italia la prevalenza è 1-2% [8] [9]), 2. per EBV che è endemico in Africa centrale e le infezioni si verificano nei primi anni di vita (qui è anche associate con una forma particolare di linfoma di Burkitt e 100% di questi casi sono EBV+), mentre nei paesi occidentali l’infezione si verifica solo negli adolescenti (malattia del bacio) e risulta associata al linfoma di Burkitt solo nel 10-15% dei casi [10] 3. per HPV, che dimostra ampie variazioni in diverse aree geografiche sia in termini di incidenza che di specifici genotipi associati con la carcinogenesi [11]. 1.1 Identificazione di XMRV grazie a tecnologia PCR 1.2 Sequenziamento di frammenti XMRV per caratterizzazione/comparazione 1.3 Genotipo del gene RNASEL e dei suoi alleli 1.4 DIRETTA COLLABORAZIONE PER QUEL CHE RIGUARDA LA PRESENZA DI XMRV IN CaP ED IN CFS. In questa fase, la presenza di XMRV –che è stato principalmente studiato dall’Unità di Pisa- verrà anche anaizzato da UniFI in biopsie ottenute da: a. tessuto prostatico normale, prostatiti, BPH e carcinoma prostatico. Il dettaglio delle condizioni per le reazioni PCR, procedure di estrazione di DNA/RNA, sequenze di primers/amplimers sono ormai note in modo dettagliato. b. XMRV verrà anche analizzato in pazienti affetti da Sindrome da Fatica Cronica. Come descritto nella Premessa Scientifica, questo dato riportato in letteratura negli ultimi mesi è piuttosto controverso [12] [13] [14]. Inoltre, in questa parte del progetto interagiremo con il Dott. Andrea Piccin dell’Azienda Ospedaliera di Bolzano, per ottenere appunto materiale biottico (sangue periferico, previo firma documento di consenso etico) sia da pazienti affetti da SFC che da controlli. Il DR. Piccin eseguirà anche estrazioni e caratterizazioni preliminari di DNA/RNA. II. II.A Malgrado il fatto che cellule embrionali neoplastiche siano state prospettivamente identificate in passato, coltivarle dal carcinoma prostatico risulta difficile, prima di tutto perchè costuiscono una piccola frazione (meno dell’1%) e poi perchè le cellule neoplastiche primarie della prostata presentano una vita limitata a circa 30 divisioni (anche a seconda dell’età del paziente). E’ stato infatti recentemente dimostrato che le culture di cellule prostatiche mantengono la loro proliferazione/differenziazione gerarchica, e che le popolazioni laterali, che costituiscono circa l’1% dell’epitelio prostatico, esprimono marcatori come CD133. I campioni tissutali ottenuti da prostatectomia saranno trattati nel modo seguente (vedi sezione precedente sulle modalità di prelievo): un trattamento iniziale con collagenasi libererà le varie strutture (organoidi, ghiandole microscopiche, dotti, single cellule) e queste ultime verranno separate dalle cellule stromali mediante centrifugazione (trattamenti purificativi ripetuti)). La metodica proposta è diversa da altre pubblicate nel senso che verrà raccolta e coltivata anche la componente mesenchimale (cellule stromali): in realtà la maggior parte degli studi pubblicati su XMRV hanno rivelato la presenza del virus nella componente stromale. II B. ULTERIORI ESPERIMENTI IN DIRETTA COLLABORAZIONE FRA LE UNITA’ OPERATIVE PER EVIDENZIARE UN EFFETTO TRASFORMANTE DI HPV IN BIOPSIE ( prostatiti, BPHs e carcinoma prostatico). Colture cellulari verranno iniziate grazie a dissezione e disintegrazione meccanica in condizioni di completa sterilità. Si effettuerà una digestione enzimatica con collagenasi e tripsina/EDTA. Piccoli frammenti di tessuto verranno posti in pistrine Petri ricoperte di collagenasi di tipo-1 (BD, Boston, MA) in presenza di terreno di crescita: si attenderà che aderscano al substrato, cioè il fondo delle piastrine, per una settimana. Le cellule verranno poi fatte crescere in un incubatore umidificato con 5% CO2 a temperatura di 37° C, fino aquando non raggiungano la semiconfluenza. Aliquote di queste cellule verranno congelate in azoto liquido fino a quando non si possano ristabilire colture secondarie per ulteriori passaggi successivi. Per passaggi seriali, il protocollo di routine sarà quello di una tripsinizzazione alla settimana su piastrine trattate con collagene ad una densità di divisione di 1:2. Per la crescita delle cellule, verrà utilizzato il terreno per keratinociti privo di siero e supplementato con estratto pituitario bovino e con l’aggiunta di fattore di crescita ricombinante (Life Technology, Gaithersburg, MD, USA). Al quarto passaggio, trasfetteremo le cellule o 1) con un retrovirus ricombinante: LXSN16E6E7, che codifica sia per le proteine E6 ed E7 del virus oncogeno HPV-16 che per il gene di resistenza NEO: neomicina fosforibosiltransferasi. Abbiamo ottenuto questo costrutto come donazione da parte di Denise Galloway del Fred Hutchison Cancer Center in Seattle (WA, USA) [15] [16]. Utilizzeremo per le trasfezioni –alternativamente- un costrutto ricombinante: LXSN-hTERT (from Vimla Band, Ph.D., New England Medical Center, Boston, MA) che contiene il gene per l’enzima telomerasi hTERT ed un gene che conferisce resistenza alla neomicina (vedi sopra) [17]. Molto brevemente, le cellule verranno trasfettate medianmte polibrene ad una concentrazione di 10 ug/ml ed incubate ON a 37° C in atmosfera 5% Co2. Cellule trasfettate/infettate verranno poi laavte con PBS sterile, incubate e passate in coltura per ulteriori passaggi seriali: si applicherà la selezione con G418 (i.e., per neimicina) solo se si evidenzi la necessità: infatti la maggior parte delle colture non trattate va già in senescenza al 5° passaggio ovvero ai passaggi immediatamente successivi. Le colture ovvero linee cellulari che siano state immortalizzate verranno testate per svariati parametri, inclusa la tumorigenicità nel topo nudo [17] . III. La questione della presenza e della patogenicità di HPV nell’apparato riproduttivo maschile è già stata posta in anni recenti, particolarmente grazie agli studi fondamentali del Prof. Bartoletti. A questo riguardo forniremo supporto tecnico di biologia molecolare e cellulare. Il riscontro di HPV nello sperma è stato recentemente documentato dal gruppo di Bartoletti [18], ed un futuro Consensus Meeting –in cui egli è uno degli esperti- determinerà l’impatto generale delle infezioni da HPV nella popolazione maschile umana ( www.consensushpv.eu ). In esperimenti pilota ci proponiamo di valutare tessuto neoplastico prostatico mediante reazione PCR con primers specifici, nonchè con il kit Hybrid-Capture-2 (Digene Corporation, Gaithesburg, Maryland), allo scopo di determinare l’eventuale presenza di HPV e di determinarne il sottotipo. Un altro virus completamente diverso è stato scoperto da un componente di questa unità in tumori ghiandolari (neuroblastoma del surrene e carcinoma pancreatico) [2]. Tale virus determina la presenza di piccolissimi foci di cellule trasformate in senso maligno ed è stato chiamato Micro-Foci Inducing Virus (MFV) [19]. In una tipica infezione di cellule mesenchimali differenziat, MFV causa apoptosi della maggioranza delle cellule, risparmiando solo rari elementi con caratteristiche staminali: in culture di neuroblasti le cellule che sopravvivono al forte effetto apoptotico del virus vengono anche trasformate in senso maligno, fenomeno probabilmente associato ad una forte instabilità genetica associata all’infezione con MFV [20]. Le cellule trasformate presentano riarrangiamenti aberranti del DNA gnomico, come amplificazioni MYCN e delezioni nella regione del cromosoma 1p, e sono tipicamente associate con marcatori di cellule staminali. Per tutte queste ragioni MFV è stato anche chiamato Stem Cell Virus or SCV [20]. Allo scopo di rivelare MFV in campioni di carcinoma prostatico, ci proponiamo di utilizzare primers specifici in una reazione RT-PCR ed anche in un assay biologico (Micro-Focus formation assay)come precedentemente descritto [2, 20] In casi in cui vi sia dimostrazione di alti titoli virali potrà anche essere impiegata la microscopia elettronica. 1. Urisman, A., et al., PLoS Pathog, 2006. 2: p. e25. 2. U. Rovigatti, A.T., A. Piccin, R. Colognato amd B. Sordat. Preliminary Characterization of a New Type of Viruses Isolated from Paediatric Neuroblastoma and Non-Hodgkin’s Lymphoma: potential Implications for Aetiology. in Intn. Conference Childhood Leukaemia. Section P1-18 pp I-IV, September 2004. 2004. London, United Kingdom: Editor: CwL. 3. Dong, B., et al., PNAS USA, 2007. 104: p. 1655 1660. 4. Fischer, N., et al., J Clin Virol, 2008. 43: p. 277 283. 5. Urisman, A., et al., PLoS Pathog, 2006. 2(3): p. e25. 6. Hohn, O., et al., Retrovirology, 2009. 6(1): p. 92. 7. Wang, D., et al.,PNAS USA, 2002. 99(24): p. 15687-15692. 8. Tiribelli, C., S. Bellentani, and C. Campello, Scandinavian Journal of Gastroenterology, 2003. 38(8): p. 805-806. 9. Raffaele, A., et al., European Journal of Epidemiology, 2001. 17(1): p. 41-46. 10. Williams, H. and D.H. Crawford, Blood, 2006. 107(3): p. 862-869. 11. zur Hausen, H., Virology, 2009. 384: p. 260 265. 12. Lombardi, V.C., et al., Science, 2009. 326(5952): p. 585-589. 13. McClure, M. and S. Wessely, BMJ, 2010. 340(7745): p. 489. 14. Lee, K. and K.S. Jones, Molecular Interventions, 2010. 10(1): p. 20-24. 15. Naghashfar, Z., et al., Cancer Letters, 1996. 100(1-2): p. 47-54. 16. Choo, C.-K., et al., The Prostate, 1999. 40(3): p. 150-158. 17. Gu, Y., et al., Experimental Cell Research, 2006. 312(6): p. 831-843. 18. Cai, T., et al., Eur Urol 2007;52:464-9. European Urology, 2008. 53(4): p. 858-859. 19. Rovigatti, U., Isolation and initial characterization of a new virus: Micro-Foci inducing virus or MFV. C R Acad Sci III, 1992. 315(5): p. 195-202. 20. Rovigatti, U.a.A.P. 2nd IFOM-IEO Meeting on Cancer;. 2006. IFOM-IEO Campus, Milan, IT 05-08 May 2006.: IFOM. RISULTATI ATTESI Questo progetto di ricerca può costituire un vero e proprio landmark nella comprensione dei processi di base in Oncologia Urologia sia in Italia che a livello internazionale. Le conseguenze di tali rilievi saranno inoltre estensibili ben oltre il carcinoma prostatico, dal momento che i virus focalizzati nella nostra ricerca, potrebbero essere implicai nella genesi di altre neoplasie e di altre patologie umane in generale. In questa discussione, semplicemente per una questione di organizzazione e di logica divisione dei temi, riferirò sui risultati attesi e le conseguenze nelle quattro differenti aree considerate nel progetto: 1) XRMV nel carcinoma prostatico 2) cellule staminali di carcinoma prostatico e culture in vitro 3) HPV nel carcinoma prostatico 4) MFV nel carcinoma prostatico XMRV nel carcinoma prostatico XMRV è probabilmente il tema principale o meglio la “scintilla” dal quale prende combustione l’intera idea del progetto. E’ importante tenere in mente l’intero processo di scoperta che ha condotto al riscontro di questo virus. Questo processo è descritto in modo estensivo nel Background scientifico/ Stato dell’Arte dove è stato enfatizzato il lavoro o meglio il “viaggio” di Robert Silverman: partendo dal lavoro sulla risposta all’Interferone alla fine degli anni ’70, e l’OAS scoperto da Ian Kerr, Silverman isolò RNA SEL , l’effettore di detta risposta e hanni dopo dimostrò le mappe dell’RNASEL su uno dei loci di suscettibilità per il carcinoma pancreatico umano familiare o ereditario.(HPC1). Il prossimo passo fu stimolato dalla disponibilità di un viro-chip, uno strumento di micro-array nel quale il giovane e brillante scienziato Joseph De Risi individuò la maggior parte delle sequenze da agenti infettivi da animali, pinate batteri fino ad oggi conosciuti. Senza sminuire l’importanza del viro-chip è sufficiente dire che rappresenta uno strumento di ricerca, una manifattura o artefatto capace di individuare che cosa è stato scritto su quel particolare vetrino di microscopio. Approssimativamente da circa tre anni, all’inizio del 2007 (il primo lavoro in PloS è datato dicembre 2009), i reperti di questo nuovo retrovirus xenotropo murino capace di infettare l’homo sapiens, ha occupato le prime pagine delle riviste scientifiche e non, è stato discusso in dozzine di congressi scientifici, ritrovato in una delle patologie umane più rilevanti quali la Sindrome da Affaticamento Cronico (CFS) e, cosa più importante, riprodotto in numerosi articoli scientifici indipendenti. Due gruppi indipendenti appunto (i reperti iniziali erano stati presentati rispettivamente dai laboratori De Risi, Ganem e Silverman con base in S:Francisco (UCSF) e Cleveland (CC) ) hanno confermato i reperti su XMRV: uno studio di Schlaberg e coll. della Columbia University di New York pubblicato su PNAS e l’altro di Arnold e coll. Della Emory University di Atlanta Georgia. Nonostante ciò questi reperti non sono stati confermati da tre studi europei, due dei quali pubblicati su riviste classificate da Pubmed, mentre la terza, dall’Irlanda, è stata presentata solo in occasione di Congressi scientifici. Le due pubblicazioni negative provengono dalla Germania: nella prima il gruppo di Nicole Fisher ha individuato solo due casipositivi su 105 pazienti: solo in uno di essi venne diagnosticato il carcinoma prostatico, mentre nell’altro solo iperplasia prostatica benigna. Nel secondo studioHohn e coll. Da Berlino, non trovarono casi positivi per XMRV su 589 soggetti studiati. Entrambi i gruppi avevano usato un ottimo controllo interno (pos/neg), ma Fisher in particolare fu uno dei primi autori nel lavoro originale di Urisman e coll. (aveva un posto di dottorato a S.Francisco a quell’epoca): è molto difficile credere che lei avesse usato condizioni diverse da quelle usate nel lavoro originale che aveva condotto a risultati positivi e stimolanti. Al di là di tutto, il riscontro di risultati contraddittori da Stati Uniti ed Europa hanno importanti implicazioni, prima di tutto per i pazienti e per le loro famiglie: queste implicazioni devono essere risolte immediatamente. In altre parole è giusto nutrire grande speranza per qualcosa che potrebbe non condurre da qualche parte? Alternativamente il gran rifiuto degli scienziati Europei potrebbe privare i pazienti e la ricerca scientifica di un importante strumento per combattere il più importante (ed i numeri della diagnosi lo dimostrano) cancro dell’uomo? Certamente la situazione può ricordare un rifiuto simile fatto da uno scienziato tedesco (il mio vecchio amico Peter Duesberg [1] che lavora a Berkeley negli Stati Uniti) sulla possibile causa virale dell’AIDS: l’HIV. Porta alla mente i recenti premi Nobel del 2008 per scoperte sui Virus nella genesi dei carcinomi umani e sull’AIDS: un premio totalmente dedicato a scienziati europei e nessun scienziato statunitense. Devo dire che tutta la politica della scienza (richiamo a “L’arte e la politica della scienza” di Harold Varmus pubblicato da Norton e Company 2009) non mi interessa molto: ciò che ci dovrebbe interessare è l’interesse per i pazienti e per le loro famiglie: l’XMRV è importante per le loro malattie o no?. Questo progetto risponderà a questa domanda. Come menzionato, rispondere a questa domanda avrà implicazioni profonde per la salute in generale: non è chiaro come avviene la trasmissione del virus XMRV ma le evidenze suggeriscono una diffusione attraverso il sangue ed il plasma. Se questo è vero e con l’esempio importante del CFS in mente (che è studiato solo marginalmente in questo progetto, vedi sezione 12) le implicazioni saranno estremamente importanti nella medicina trasfusionale e nei trapianti d’organo. Cellule staminali prostatiche e culture in vitro. Le culture in vitro, principalmente da carcinoma prostatico ma anche da prostatite e da IPB, costituiranno una parte importante del progetto, anche perché strettamente connesso al riscontro di patologia virale nella prostata. Quali saranno i risultati previsti ed il loro impatto potenziale? Che una cellula staminale da carcinoma prostatico esiste è già stato dimostrato da diversi studi che dimostrano che le cellule nel compartimento CD-133+, CD-44+ sembrano avere aspetti caratteristici di cellule staminali da cancro, nonostante non esista l’accordo sul reale CSC. Il nostro progetto non desidera risolvere il problema del CSC nel carcinoma prostatico. Al contrario vuole impiegare la conoscenza e l’esperienza CSC per arricchire i bersagli della carcinogenesi e dell’infezione virale. In altre parole, tutti i modelli di carcinogenesi virale predicono che il bersaglio da colpire acquisirà una vita illimitata così come svariate capacità di differenziazione: queste sono anche le caratteristiche del CSC. Per il carcinoma prostatico, i due modelli più accettati/dibattuti per l’oncogenesi virale sono (per mancanza di spazio nonn posso distinguere qui tutti i modelli possibili, circa 5 o 6, della carcinogenesi virale) : 1. Un modello “promozione-inserimento-generale” e 2. Un modello “autocrino” e le sue varianti. Nel modello “promozione-inserimento-generale” (uno dei proponenti di questo progetto ha partecipato al lavoro originale sulla promozione-inserimento di W.Hayward e S.Astrin [2,3]) si prevede che un menoma virale, integrandosi vicino ad un gene essenziale del menoma cellulare, induca gli eventi genetici causa della trasformazione verso il cancro, mentre nel modello “apocrifo”, la trasformazione di cellule mesenchimali/stremali è rilevante o essenziale per stimolare la crescita carcinomatosa delle cellule epiteliali. Le evidenze sviluppate per l’infezione da XMRV – con riferimento a quanto indicato nel punto 1 - hanno dimostrato che questo virus probabilmente agisce come promotore dal momento che è stato riscontrato attraverso la clonazione e sequenziamento vicino a due fattori di trascrizione ed una proteina coinvolta nel segnale di transduzione del recettore per gli androgeni ( per favore, vedere lo Stato dell’Arte e [4]). Nonostante ciò il modello apocrino potrebbe essere anche considerato attraverso la valutazione di dati che dimostrano che solo le cellule stremali- ma non il compartimento epiteliale neoplastico, come evidenziato da Schlaberg [5]- contiene XMRV integrato [6,7]. D’altra parte un modello apocrino è più probabile nel modello MFV, dal momento che abbiamo riscontrato sequenze virali in cellule stromali isolate da tumori neuroectodermici e linfomi pediatrici [8,9,10]. La situazione per la carcinogenesi di HPV pare essere contraddittoria o fra le due: mentre la ovvia presenza di HPV DNA integrato suggerisce fortemente il meccanismo di promotore ed instabilità genetica da sequenze di HPV [11,12,13,14], altri dati suggeriscono una deregolazione dei meccanismi di trascrizione (particolarmente il fattore AP-1, con cFos associato con la malignità e Fra-1 con un fenotipo revertante [15] compatibili con i meccanismi apocrini. In conclusione i nostri propositi con la crescita di colture primarie/ a lungo termine come il CSC da carcinoma prostatico e malattie infiammatorie sarà principalmente strumentale per purificare i bersagli del processo infezione /trasformazione, aumentando così la percentuale di cellule positive. Questi studi saranno inoltre strumentali per illuminare e distinguere fra meccanismi carcinogenetici diversi esercitati da XMRV, HPV e MFV. HPV nel carcinoma prostatico. Abbiamo già discusso nella sezione del background scientifico l’importanza di questo lavoro per definire il ruolo delle infezioni da HPV in diverse condizioni patologiche prostatiche e nel carcinoma. I dati pubblicati forniscono risultati contrastanti con la maggior parte dei lavori che presentano correlazioni negative [16,17,18,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,29,30] e pochi che invece riportano correlazioni positive [16,19,23,24,25,31]. Questo progetto sarà strumentale per chiarire il ruolo di HPV come probabile causa di infezioni prostatiche, nonostante la letteratura non sia chiara anche su questo argomento (U.Rovigattti, C.Selli, R.Bartoletti, European Urology, 2010). MFV nel carcinoma prostatico. Sarà studiato il ruolo di questo virus . Ciò è suggerito dal suo isolamento da tessuti ghiandolari, neuroectodermico e mesenchimale/stremale [8,10]., da tumori molto aggressivi e da cellule tumorali con caratteristiche staminali (Stem Cell Virus o SCV) [32]. Per tutte queste ragioni, MFV sarà studiato sia su culture cellulari epidermiche e stromali sia nelle colture CSC (sfere-tumorali, organoidi o micro-foci), dove avremo molte più possibilità di riscontro del virus. Riscontri positivi avranno implicazioni importanti sulla comprensione dei meccanismi di progressione e metastatizzazione. Abbiamo già citato, per esempio, che le infezioni da XMRV sono riscontrate più frequentemente nei tumori prostatici aggressivi (Gleason score >7, [5]). Le infezioni da HPV al contrario, sono note per avvenire in assenza di malattia neoplastica e predisporre alla progressione carcinogenetica, che può richiedere anche diversi anni [33]. Le infezioni da MFV sono associate con tumori metastatici ed aggressivi, anche nei carcinomi pediatrici, probabilmente perché questo virus induce una vera forte instabilità genetica (meccanismi sconosciuti). Una scala di grading/aggressività biologica del tumore dal grado più basso al più alto dovrebbe consentire l’individuazione del riscontro virale nel seguente ordine: HPVs – XMRV – MFV. MFV può essre associato con i meccanismi RNASEL, dal momento che è stato documentato in passato una forte attivazione della degradazione ribosomiale di RNA nelle cellule infette da MFV in fase di trasformazione. Questo punto sarà testato nel progetto: per esempio l’ìinfettività di MFV dovrebbe incrementare in presenza dell’allele QQ RNASEL [34]. I reperti su MFV avranno importanti implicazioni anche per la comprensione dei trattamenti sul carcinoma: dal momento che l’instabilità genetica (stimolata da MFV) così come i meccanismi infiammatori (associati a MFV) sono tipici dei tumori aggressivi, lo studio di questo virus potrà fornire interventi importanti e strategici possibili sia in termini epidemiologici che di monitoraggio dei pazienti o delle possibili terapie future. Bibliografia 1. Papas, T.S., et al., Oncogenes of avian acute leukemia viruses are subsets of normal cellular genes. Hamatol Bluttransfus, 1985. 29: p. 269-72. 2. Rovigatti, U.G. and S.M. Astrin, Avian endogenous viral genes. Curr Top Microbiol Immunol, 1983. 103: p. 1-21. 3. Rothberg, P.G., et al.,. Mol Cell Biol, 1984. 4(6): p. 1096-103. 4. Dong, B., et al.,. Proc Natl Acad Sci USA, 2007. 104: p. 1655 - 1660. 5. 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