SEMICONDUTTORI Obiettivi: Conoscere la struttura dei semiconduttori Rilevare la caratteristica diretta ed indiretta di un diodo Saper scegliere un transistor Saper lavorare con i transistor Saper determinare i parametri di un transistor Generalità. Prima di iniziare a trattare i semiconduttori (diodi e transistori), come tecnologia e come funzionamento, è bene parlare dei materiali usati per la loro costruzione. I semiconduttori hanno proprietà di conduzione intermedia fra gli isolanti e i conduttori. I materiali generalmente usati sono il germanio (Ge) ed il silicio (Si). Esistono però altri elementi, quali, ad esempio, i composti come l' ossidulo di rame e il selenio. Il germanio si ricava sotto forma di biossido (Ge02), mediante un processo di estrazione. In America, ad esempio, esso viene ottenuto come sottoprodotto dell'industria dello zinco, partendo dal solfuro di zinco (blenda), mediante operazioni di: combustione, riduzione con carbone, filtrazione, distillazione ed idrolisi. In altri paesi, come ad esempio Belgio, Francia, Germania esso viene ottenuto praticamente dai sottoprodotti dell'industria del cadmio e dello zinco. In tutti i modi, il biossido di germanio così ottenuto deve essere sottoposto, dai limiti di purezza, ad un processo di purificazione chimica. Il silicio, in natura, è più facilmente reperibile del germanio. Esso è abbondantemente presente, non come elemento puro, ma sotto forma di biossido (Si02) o silice, nella litosfera. Il silicio commerciale viene prodotto industrialmente con l'ausilio di forni elettrici, ad alta temperatura, per riduzione diretta della silice con carbone. Naturalmente il silicio così ottenuto presenta una purezza ancora lontana dai limiti imposti per la costruzione dei semiconduttori, per cui fa seguito un primo processo di purificazione. Tale purificazione può avvenire: per via chimica, mediante il metodo di Tucker, ossia effettuando una polarizzazione del materiale commerciale ed intaccandolo con forti acidi: acqua regia, acido solforico, acido cloridrico ecc., ottenendo come risultato un materiale contenente circa il 99,95 % di silicio; oppure per via metallurgica, mediante la fusione del silicio commerciale, oppure con altri metodi, ad esempio metodo Dupont, metodo Theuerer. Purtroppo dopo questi processi di purificazione, sia il silicio, sia il germanio non hanno raggiunto il grado di purezza richiesto per la costruzione dei semiconduttori e quindi dei transistori. Occorrono altri sistemi di purificazione per portare detti materiali allo stato praticamente puro. Conduzione nei semiconduttori di tipo N e di tipo P. Prima di impiegare il germanio o il silicio di tipo N o P per la formazione dei diodi a semiconduttori e dei transistori, è bene rendersi conto del meccanismo con cui avviene il passaggio di corrente nel loro interno, allorché ad una piastrina di Figura 1 1 tale materiale inquinato, saldiamo alle estremità due elettrodi ed applichiamo loro una batteria. Analizziamo tale comportamento partendo dal germanio o silicio di tipo N, realizzando il montaggio di Fig. 1 a). Il materiale N considerato ha internamente elettroni liberi. Essi sono stati donati dall'elemento pentavalente inquinante. Applicando ora agli elettrodi che lo contengono una f.e.m. V, si genera internamente al cristallo un moto ordinato di cariche negative (elettroni), le quali sono attratte dal polo positivo e respinte da quello negativo. Gli elettroni attirati dall'elettrodo positivo si portano nel circuito esterno, causando una zona vuota di elettroni nelle vicinanze dell'elettrodo negativo. Questa situazione esercita una azione di richiamo di elettroni presenti sull'elettrodo negativo, favorendo l'immissione di elettroni esterni nell'interno del cristallo e, quindi, causando un regolare flusso di corrente di elettroni. La quantità di elettroni fuoriuscita è continuamente controbilanciata dalla quantità di elettroni che penetrano dall'esterno. Il senso convenzionale della corrente esterna è indicato nella figura stessa. Consideriamo ora il caso della Fig. 1 b), in cui a parità di circuito esterno, viene impiegato germanio o silicio di tipo P. Tale materiale è povero di cariche negative, perché l'elemento che lo ha drogato, di tipo trivalente, si è impossessato di elettroni dell'elemento che lo ospita. In questo modo si generano cariche positive mobili (lacune) nell'interno del cristallo. Applicando ora agli elettrodi che contengono il cristallo una f.e.m. V, le cariche positive libere migrano verso l'elettrodo negativo, da questo attirate e respinte dall'elettrodo positivo. Dall'elettrodo negativo le lacune attirano dall'esterno elettroni e con loro si ricombinano neutralizzando la loro carica. Nello stesso tempo, l'elettrodo positivo strappa elettroni nella zona circostante, causando lacune che si spostano verso l'elettrodo negativo. Gli elettroni attirati escono naturalmente dal cristallo, per rientrare dalla parte opposta, ossia dall'elettrodo negativo. Di conseguenza, mentre esternamente al cristallo di tipo P, vi è una corrente di elettroni come per il tipo N, entro il cristallo, invece è uno spostamento ordinato di cariche positive, che migrano dal polo positivo a quello negativo. Da queste considerazioni e da quelle relative alla conducibilità intrinseca del semi conduttore, concludiamo dicendo che internamente al cristallo di germanio o di silicio, indipendentemente dalle impurità di tipo N o P aggiunte, vi è sempre una corrente intrinseca, dovuta alla rottura di legami covalenti, per effetto termico, essa produce una certa quantità di coppie elettroni‐lacune. Questa conducibilità intrinseca si aggiunge a quella dovuta all'elemento inquinante. Per cui nel germanio o silicio di tipo N oltre agli elettroni liberi dovuti all'elemento pentavalente aggiunto, denominati portatori di maggioranza, vi sono anche cariche libere, positive (lacune) dovute alla corrente intrinseca denominate portatori di minoranza. Queste cariche si dirigono internamente al cristallo in senso inverso degli elettroni (costituenti la corrente principale), influendo in modo limitato sulla conduzione. Naturalmente all'esterno del cristallo queste ultime causano una corrente nello stesso senso di quella principale (Fig. 1 b), dovuta agli elettroni liberi. Nel germanio o silicio di tipo P, i portatori di maggioranza sono le cariche positive (lacune), mentre gli elettroni dovuti alla corrente intrinseca costituiscono i portatori di minoranza. Come nel caso precedente, i portatori di minoranza si spostano, internamente al cristallo, in senso inverso a quelli di maggioranza. La corrente, dovuta ai portatori di minoranza, pur avendo un effetto trascurabile sulla corrente principale a temperatura ambiente, assume una certa importanza (naturalmente in senso nocivo) all'aumentare della temperatura del materiale, perché, per effetto termico, si spezzano nel materiale stesso un maggior numero di legami covalenti. Giunzione N­P non polarizzata. Analizziamo il comportamento di un cristallo di germanio o silicio drogato in modo differente in due zone (Fig. 2). Nella parte N vi è un certo numero di elettroni liberi, mentre nella parte P vi è un certo numero di cariche positive libere (lacune). Di conseguenza, le cariche negative tendono ad andare nella zona P e viceversa. Si ha, allora, vicino alla giunzione un certo accumularsi di cariche, rispettivamente positive nel semiconduttore N, ed altrettante negative nel semiconduttore P. Nasce così nella giunzione 2 una barriera di potenziale che si oppone al movimento delle cariche attraverso ad essa. La giunzione diventa, allora, un netto elemento di separazione di cariche e può essere considerata come costituita da materiale isolante ad alta costante dielettrica, divenendo qualcosa di analogo ad un condensatore carico. Tale spessore è però limitato a circa 10‐ 4 mm. Naturalmente, nella giunzione le forze che si oppongono al passaggio delle cariche maggioritarie, favoriscono il trasferimento a quelle minoritarie, costituite, come già osservato, da alcune libere nel semiconduttore N e da elettroni liberi nel semiconduttore P. Tenendo presente che la quantità dei portatori minoritari a temperatura ambiente è molto limitata questi trasferimenti non assumono alcuna importanza circa il comportamento della giunzione, mentre diventano rilevabili all'aumentare della temperatura. Figura 2 Giunzione N­P polarizzata. IN SENSO DIRETTO. Applichiamo alla giunzione NP di Fig. 2 una batteria con polarità disposte in modo che il polo positivo sia collegato nella zona P e quello negativo in quella N, come è rappresentato in Fig. 3 a). Se la tensione della batteria è di sufficiente ampiezza e capace di attenuare notevolmente la barriera potenziale di giunzione, (Fig. 3 b), il fluire delle cariche positive dalla zona P a quella N e degli elettroni dalla zona N a quella P non trova apprezzabile ostacolo, per cui si verifica una conduzione diretta, la quale sale rapidamente, all'aumentare della tensione applicata, prima esponenzialmente e poi linearmente, fornendo un andamento della corrente nei due materiali a contatto come Figura 3 3 rappresentato in Fig. 4. Figura 4 IN SENSO INVERSO Se invertiamo le polarità della batteria V nella giunzione prima considerata, secondo lo schema di Fig. 5 a), il potenziale preesistente Vb nella giunzione non polarizzata viene accresciuto dalla quantità V, secondo il diagramma di Fig. 5 b). Come risultato immediato si ha che nessuna corrente oltrepassa la barriera. Infatti, il polo negativo della batteria applicato alla zona P trattiene le cariche libere positive, mentre il polo positivo della batteria applicato alla zona N trattiene le cariche negative, per cui teoricamente nessuna corrente attraversa la giunzione. Figura 5 Purtroppo, sappiamo che i portatori minoritari presenti nei due materiali N e P causano una lieve corrente inversa a quella principale, favorita anche dalla aumentata d.d.p.. Questa corrente, dovuta ai portatori minoritari viene denominata corrente inversa di saturazione. Essa è dell'ordine del A e cresce notevolmente all'aumentare della temperatura. Il vero comportamento della giunzione N‐P polarizzata in senso diretto e in senso inverso, è rappresentato sommariamente in Fig. 6. Figura 6 4 Tale comportamento viene sfruttato per la costruzione dei diodi a semiconduttori. Infatti, tali diodi sono ottenuti dalla giunzione di germanio o silicio di tipo N con tipo P. Diodi a cristallo I diodi a cristallo semiconduttore possono essere costruiti con germanio o con silicio, secondo due tecniche particolari: a) diodi a giunzione; b) diodi a contatto puntiforme. Il primo sistema di costruzione diverso a seconda del materiale impiegato (Si o Ge) avviene nelle seguenti fasi: si prendono due piastrine di silicio, ambedue di tipo N e si interpone fra di loro un sottilissimo strato di alluminio (Fig. 7). Figura 7 Tenendo raffreddata la piastrina inferiore, si riscalda fortemente quella superiore, fino a fondere l'alluminio. Esso penetra nel silicio superiore e siccome l'alluminio è trivalente, rende tale piastrina di tipo P. In questo modo si è ottenuta una giunzione di tipo NP. Per ottenere la giunzione con il germanio, il sistema è diverso. Si prende una piastrina di Ge di tipo N e vi si deposita sopra una pasticca di indio e, in un ambiente privo di ossigeno si porta il tutto alla temperatura di fusione dell'indio. L'indio liquefatto si diffonde nell'interno della piastrina di germanio di tipo N. Siccome l'indio è trivalente, crea nel germanio, dove è penetrato una zona P (Fig. 8). Figura 8 I diodi a giunzione ottenuti con il silicio sono impiegati come raddrizzatori per forti correnti, mentre quelli al germanio presentano una bassa caduta interna e vengono di preferenza impiegati come raddrizza tori di basse tensioni. 5 I diodi a contatto puntiforme vengono costruiti nel seguente modo: si prende una piastrina di germanio di tipo N e nella parte centrale si fissa la punta cuneiforme di un filo di tungsteno o di bronzo fosforoso o di rame al berillio. Tale conduttore viene sagomato ad S, in modo da renderlo elastico ad eventuali urti ed assume la denominazione di baffo di gatto (Fig. 9). Figura 9 Indi si inviano tra il germanio ed il filo conduttore delle correnti continue impulsive. Tali impulsi di corrente provocano la saldatura del conduttore con il germanio N ed anche la formazione nei dintorni del baffo di gatto di una zona di tipo P. Ottenuto il diodo a cristallo, esso viene racchiuso in un involucro di vetro o di ceramica e viene spruzzata all'esterno vernice opaca. Questa vernice serve ad evitare l'accesso all'interno della luce e quindi rende il diodo, durante il suo funzionamento, insensibile alle variazioni di luce. I diodi così ottenuti trovano largo impiego in AF, data la loro bassa capacità interelettrodica. Rilievo della caratteristica diretta ed inversa di un diodo a cristallo semiconduttore Il circuito, che permette il rilievo della caratteristica anodica diretta di un diodo a cristallo semiconduttore, è rappresentato in Fig. 10. In esso una sorgente di tensione continua E, la cui uscita è regolabile attraverso il resistore variabile R, alimenta il circuito costituito da una resistenza R1 di poche centinaia di ohm (di protezione del circuito dalle eccessive correnti), dagli strumenti di misura e dal diodo. La sistemazione degli strumenti analoga a quella del circuito per la misura di piccole resistenze con metodo volt ‐ Figura 10 amperometrico (voltmetro a valle). Infatti, è noto che il diodo presenta una bassissima resistenza equivalente quando è polarizzato in senso diretto (cioè quando all'anodo è collegato il polo positivo della tensione di alimentazione e al catodo quello negativo). Per il rilievo della caratteristica inversa, occorre invertire le polarità della sorgente di tensione e modificare il circuito secondo i dettami della Fig. 11. In essa si può verificare che la sistemazione degli strumenti Figura 11 nel circuito è questa volta analoga a quella per la misura di grandi resistenze con il metodo volt ‐ amperometrico (voltmetro a monte) in quanto il diodo presenta, per 6 polarizzazione inversa, un'elevatissima resistenza equivalente. Si deve inoltre sostituire, sia il milliamperometro con un sensibile microamperometro da disporsi direttamente in serie al diodo, sia la resistenza di protezione in serie con una R2 di valore elevato (50 ‐7‐ 100 k.). L'andamento di tali curve è già stato riportato nella Fig. 6. Diodi Zener Polarizzando in senso inverso una giunzione, in essa circola solamente una lieve corrente inversa di saturazione, dovuta ai portatori minoritari Tale corrente, per valori modesti di tensione, resta entro valori costanti ed è trascurabile. Se aumentiamo ulteriormente la tensione inversa, si spezza un maggior numero di legami covalenti, al punto da causare internamente al cristallo un'enorme quantità di cariche libere. Improvvisamente la caratteristica inversa della giunzione si modifica, come in Fig. 12. Essa, infatti, quasi improvvisamente diventa verticale e parallela all'asse della corrente inversa, presentando in questa zona resistenza Figura 12 interna differenziale molto bassa. La tensione inversa alla quale inizia questo processo, viene denominata tensione di rottura o tensione Zener. Questo fenomeno toglie al diodo a cristallo la caratteristica di unidirezionalità e può condurlo alla sua distruzione per poco che si superi la tensione per la quale si manifesta l'effetto Zener. Infatti, appena la corrente inversa tende a salire, nasce internamente al cristallo un processo di ionizzazione a valanga, il quale comporta un intensissimo passaggio di corrente attraverso la giunzione e la conseguente distruzione del diodo a cristallo semiconduttore per effetto termico. Naturalmente si fabbricano diodi, denominati diodi Zener, In cui l'effetto valanga anziché costituire un inconveniente, viene sfruttato come caratteristica del diodo stesso. Infatti, i diodi Zener, nel loro funzionamento normale, vengono alimentati ad una tensione inversa pari a quella di rottura o di Zener e vengono impiegati come stabilizzatori di tensione, comportandosi essi parallelamente ai diodi a catodo freddo denominati stabilo ‐ volt. I diodi Zener vengono costruiti di regola con silicio, In quanto questo semiconduttore meglio si presta per passare bruscamente, allorché si raggiunge la tensione Zener, dal comportamento a corrente Inversa minima e costante, a quello a tensione Zener costante. TRANSISTORI Generalità Figura 13 I transistori sono ottenuti dall'unione di tre blocchetti di semiconduttori di tipo N e P,ciascuno equipaggiato da un reoforo metallico per i collegamenti esterni. I semiconduttori sono disposti in modo che la piastrina centrale sia di tipo opposto ai due blocchetti esterni. Il transistore a giunzione cosi ottenuto può risultare di tipo PNP o NPN. In Fig. 13 sono rappresentati i transistori a giunzione di tipo PNP ed NPN e il 7 loro relativo simbolo elettrico. Da notare che nel simbolo elettrico le frecce indicano la direzione della corrente. In entrambi i casi la parte interna viene denominata base, mentre le parti esterne vengono denominate rispettivamente emettitore e collettore. La base è costituita da un semi conduttore debolmente drogato, mentre emettitore e collettore sono costituiti da un semiconduttore dello stesso tipo, ma drogato in modo opposto e maggiormente a quello di base. La base è tenuta di spessore molto sottile, in funzione del tempo di transito dei portatori di carica, i quali, muovendosi in un elemento solido hanno una velocità limitata e, quindi, impiegano un certo tempo a passare, dall'emettitore al collettore, attraverso lo spessore di base. Ne risulta che la risposta alle altre frequenze del transistore è tanto migliore quanto più sottile è lo spessore di base del semiconduttore costituente la base. Ciascuna zona considerata ha una particolare funzione, ossia: l'emettitore ha il compito di fornire le cariche elettriche, la base ha la funzione di accelerarle e di controllarle ed il collettore ha il compito di raccoglierle. Tensioni di polarizzazione e correnti relative Consideriamo ora il funzionamento del transistore mediante le polarizzazioni dei tre elettrodi EBC. Prendiamo un transistore di tipo NPN e colleghiamolo come in Fig. 14 a). Questo collegamento è il più frequente nell'uso del transistore come amplificatore e prende il nome di configurazione con emettitore comune. Si può considerare il transistore come formato da due giunzioni : base ‐ emettitore e base ‐ collettore. Figura 14 Polarizziamo, con due batterie, in senso diretto la prima ed in senso inverso la seconda. In questo modo parte degli elettroni della zona N vanno verso la zona P, sospinti anche dal potenziale negativo sull'emettitore. Contemporaneamente le cariche positive mobili, presenti in quantità limitatissima nella base si trasferiscono verso la zona N. La corrente che circola nell'emettitore lE é dovuta quasi esclusivamente agli elettroni della zona N, per la ragione che la base è debolmente drogata. La zona N assume il nome di emettitore perché è quella che fornisce gli elettroni alla base. La quantità degli elettroni presenti sulla base e, quindi, la corrente lE, sono funzione della tensione VBE. Essendo presente, fra emettitore e collettore, secondo lo schema di Fig.14 a), un potenziale VCE, da 5 a 10 volte maggiore di VBE, la quantità di elettroni presenti sulla base, si dirige quasi totalmente verso la zona N del collettore, collegato al polo positivo della batteria VCE. La corrente lC che ne risulta è una notevole parte della corrente IE. Nella Fig. 14 b) sono rappresentati la direzione di circolazione delle correnti e degli elettroni. Nel circuito in ogni istante vale la relazione: Equazione 1 I E IC I B con lC = lE, essendo α una grandezza propria del transistore rappresentante un numero minore di 1 ma non troppo diverso da 1, che tiene conto della geometria del transistore e in piccola parte alle tensioni applicate e che rappresenta praticamente la percentuale della corrente di emettitore nella corrente di collettore ( = 0,95 0,99). Sostituendo il vale di IC si ottiene la corrente di base 8 Equazione 2 I E I C I B I E I E I B I B I E 1 I C I E Per quanto riguarda il transistore PNP, valgono le considerazioni esposte per il caso NPN, solamente si invertono le polarità alle batterie. Curve caratteristiche del transistore Consideriamo il circuito di Fig. 15. I grafici relativi alle tre correnti lE, IB ed lC, legate fra di loro dalla relazione: Equazione 3 I E IC I B sono rappresentati In Fig. 16. Nel grafico si può notare che la corrente IC è un'alta percentuale della lE, di solito dal 95 % 99 %, mentre la IB è la Figura 15 parte rimanente. Possiamo allora osservare che la tensione di base VBE agisce, sia sulla corrente di base IB, sia su quella di collettore IC. Vediamo ora cosa succede nella corrente di collettore, variando la tensione VCE e tenendo costante la tensione fra emettitore e base: VBE. Se VCE ha potenziale zero, non ha alcuna azione di richiamo degli elettroni presenti sulla base, mentre conferendo a VCE un potenziale leggermente superiore a VBE, gli elettroni raggiungono il collettore. Aumentando ulteriormente la tensione VCE, a parità di VBE, la quantità di elettroni rimane praticamente costante, in quanto, è la base che estrae elettroni dall'emettitore, mentre il collettore ha il solo compito di raccoglierli. Figura 16 La caratteristica IC = f(VCE) assume, l'aspetto di Fig. 17. Naturalmente, in scale più ridotte, avremo un uguale andamento della corrente lB, in funzione della tensione VCE Il transistore è tanto più pregiato quanto minore è la corrente di base lB. Questa affermazione comporta al transistore di possedere un elevato coefficiente In quanto la corrente di base, come detto in precedenza, ha la seguente espressione: Equazione 4 I B I E 1 Facendo il rapporto fra le correnti di collettore e di base, si ottiene l'espressione: Equazione 5 Figura 17 I B I E 1 I C I B 1 I C I E La caratteristica di Fig. 18 viene denominata anche caratteristica di controllo: lC = f(IB) per VCE = cost. Figura 18 Le caratteristiche, che esprimono allora, in forma più semplice il comportamento del transistore, relativamente al circuito d'entrata VBE = f(IB) 9 per VCE = cost e di uscita Ic = f (VCE) per IB = cost, sono rappresentate in Fig. 19. Figura 19 Influenza della corrente inversa di saturazione Internamente al transistore e nella giunzione base‐ collettore per effetto della polarizzazione inversa e in seguito alla rottura dei legami covalenti dovuta alla temperatura, circola una corrente inversa di saturazione lCBO come è rappresentato in Fig. 201. In essa si osserva che nel collettore entrano due correnti ICBO e IE, quindi si può scrivere: Figura 20 Equazione 6 I C I E I CBO Da cui: I C I CBO I E Equazione 7 I C I CBO IE dà un'idea del rapporto numerico esistente fra le correnti di collettore e di emettitore. Il suo valore è compreso fra 0,95 e 0,99. Nella base, invece entra la corrente (1‐)IE ed esce la corrente ICBO, quindi l'espressione di IB vale: Equazione 8 I B I E 1 I CBO Ricavando IE dall’equaz. 6 e sostituendola nell’equaz. 1 si ha: I C I CBO I C I E I CBO I I I E C CBO I C I B I C I CBO I C I B I E I C I B I E I C I B I I I C I C I B I CBO I C 1 I B I CBO I C B CBO 1 I IC I B CBO 1 1 1 Dell'ordine dei µA per il Ge e dei nA per il Si 10 Se poniamo: Equazione 9 1 Inoltre si può dimostrare che: 1 Equazione 10 1 1 Quindi: IC I I B CBO I C I B 1 I CBO I C I B I CBO I CBO I C I CBO I B I CBO 1 1 per cui: Equazione 11 I C I CBO I B I CBO è definito come il guadagno di corrente per grandi segnali in un transistore ad emettitore comune. In pratica, essendo ICBO << IE, il costruttore fornisce il parametro hFE IC , che come valore non si discosta IB molto . Ci serviremo in seguito solamente di hFE in quanto il suo valore viene riportato dai manuali e perché risulta più semplice la relazione fra lC e IBE. Così facendo si può considerare il transistore come un apparato elettronico, in cui una forte corrente lC può venire controllata da una corrente piccolissima IB. Trovato ora il legame analitico fra lC ed IB in funzione anche della corrente inversa di saturazione lCBO (quantità che rimane praticamente costante) modifichiamo le curve precedentemente ricavate, per riportarle in modo definitivo in Fig. 21. Figura 21 Il comportamento di un transistore, risulta definito in funzione delle sue curve caratteristiche (determinabili in laboratorio) che legano fra di loro le grandezze lC, lB, VCE e VBE. 11 CARATTERISTICHE D'USCITA Le caratteristiche d'uscita, le più importanti per il transistore, forniscono i valori dela corrente di collettore lC, in funzione della tensione di collettore VCE per valori costanti di corrente di base IB. Il circuito impiegato per il loro rilievo è quello di Fig. 22. Queste caratteristiche sono di tipo pentodico, in quanto l'intensità della lC è poco influenzata dalla variazione di VCE, ma dipende unicamente dal valore di IB. Figura 22 Per corrente IB = O scorre nel circuito di collettore e nello stesso senso della corrente principale, la corrente lCBO la quale per temperatura ambiente è di piccola entità, mentre aumenta considerevolmente all'aumentare della temperatura, a causa (come già sappiamo) della maggiore rottura di legami covalenti, per agitazione termica. Queste curve sono rappresentate in fig. 23 CARATTERISTICHE DI CONTROLLO O TRANSCARATTERISTICHE Figura 23 Queste caratteristiche, denominate anche caratteristiche mutue di corrente (Fig. 24) forniscono l'andamento della corrente di collettore IC in funzione della corrente di base IB per tensione di collettore VCE costante. Per calcolarle ci si serve del circuito di Fig. 22. Praticamente è sufficiente conoscere una sola caratteristica, in quanto le altre sono ad essa molto ravvicinate e partono praticamente tutte dallo stesso punto di ordinata, pari al valore di corrente Figura 24 Equazione 12 IC I CBO 1 tendendo leggermente a divergere nella parte superiore (ultima parte). CARATIERISTICHE DI BASE o DI ENTRATA Le caratteristiche di entrata del transistore, sono rilevabili con il circuito di Fig. 25 a) e sono riportate in Fig. 25 b). Esse forniscono l'andamento della corrente in base IB in relazione alla tensione di base VBE per tensione di collettore VCE costante. Le caratteristiche di entrata sono molto ravvicinate, come quelle di controllo, per cui si considera solitamente, senza apprezzabile errore, la sola caratteristica intermedia. Da notare la caratteristica tratteggiata per VCE = O, che è scostata rispetto a quelle coincidenti per valori di VCE di normale funzionamento. 12 Figura 25 CARATIERISTICHE DI REAZIONE O MUTUE DI TENSIONE. Le caratteristiche di reazione o mutue di tensione esprimono la tensione di base VBE in funzione della tensione di collettore VCE per valori costanti della corrente di base IB. Esse sono riportate in Fig. 26 ed il circuito da impiegare per il loro rilievo è quello di Fig. 25 a). Queste caratteristiche sono presenti solamente nel transistore. Infatti, mentre nel triodo (o pentodo) una variazione di tensione anodica non provoca una variazione di tensione di griglia, in quanto la griglia controllo non è percorsa da corrente e, quindi, è disaccoppiata dalla placca; nel transistore una variazione di tensione di collettore varia, seppure Figura 26 limitatamente, la corrente di collettore lC, la quale a sua volta provoca una variazione della IB con conseguente variazione di VBE. La Fig. 27 riassume in un unico grafico (metodo usato dalla PHILIPS) le quattro curve caratteristiche del transistore di tipo NPN ad emettitore comune. Figura 27 13 Connessioni fondamentali del transistore. Figura 28 I collegamenti tipici del transistore sono tre. Essi vengono denominati: emettitore comune, base comune e collettore comune, intendendo comune quell'elemento che è contemporaneamente partecipe del circuito d'ingresso e d'uscita. Questi collegamenti vengono anche denominati emettitore a massa, base a massa e collettore a massa, se riferiti alle grandezze variabili. In Fig. 28 sono rappresentati in a), b), c), i tre montaggi fondamentali. Negli stessi circuiti sono state volutamente omesse le tensioni continue di alimentazione, per evitare complicazioni. La tensione del segnale di eccitazione è stata denominata Ve, mentre la tensione utile trasferita sul carico Vu; con Rs si intende la resistenza interna del generatore mentre Rs è la resistenza di carico ai capi della quale si preleva il segnale di uscita Vu. Il circuito con emettitore comune (Fig. 28 a) presenta una bassa impedenza di entrata, un'alta impedenza di uscita, un alto guadagno di potenza. Il circuito con base comune (Fig. 28 b) presenta un'impedenza d'entrata notevolmente bassa e notevolmente alta quella d'uscita, il guadagno di tensione è molto alto, mentre è circa unitario quello di corrente; il guadagno di potenza raggiunge valori medi. Il circuito con collettore comune (Fig. 28 c) presenta un'impedenza d'entrata molto alta, mentre notevolmente bassa è quella d'uscita, il guadagno di tensione è circa unitario e molto grande è quello di corrente, il guadagno di potenza è nel complesso basso. In pratica si impiega il collegamento ad emettitore comune nei preamplificatori e amplificatori di bassa frequenza, perché è l'unico collegamento che fornisce buoni guadagni di tensione e di corrente e di conseguenza permette di ottenere, a raffronto con gli altri due montaggi, la massima potenza utile. Il montaggio con base comune viene impiegato alle volte in alta frequenza, anche se presenta un'amplificazione di potenza inferiore al circuito precedentemente considerato. Infine, il collegamento con collettore comune (alta impedenza d'entrata e bassa impedenza d'uscita), trova largo impiego come trasformatore d'impedenza ed anche in alcuni casi come stadio amplificatore finale di bassa frequenza. Parametri ibridi «h» Prima di studiare il transistore impiegato nei circuiti amplificatori, vogliamo definire i suoi circuiti equivalenti differenziali e i relativi parametri h e Y. Tali parametri rappresentano le proprietà elettriche dei transistori, ossia per un certo circuito le relazioni esistenti fra le tensioni e le relative correnti all'entrata ed all'uscita del transistore. I parametri h sono applicati per il calcolo dei circuito che impiegano transistori, lavoranti in bassa frequenza (BF). Per determinare il funzionamento del transistore amplificatore in bassa frequenza, ed eccitato da piccoli segnali di ingresso, si ricorre al circuito equivalente, che impiega i parametri ibridi h. 14 Prima di studiare tale circuito, bisogna fare talune osservazioni. Anzitutto il transistore può essere assimilato ad un quadripolo, anche se ha solo tre terminali: emettitore, base, collettore, purché uno dei terminali venga considerato comune, sia all'ingresso che all'uscita del quadripolo stesso. Infatti, in questo modo si giustifica la terminologia: emettitore comune, base comune e collettore comune. Inoltre bisogna studiare il circuito con piccoli segnali alternativi, in relazione ai livelli dei componenti costanti (VCE, VBE, IC, IB), in modo da considerare le sole componenti variabili regolate da coefficienti, i quali, data la linearità del funzionamento, possono essere ben definiti e considerati costanti. Un altro fattore importante è considerare la temperatura di lavoro del transistore di valore ambientale e costante od anche fare in modo da rendere il funzionamento del transistore insensibile alle variazioni di temperatura di giunzione del cristallo che lo compone (stabilizzazione termica del punto di lavoro, come vedremo in seguito nel presente capitolo). In Fig. 29 è rappresentato il transistore considerato come un quadripolo (o doppio bipolo). Le grandezze riportate sono unicamente quelle alternative e rispettivamente: Ve tensione di entrata; Vu tensione di uscita ai capi del carico; ie corrente di entrata ed iu corrente d'uscita al carico. Figura 29 Dalle quattro grandezze elettriche ve, vu, ie, iu, una qualsiasi coppia può essere espressa, avvalendoci dei principi sulla teoria dei circuiti, in funzione delle altre due. Le relazioni mutue, che intercorrono fra queste grandezze, sono facilmente deducibili con l'aiuto del calcolo matriciale, del quale si omette ovviamente la trattazione. Purché i segnali siano molto piccoli, tali relazioni valgono: Equazione 13 ve h11ie h12 vu iu h21ie h22 vu Determiniamo i parametri h Poniamo vu = 0, cioè chiudendo in cortocircuito i morsetti d’uscita, si ottengono i due parametri: Equazione 14 v h11 e ie ve h11ie iu h21ie h iu 21 ie h11 essendo il rapporto tra una tensione ed una corrente rappresenta la resistenza d’ingresso quando i morsetti d’uscita sono in corto circuito. Il termine h21 essendo il rapporto tra due correnti è un numero puro è rappresenta il rapporto di trasformazione in corrente quando il morsetti d’uscita sono in cortocircuito2. Poniamo, adesso, ie = 0, cioè lasciando i morsetti d’ingresso aperti, si ottengono i parametri: Equazione 15 v h12 e vu ve h12 vu iu h22 vu h iu 22 vu 2 Di solito di valore trascurabile, tiene conto dell'effetto di retroazione intrinseca del transistore 15 Come nel caso precedente Il parametro h12 è un numero puro e rappresenta il rapporto di retroazione di tensione esistente fra ingresso ed uscita, per ingresso aperto, mentre h22 rappresenta la conduttanza (l’inverso della resistenza) esistente fra i morsetti secondari quando l’ingresso aperto. In genere i parametri ibridi a doppio pedice, così come da noi usati, sono definiti come segue: h11 = hi; h12 = hr; h21 = hf; h22 = h0; l’equazione 13 quindi diventa: Equazione 16 ve hi ie hr vu iu h f ie h0 vu Esse rappresentano le equazioni caratteristiche del transistor in connessione ad emettitore comune. Consideriamo adesso il seguente circuito: Figura 30 Ricaviamo le equazioni caratteristiche di questo circuito. L’equazione alla maglia impone: ve hi ie hr vu Equazione 17 Mentre l’equazione al nodo impone: Equazione 18 iu h f ie vu iu h f ie h0 vu 1 h0 Mettendo insieme le due equazioni 17 e 18 si ottiene: Equazione 19 ve hi ie hr vu iu h f ie h0 vu Che è uguale all’equazione 16 prima ricavata per il doppio bipolo, pertanto il circuito di fig. 30 rappresenta il circuito equivalente del transistor con connessione a collettore comune. Questo circuito vale anche per i collegamenti a base comune e a collettore comune; resta il fatto che a seconda della connessione usata i parametri h assumeranno il valore riferito a quel tipo di impiego, e, nel loro aspetto grafico saranno seguiti rispettivamente dal pedice e, b o c. I valori dei parametri h vengono forniti dal costruttore del transistore. Il più delle volte il costruttore fornisce i valori dei parametri solo per la connessione ad emettitore comune. 16 La Tab. I riporta le formule approssimate per la conversione dei parametri da una connessione ad un'altra. Tabella 1 Esempio n. 1 Per il transistore 2N1711 il costruttore fornisce i valori estremi dei parametri h a base comune. Ricavare i valori massimi dei parametri a emettitore comune. Risoluzione. Dalle caratteristiche del 2NI711 per lC = 5 mA e VCE = 10 V, alla frequenza di 1 kHz, si rilevano i seguenti valori massimi dei parametri: hib = 8 ; hrb = 5 ∙10‐4; h0b = 1 Ω‐1 e hfb = ‐0.9967. Mediante l'uso delle formule di trasformazione di Tab. I si ha: hib 8 hie 1 h 1 0.9967 2424.24 fb h h 1 10 6 8 5 10 4 0.01924 hre 0b ib hrb 1 h fb 1 0.9967 h 0 . 9967 fb h 302.03 fe 1 h fb 1 0.9967 h0b 1 10 6 h 3030 1 0e 1 h 1 0.9967 fb 17 Punto di funzionamento a riposo di un transistore Il punto di funzionamento a riposo di un transistore è scelto in base al circuito in cui il transistore viene impiegato. In pratica si possono avere tre zone in cui il transistore può funzionare: interdizione, attiva e saturazione. Zona di interdizione: il transistore si comporta come un circuito aperto (lC = O) e ciò avviene per IB = 0 ossia quando la tensione VBE non è sufficiente a porre Figura 31 in conduzione il diodo base – emettitore, fintanto che: VBE < V (tensione di soglia). Sul collettore si avrà pertanto tutta la tensione VCC. Zona attiva: il diodo base – emettitore è in conduzione, pertanto IB e lC sono diverse da zero; le giunzioni sono correttamente polarizzate cioè IVBEI < IVCEI∙ in questa zona a variazioni di IB corrispondono variazioni proporzionali di lC. Zona di saturazione: La corrente IB non influisce sul valore di lC ed dall’equazione 14 si ha: Equazione 20 IC IB h fe Le giunzioni base – emettitore e base – collettore sono polarizzate direttamente, cioè IVBEI > IVCEI. Sulle caratteristiche di uscita le tre zone di funzionamento sono distinte come in Fig. 32. La zona di interdizione è definita dall'asse delle ascisse e dalla caratteristica mutua IB = O. La zona attiva va dalla caratteristica IB = 0 fino alla linea che collega i ginocchi delle curve, mentre la zona di saturazione è compresa tra l'asse delle ordinate e il ginocchio delle caratteristiche. Figura 32 Tabella 2 18 Il punto di funzionamento del transistor può essere ricavato in modo grafico come in figura 33 Figura 33 Determinazione pratica degli elementi del circuito. Il punto di funzionamento a riposo di un transistore viene fissato in fase di progetto a seconda del circuito in cui verrà impiegato e dei risultati che si vogliono ottenere dal circuito stesso. Molti sono gli elementi che concorrono a determinare tale punto. Facciamo qui il caso più frequente di un amplificatore di tensione ad emettitore comune, del quale, in fase di progetto sono stati fissati: VCC, VCE, lC e S 3. Gli altri elementi sono conseguenti e si ricavano o con le formule, o con le applicazioni delle leggi elettrotecniche o con le considerazioni pratiche fatte nei paragrafi precedenti. I valori degli elementi intrinseci del transistore sono forniti dal costruttore. La potenza massima dissipabile dal transistor (dato fornito dal costruttore) vale: PD VCE I C Ptot Equazione 21 anche hfe è un dato fornito dai costruttore, mentre dalla tabella 2 si hanno i valori di VBE nella zona attiva. Equazione 22 Ve 1 VCC Re I C 10 Equazione 23 Re VE VE I E IC Equazione 24 RC VCC VCE Ve IC Figura 34 Equazione 25 RB Re S 1 per S < 10 3 Il parametro S rappresenta la stabilità del punto di lavoro al variare della temperatura, tanto più piccolo è S tanto più stabile è il punto di lavoro al variare della temperatura. 19 Figura 35 IC h fe Equazione 26 Ib Equazione 27 VBB VE VBE Rb I B Equazione 28 R1 Rb Equazione 29 R2 VCC VBB R1 Rb R1 Rb TRANSISTORI AD EFFETTO DI CAMPO Sono dispositivi con una resistenza di ingresso elevata atti ad essere comandati in tensione. Transistori ad effetto di campo JFET. Il JFET (junction field effect transistor) si compone essenzialmente di una barretta di germanio o di silicio di tipo N o P, ai cui lati è stata creata per diffusione una zona drogata di tipo opposto. La parte della barretta compresa tra detta zona prende il nome di canale, e, a seconda del tipo del suo drogaggio, si avranno JFET a canale N o a canale P. In Fig. 36 sono riportati la sezione del JFET e il suo simbolo elettrico. I tre reofori di uscita sono cosi denominati: i due agli estremi della barretta: drain e source, il terzo, collegato alla zona intermedia: gate. Figura 36 In assenza di tensioni di polarizzazione, in prossimità della giunzione PN o NP che il gate forma con la barretta, si ha una barriera di potenziale, come si vede in Fig. 37. Se si polarizza inversamente la giunzione gate – source con una batteria esterna, la barriera si estende all'interno del canale, fino, per un certo valore di VGS, ad occuparlo tutto (Fig. 38). Si dice allora che si è raggiunta la tensione di pinch – off, e si indica con Vp il valore di tensione VGS corrispondente. Alla tensione Vp il canale è privo di Figura 37 20 cariche libere e la resistenza tra drain e source è dell'ordine dei M. Figura 38 Si noti anche che, essendo la giunzione gate – source polarizzata in senso inverso, non si ha passaggio di corrente di gate e quindi la resistenza di ingresso del JFET è paragonabile a quella di un diodo polarizzato inversamente: in teoria è infinita. Supponiamo ora di collegare direttamente il gate al source e di dare una tensione VDS tra drain e source, con il positivo sul drain se il canale è di tipo N o viceversa se il canale è di tipo P. La giunzione drain – gate risulterà polarizzata inversamente, mentre quella gate ‐ source non è sottoposta ad alcuna tensione (Fig. 39). Figura 39 All'aumentare di VDS la barriera di potenziale della giunzione drain – gate si allarga sempre più con una forma a cuneo, come è visibile nella Fig. 39 a); fino a quando non occuperà tutto il canale (Fig. 39 b). Anche 21 in questo punto si dice che si è raggiunta la tensione di pinch – off: Vp che è, in valore assoluto, la tensione VDS alla quale il canale si interrompe. Se la VDS aumenta oltre questo valore, il canale resta pressoché della stessa forma, mentre la barriera di potenziale si estende verso il drain (Fig. 39 c). La corrente di drain ID, fino a IVDSI < IVpI, dipende dalle cariche libere, elettroni nel canale N lacune nel canale P, e cresce linearmente con VDS. Una volta raggiunto e superato il valore di pinch – off, ID non aumenta più, dato che il canale rimane di forma pressoché costante. Come si è visto, la tensione di pinch – off può essere raggiunta sia con la VGS che con la VDS e, di conseguenza, dall'azione contemporanea di entrambe. La tensione di pinch – off Vp è la somma dei valori assoluti delle due: Equazione 30 V p VGS VDS Nelle figure fin qui rappresentate si è analizzato il caso di JFET a canale N. Le stesse considerazioni valgono anche per i JFET a canale P cambiando di polarità le batterie VGS e VDS. Transistore ad effetto di campo MOSFET. Il MOSFET (metal oxide silicon field effect transistor) è essenzialmente un JFET al silicio con il gate isolato dal semiconduttore mediante un sottile strato di ossido di silicio. Il MOSFET è formato da un substrato di silicio (B), debolmente drogato N o P, nel quale sono diffuse due zone, fortemente drogate, di tipo opposto che hanno la funzione del drain e del source. Nella zona compresa tra questi ultimi, ma isolato dal substrato dallo spessore dell'ossido di silicio, un elettrodo metallico: il gate (Fig. 40). Figura 40 Solitamente, con un collegamento esterno o internamente, il substrato è collegato al source. La particolarità di avere il gate isolato dal substrato ha come conseguenza una altissima resistenza di ingresso del dispositivo: dell'ordine di 1015 , pur rendendo l'ingresso leggermente capacitivo. Per le diverse tecnologie di costruzione si distinguono due tipi di MOSFET: l'enhancement e il depletion. MOSFET ENHACEMENT. Facciamo il caso di un dispositivo a canale N. Collegando il substrato al source e una batteria al drain, con il polo negativo al source, e senza polarizzare il gate, non si verifica alcun passaggio di corrente tra drain e source; così pure se si polarizza negativamente il gate rispetto al source. Infatti nel primo caso, la giunzione substrato – drain risulta polarizzata in senso inverso; mentre nel secondo il condensatore gate – substrato si carica con polarità negativa sul gate e positiva sul substrato, non modificando quindi le condizioni iniziali (Fig. 41 a). 22 Se viceversa, lasciando inalterato il collegamento della batteria VDS, si polarizza positivamente il gate rispetto al source, il condensatore si carica con polarità negativa sul substrato, creando su di esso un canale di tipo N che pone in comunicazione drain e source, permettendo il passaggio della corrente ID (Fig. 41 b). Affinché avvenga l'apertura del canale nel substrato, la tensione VGS deve essere superiore ad un certo valore, indicato con VT, che prende il nome di tensione di soglia. Una volta polarizzato il gate con VGS> VT, aumentando gradatamente VDS, partendo da zero, in un primo tempo la corrente ID sale quasi linearmente, fino a che, causa la polarità della batteria VDS, il drain con il suo campo elettrico annulla quello del gate. Si è raggiunta allora la tensione di pinch – off (come nei JFET) e la ID, pur crescendo VDS, rimane pressoché costante. Ciò accade per: Equazione 31 VT VGS VDS Invertendo le polarità delle batterie gli stessi ragionamenti valgono per i MOSFET Figura 41 ENHANCEMENT a canale P. MOSFET DEPLETION. Figura 42 Sostanziale differenza dal tipo ENHANCEMENT per il fatto che il canale tra drain e source è già formato con un sottile strato di silicio drogato in modo opposto a quello del substrato (Fig. 42 a) e b) . Analizziamo anche qui il caso di un MOSFET DEPLETION a canale N, anticipando che le conclusioni valgono anche per i dispositivi a canale P, salvo invertire la polarità della batteria VDS. Applicando al gate una tensione positiva si allarga la sezione del canale (Fig. 42 c), e, quindi si ha un funzionamento del tipo ENHANCEMENT. Per 23 tensione VGS negativa, invece, il canale si restringe (Fig. 42 d), fino a scomparire per VGS = Vp (tensione di pinch – off). Si possono così avere tensioni gate – source positive o negative. Polarizzazione dei JFET. La polarizzazione nei JFET è ottenuta portando il source ad una tensione positiva o negativa rispetto a massa a seconda che si tratti di JFET a canale N o P, mediante una resistenza Rk, in serie tra il source stesso e massa, e collegando a massa il gate. Essendo il gate l'elettrodo al quale generalmente si applica il segnale di ingresso, il suo collegamento a massa è fatto mediante una resistenza Rg di valore piuttosto elevato all'ordine del M. Su Rg ovviamente non vi è caduta di potenziale in quanto non essendoci corrente tra gate e source anch'essa non è attraversata da corrente (Fig. 43). Figura 43 Equazione 32 VGS RK I D Per quanto riguarda il circuito di drain, l'equazione della maglia è: Equazione 33 VCC RC I D VDS VGK RC VCC VDS VGK ID Per via grafica, sulla famiglia delle caratteristiche di drain si traccia la retta di carico passante per i punti VCC di ascissa VCC di RC ordinata. L'intersezione di detta retta con la caratteristica relativa alla VGS scelta definisce il punto di funzionamento a riposo, e precisamente: l'ascissa è il valore Figura 44 di VDSQ e l'ordinata quello di IDQ (Fig. 44 a). Sulle caratteristiche mutue, fissato il valore di IDQ o di VGSQ si ricava direttamente quello di VGSQ e viceversa (Fig. 43 b). 24 Polarizzazione dei MOSFET. MOSFET ENHANCEMENT. Questi dispositivi richiedono una polarizzazione gate – source dello stesso segno di quella di drain, pertanto si ricorre ad un partitore resistivo come per i transistori (Fig. 45). Innanzi tutto si fissa il valore di (R1 + R2), molto alto dell'ordine dei M, e quindi conoscendo il valore di VCC si ha: VGS Equazione 34 R2 VCC R1 R2 Per quanto riguarda il circuito di drain l'equazione della maglia è: Figura 45 Equazione 35 VCC RC I D VDS RC VCC VDS ID MOSFET DEPLETION. Quando il dispositivo lavora in zona enhancement valgono le considerazioni fatte al paragrafo precedente; se lavora in zona depletion valgono quelle fatte per i JFET. La Fig. 46 mostra un MOSFET DEPLETION che può lavorare sia con tensione di gate positiva o negativa. Figura 46 25 Stabilizzazione nei transistori ad effetto di campo. Quanto verrà detto vale sia per i JFET che per i MOSFET ENHANCEMENT e DEPLETION. Causa principalmente la dispersione delle caratteristiche e la temperatura il punto di funzionamento a riposo può variare sensibilmente. La Rk, posta tra source e massa, compensa in parte queste variazioni. Infatti all'aumentare della corrente ID corrisponde una diminuzione della tensione VGS (il punto di funzionamento a riposo viene spostato verso l'interdizione). Questa diminuzione di VGS contrasta in parte l'aumento di ID e stabilizza il punto di funzionamento del JFET. Il processo inverso avviene se ID cala. Esaminando la Fig. 48, che riporta le caratteristiche tipiche, minima e Figura 47 massima di un JFET e su cui si sono tracciate due rette di equazione: Equazione 36 VGS R K 1 I D VGS R K 2 I D R R K2 K1 Si nota come IDmax e IDmin siano meno discoste per valori via, via crescenti di Rk. Aumentare Rk, però, significa portare il JFET a lavorare in prossimità di Vp e di conseguenza con valori di gm bassi, riducendo, come si vedrà in seguito, il guadagno del circuito. Per ovviare a questo inconveniente si può usare il circuito di Fig. 47. La tensione di polarizzazione è data da: Equazione 37 VGS R2 VCC Rk I D R1 R2 Il varore di (R1 + R2) è scelto come nel caso del MOSFET ENCHANCEMENT, a proposito del quale si fa Figura 48 notare che la resistenza Rk posta sul source, pur non essendo necessaria per la polarizzazione, è indispensabile al fini della stabilizzazione. Nel caso di stabilizzazione con partitore R1 e R2 sul gate, il più delle volte in fase di progetto, si impone la massima variazione consentita alla ID. Sulle caratteristiche mutue massima e minima si uniscono questi due punti con una retta che interseca l’ascissa ne l punto: Equazione 38 e ha pendenza: VGS R2 VCC Rk I D R1 R2 1 Rk 26 Figura 49 Il valore di Rk si ricava dal rapporto (IDmax – IDmin) e (VGSmax ‐ VGSmin): Rk Equazione 39 I D max I D min VGS max VGS min Circuito equivalente del JFET. I circuiti equivalenti serie e parallelo del JFET sono rappresentati in Fig. 50 a) e b). In essi, essendo in JFET un dispositivo comandato intensione di resistenza di ingresso infinita, il circuito di entrata è aperto. Per i MOSFET i circuiti equivalenti sono analoghi. Figura 50 27