l` universo infinito e gli infiniti mondi finiti

L’ UNIVERSO INFINITO
E GLI INFINITI MONDI FINITI
Filippo Maria Bougleux
R∴L∴ Gandhi 1355 Goi, Firenze
“Io dico l’universo tutto infinito
perché non ha margine, termino né
superficie; dico l’universo non essere
totalmente infinito, perché ciascuna
parte che di quello possiamo
prendere è finita, e de mondi
innumerabili che contiene, ciascuno
è finito. Io dico Dio tutto infinito
perché da sé esclude ogni termine ed
ogni suo attributo è uno ed
infinito.”
De l’infinito universo e mondi,
Dialogo I.
“Uno dunque è il cielo, il spacio
immenso, il seno, il continente
universale, l’eterea regione per la
quale il tutto discorre e si muove. Ivi
innumerevoli stelle, astri, globi,
soli e terre sensibilmente si veggono e
ragionevolmente si argumentano.
L’universo immenso ed infinito è il
composto che resulta da tal spacio e
tanti compresi corpi.”
De l’infinito universo e mondi,
Dialogo III.
Da OPUS MINIMUM, Solstizio d’Estate 2013. opusminimum.blogspot.it
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Parliamo di infinito
La libertas philosophandi
Prima di intraprendere l’analisi dell’opera di Giordano Bruno
relativa al tema, credo necessario fare una premessa.
Bruno non può considerarsi un fisico di genio alla stregua di
Galilei e la sua teoria è certamente lungi dal poter essere considerata
una teoria scientifica; essa è piuttosto una congettura filosofica e, da
un punto di vista puramente concettuale, si può passare da Copernico a
Galileo, da Keplero a Newton senza doversi soffermare sulla teoria di
Bruno, ciò che del resto fa la maggior parte degli storici del pensiero
scientifico.
Ciò che oggi rimane dei lunghi interrogatori a cui venne
sottoposto Bruno davanti al tribunale dell’Inquisizione veneziano ci
permette di ricostruire il meglio dei suoi lavori, spesso oscuri.
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Dalla loro lettura risulta chiaro che la magia o l’ermetismo, che
hanno certamente occupato un posto importante nella sua attività
intellettuale, non pesarono per nulla nella sua condanna e che il
loro ruolo non era centrale nel suo sistema perché il fulcro della
sua teoria, che doveva fatalmente condurlo al patibolo,
risiedeva nella sua concezione di un universo infinito.
Il tratto distintivo fondamentale del vasto corpo letterario e, in
buona sostanza, dell’insegnamento che si può trarre della dottrina di
Giordano Bruno, trova una delle più limpide esplicazioni proprio nella
sua concezione dell’universo.
Bruno proclama a gran voce il diritto alla libertas philosophandi che
non può chinare il capo di fronte ad alcun principio di consuetudine e
di autorità.
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"Nell'ambito della filosofia... è infatti rischioso -scrive Brunoavanzare definizioni prima di aver ponderato bene l'argomento, è
iniquo accettare una opinione in ossequio ad altri, è degno
di servi e di mercenari, nonché contrario al valore della libertà
umana, sottostare e inchinarsi a qualche autorità, è stoltissimo
credere per abitudine, è assurdo prendere per buona una tesi solo
perché un gran numero di persone la giudica vera.”
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Bruno non respinge a priori le filosofie del passato, compresa
quella aristotelica, ma le sottopone a un'analisi critica serrata,
assumendo come pietra di paragone la loro operatività, i buoni o i
cattivi effetti che esse sono in grado di produrre dal punto di vista
della verità e della civiltà, e riconosce sempre esplicitamente la
pluralità delle vie di accesso alla verità.
E' da questa radice critica che discende la stessa scoperta
bruniana della "infinità" dell'universo e dei mondi innumerabili, messa
a fuoco tramite una serrata discussione dei "caratteri" e della
"natura" della divinità:
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"perché - si chiede Bruno - vogliamo o possiamo noi pensare che
la divina efficacia sia ociosa? Perché vogliamo dire che la divina
bontà la quale si può comunicare alle cose infinite e si può
infinitamente diffondere, voglia essere scarsa ed astringersi in
niente, atteso che ogni cosa finita al riguardo de l'infinito è
niente?".
Nel lungo processo che occupò gli uomini d’Occidente a passare
da un mondo chiuso ad un universo infinito, Bruno occupa un posto
importante.
Per gli antichi il mondo non poteva essere infinito poiché
l’infinito era l’incompiuto, l’imperfetto. Il caos; l’universo aveva dei
limiti, e dunque era perfetto.
Per gli uomini del Medioevo, al contrario, l’infinito era la
perfezione e dunque un attributo che poteva essere riservato soltanto a
Dio.
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Con Bruno tutto cambia nuovamente: l’universo è la totalità che
basta a se stessa e racchiude Dio nella sua immanenza.
L’infinito di Bruno non è laico ma è, se non ateo, fermamente
anticristiano in una prospettiva naturalista, se non animista.
Bruno è il primo a proporre un sistema coerente contrapponibile
a quello di Aristotele, secondo il quale la terra si trovava al centro di un
universo chiuso, immobile, così come immobile era il mondo siderale,
al di là del quale non c’era nulla, né luogo, né vuoto.
Il sistema di Aristotele, ripreso e cristianizzato da Tommaso
d’Aquino, era assurto al rango di dogma della Chiesa cattolica
romana.
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Nicolò Cusano e Copernico
Fin dai suoi anni giovanili, Bruno si era interessato ai
predecessori di Aristotele e ai neoplatonici, ma soprattutto aveva letto
due autori che erano passati quasi inosservati, ma che portavano in
germe una critica radicale della fisica di Aristotele: Nicolò Cusano e
Copernico.
Il teologo tedesco Nicolò Cusano fu il primo a rimettere in
discussione la concezione aristotelica del mondo; per lui, l’universo è
uno sviluppo imperfetto di Dio poiché il suo frazionamento indefinito
si oppone all’unità del divino.
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L’universo non è, a dire il vero, infinito, ma non è neanche
finito: è piuttosto “senza termine”, nel senso, cioè, che non se
ne possono conoscere i limiti. Ne discende che la terra non è
più al centro, e non ci sono centri fisici nell’universo.
Rimettendo in discussione, per la prima volta in Occidente, il
dogma dell’universo chiuso, questo pensiero doveva fortemente
influenzare Bruno e, più in là, l’astronomia moderna.
Nel 1543 fu pubblicato nell’indifferenza quasi totale il trattato di
un canonico polacco, Nicola Copernico, “Sulle Rivoluzioni dei mondi
celesti”; la grande invenzione concettuale di Bruno risiede nel fatto che
egli capisce che il sistema di Copernico
conduce logicamente
all’universo infinito.
Sotto l’influenza della dottrina di Nicolò Cusano, Bruno
reinterpreta il sistema di Copernico. Manda in frantumi la sfera
immobile di stelle fisse che Copernico non aveva osato toccare: le
stelle non sono più immobili, ma sono dei soli in numero infinito,
da cui dipende un numero infinito di astri che sono distribuiti in un
universo infinito.
Il sistema di Copernico dà così un ordine all’infinito che Cusano
aveva lasciato nell’anarchia.
"Una è la materia primera del tutto"
La critica di Bruno nei confronti dello stesso Copernico consiste
dunque nel fatto che questi, più matematico che filosofo, non è riuscito
a pervenire all'affermazione della infinità, pur aprendo la strada alla
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"scoperta" che i soli sono infiniti come sono infinite le terre, e che sia gli
uni che gli altri sono fatti della stessa materia, anche se i primi
risplendono “per sé”, mentre le seconde risplendono "per altro", cioè
per l'azione dei soli. "Una è la materia primera del tutto", conclude
infatti Bruno, dissolvendo definitivamente le fondamenta ontologiche
dell'universo aristotelico.
Questo è il passo che sintetizza il suo pensiero al riguardo:
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«È dunque l’universo uno, infinito, immobile; una è la possibilità
assoluta, uno l’atto, una la forma o anima, una la materia o
corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo et ottimo; il quale
non deve poter essere compreso; e perciò infinibile e
interminabile, e per tanto infinito e interminato e per
conseguenza immobile; questo non si muove localmente, perché
non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto; non
si genera perché non è altro essere che lui possa derivare o
aspettare, atteso che abbia tutto l’essere; non si corrompe perché
non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa; non
può sminuire o crescere, atteso che è infinito, a cui non si può
aggiungere, così è da cui non si può sottrarre, per ciò che lo
infinito non ha parti proporzionabili».
Una volta postulata la natura infinita dell’universo, occorre
esaminare le conseguenze che tale postulato comporta in relazione
alla condizione umana.
Partendo dalla concezione medievale che i corpi della stessa
natura si cercano e si attraggono, Bruno assegnò all'innata tensione
umana verso l'infinito non un carattere religioso, nel senso tradizionale
del termine, quanto una motivazione di carattere metafisico. Ecco il
naturale desiderio dell'uomo - che è un essere finito, ma che ha in sé
una parte di natura infinita - di ricongiungersi all'infinito globale che si
esprime e si manifesta nella natura.
Da qui la definizione che egli dà dell'uomo come di un essere
"finitamente infinito". L'essere umano, infatti, è "finito" per
estensione fisica e per la durata dell' esistenza, ma è anche "infinito" in
quanto, pur nella sua finitezza, egli ha dentro di sé una natura infinita,
responsabile della sua perenne tensione verso l'illimitato.
Bruno, quindi, trasferisce l'innata tensione dell'uomo verso
l'infinito dalla tradizionale concezione cristiana di naturale propensione
dell'anima verso Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e
somiglianza, a un piano naturalistico-immanente.
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L'uomo non ricerca l'infinito perché attratto da Dio, ma perché
egli vuole ricongiungere la parte di infinito che è dentro di sé con
l'infinito totale, che non è trascendente ma immanente, cioè
dentro il mondo sensibile, che per Bruno è comunque dotato di
anima sensitiva e intellettiva.
Pertanto, Dio, che si identifica con la natura, si manifesta nel
finito, e il finito si manifesta nell'infinito, essendo parte integrante del
tutto. L'uomo, cioè, si manifesta in Dio.
Il filosofo campano fonda questa concezione sul presupposto che
se la causa dell'origine dell'universo, quindi Dio, ha una natura infinita,
deve essere infinito anche l'effetto, cioè il creato. Pur partendo da
presupposti qualitativi tipici dell'era pre- scientifica e non quantitativi,
Bruno fornirà con la "coincidenza degli opposti", quindi con la
coincidenza tra finito e infinito, un sostrato culturale su cui si
innesterà il pensiero scientifico moderno.
La coincidentia oppositorum, ripresa dalla filosofia di Nicolò
Cusano, in Bruno acquista un valore diverso, perché questa coincidenza
non ha luogo solo in Dio, ma nella stessa natura.
Così, il filosofo campano finisce per teorizzare una uguale natura
"sustanziale" tra terra e cielo, tra finito e infinito. Una concezione,
dunque, che non riserva alcuna differenza "sustanziale" tra la materia
dell'universo e quella del cosiddetto mondo sublunare.
Una teoria che affonda le sue radici nella filosofia presocratica, in
particolare in quella di Democrito, ma che presto sarà a fondamento
del moderno pensiero scientifico e quantitativo.
Bruno, se non arriva proprio ad identificare Dio e natura, di
sicuro fa della natura l'approssimazione maggiore a Dio, una
estrinsecazione infinita dell'infinito, un effetto infinito della causa
infinita.
Bruno reputa che da una causa infinita non si può che avere un
effetto infinito, e dunque Dio e la natura sono entrambi infiniti. La
natura è animata, vibrante, è vita, è forza in cui l'uomo si immerge
vivendo egli stesso nell'insieme della forza naturale. E questa infinità
tuttavia è l'Uno e l'Uno è infinito.
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Per concludere, possiamo dire che Bruno è il primo ad elaborare
una teoria cosmologica moderna fondata sull' eliocentrismo
copernicano e sostenuta dall'idea che l'universo è infinito e che è il
primo a dare una nuova collocazione all'uomo, posto non più in mezzo
ma ai margini di un universo senza centro e senza fine, all'interno del
quale la sfera celeste e il mondo terrestre sono intimamente connessi da
una natura simile.
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Se Bruno, comunque, con la filosofia degli "eroici furori"
attribuisce all'uomo e alla sua facoltà razionale ancora un ruolo
predominante all'interno del cosmo, il nuovo modello
cosmologico da lui elaborato sarà destinato a creare nella
sensibilità dei poeti e dei filosofi successivi un senso di
smarrimento e di precarietà esistenziale all'interno di un universo
troppo grande.
E d’altra parte se l’universo non è più chiuso e finito, prodotto
totalmente distinto e distante dalla divinità, ma è infinito e senza
confini.
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Esso ha troppi attributi della divinità medesima: un terribile
concorrente di Dio.
L’infinità dell’universo comporta che il motore di esso non è
estrinseco all’universo ma intrinseco ad esso, non sta cioè fuori ma
dentro l’universo medesimo.
L’infinito secondo Bruno pone d’altra parte un altro problema,
altrettanto acuto.
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Essendo l’universo un’emanazione di Dio, esso è di conseguenza
l’unico mediatore tra l’uomo e la divinità. Per Bruno, la vera
eucaristia è la comunione con la divinità attraverso la
contemplazione dell’universo.
Prima Bruno, poi Leopardi e Nietzsche
Se in ogni molecola di natura si trova un riflesso dell’anima di
Dio, il passo successivo è pensare che il Cristo non serva più a nulla,
che non sia più necessaria la redenzione...
Ma il punto centrale della riflessione di Bruno, a mio giudizio,
non risiede tanto nel rapporto tra Dio e la natura, né nella distinzione
tra teologia per il popolino e filosofia per gli uomini dotti e saggi.
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Egli è il primo pensatore, in anticipo su Leopardi e Nietzsche,
che pone l'uomo in una condizione di disancoraggio assoluto
nell'universo. Nel momento in cui l'universo è infinito, i mondi sono
infiniti, le cause infinite creano effetti infiniti, l'uomo si trova
disancorato da qualsiasi riferimento specifico, determinato e afferrabile.
L’uomo deve orientare se stesso con la sua
ragione
L’uomo si trova nell'infinito: questo in buona sostanza è
l'ardimento, ai limiti dell'inconcepibilità, che rende Bruno un pensatore
devastante e insuperato. Per la prima volta la solitudine dell’uomo
nell’universo, la centralità senza riferimenti dell’uomo, ha una
definizione tragica.
L’uomo deve orientare se stesso con la sua ragione, in un mondo
però che lo scavalca incommensurabilmente e dal quale egli non può
prendere alcun esempio né ricevere alcun ancoraggio.
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Tutto intorno all'uomo è infinito, l'uomo è finito.
Ma l'uomo è finito con la coscienza dell'infinito in cui è collocato.
Non c'è una bussola. E la ragione stessa non è che un modo per
essere coscienti dell'infinito senza stelle del nord che possano orientare
l'uomo. L’uomo deve orientarsi da sé e dunque, proprio per questo, non
ha orientamenti.
Questa, a mio avviso, è la grandiosa scoperta di Bruno: nel
momento in cui vi erano le esplorazioni geografiche che dilatavano il
mondo sulla terra e le scoperte scientifiche che dilatavano il mondo
sopra la terra, l'uomo perdeva ogni riferimento canonico.
Ma in questo non sapere chi essere, in questa dimensione
incerta, in questo confrontarsi con l'infinito, in questa perdita di
bussola e di stella polare, l'uomo entrava definitivamente nella
modernità. Oggi che il potere dell'uomo sulla natura inquieta l'uomo
stesso, perché il suo potere di fare è enormemente superiore al suo
potere di prevedere e di governare la propria storia, forse è opportuno
un ritorno al pensiero di Bruno, per scorgervi non l'anticipatore degli
"infiniti mondi" contro il geocentrismo del suo tempo, ma colui che,
proprio in forza degli "infiniti mondi" dubita che l'uomo possa essere
pensato come il centro dell'universo e quindi in diritto di disporne.
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Ecco l’accesso alla verità:
Intelletto e volontà,
ragione e passione,
anima e corpo
Quello del nolano è dunque un pensiero radicalmente
rivoluzionario. Utilizzando in modi geniali anche materiali arcaici,
egli riesce a presentare una concezione del tutta nuovo dell'universo;
dell'uomo al quale, nell'infinito, è tolta ogni "centralità" di ascendenza
umanistica; del processo di accesso alla verità,
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rappresentato da Bruno attraverso l'esperienza "apocalittica"
dell'"eroico furore", in cui si intrecciano, in un nodo solo,
"intelletto" e "volontà", "ragione" e "passione", "anima" e
"corpo", nel fuoco di un'esperienza d'amore che è l'unica in
grado di aprire la strada alla visione del Dio, dell'unità.
Se può parlarsi di Giordano Bruno come di un iniziato nella
accezione che tutti noi condividiamo, e credo che lo si possa fare a
buon diritto, è questo il messaggio fondamentale che ci ha lasciato
questo pensatore della libertà, questo pensatore che non ritenne di
dover sottostare alla convenienza del potere cessando di manifestare le
proprie concezioni: lo spirito umano può evolversi, fino a raggiungere
le più alte mete, solo con la tolleranza e non con l'imposizione del
dogma.
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