Essere vecchi a Roma

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CICERONE
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approfondimento
Essere vecchi a Roma
Nella sua opera La vita quotidiana nella Roma repubblicana, F. Dupont affronta anche il tema della vecchiaia
nell’antica Roma: quando inizia? Quale funzione hanno gli anziani nella società? Come guardavano i Romani a
questa età della vita?
La vecchiaia esiste, ma è ben lontana dall’escludere gli uomini dalle cariche pubbliche, al contrario, è
necessaria per ricoprire le magistrature più importanti. In effetti, i Romani non fanno della vecchiaia
un ostacolo; le persone anziane hanno un’importante funzione da svolgere, perché senza di loro non
ci sarebbe la città. I vecchi, gli uomini di età superiore a quarantasei anni che vanno chiamati anziani,
hanno una saggezza derivata dall’esperienza; conoscono la tradizione e hanno perduto quella febbre
ambiziosa che rende i giovani così pericolosi. Tutto questo conferisce loro un prestigio particolare,
l’auctoritas che dà peso al loro parere, che i Romani chiamano gravità. Gli anziani sono trattati con rispetto, e i Romani li onorano salutandoli, cedendo loro il passo, alzandosi in loro presenza, scortandoli,
accompagnandoli a casa, consultandoli. Il prestigio degli anziani costituisce tutto il potere del Senato,
perché a Roma gli anziani per eccellenza sono i senatori, il cui nome proviene dalla parola senex. Questi vecchi magistrati vigilano sulla città e il loro ruolo è quello di conciliatori oltre a quello di depositari
della tradizione.
Giovani e vecchi formano nella città una coppia complementare, gli anziani sono la saggezza e la riflessione, i giovani sono l’audacia e l’azione. Tuttavia i vecchi non vengono esclusi dall’azione; il solo limite che conosca l’attività pubblica di un uomo sono le sue forze in declino e soprattutto la stanchezza
per la vita politica. A molti la vecchiaia fisica serve da alibi, perché in realtà aspirano al riposo. Ma i migliori continuano ad agire fino all’ultimo respiro. Camillo era uno di questi terribili vecchietti: fu dittatore per la quinta volta a ottant’anni [...].
Sono numerosi i Romani che arrivano a vivere la vecchiaia? Si calcola che il trenta per cento di una generazione raggiunge i quarant’anni, il tredici per cento i sessant’anni, senza distinzioni di sesso. Se si
pensa che solo la metà dei bambini diventano adulti, la percentuale degli anziani è elevata. Una volta che
sono sopravvissuti ai due flagelli dell’età adulta, la guerra e
il parto, gli uomini e le donne vivono a lungo. Roma possiede delle persone centenarie, ed ogni censimento ne registra un solido battaglione; si dice che alcuni siano arrivati
fino a centocinquant’anni. ma senza tirare in ballo questi
prodigi di longevità, ci sono dei centenari molto famosi
come Valerio Corvino, nato nel 371 a.C., che coltivò la
terra fino all’ultimo, o come Appio Claudio Cieco, che
privo della vista e troppo stanco per camminare, si faceva
trasportare in lettiga al Senato quando voleva intervenire
contro una politica giudicata dannosa. Catone il Vecchio, a
novant’anni, intenta un processo contro Galba. Alcune
donne vivono cent’anni e più; Clodia, figlia di Ofilio e contemporanea di Cesare, muore a centotré anni dopo avere
avuto quindici figli. Terenzia, la prima moglie di Cicerone,
muore alla stessa età. L’attrice di mimo Lucceia recita ancora a cent’anni di età.
F. DUPONT, La vita quotidiana nella Roma repubblicana, Laterza,
Roma-Bari 1997, p. 55-57 passim
Vecchio sileno si affaccia tra foglie, fiori e frutta,
I secolo a.C., Casa del Bracciale d’Oro, Pompei,
Sopraintendenza Archeologica.
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