III_Modulo3_xp7.qxp:3_03 24-09-2009 11:21 Pagina 263 L’Italia fascista 5 CAPITOLO 11 263 LA POLITICA ESTERA E L’IMPERO Nel movimento fascista fu sempre presente, fin dalle origini, una forte componente nazionalistica. Tale componente era profondamente connaturata all’ideologia e alla prassi del fascismo, che doveva parte del suo successo al fatto di presentarsi come il paladino della riscossa nazionale e che, una volta giunto al potere, continuò a proporsi come il restauratore delle glorie di Roma antica e a servirsi della propaganda nazional-patriottica come strumento essenziale di aggregazione del consenso. Diversamente dalla Germania, sconfitta in guerra e mutilata al tavolo L’accordo con della pace, l’Italia fascista non aveva però da avanzare rivendicazioni terle democrazie ritoriali plausibili, capaci di mobilitare l’opinione pubblica. Nonostante le delusioni subìte a Versailles, l’Italia era pur sempre una potenza vincitrice e aveva risolto in modo soddisfacente l’intricata questione adriatica [cfr. 8.1-2]. Così, fino ai primi anni ’30, le aspirazioni imperiali del fascismo rimasero vaghe e spesso contraddittorie e si tradussero, più che in una coerente direttiva di politica estera, in una generica contestazione dell’assetto uscito dai trattati di Versailles, che tuttavia non impedì all’Italia di mantenere buoni rapporti con la Gran Bretagna e di restare, nel complesso, all’interno del sistema di sicurezza collettiva fondato sull’intesa fra le potenze vincitrici. L’accordo di Stresa dell’aprile 1935 [cfr. 10.7] fu la manifestazione più significativa di questa fase della politica estera fascista. Ma fu anche l’ultima: mentre si accordava con le democrazie occidentali per contrastare il riarmo tedesco, Mussolini stava già preparando l’aggressione all’Impero etiopico, unico grande Stato indipendente del continente africano. A spingere Mussolini verso un’impresa di cui pochi in Italia sentivano la I moventi necessità furono motivi di politica interna e internazionale. Con la guerdell’impresa etiopica ra d’Etiopia Mussolini intendeva innanzitutto dare uno sfogo alla vocazione imperiale del fascismo, vendicando lo scacco subìto dall’Italia nel 1896 con la sconfitta di Adua e mostrando che il suo regime poteva riuscire là dove la classe dirigente liberale aveva fallito. Ma voleva anche creare una nuova occasione di mobilitazione popolare che facesse passare in secondo piano i problemi economici e sociali del paese. I governi francese e inglese erano disposti ad assecondare, almeno in parLe sanzioni te, le mire italiane. Ma non potevano accettare – anche per la pressione dell’opinione pubblica – che uno Stato indipendente, per giunta membro della Società delle nazioni, fosse cancellato dalla carta geografica da un atto di aggressione. Così, quando all’inizio dell’ottobre 1935 l’Italia diede inizio all’invasione dell’Etiopia, Francia e Gran Bretagna non poterono fare a meno di condannare ufficialmente l’azione e di proporre al Consiglio della Società delle nazioni l’adozione di sanzioni, consistenti nel divieto di esportare in Italia merci necessarie all’industria di guerra. Approvate a schiacciante maggioranza pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione, le sanzioni ebbero un’efficacia molto limitata: sia perché il blocco non era esteso alle materie prime, sia perché non impegnava gli Stati che non facevano parte della Società delle nazioni, come gli Stati Uniti e la Germania. Le decisioni prese ebbero però l’effetto di approfondire il contrasto fra il regime fascista e le democrazie europee e consentirono a Mussolini di montare un’imponente campagna propagandistica tesa a presentare l’Italia come vittima di una congiura internazionale. plutocrazia L’immagine dell’Italia proletaria cui le nazioni plutoPredominio nella vita pubblica di gruppi finanLa ziari o individui che grazie all’ampia disponicratiche, già padrone di sterminati imperi coloniali, mobilitazione bilità di capitali sono in grado di influenzare popolare volevano impedire la conquista di un proprio «posto in maniera determinante gli indirizzi politici al sole» riuscì in effetti a far breccia nell’opinione pubblica italiana, non dei rispettivi governi. Il nazionalismo fascista III_Modulo3_xp7.qxp:3_03 264 24-09-2009 MODULO 3 11:21 Pagina 264 Totalitarismi e stermini di massa escluse le classi popolari, alle quali fu fatto intravedere il miraggio di nuovi posti di lavoro e di nuove opportunità di ricchezza da conquistare oltremare. Le piazze si riempirono di folle inneggianti a Mussolini e alla guerra. Studenti e attivisti di partito diedero vita a rumorose manifestazioni anti-inglesi. Milioni di coppie, a cominciare da quella reale, accolsero l’invito del governo di donare alla patria l’oro delle loro fedi nuziali. Anche alcuni noti antifascisti si sentirono in dovere di esprimere solidarietà alla nazione in guerra. Il paese fu percorso da un’ondata di imperialismo popolaresco, ben più ampia di quella che aveva accompagnato, un quarto di secolo prima, la spedizione in Libia. Sul piano militare l’impresa fu più difficile del previsto: gli etiopici si batLa terono con accanimento per più di sette mesi sotto la guida del negus proclamazione dell’Impero Hailé Selassié. Ma il loro esercito, male organizzato e peggio equipaggiato, nulla poteva contro un corpo di spedizione che giunse a impegnare circa 400.000 uomini e fece ampio ricorso ai mezzi corazzati e all’aviazione, usata in più occasioni per bombardare le truppe nemiche con gas asfissianti. Il 5 maggio 1936, le truppe italiane, comandate dal maresciallo Pietro Badoglio, entrarono in Addis Abeba. Quattro giorni dopo, Mussolini poteva annunciare alle folle plaudenti «la riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma» e offrire al sovrano la corona di imperatore d’Etiopia. Da un punto di vista economico la conquista dell’Etiopia, paese povero di risorse naturali e poco adatto agli insediamenti agricoli, rappresentò per l’Italia un peso non indifferente, aggravato dai problemi suscitati dalle sanzioni (poco efficaci militarmente, eppure dannose per il commercio). Ma sul piano politico il successo fu clamoroso e indiscutibile. Portando a termine una campagna coloniale vittoriosa, imponendo la propria volontà alle democrazie occidentali e costringendole poi ad accettare il fatto compiuto (le sanzioni furono ritirate nell’estate 1936), Mussolini diede a molti la sensazione, illusoria, di aver conquistato per l’Italia una posizione di grande potenza. Adunata per la proclamazione dell’Impero d’Etiopia, 9 maggio 1936 III_Modulo3_xp7.qxp:3_03 24-09-2009 11:21 Pagina 265 L’Italia fascista CAPITOLO 11 265 Inebriato dal successo etiopico, Mussolini credette di poter condurre una politica ambiziosa e spregiudicata, sfruttando ogni occasione (vedi il caso della Spagna: cfr. 10.8) per allargare l’area di influenza italiana giocando sulla rivalità fra tedeschi e franco-inglesi. In questo gioco doveva rientrare, almeno in un primo tempo, anche il riavvicinamento dell’Italia alla Germania, cominciato subito dopo la guerra d’Etiopia e sancito, nell’ottobre 1936, dalla firma di un patto di amicizia cui fu dato il nome di Asse Roma-Berlino. Rafforzata dal comune impegno nella guerra civile spagnola e, nell’autunno ’37, dalla adesione italiana al cosiddetto Patto anticomintern (un accordo stipulato l’anno prima da Germania e Giappone, che impegnava i due paesi a lottare contro il comunismo internazionale), l’Asse Roma-Berlino non assunse tuttavia, nonostante le pressioni tedesche, la forma di una vera alleanza militare. Mussolini considerava infatti l’avvicinamento alla Germania non tanto come una scelta irreversibile, quanto come un mezzo di pressione sulle potenze occidentali, come uno strumento che, aumentando il peso contrattuale dell’Italia, le consentisse di lucrare qualche ulteriore vantaggio in campo coloniale: il tutto in attesa che il paese fosse preparato ad affrontare un conflitto in posizione di forza. Ma il dinamismo aggressivo della Germania era tale da non consentire a La Mussolini i tempi e gli spazi di manovra necessari per realizzare il suo subordinazione alla Germania programma. Credendo di potersi servire dell’amicizia tedesca, il duce ne fu in realtà sempre più condizionato, al punto da dover accettare passivaGUIDAALLOSTUDIO mente tutte le iniziative di Hitler (comprese quelle più sgradite come 1. In che senso nazionalismo e imperialismo erano connaturati all’ideologia fascista? 2. l’annessione dell’Austria). Finché, nel maggio 1939, privato di ogni marCome reagirono gli Stati europei all’invasione gine d’azione, si decise alla scelta che sarebbe risultata fatale al regime e italiana dell’Etiopia? 3. In che modo il regime utilizzò la questione delle sanzioni? 4. Come al paese: la firma di un formale patto di alleanza con la Germania (il patterminò la guerra in Etiopia? 5. Che cosa deto d’acciaio) che legava definitivamente le sorti dell’Italia a quelle dello terminò il riavvicinamento dell’Italia alla Germania? Attraverso quali atti fu sancito? Stato nazista. L’Asse Roma-Berlino 6 L’ITALIA ANTIFASCISTA A partire soprattutto dagli anni 1925-26 – quando il dissenso politico fu proibito non solo in via di fatto, ma anche a termini di legge – un numero crescente di italiani dovette affrontare il carcere o il confino politico, l’esilio o la clandestinità. Non tutti coloro che nutrivano sentimenti antifascisti, o che avevano L’opposizione svolto attività di opposizione nel periodo in cui si costruiva la dittatura, silenziosa sperimentarono i rigori della repressione. Molti, anzi i più, si appartarono in volontario silenzio o cercarono di sfruttare i ridotti spazi di autonomia culturale che il regime lasciava sussistere purché non si trasformassero in centri di opposizione politica. Fu questa la strada scelta da quasi tutti gli ex popolari, dalla maggioranza dei liberali non fascistizzati e anche da molti socialisti. Se i cattolici potevano contare su qualche forma di tacito e prudente appoggio da parte di una Chiesa alleata sì del fascismo, ma non al punto da interrompere ogni contatto con i vecchi militanti del Ppi, i liberali trovarono un importante punto di riferimento in Benedetto Croce. Protetto dalla sua notorietà internazionale, ma anche da una precisa scelta del regime (preoccupato dei danni che sarebbero derivati alla sua immagine da un intervento repressivo), l’anziano filosofo poté proseguire senza eccessivi fastidi la sua attività culturale e pubblicistica. Grazie ai suoi libri e alla sua rivista «La Critica», che continuò a stamparsi per tutto il ventennio, molti intellettuali ebbe-