La genetica del Disturbo da Deficit d`Attenzione/Iperattività:

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Verso un’adeguata comprensione dei disturbi da deficit d’attenzione
Traduzione di Enzo Aiello
Recentemente sono stato invitato a scrivere un editoriale per il Brazialian Journal of
Psychiatry sugli sviluppi attuali nella valutazione e nel trattamento dell’ADHD. In questo articolo
ho provato ad identificare alcuni dei cambiamenti importanti che si sono verificati nella nostra
comprensione di questo disturbo. L’editoriale, pubblicato in Rev. Bras. Psiquiatr. 2006: 28(4) 261262 è riprodotto di seguito con il permesso dell’editore:
Nel mondo la sindrome identificata nel DSM IV come Disturbo da deficit
d’attenzione/Iperattività (ADD) è sempre più diagnosticata nei ragazzi, adolescenti ed adulti, la
maggior parte dei quali trova il trattamento abbastanza utile.
Molti clinici rimangono ancora scettici sulla validità della diagnosi, in particolare nel caso
degli adulti. Per alcuni, questo scetticismo poggia su una comprensione semplicistica di base della
sindrome ADD; loro presumono che questo disturbo sia semplicemente un disturbo del
comportamento durante l’infanzia che persiste in alcuni adulti che rimangono iperattivi.
Barkley & Murphy recentemente hanno pubblicato dei dati che mostrano che gli adulti con
ADD si distinguono dai soggetti della comunità o di un gruppo di controllo clinico non per
l’iperattività, ma per una serie di deficit nelle funzioni esecutive.
Anche se vi sono delle visioni diverse sul modo in cui descrivere la relazione tra funzioni
esecutive e l’ADD, i dati provenienti da fonti multiple indicano che l’ADD è essenzialmente una
complessa sindrome di deficit nello sviluppo dei sistemi di autogestione del cervello.
Gli elementi chiave del modello che va emergendo includono:
1. L’ADD è essenzialmente un disturbo complesso nello sviluppo delle funzioni esecutive del
cervello, cioè i sistemi di gestione del cervello stesso.
Anche se nei decenni trascorsi la ricerca era interessata al comportamento distruttivo, in
tempi recenti è stata posta maggiore enfasi sui deficit cognitivi coinvolti nel disturbo.
Questi includono problemi cronici nel focalizzare l’attenzione sui compiti, nell’utilizzare la
memoria di lavoro, nell’organizzare il lavoro, nell’iniziare i compiti, e nel sostenere lo
sforzo nel completarli in un tempo ragionevole, etc.
Queste funzioni cognitive possono essere paragonate al lavoro del direttore di un’orchestra
sinfonica che sceglie cosa va suonato, dirige ogni orchestrale nel suonare la sua specifica
parte nello stesso pezzo allo stesso tempo, indica il momento di entrare in una sezione e di
uscire da un’altra ed in generale sovrintende e gestisce tutto il lavoro. I soggetti con ADD
tendono ad avere deficit cronici nell’abilità a svolgere un vasto ambito di funzioni
complesse di autogestione che sono essenziali nelle performance relative all’età nella
scuola, vita familiare, impiego lavorativo e relazioni sociali.
2. I sintomi dell’ADD possono essere notevoli nella prima fanciullezza, ma spesso non sono
apparenti finchè il soggetto non incontra le sfide dell’adolescenza o dell’età adulta.
Le reti che sostengono le funzioni esecutive del cervello si sviluppano lentamente, dalla
prima fanciullezza fino ai venti anni. Molte di queste reti sono localizzate nella corteccia
prefrontale ma operano in collegamento con i circuiti neurali nella regione limbica e nel
cervelletto. Questi complessi circuiti non raggiungono la piena maturità fino alla tarda
adolescenza o nella prima fase dell’età adulta.
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Alcuni casi di deficit da ADD sono presenti negli anni della scuola materna, per esempio il
bambino che è cacciato dalla scuola per l’incapacità di rientrare in quelle richieste minime
di auto controllo: trattenere le mani, assecondare le istruzioni, ascoltare gli adulti.
Altri soggetti con ADD possono funzionare bene nei primi anni di scuola; il loro deficit può
non essere apparente finchè le loro capacità che riguardano le funzioni esecutive non sono
più pienamente sollecitate, ad esempio nella scuola secondaria quando non hanno più un
maestro la maggior parte del giorno a guidarli e devono quindi gestire più compiti tra più
insegnanti.
3. L’ADD sembra essere un problema d’insufficiente volontà, ma allo stato attuale è in realtà
un problema della dinamica biochimica del cervello.
Molte persone che conoscono soggetti con ADD rimangono perplessi dal fatto che tutti
sembrano in grado di concentrarsi benissimo su pochi compiti selezionati nei quali hanno
un forte interesse personale, es. giocare ad uno sport o ad un videogioco, fare un lavoro
meccanico o creare arte o musica. Eppure questi stessi soggetti hanno difficoltà cronica
nell’esercitare le funzioni esecutive richieste per concentrarsi su molti altri compiti
giornalieri necessari nella scuola, in casa, nell’impiego.
Quando si chiede loro il perché di questa strana diversità, molti soggetti con ADD
spiegano di riuscire a concentrarsi bene sui compiti che realmente l’interessano, oppure
quando una pistola è puntata sulla loro testa, mentre sono cronicamente incapaci a dirigere
loro stessi per esercitare le stesse funzioni in molti altri compiti per loro importanti nella
vita quotidiana. Per esempio tendono ripetutamente a evitare di iniziare un compito fino ad
poco prima del loro termine di scadenza. Tali quadri di comportamento possono essere visti
semplicemente come pigrizia o mancanza di volontà, ma la ricerca ha dimostrato che ad
esso è sotteso un problema biochimico relativo alla motivazione. In circa l’80% dei
soggetti con ADD tali problemi sono alleviati dai trattamenti farmacologici che facilitano
un più valido rilascio e un’adeguata ricaptazione della dopamina e/o norepinefrina nelle
sinapsi neuronali critiche.
Il miglioramento indotto dal farmaco sui sintomi dell’ADD è sempre temporaneo, che
persiste per il solo tempo in cui il farmaco è attivo; ciò è comparabile agli occhiali che
migliorano la vista deficitaria soltanto quando indossati. Ma il trattamento farmacoligico è
il solo trattamento dimostratosi efficace per alleviare i deficit nel substrato neuronale che
sostiene le funzioni esecutive deficitarie nell’ADD.
Il modello più complesso di ADD qui descritto delinea una sindrome che è importante non
soltanto in sé stessa, ma anche perché tende a verificarsi in associazione con molti altri
disturbi psichiatrici. In molti casi, l’ADD emerge molto prima di disturbi dell’umore,
disturbi d’ansia, disturbi da uso di sostanze. Nel notare ciò, Kessler e altri si sono posti la
domanda se un efficace trattamento dell’ADD nella fanciullezza possa influenzare
l’insorgenza di successivi disturbi, e se il trattamento dell’ADD negli adulti possa avere
qualche effetto sulla gravità della persistenza di disturbi comorbidi. Per affrontare queste
importanti domande in modo adeguate, i clinici e i ricercatori hanno bisogno di valutare e
studiare la complessità dell’ADD nel corso della vita.
Thomas E Brown
Yale Clinic sui Disturbi dell’Attenzione e correlati. Dipartimento di Psichiatria, Yale
University Scuola di Medicina, New haven, CT, USA
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References
1. Barkley RA, Murphy KR. Identifying new symptoms for diagnosing ADHD in adulthood.
ADHD Report. 006;14(4):7-11.
2. Brown TE. Executive functions and attention deficit hyperactivity disorder: implications of two
conflicting views. Int J Disab Develop Edu. 2006;53(1):35-46.
3. Brown TE. Attention deficit disorder: the unfocused mind in children and adults. New Haven,
CT: Yale University Press; 2005.
4. Barkley RA. Attention-deficit hyperactivity disorder: a handbook for diagnosis and treatment.
3rd ed. New York: Guilford Press; 2006.
5. Kessler RC, Adler L, Barkley R, Biederman J, Conners CK, Demler O, Faraone SV, Greenhill
LL, Howes MJ, Secnik K, Spencer T, Ustun TB, Walters EE, Zaslavsky AM. The prevalence
and correlates of adult ADHD in the United States: results from the National Comorbidity
Survey Replication. Am J Psychiatry. 2006;163(4):716-23.
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Prove con atomoxetina per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo
Traduzione di Enzo Aiello
I termini” Disturbi Pervasivi dello Sviluppo” (PDD) e “Disturbi dello Spettro Autistico”
(ASD) sono utilizzati per riferirsi all’Autismo, al Disturbo di Asperger, ai PDD- NOS (Not
Otherwise Specified non altrimenti specificati n.d.t.) e numerosi altri disturbi meno
conosciuti che coinvolgono un vasto ambito di ritardi cronici nello sviluppo della reciproca
interazione sociale, nella comunicazione e di comportamenti stereotipati e ripetitivi. I
soggetti diagnosticati con PDD o ASD presentano delle condizioni di deficit da lieve a
molto grave.
I ricercatori all’Emory University recentemente hanno analizzato le cartelle di 83 ragazzi
diagnosticati con PDD e ASD ed hanno trovato che il 78% rientrava pienamente nei criteri
diagnostici del DSM IV per l’ADHD anche se l’ADHD non era il principale dei problemi
presentato da parte della maggioranza (Lee e Ousley, J. Child & Adolescent
Psychopharmacology 16(6) 2006, pp. 737- 746). Questa alta percentuale è molto simile a
quella che era stata trovata nei due precedenti studi su pazienti simili.
Finora nessun farmaco si è dimostrato efficace per il trattamento dei sintomi cardine del
PDD o ASD, ma i pochi studi hanno mostrato che bassi dosaggi di farmaci stimolanti
possono essere efficaci nell’alleviare i sintomi dell’ADHD in alcuni soggetti con PDD o
ASD. Recentemente due piccoli studi aperti provarono l’atomoxetina (Strattera) per
verificare se questo farmaco approvato per il trattamento dell’ADHD sia efficace nel trattare
i sintomi dell’ADHD che spesso appaiono in ragazzi o adolescenti complessi diagnosticati
con PDD o ASD.
Uno studio fatto all’Università dell’Indiana provò l’atomoxetina lungo 8 settimane con
16 ragazzi e adolescenti diagnosticati con disturbi pervasivi dello sviluppo (disturbo
autistico, disturbo di Asperger e PDD-NOS). Oltre al significativo miglioramento nei
sintomi dell’ADHD, la maggior parte dei pazienti dimostrò anche alcuni miglioramenti
nell’irritabilità, nella relazione sociale, nelle stereotipie e nel linguaggio ripetitivo.
Quattordici di questi dai 6 ai quattordici anni riuscirono a tollerare bene il farmaco; due
dovettero uscire dallo studio per l’eccessiva irritabilità.
Questi risultati preliminari pongono la questione se il farmaco possa avere alcuni
benefici effetti per alcuni soggetti che soffrono dei disturbi dello spettro artistico in aggiunta
ai sintomi dell’ADHD. Questo studio preliminare fu riportato da Posey e altri nel Journal of
Child & Adolescent Psychopharmacology 2006, 16(5) pp. 599-610.
Un simile studio pilota effettuato da Troost e altri (J. Child & Adolescent
Psychopharmacology, 2006, 16(5) pp. 611-619) in Olanda ha trovato che l’atomoxetina
riduce in modo significativo i sintomi problematici dell’ADHD nei ragazzi con PDD, ma
non ha riscontrato miglioramenti nei sintomi del PDD che erano stati riscontrati nello studio
americano. Entrambi gli studi, comunque, trovarono che i bambini con disturbi dello spettro
autistico tendevano a presentare una maggiore vulnerabilità agli effetti collaterali
dell’atomoxetina rispetto ai ragazzi con ADHD che non presentano il PDD. Naturalmente è
necessaria maggiore ricerca su questo argomento.
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