Giordano Bruno: l`Universo infinito, uno e policentrico

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Giordano Bruno: l’Universo infinito, uno e policentrico
di GIANLUCA GATTI
«D’ogni legge nemico e di ogni fede». Questo è il verso dell’Ariosto che capitò in sorte al
giovane domenicano, Giordano Bruno (1548-1600),
durante un gioco di società all’epoca in voga. La tradizione vuole che lo stesso Frate amasse
spesso ricordare l’episodio, compiacendosi di una profezia così veritiera. La portata
rivoluzionaria del pensiero di Giordano Bruno nella storia del pensiero scientifico e filosofico
moderno può essere colta in maniera peculiare sul terreno della rottura epistemologica operata
dal Nolano in campo cosmologico. Il modello aristotelico-tolemaico dominante, ritenuto in quel
torno di tempo assolutamente certo e inconfutabile, risulta ancorato all’idea di un mondo chiuso
e finito. Incapsulato nell’involucro dell’ultima
sphera mundi
(il dantesco “cielo delle stelle fisse”), il nostro pianeta e l’intero universo sono concepiti
all’interno di confini angusti e limitati.
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Pur tra le contraddizioni di un processo storico tutt’altro che lineare e continuo, all’interno del
quale risulta di fatto impossibile stabilire una netta linea di demarcazione tra il sapere scientifico
e le influenze magico-ermetiche dell’astrologia e del neoplatonismo rinascimentale, la
cosiddetta “rivoluzione astronomica” dispiegatasi nei secoli XVI e XVII manda progressivamente
in frantumi il paradigma geocentrico e il suo corollario dell’universo chiuso. Con estrema
audacia intellettuale Bruno si presenta come uno dei più strenui sostenitori dell’infinitudine dei
mondi
, elaborando una visione dell’universo policentrica e al tempo stesso unitaria. Una posizione
talmente avanzata da spingere la riflessione filosofica bruniana al di là delle coeve tesi
copernicane, ancora ferme in questo ambito all’idea consolidata di un cosmo finito e chiuso. Ma quali sono le fonti culturali e i presupposti teorici dai quali scaturisce la prospettiva
rivoluzionaria di Bruno, in grado di porre l’infinitudine come cifra della sua speculazione
filosofica? Nel dialogo
De la causa,
principio e uno
(158
4)
il
Filosofo riconosce l’esistenza di una Causa Prima e di un Principio Primo all’origine di tutte le
cose. Tale Causa però rimane inconoscibile agli uomini. L’intero Universo è
effetto
di questa
Causa,
ma non è possibile risalire dalla conoscenza degli effetti alla conoscenza della causa, se non
sotto forma di lontana
ombra
e pallida
immagine
:«
Ecco dunque che dalla divina sustanza sì per essere infinità, sì per essere lontanissima da
quelli effetti che sono l’ultimo termine del corso della nostra discorsiva facultade, non possiamo
conoscer nulla, se non per modo di vestigio, come dicono i Platonici, di remoto effetto, (..) di
specchio, ombra, ed enigma».
Dal momento che la Causa Prima è infinita e il Principio Primo di tutte le cose è l’Uno, anche
l’Universo che ne è l’effetto avrà gli attributi dell’
infinità
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e dell’
unità
, e in quanto tale dell’
immobilità
:«
È dunque l’Universo uno, infinito e inmobile. Una dico è la possibilità assoluta, uno l’atto, una la
forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il
quale non deve posser essere compreso; e però infinibile e interminabile, a per tanto infinito e
interminato, e per conseguenza inmobile
».
L’intero impianto concettuale della fisica aristotelica viene smantellato. Cadono sotto i colpi del
ribelle “picconatore” la supposta distinzione tra la materia sovrasensibile del mondo celeste e
quella sensibile del mondo terrestre, la tesi dell’immobilità della Terra, la stessa possibilità di
individuare un centro nell’Universo, in quanto nell’Universo “uno, infinito e immobile”, il Tutto
divino ne è al tempo stesso il centro e la circonferenza, come già intuito dal filosofo e teologo
tedesco Nicola Cusano. A giudizio dello storico della scienza Alexandre Koyré, Bruno porta alle
estreme conseguenze il cosiddetto principio di pienezza secondo il quale l’Universo-materia è
in tutto e tutte le cose sono nell’Universo-materia.
L’esistenza di mondi infiniti e simili al nostro, di stelle e soli altrettanto innumerevoli non
rappresenta un pura ipotesi del pensiero logico, ma è una stringente constatazione ontologica,
ossia Dio stesso non poteva agire altrimenti perché è questa la struttura stessa del reale. Siamo
di fronte ad un universo animato e vitalizzato in ogni punto da forze e motori autosufficienti. Un
Universo abitato da un
Intelletto universale
, che è facoltà dell’
Anima
universale, intesa in senso radicalmente immanentistico, come “Mente nelle cose”. Da questa
sorta di
respiro cosmico
scaturiscono tutte quelle forme che sono presenti nella materia e con essa costituiscono
un’unità inscindibile: «
Avete dunque come tutte le cose sono ne l’Universo, e l’Universo è in tutte le cose; noi in
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quello, quello in noi; e così tutto concorre in una perfetta unità
».
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