CONCLUSIONE
L’interesse che mi ha spinto a questa ricerca è stato dato dall’intuizione che la Scuola di Francoforte
rappresentasse un che di diverso nel panorama culturale del marxismo come teoria sociale. Ciò che
caratterizza il marxismo di Adorno e Horkheimer è, infatti, il materialismo storico unito ad uno
spiccato senso religioso di matrice sia ebraica che protestante.
Senza negare l’importanza della costruzione di una società più razionale permane l’immagine della
giustizia perfetta che non può mai venir realizzata appieno giacché “anche se un giorno una società
migliore si sarà sostituita all’attuale disordine e sviluppata, la miseria passata non sarà compensata
né sarà superato il bisogno nella natura circostante” 1
Se la via della storia passa “attraverso il dolore e la miseria degli individui”2 allora il materialista e
l’uomo con senso religioso si incontrano non nel compimento della prassi rivoluzionaria e nella sua
realizzazione storica come pensava Marx,ma nel riconoscimento della radicalità dell’esperienza di
sofferenza e di morte che appartengono all’uomo; in questa prospettiva il dolore delle generazioni
precedenti non vengono legittimate dalla società futura per cui pure si deve lottare.
Tale concezione,che unisce il carattere della prassi sensibile con la sua finitezza, spezza la struttura
concettuale di ascendenza idealistica e la forma politica del marxismo che non considera i limiti
dell’uomo e della sua attività determinata,mandando in frantumi la sua perenne tentazione di
costituirsi come un trionfante umanesimo prometeico.
L’assolutizzazione del finito è, per i Nostri,la menzogna suprema perché e stata proprio la
divinizzazione del soggetto finito alla radice dell’alienazione umana.
Solo sulla base del riconoscimento della radicalità dell’esperienza di sofferenza e di morte che
appartengono all’uomo può scaturire la possibilità di un desiderio del totalmente altro dal mondano.
Lo stesso Adorno dice che “negativamente viene ad avere ragione la teologia contro chi crede solo
nell’aldiquà,in forza della coscienza della sua nullità.” 3
Il valore della religione non consiste dunque in un affermazione ma in una domanda,nella domanda
radicale della felicità e della giustizia, che trova fondamento in quella nostalgia del Volto nascosto,
come bisogno di una patria comune che dia orizzonti di senso senza esercitare violenza.
Ma se l’uomo si considera in grado di farsi assoluto ,di liberarsi da tutti i limiti che lo affligono
attraverso la prassi rivoluzionaria o attraverso il progresso scientifico e tecnico ,che della precedente
sembra volere raccogliere il testimone della promessa di verità e liberazione per l’umanità,allora
non c’è posto per dio.
La fine della religione, fenomeno a cui certa teologia contemporanea vorrebbe dare una
connotazione positiva, se si realizzasse in maniera piena nel tessuto sociale comporterebbe, secondo
Horkheimer, effetti disastrosi per la convivenza umana,in quanto : “Assieme con Dio muore anche
la verità eterna”.
Se le forme storiche assunte dal teismo non possono essere giudicate innocenti alla luce della
dialettica dell’Illuminismo, tanto meno lo può essere la sua decretata sparizione.
Essa obbedisce ad interessi tendenti ad escludere la domanda sul senso e a ridurre il problema ad
una questione meramente tecnica.
La teologia quindi, nella misura in cui è forma di sapere non legata a scopi pragmatici può diventare
un luogo di contestazione al dogma positivista che caratterizza ogni altro tipo di sapere: “Ogni
conoscenza è legata a degli scopi, la teologia vuol essere libera da fini terreni, ed in questo è
inferiore e superiore ad ogni altro tipo di conoscenza”.
Si tratta quindi per Horkheimer di mantenere in vita la domanda religiosa dissociandola dalle
risposte dogmatiche e riunendola intimamente al problema della fondazione di una prassi
genuinamente umanizzante.
1
TC , vol. I, p. 366
Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese della storia, cit., p. 67
3
DN, pag. 342
2
La religione non è soltanto un credo; è una vita che implica un credo, e che come tale orienta e da
senso all'intera esistenza umana e alle sue differenti manifestazioni.
Il senso si presenta come necessario altrimenti non si darebbe pensiero alcuno: “la negazione di
Dio,dicono i Nostri,implica in sé una contraddizione insuperabile in quanto nega il sapere stesso.”4
La scoperta del senso delle cose,infatti, non è un puro prodotto mentale 5,come vorrebbe Kant ma
ogni conoscere è radicato e fondato sull’essere del senso come sua possibilità originaria.
Perciò il divieto di pensare l’assoluto spinge al divieto di pensare in genere perché l’apertura alla
totalità è costitutiva del pensiero che si rivela già in origine pensiero dell’assoluto,di quella
dimensione di pienezza che è il totalmente Altro dalla miseria e dai limiti mondani.
Dio,custode del senso,è necessario al pensiero in quanto condizione originaria in cui realtà e
pensiero si co-appartengono, come contenuto originario che costituisce entrambi,da una parte la
pensabilità da parte del pensiero dell’essere, dall’altra la stessa manifestazione dell’essere che si
offre al pensiero.
Ma egli è,al contempo,sciolto da ogni decisione del pensare umano essendo realtà costitutiva, non
autoprodotta dall’uomo e perciò Altra.
Solo così,nel suo esser mistero, consente al pensiero di essere sostenuto in essere senza che esso
possa sottrarsi al proprio fondamento o raggiungerne un possesso integrale.
E qui la differenza rispetto ad ogni idealismo caratterizzato dall’intenzione di tradurre l’assoluto, da
orizzonte fondante il pensiero,in contenuto pienamente posseduto dal pensiero.
Ma il pensiero umano non è assoluto,e quindi non riesce a possedere esaustivamente la realtà,a
inquadrarla nei propri schemi perché essa rimane altra, rinviando ad un ulteriorità più vasta.
Se il pensiero è finito non si da quella possibilità in cui esso possa cogliere la trascendenza del
divino ma si da solo la possibilità di custodire questa trascendenza prendendo consapevolezza della
sua finitezza perché quel senso è interalità inesauribile.
Solo rammemorando al pensiero la sua costitutiva finitezza è possibile che esso si apra al senso
costitutivo delle esistere attraverso la sua indomita tensione al vero,a lasciar manifestare le cose nel
loro significato più autentico.
Occorre oggi più che mai riprendere quel lavoro teorico iniziato dai francofortesi perché l’analisi
teorica compiuta dai nostri riguardante le tendenze della società può essere ancora un punto di
riferimento fecondo in quanto il nostro tempo vive l’acuirsi di quelle tendenze e dei nodi
problematici dibattuti dai francofortesi tutt’ora densi di significati e suscettibili di operazioni
critico-pratiche.
4
DI. pag. 125
Come vorrebbe Kant,secondo cui il pensiero non è aperto conoscitivamente alla realtà dell’assoluto,per cui l’essenza
del reale risulta inafferrabile e in conoscibile.
5