UNIVERSITÀ DEGLI STUDI GUGLIELMO MARCONI FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE TESI DI LAUREA GLI STUDI SULL’INTELLIGENZA E LE MISURE DELLE PRESTAZIONI MENTALI IN ETA’ EVOLUTIVA Relatore: Prof.ssa Annalisa Scanu Laureanda: Stefania Brotto N°MATRICOLA SFO00715/L24 ANNO ACCADEMICO 2010/2011 Indice INTRODUZIONE 4 CAPITOLO PRIMO 1.1 Teorie globali maturative 12 1.2 Teorie unitarie dell’intelligenza 14 1.3 Teorie multiple dell’intelligenza di tipo psicometrico 26 1.4 Teorie multiple contemporanee 28 1.5 Teorie gerarchiche: intelligenza fluida e cristallizzata 38 1.6 Teorie cognitiviste dei meccanismi basici di elaborazione dell’informazione 47 1.7 Intelligenza sociale, emotiva e creativa 53 1.8 Teoria della modificabilità cognitiva strutturale 57 CAPITOLO SECONDO 2.1 Intelligenza e pregiudizio 63 2.2 La teoria ereditaria del QI: un’invenzione americana 73 2.3 Differenze di genere nell’intelligenza 79 CAPITOLO TERZO 3.1 La natura dell’intelligenza 84 3.2 Test di intelligenza e metafore della mente 85 3.3 Ruolo delle differenze individuali nella plasticità neurale 88 3.4 La Teoria dell’intelligenza di 91 3.5 L’insegnamento dell’intelligenza 96 3.6 Nature o Nurture? 100 3.7 La prova dell’ereditarietà 101 3.8 La prova dell’ambiente 102 3.9 Intelligenza generale e successo nella vita 108 CONCLUSIONI 111 BIBLIOGRAFIA 119 Gli studi sull’intelligenza e le misure delle prestazioni mentali in età evolutiva L’intelligenza, fra tutte le attitudini umane, occupa una posizione particolare perché non si manifesta come un fattore coerente e delineato, ma come un insieme di abilità, comportamenti, pensieri ed emozioni. Nonostante i molteplici tentativi di definirla in modo univoco, standard, ancor oggi non si è raggiunto un consenso unanime. Nella mia tesi affronto le diverse teorie esistenti per definire l’intelligenza, facendo riferimento alla classificazione proposta da Cornoldi, che distingue cinque principali classi di teorie dell’intelligenza: Teorie globali-maturative, teorie unitarie, teorie multiple, teorie gerarchiche e teorie cognitiviste dei meccanismi basici dell’elaborazione; a queste si aggiungono le teorie dell’intelligenza emotiva di Goleman, la teoria della modificabilità cognitiva strutturale di Feuerstein, infine tra le teorie multiple contemporanee troviamo la teoria triarchica (analitica, creativa e pratica) e La teoria del Successo di Sternberg. Interessante è anche il tema relativo alla natura e la moderna ricerca sull’intelligenza che illustra secondo Cianciolo e Sternberg sette metafore: geografica, computazionale, biologica, epistemologica, sociologica, antropologica e sistemica. Non poteva mancare anche il dibattito annoso tra ereditarietà e ambiente, fra differenze di genere e razza. Vi parlerò in particolare di due teorie quella che concepisce l’intelligenza in modo globale dal momento che è stata di riferimento per la realizzazione dei più importanti test di intelligenza tuttora adottati in tutto il mondo: le scale di Binet e Simon e le scale di Wechsler e quella della modificabilità cognitiva strutturale, in cui l’intelligenza è vista come uno stato modificabile da interventi esterni e interni dell’ambiente. Le teorie globali-maturative, sono teorie dell’età mentale in cui vengono analizzate le funzioni che maturano con l’età. Tale approccio non ha assunto una netta posizione nei confronti del dibattito teorico sull’intelligenza, ma devono il loro successo alla loro cautela misurativa, in quanto non si limitano alla somministrazione di una sola prova, ma per pervenire ad una stima dell’intelligenza, somministrano prove diverse e soprattutto affidabili. Queste teorie sono un modo pratico e poco rischioso di approcciarsi all’intelligenza, senza però riuscire a spiegarla. Considerando l’intelligenza come entità multisfaccettata, Wechsler riteneva fosse importante esplorarla in molteplici modi diversi, e quindi presentare il maggior numero di test diversi. Strutturò dei subtest verbali e dei subtest non verbali o di performance. Il QI totale però non specifica il perché delle prestazioni corrette o scorrette, ma evidenzia l’esistenza di un eventuale problema per poter arrivare ad una diagnosi e a un eventuale trattamento mirato. Il confronto fra le diverse teorie permette di comprendere, innanzi tutto, che non esiste una sola intelligenza, ma esistono più forme in cui ogni soggetto può eccellere in particolare in una, rispetto ad altre. Abbiamo inoltre compreso quanto siano ugualmente determinanti i fattori genetici e ambientali tanto da non poter essere separati dalla valutazione testistica. Un obiettivo che ancora le ricerche non sono riuscite a raggiungere è la costruzione di test d’intelligenza che misurino le stesse abilità in culture differenti e l’equivalenza cross culturale di questi test. Un altro fattore interessante è che l’intelligenza media della popolazione tende a crescere nel tempo. In molti paesi del mondo si è osservato il fenomeno Flynn effect, in cui si constata che le nuove generazioni ottengono punteggi più elevati ai test di intelligenza rispetto alle generazioni precedenti, tanto da richiedere continui aggiornamenti normativi. La spiegazione può essere ricercata sulle mutate condizioni socio-economico-culturali. L’industria che elabora test, come del resto i test stessi, è rimasta ampiamente statica. Per esempio, la versione moderna del test d’intelligenza Stanford-Binet oppure la scala Wechsler sull’intelligenza degli adulti assomigliano sorprendentemente ai test originali. La seconda teoria di cui voglio parlarvi è quella di Feuerstein, interessante perché ribalta i concetti del determinismo biologico e si fonda sulla convinzione che sia necessario adottare un approccio attivo all’apprendimento e allo sviluppo, anziché accettare i livelli di funzionamento del soggetto o attendere le tappe naturali della sua crescita, come sostiene Piaget. La sua teoria è in linea con l’ortopedia mentale di Binet e con la zona di sviluppo prossimale di Vygotskij, che considera ciò che un bambino può fare da solo e ciò che riesce a fare se guidato, ma non si è occupato dei metodi per raggiungere questo scopo, mentre F. oltre ad aver ideato un test dinamico, ha strutturato un Programma di arricchimento strumentale ( PAS). In accordo con la Teoria della MCS, si ritiene possibile intervenire nella crescita cognitiva, affettiva/emotiva, sociale/comportamentale e persino neuronale del soggetto, allo scopo di promuoverne lo sviluppo, accelerarne il ritmo o prevenirne l’insorgere di carenze. Nello sviluppo cognitivo, un ruolo fondamentale è svolto dall’Esperienza di Apprendimento Mediato (EAM) poiché, secondo Feuerstein, l’apprendimento non ha luogo tanto in seguito all’esposizione diretta del soggetto agli stimoli, quanto piuttosto attraverso l’azione di un mediatore. La carenza di EAM porta a una sorta di disabilità di apprendimento, e non consente di sviluppare abitudini cognitive come l’attenzione e la focalizzazione sugli stimoli, conducendo a risposte episodiche ed impulsive al mondo circostante. La mediazione ha come obiettivo finale quello della modificabilità cognitiva, portando all’acquisizione di operazioni mentali che consentono la manipolazione adattativa dei concetti: costruire relazioni, ricercare regole riconoscibili, prevedere ciò che potrebbe accadere in situazioni correlate ecc. Gli strumenti messi a punto da Feuerstein e la sua equipe sono: il LPAD, un metodo diagnostico per valutare il potenziale di apprendimento e il PAS (Programma di Arricchimento Strumentale). Tre degli strumenti del PAS-B per esempio, (Identificare le emozioni, dall’empatia all’azione e confrontare e scoprire l’assurdo) aiutano il soggetto ad avvicinarsi ad esperienze affettive ed emotive con l’aiuto delle funzioni cognitive, considerate tradizionalmente solo come aspetti logici ed intellettivi del pensiero, mentre le componenti emotive/affettive sono state in una certa misura trascurate. E’ ormai noto che ogni comportamento umano è composto da due dimensioni dell’esperienza: quella cognitiva e quella emotiva e che si influenzano reciprocamente. Questi strumenti permettono la creazione sistematica, persistente e strutturata di condizioni che incoraggino il bambino a formulare domande e a dare risposte, e successivamente mettere in atto un comportamento attivo e costruttivo che rifletta una attività di problem solving. Il bridging per esempio, è l’opportunità di fare collegamenti con le esperienze di vita dei soggetti trattati, che aiuta a differenziare e ad aggregare gli stimoli del mondo. L’obiettivo è incoraggiare processi di confronto spontaneo, sistematico, focalizzato e cognitivamente orientato, per poi muovere dal confronto a più alte operazioni mentali, come il sequenziamento, la seriazione e la moltiplicazione logica. I criteri di mediazione che dovranno essere sempre presenti sono: l’intenzionalità, la reciprocità e la trascendenza. La mia perplessità è sorta non tanto sugli aspetti teorici del metodo, ma sui mezzi utilizzati per arrivare alla modificabilità cognitiva e sulla rigidità con cui i Formatori “impongono” questo metodo, che per loro è una sorta di dogma, un “credo”, non volendo mettere in discussione nulla. Sostanzialmente il materiale utilizzato mi sembrava “inadatto” per obiettivi così ambiziosi e quindi, dal momento che esercito la professione di logopedista in un Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’età evolutiva e che come Formazione quest’anno ho fatto il corso di Mediatore Pas Basic, ho voluto verificarne l’efficacia con tre casi, scegliendo di proposito tre bambini resistenti al trattamento vuoi per un motivo vuoi per un altro, e posso dire che in breve tempo delle micro modificazioni si stanno già verificando: maggior attenzione e motivazione, riduzione della mediazione, risposte più coerenti al contesto esaminato e maggiore capacità di bridging. Ecco perché ho aggiunto alla mia tesi questa “appendice”. (Spiegazione dei tre casi). Un altro argomento trattato nella mia tesi è l’aspetto dell’intelligenza e il pregiudizio degli stereotipi razziali e sociali, e i limiti che molte volte ancor oggi come ho già sottolineato, hanno i test che non tengono conto dell’ambiente e dei contesti culturali ed etnici, affrontando anche il concetto di determinismo biologico e come la maggior parte degli studiosi concludano che non siamo programmati geneticamente, ma che la struttura cognitiva può essere modificata. Gould si oppone al determinismo a favore dell'indeterminismo che sta alla base della maggior parte dei processi biologici innovativi, ovvero delle mutazioni genetiche. Nella visione gouldiana, come peraltro di tutti gli indeterministi, il caso produce il nuovo, mentre la necessità, attraverso la selezione naturale conserva l'adatto ed elimina l'inadatto. Egli fa un’analisi storica a partire dal XVIII e XIX secolo in cui regnava l’idea della superiorità della razza bianca e l’inferiorità delle altre, in particolar modo di neri ed indiani. Coesistevano due correnti di pensiero che convenivano sul fatto che la differenza razziale fosse evidente, ma mentre una linea più “morbida” sosteneva la reversibilità del fenomeno, asserendo che nelle opportune condizioni questi individui fossero “recuperabili”, una parte più dura non ammetteva questo tipo di possibilità, sostenendo che coloro che erano inferiori sarebbero rimasti tali. Da queste due correnti trassero origine le due teorie più influenti dell’epoca sull’argomento: la teoria della monogenesi e quella della poligenesi. Una volta accettata la teoria evoluzionista, i naturalisti del XIX secolo si dedicarono a tracciare il percorso evolutivo dalle razze inferiori all’uomo. Fu formulata la teoria che le forme più evolute ripercorressero nei vari stadi dello sviluppo, da embrione ad adulto, le forme ancestrali adulte delle varie specie: la ricapitolazione. Freud, Jung ed Haeckel furono ricapitolazionisti convinti in campo psicoanalitico. Questa teoria venne subito messa in uso da coloro che predicavano la superiorità della razza bianca: i bambini delle razze e dei ceti superiori erano come gli adulti delle altre classi sociali. Alla teoria della ricapitolazione se ne affiancò un’altra: la neotenia, ovvero il mantenimento di tratti giovanili in età adulta. Si era notato come alcune caratteristiche degli umani adulti fossero condivise dalle scimmie giovani ma perse nelle scimmie adulte. La neotenia però contrasta la ricapitolazione, in quanto in questo caso il mantenimento di tratti giovanili, meno adulti, sarebbe favorevole, e le razze superiori sarebbero fortemente neotenizzate Cesare Lombroso, attorno al 1870, applicò la teoria evoluzionista al comportamento criminale: sosteneva infatti che in ognuno di noi ci sono i germi ancestrali di un passato criminale, ed in alcuni sfortunati individui il passato torna in vita. Alla luce delle considerazioni fatte, sembra necessario muoversi oltre le teorie convenzionali dell’intelligenza, nonostante l’ostacolo nel cambiamento di un paradigma ormai cristallizzato sul piano accademico e sociale e la riluttanza, da parte delle compagnie che ruotano intorno al redditizio mondo economico dei test, di introdurre significative innovazioni. I test tradizionali non sono sbagliati o in qualche modo inadeguati, ma piuttosto sembrano incompleti, perché anche se usati correttamente rischiano di fornire informazioni parziali e potenzialmente inattendibili. Le misure delle prestazioni mentali in età evolutiva non devono essere considerate come singole prestazioni tout court, e i test sono uno strumento di ausilio e non di sostituzione della diagnosi cognitiva. Il confronto fra le diverse teorie permette di comprendere, che non esiste una sola intelligenza, ma più forme in cui ogni soggetto può eccellere in particolare in una, rispetto alle altre e quanto siano determinanti i fattori genetici e ambientali tanto da non poter essere separati dalla valutazione testistica. Ma l’aspetto più interessante è la possibilità di una modificabilità strutturale cognitiva che ribalta tutti i concetti di determinismo biologico. Infine grazie agli studi delle neuroscienze sappiamo che mente razionale e mente emozionale lavorano e si plasmano reciprocamente.