Henri de Toulouse-Lautrec,
l’opera grafica
saggio in catalogo di Maria Teresa Benedetti
L’idea della unità delle arti è elemento costitutivo del percorso artistico di Lautrec. Sia che l’artista disegni, usando la linea come strumento espressivo autonomo, o imprima sul cartone1 rapidi colpi di pennello, facendo nascere una forma attraverso il solo colore, o incida il segno della matita o del gesso litografico sulla superficie della lastra, è sempre in grado di strutturare senza operare distinzioni di valori, un’immagine libera da tutto ciò che non è essenziale. La duttilità della linea, ora netta ora fluida, sia che definisca un soggetto con incisività, sia quando venga usata con morbida perizia e risultati di vorticosa eleganza, permette all’artista di raggiungere una sintesi e una stilizzazione che costituiscono dati fondamentali della sua modernità. Ciò può corrispondere, in qualche modo, all’intensità trasfigurante che Lautrec immette nel rappresentare il mondo di Montmartre, alla sua insita capacità di cancellare, attraverso una messa in gioco totale, ogni elemento di superficialità o di volgarità. La libertà di invenzione, con cui egli sfrutta le risorse proprie dell’incisione, lo porta a considerarla come campo aperto a ogni sperimentazione innovatrice, realizzata secondo i dettami di una creatività mobile e insieme coerente. Fin dalla metà degli anni ottanta, alcuni suoi disegni compaiono su importanti giornali, da “Le Courrier français” a “Paris illustré” e “Mirliton”, nonché successivamente su “Le Figaro” e “Le Rire”. La sua produzione grafica riflette, come del resto tutta la sua opera, suggestioni dalle stampe giapponesi, si collega alla tradizione del grande disegno satirico francese, non ignora i monotipi di Degas, particolarmente quelli incentrati su temi scabrosi, è influenzata dalla ricerca decorativa dei giovani allievi dell’Académie Julian, noti come Nabis (dall’ebraico nebim, profeti). Insieme a loro l’artista collabora con il teatro d’avanguardia, partecipa all’elaborazione di un nuovo stile scenico, intrattiene rapporti con i poeti e con i musicisti, concorre con le sue litografie colorate al rinnovamento dell’incisione, illustra album, opere letterarie, testi musicali, elimina ogni distanza fra le varie manifestazioni, istituisce un rapporto fecondo tra grafica e pittura. Pare sia stato Bonnard a indirizzare l’amico verso la stamperia di Edward Ancourt, che avrebbe realizzato gran parte della sua opera successiva. Nel 1889 Bonnard disegna un manifesto per l’apertura del Moulin Rouge, due anni più tardi Lautrec realizza, a sua volta, uno dei capolavori del genere. Successivamente i due artisti sono vicini nel celebrare con amichevole rivalità “La Revue Blanche”, Bonnard realizza nel 1894 il primo manifesto per la rivista, l’anno successivo Lautrec delinea l’immagine di Misia Natanson, musa del gruppo, in veste di elegante pattinatrice con lo scopo di diffondere l’attività del periodico allora in piena espansione. Come i Nabis, crea oggetti decorativi, disegna programmi teatrali, frequenta i palcoscenici d’avanguardia. A fianco di amici come Vuillard, Bonnard, Denis, Ranson, Vallotton, Ibels, dà un nuovo impulso all’evoluzione del linguaggio moderno. Dal 1891 l’attività grafica di Lautrec prende il volo, le sollecitazioni offerte dall’ambiente che lo circonda offrono stimoli continui a un artista che vuole rappresentare, secondo canoni baudelairiani, la vie moderne, lasciando un segno innovatore. Erede del più antico Moulin de la Galette, il Moulin Rouge, costruito nel 1889 ai piedi della Butte Montmartre, fra boulevard de Clichy e rue Lepic, è contemporaneamente music hall, caffè‐concerto e teatro di varietà. I suoi spettacoli riscuotono un grande successo, in particolare furoreggia la quadrille naturaliste, danza che contiene elementi del cancan e vede la ballerina alzare una gamba fin sopra il capo, colpire talora con mira precisa i cappelli degli astanti e concludere la danza con una spaccata. Ballo licenzioso, tanto da accendere la fantasia di Lautrec, frequentatore abituale dei locali di Montmartre e di Pigalle e continuamente in cerca di fonti di ispirazione. Disegna infatti numerosi schizzi, desideroso di cogliere al vivo lo scatto di un movimento, la singolarità di una fisionomia, resa con tratto ironico, talora grottesco, ricco di notazioni divertenti. Nuovo a un genere che vede protagonisti già ampiamente affermati, come Jules Cheret, autore nel 1889 dell’affiche inaugurale del Moulin Rouge, Lautrec opera, fin dal manifesto Le Moulin Rouge, la Goulue (1891), una rottura tecnica e stilistica rispetto al gusto aneddotico in voga. Colpisce la struttura accentuatamente verticale dell’opera, l’energia dell’insieme, reso con stesure à plat in forme semplificate, irrobustite dalla scritta, che concorre a determinarne la forza attrattiva. L’originalità premia, il consenso è pieno. Frantz Jourdain, pittore e amico di Lautrec, ricorda: “Rimasi molto impressionato la prima volta che vidi il manifesto del Moulin Rouge trasportato lungo l’avenue de l’Opéra su un carretto, ne rimasi talmente affascinato che gli camminai accanto, seguendolo dal marciapiede”. Nell’ultimo decennio del secolo, il manifesto conosce la sua età dell’oro, invade le strade, il pubblico si interessa a quella nuova forma d’arte e la colleziona. Le mostre si moltiplicano, a Nantes nel 1889, a Nancy e Bordeaux nel 1890, a Parigi nel 1891 e 1892, a Reims nel 1896 e ancora a Parigi nel 1900 all’Esposizione Universale. Nei manifesti l’artista parla una lingua nuova, Frantz Jourdain scrive su “La Plume” il 15 novembre 1893: “Lautrec è padrone della linea a un grado supremo, la domina con una sicurezza rara, la piega alla volontà del suo cervello, la rende spirituale, elegante e triste, sempre decorativa. La sua grande scienza del disegno permette al pittore di sintetizzare, con tinte uniformi di grandissima personalità”. Roger Marx, direttore dell’École des Beaux‐Arts, con i suoi numerosi articoli si batte per il riconoscimento ufficiale delle arti decorative e del manifesto in particolare: “Compreso da tutte le età, amato dal popolo, il manifesto si rivolge all’anima universale: è nato per soddisfare le più recenti aspirazioni e quell’amore del bello che l’educazione del gusto diffonde e sviluppa senza posa, ha sostituito all’aperto e in casa i dipinti un tempo visibili sulla soglia dei palazzi, sotto le volte dei chiostri e delle chiese, è il quadro mobile, effimero reclamato da un’epoca appassionata di divulgazione e avida di cambiamenti. La sua arte non ha minore significato né minore prestigio di quella dell’affresco”. È un momento creativo importante per l’artista, galvanizzato dal successo del locale, attratto dal fascino arrogante della Goulue, tanto che realizza, fra la fine del 1891 e nel corso del 1892 alcuni importanti dipinti dedicati al Moulin Rouge e alla danzatrice. Opere che insieme a due litografie colorate e ad alcuni schizzi, rappresentano un episodio unitario e altamente significativo. Un paio di dipinti, dominati dall’immagine della ballerina mentre passeggia al braccio di un cavaliere, o da sola fra la folla degli avventori, sono andati perduti durante l’ultimo conflitto mondiale4. Altri mostrano un primo piano frontale della vedette con accanto il volto di profilo della sorella, o rappresentano la partenza della quadriglia5 o una complessa visione del locale, di grandi dimensioni, fitta di figure, con gli avventori ai tavoli in primo piano. Un’opera, quest’ultima, rivelatrice di un aspetto preciso di quel mondo, come è visto dall’artista, “una stupenda immagine di tristezza e di alienazione sociale”, secondo una definizione di R. Thompson6. Indicativa anche la lettura di F. Fénéon riferita agli astanti, “gli piacciono e li studia con una curiosità così intensa da rimanerne allucinato”. Un’immagine opposta a quella brillante altrove rappresentata, luci e ombre di Montmartre, potremmo affermare. Il rapporto fra pittura e incisione è consegnato a due dipinti appartenenti allo stesso gruppo di opere: La Goulue entrant au Moulin Rouge (La Goulue fa il suo ingresso al Moulin Rouge) e L’Anglais au Moulin Rouge (L’inglese al Moulin Rouge), entrambi punto di partenza per due litografie colorate, eseguite nello stesso periodo. La prima, riprende, nel linearismo rispondente alle esigenze del nuovo mezzo, il tema del dipinto, isolando maggiormente le figure dal contesto, dando maggiore significato al rapporto fra il chiaro della immagine della Goulue e il nero di quella della sorella, il cui volto simile a una maschera attinge a prototipi orientali. È la prima esperienza di litografia colorata, eseguita su carta più raffinata rispetto a quella del manifesto e destinata a un esigente 2 collezionismo privato. L’artista ne è soddisfatto: “Il mio piccolo sforzo si è realizzato perfettamente, e ho ottenuto qualcosa che può condurmi lontano, come spero” afferma. Nell’Anglais au Moulin Rouge, si evidenzia una soluzione formale non egualmente in linea con il corrispondente dipinto e vicina ad accentuati moduli simbolisti. Nuova è la scelta dei colori, al verde dello sfondo indistinto del dipinto, sono sostituiti motivi più decorativi, in giallo e blu. In una delle prove d’autore, stampata solo in nero, risalta l’eleganza concisa del disegno a pennello. È poi rielaborata ad acquerello e pastello, e nella prova finale le linee risultano nette, la struttura chiara e controllata, e il colore una combinazione di viola, arancio e giallo, animata da un’articolata linea scura. Lautrec tende a smentire la tradizione che considera come punto di arrivo il dipinto a olio, che in alcuni casi può risultare, come è stato ipotizzato, preparatorio per una litografia colorata di particolare impegno10. Ci si riferisce a La grande loge (Il grande palco), che sarebbe preceduta da un dipinto11 dai colori scuri e impastati (fig. 4), resi poi mirabilmente chiari e netti nella versione grafica. Comunque, anche considerando le sole differenze fra i due mezzi, l’autonomia dell’opera grafica, pur senza smentire il suo collegamento con il dipinto, risalta pienamente. La possibilità di individuare analogie e differenze fra linguaggio grafico e pittorico è ricchissima. Ad esempio, la litografia La danse au Moulin Rouge (La danza al Moulin Rouge, 1897) è legata al dipinto dello stesso soggetto eseguito cinque anni prima Au Moulin Rouge. Les deux valseuses (Al Moulin Rouge. Donne che ballano il valzer, 1892) ed è resa con una fluidità grafica e un uso morbido dei colori, rispetto all’impianto aggressivo e ai toni forti del dipinto. Altrove si verificano corrispondenze quasi perfette dal punto di vista iconografico, fra il dipinto La clownesse au Moulin Rouge (La clownessa al Moulin Rouge, 1895) e la litografia ne che riprende fedelmente la composizione pittorica. Nella successione delle opere a stampa si rileva una consequenzialità che evidenzia la coerenza di un percorso, in connessione con altre forme espressive adottate dall’artista. Nel 1892 e nel 1893 Lautrec evoca in tre momenti la presenza della ballerina prediletta, Jane Avril. Nel manifesto per il Divan Japonais, sorprendente per originalità di clima e di linguaggio, la danzatrice è rappresentata in veste di elegante spettatrice, accanto al critico musicale Édouard Dujardin, in una composizione audace e rivoluzionaria per sintetismo e gusto decorativo. Francis Jourdain, in un articolo su “La Plume” del 15 novembre 1893 vede Jane come personificazione di climi decadenti: “Quale eleganza ha, quella squisita creatura nervosa e nevrotica, fiore avvincente, sbocciato, sembra, per essere caro a Des Esseintes”. Suggestioni giapponesi alimentano il gioco attivato fra le superfici piatte e i contorni sinuosi delle figure, i colori, inediti – grigio, verde e arancio – sono stampati uno sull’altro. Nella copertina per l’album L’Estampe originale Jane, in omaggio alla sua sensibilità culturale, è rappresentata in veste di raffinata collezionista di stampe, accanto alla macchina litografica e allo stampatore, Père Cotelle [Auguste Lepère], l’artigiano della stamperia Ancourt, che ha iniziato Lautrec alla tecnica litografica. La figura di lei è studiata attraverso vari passaggi, un disegno preparatorio per la parte sinistra della litografia, un grande e attraente studio a olio su cartone di profilo, uno studio ad acquerello concentrato sul ritratto di lei. Per contro, nel manifesto Jane Avril l’immagine è proposta come di sfrenata ballerina in azione. Rilevante la definizione dello spazio del palcoscenico, ottenuta con il prolungamento in due direzioni del manico del contrabbasso impugnato dalla mano villosa di un musicista, a creare una cornice dagli angoli arrotondati, che conferisce all’insieme una forte bidimensionalità. È sempre presente l’influsso giapponese, ma filtrato attraverso Degas, che ama circondare le sue instabili sculture in creta con una cornice, generalmente andata perduta nel disordine dello studio dove le opere, affastellate, sono state ritrovate dopo la sua morte. Lautrec frequentava lo studio di Degas e deve aver visto gli originali poi fissati in bronzo. Ernest Maindron in Les Affiches illustrées (1886‐1895) rileva una nota di tristezza nell’espressione del volto di Jane, “s’intuisce che la giovane donna danza per il nostro piacere e non per il proprio”. E, in realtà, alcuni dipinti eseguiti nel 1892, confermano la stessa impressione, ribadita da Paul Leclercq che definisce la danzatrice “aggraziata”, leggera, un po’ folle, pallida magra, elegante […] girava, rigirava, senza peso, nutrita di fiori; Lautrec proclamava la propria ammirazione”. In altre immagini Jane, lontana dalla scena, esce o entra 3 dal Moulin Rouge o viene ripresa frontalmente, sempre pensierosa e malinconica, dall’espressione grave e assorta in sé. Nel 1893 Lautrec le dedica la prima tavola in bianco e nero della serie Le Café‐Concert , mentre balla nel cabaret la Scala. Torna a lei nel 1896 con il manifesto La troupe de Mademoiselle Églantine (La compagnia di Mademoiselle Églantine), per lo spettacolo in scena al Palace di Londra. Il manifesto, realizzato a partire da una fotografia, da un disegno preparatorio e da uno studio a olio su cartone, segnala la presenza di Jane, ultima a sinistra nella fila delle danzatrici, in virtù di un diverso movimento della gamba e per il colore rosso dei capelli. C’è un vago richiamo al manifesto France‐Champagne di Bonnard (1891). I volant delle vesti delle ballerine, nuvola dal contorno giapponesizzante, documentano l’ambiente della quadriglia naturalista. Il tema è ripreso da Picasso in un dipinto del 1901 dal titolo French‐cancan. Più tardi, nel 1899, l’ultima immagine di Jane nasce dalla creatività di un artista ormai stanco e corroso dal male, ma ancora capace di inventare per lei la figura sinuosa e captante di una regina della danza e dell’eros, dal fragile corpo avvolto nelle spire di un serpente. Il volto piccolo e delicato è sormontato da un enorme cappello rosso, dal quale scende una piuma penetrata dalla mano nervosa di lei, a non volere interrompere una continuità, che sembra evocare il disegno ininterrotto del movimento delle sue membra nella danza. E rossa è la balza in fondo all’abito, che taglia la figura e, nel contempo, sembra porla su un piedistallo. Un’iperbole, un segno nello spazio, destinato a non essere contaminato da alcuna destinazione pubblica, visto che il manifesto non sarà mai affisso. Se guardiamo poi l’incisione, che riprende il segno tracciato dall’artista sulla lastra tipografica, la vediamo come percorsa da un vento irrefrenabile, una bufera di segni che danno il senso di una mobilità drammatica, un turbine evocatore di frenesie ritmiche incontenibili, quali si dice fossero le danze di Jane. Il gruppo di opere citate costituisce forse la testimonianza più calzante della interazione fra i diversi mezzi espressivi adottati da Lautrec, ed è prova evidente che la tecnica litografica è da un lato un’estensione del disegno eseguito sulla lastra e dall’altro una manifestazione parallela rispetto al dipinto. Come Jane Avril, anche Aristide Bruant e Caudieux sono rappresentati contemporaneamente sia nell’ambito delle affiches per gli spettacoli, che in quello delle stampe da album, con l’introduzione in queste ultime di un’idea di serialità. Il carattere di Bruant, personaggio dotato di robusta energia creativa e fisica, è perfettamente riflesso nel lavoro di Lautrec ricco di forza e audacia nella concezione grafica. Pochi colori, contorni netti creano una sagoma che privilegia caratteristiche essenziali. Dietro tale felice scelta stilistica è l’influsso del cloisonnisme, stile bidimensionale che consente l’isolamento dei singoli colori, dando a ciascuno di essi una forza espressiva fino allora inedita nel manifesto, funzionale all’impatto e all’emozione di una visione dotata di specifiche caratteristiche. L’immagine di Bruant delineata nei manifesti, nonostante la singolarità e l’innovazione che avrebbero potuto disorientare, ha un grande successo. Arthur Huc, direttore del periodico “La Dépêche de Toulouse” afferma firmandosi con lo pseudonimo di Homodei: “Era un osservatore implacabile, ma il suo pennello non mentiva. Quando fece questo magnifico manifesto di Aristide Bruant, che rimarrà il capolavoro del genere, ritrasse il cantante nei dettagli, come avrebbe potuto fare Bonnard. Poi con grande stupore e dispiacere del modello, cancellò e cancellò sino a conservare solo le linee essenziali. Lo schema rimaneva sincero, la sintesi di Lautrec l’aveva ridotto a un epigramma”. Prima di iniziare il lavoro sulla litografia, l’artista aveva eseguito un ritratto a matita a mezzo busto del modello, successivamente realizza un ritratto ad acquerello e gouache, di grande formato, in cui i colori sono già indicati con precisione e completato dall’iscrizione. Quanto all’attore Caudieux, Lautrec rende l’emozione di un protagonista dello spettacolo al momento dell’entrata in scena, quando, superata la tensione, il dado è tratto. Rimane misteriosa l’ubicazione della figura, l’insolito punto di vista, che sembra considerare lo spettatore non di fronte al palcoscenico, ma probabilmente dietro di esso, visto che nell’affiche sono evidenziati il muro, le assi del palco, il sipario e il volto di un addetto allo spettacolo, forse un musicista o il suggeritore. La stessa immagine è ripresa in un cartone di grandi dimensioni e in spiritose litografie in bianco e nero, una delle quali Caudieux, Petit Casino, ripropone in un vorticare di linee e di spruzzi, la felicissima immagine dello scanzonato chansonnier. L’idea di serialità è 4 confermata dalle litografie dedicate a Loïe Fuller, il cui spettacolo è definito da Edmond de Goncourt “un uragano di stoffe e un vortice di sottane, ora accese dal fuoco del tramonto, ora pallide come l’aurora”. La danzatrice può essere considerata l’incarnazione della danza simbolista, scultura di luce, immagine della sintesi delle arti. Partendo da uno studio a olio, Lautrec produce una serie di litografie. Ciascuna prova ha dato luogo a combinazioni di colore diverso, realizzate dall’artista stesso, che ravviva talvolta la stampa con una fine spolveratura di polvere d’oro di matrice giapponese. Grazie ai colori delicati e all’effetto reso da tale polvere, Lautrec crea un equivalente plastico delle evoluzioni della Fuller, utilizzando una serie di linee intrecciate in modo complesso, tipiche della nascente Art nouveau. Il primo album dedicato dall’artista a Yvette Guilbert, con testo di Gustave Geffroy (1894), è composto di 16 litografie che colgono la diseuse nella ricchezza degli atteggiamenti e delle espressioni, con accenti divertiti e ironici, sollecitati da una caratterizzazione comico‐satirica, di audace modernità. Il testo di Geffroy, più che ricostruire la carriera della cantante‐attrice, presenta uno studio sociologico sul pubblico dei caffè‐concerto; ne considera Yvette simbolo vivente “Fredda ironista, dicitrice precisa, capace di ridere dentro […] questa Yvette Guilbert, adottata da quegli stessi che schernisce, stella dello spettacolo parigino, rappresenta oggi quel miscuglio che è il caffè‐concerto, e quindi uno dei modi di essere della gente dei nostri giorni”. Fin dalla copertina, compaiono i lunghi guanti neri che caratterizzano il personaggio, strumento fondamentale di espressività sulla scena, a proposito dei quali la stessa Yvette ricorda: “misi dei guanti alle mie audacie… erano anche un simbolo di eleganza, in un ambiente un po’ canagliesco e di basso livello”. L’ultima litografia, nella quale saluta il pubblico, è da mettere in relazione a un dipinto dello stesso soggetto, un acquerello e due schizzi. In un altro album del 1898, noto come Série anglaise, la cantante è rappresentata mentre interpreta le sue canzoni più famose in una redazione del suo aspetto più glamour, con una visione ravvicinata e un’esecuzione basata su un segno attento a far emergere effetti ricercati di chiaroscuro. Il bolero danzato da Marcelle Lender, dell’operetta Chilpéric di Hervé, attrae Lautrec, ammaliato dalla splendida presenza della danzatrice, di cui ammira soprattutto il busto. Esegue una serie di schizzi, di litografie che potrebbero costituire un album, il cui coronamento è rappresentato dall’omaggio policromo di Mademoiselle Marcelle Lender en buste (Mademoiselle Marcelle Lender, busto), apice nell’arte della litografia. La serie culmina con una tiratura in otto colori, di eccezionale virtuosismo ed è pubblicata anche, per intervento di Julius Meier‐Graefe, sulla rivista berlinese “Pan”, contribuendo a diffondere la fama di Lautrec in ambito internazionale. L’incisivo e sottile profilo di lei è attento nel rendere la singolarità della fisionomia. È evidente il legame con l’arte giapponese, l’acconciatura richiama le raffigurazioni di cortigiane di Utamaro. Un ciclo meno esteso ma calzante è dedicato alla cantante irlandese May Belfort, che si esibisce ai Décadents, all’Eden Concert e in altri locali, presentandosi in scena con in braccio un gattino nero e un atteggiamento da ingenua fanciulla, mentre canta motivi osés ricchi di doppi sensi. Il suo repertorio annovera vecchie canzoni irlandesi e melodie della musica nera americana. Lautrec le dedica alcune stampe, animate da espressivi addensarsi di nero pieno all’interno di eleganti percorsi grafici e un manifesto cui fa da pendant, quasi a sottolineare un legame saffico, il manifesto dedicato a May Milton, che piacerà anche a Picasso. “Il mio preferito era Lautrec […] avevo sviluppato una passione per i manifesti. Aspettavo spesso la sera per andare a staccare quelli che mi piacevano e per anni ne ho avuto uno […] forse lo possiedo ancora”. Troveremo raffigurato quello stesso manifesto, amato per il carattere giapponese dell’impaginazione e per l’uso di grandi zone uniformi di colore, in antitesi a quelle lasciate intatte, appeso sul muro della Chambre bleue, dipinta da Picasso nel 1901. La serie Elles (1896) edita da Gustave Pellet, è esposta nella galleria della “Plume”, periodico di tendenza simbolista, l’anno successivo è presentata alla Libre Esthétique a Bruxelles; tre litografie isolate compaiono al Salon des Indépendants e l’album completo figura nella galleria di Ambroise Vollard. L’opera, a colori, è dotata di un forte impatto narrativo, tipico anche di altre serie come Quelques aspects de la vie de Paris (1899) di Bonnard. Risalta la varietà delle tecniche, specie se paragonata a realizzazioni ottenute con il solo disegno o con schizzi preliminari a olio. Vi si 5 trova l’intera gamma del repertorio litografico dell’artista, come ha affermato Novotny: “dagli inchiostri monocromatici a quelli colorati, dalle superfici decorative piatte alle forme solidamente modellate”. Sono immagini che trattano del mondo intimo femminile e tutte alludono ai sensi, il titolo rimanda al rapporto fra le donne (Elles) e gli uomini, che sono rappresentati solo in un caso (Femme en corset,conquête de passage, Donna in corsetto, conquista passeggera), ed evocati dal cilindro in copertina, posato sulla biancheria femminile, accorgimento usato comunemente dagli illustratori del tempo. Un nutrito gruppo di importanti dipinti, tematicamente collegati, descrive la vita delle prostitute nella casa chiusa, l’intimità saffica di alcune, la tristezza e l’umiliazione, la pigrizia e la noia di una vita squallida. I colori usati nella serie grafica sono giocati su morbide gamme di beige, di grigio, di rosso e azzurro, in armonia con lo stato d’animo dell’artista, che qui dimostra delicatezza e sensibilità. Pure rappresentando uno dei suoi risultati più alti, l’opera non ha successo perché non riesce a sollecitare la curiosità degli abituali collezionisti di stampe pornografiche (come accade in opere di Rops, Legrand, Maurin). Il rapporto di Lautrec con il teatro è vivo e vitale, quanto accade in quel mondo gli è congeniale, la sua vorace sensibilità si nutre di un acuto interesse per lo spettacolo delle emozioni. Testimone privilegiato, rappresenta momenti clou dei lavori cui assiste, coglie le immagini dei protagonisti, li insegue fin dentro il palcoscenico o mentre sono in pausa, si reca per 20 sere di seguito ad ammirare la schiena di Marcelle Lender al Théâtre des Varietés. È attratto dal virtuosismo tecnico, dalla sensibilità esacerbata dei protagonisti della scena, sembra quasi fotografare l’attimo teatrale, restituirne la vibrante complessità. Talvolta due mondi si mescolano, danzatrici di caffè‐concerto si trasformano in attrici per recitare in commedie d’ avanguardia in scena al Théâtre Libre o al Théâtre de l’OEuvre. Registi come Antoine, fautore di un teatro naturalista, o Lugné‐Poe, alfiere di un indirizzo simbolista, ricercano la collaborazione di artisti contemporanei per ideare i programmi, le locandine, le scenografie dei loro lavori, con l’intenzione di dare vita a uno “spettacolo totale”. Il movimento teatrale d’avanguardia influisce sull’evoluzione delle arti decorative, visto il numero e il livello degli artisti che vi partecipano. Il primo contributo di Lautrec al mondo dello spettacolo è la serie di 12 litografie pubblicate fra la fine del 1893 e l’inverno 1894, sulla rivista satirico‐progressista “L’Escarmouche” (La schermaglia), diretta da Georges Darien. L’artista delinea immagini di personaggi del cabaret, del caffè‐concerto di teatri popolari e di palcoscenici ufficiali come La Comédie‐Française. Insieme a lui collaborano alla rivista gli amici Nabis, tanto che Fénéon afferma, “nessun periodico è meglio illustrato, né sicuramente è così buono, e il testo continua a essere vivacemente polemico nei confronti di persone in vista”. Esempio calzante di quel clima è À la Gaîté‐Rochechouart, Nicolle (Alla Gaîté‐Rochechouart, Nicolle), immagine fortemente contrastata di pierreuse, dall’acconciatura esagerata, dalla figura resa con linee inquiete e guizzanti e un segno forte, vicino a quello di Daumier. Lautrec ha già collaborato con Ibels a un album Le café‐concert, realizzando 11 litografie a chiosa di un testo di Georges Montorgueil. Le immagini sono dedicate a singole vedettes e rappresentano un ulteriore esempio del ruolo dell’artista nel rapporto fra iconografia moderna e industria dello spettacolo. La combinazione di immagine e testo, la duplice natura di stampa artistica e illustrazione popolare testimoniano la coesistenza di arte e pubblicità. Nel 1893‐1894, l’artista partecipa attivamente alla stagione del Théâtre Libre. Nello stesso anno ritrae Sarah Bernhardt in Fedra al Théâtre de la Renaissance, mostra interesse per Réjane, che interpreta Madame Sans‐Gêne di Sardou. Più avanti (1898) crea una serie di 13 ritratti di attori e attrici, la cui fonte d’ispirazione è la serie dei 24 ritratti di attori del teatro kabuki, dalle espressioni fortemente sottolineate. Il teatro gli permette di approfondire la propria visione caricaturale dell’uomo: l’attore per definizione è portato a esagerare e l’artista, con il suo tratto incisivo, coglie mirabilmente tale caratteristica. Conclude il ciclo dedicato al teatro il bel manifesto realizzato nel 1899 per La Gitane, dramma di Jean Richepin rappresentato al Théâtre Libre di Antoine. Lo spazio è percorso trasversalmente da una figura nera in fuga, mentre l’immagine della Gitana vestita di bianco occupa il primo piano con eleganza misteriosa. 6 Sono elementi connotanti una radicale semplificazione riassunta nell’uso di pochi tratti marcati sullo sfondo di un sintetico motivo di linee spezzate, di grande effetto. Lautrec volge il suo sguardo anche allo spettacolo costituito dal pubblico nel palco, luogo nel quale si recita la commedia della convenzione sociale, di cui è uno degli interpreti più brillanti. Il tema è comune a molta pittura dell’epoca. La loge au mascaron doré (Il palco dal mascherone dorato, 1894) è paragonabile a La loge au théâtre di Degas, dipinto di soggetto analogo, di analoga inventiva audacia prospettica. L’artista si dedica, inoltre, fin dai primi anni novanta, al filone della grafica pubblicitaria per prodotti commerciali, per opere letterarie, riviste e testi per musica. Uomo del suo tempo, punta a ottenere effetti immediati e brillanti, aderendo all’idea della libera diffusione delle immagini. Un segno scorrevole e ritmico, un’impostazione più simbolica che descrittiva, un linearismo ininterrotto connotano le sue prove. Alla base è la padronanza del disegno come elemento espressivo a sé, generatore dell’opera grafica. Viene poi la complessità di una realizzazione, che deve tenere conto della reazione del pubblico, della individuazione della via più immediata di trasmissione di un messaggio, capace di dare sostanza estetica anche a contenuti di per sé labili. Il suo linguaggio non esclude le sinuosità formali caratteristiche dell’Art nouveau, molto presto egli dimostra interesse per le arti decorative, il nuovo clima che si instaura nell’ultima parte del secolo gli offre un vasto campo d’azione. È incuriosito dalle diverse tecniche, con l’intento di avvicinare l’arte alla vita quotidiana. Natanson e “La Revue Blanche” promuovono lo sviluppo dell’Art nouveau, la condizione della creazione artistica muta; una vetrata, due rilegature e alcune illustrazioni di libri realizzate da Lautrec ne sono testimonianza. Nell’esaminare il momento conclusivo del suo lavoro, non si può trascurare l’interesse dell’artista per la riproposta di temi vivi fin dalla giovinezza, quali i cavalli, gli altri animali, il circo, o esperienze dell’ultima stagione, in grado di incidere emotivamente in modo ancora determinante. Ci si riferisce all’incontro, nel 1899, con una cameriera del bar Lo Star a Le Havre che ispira un fine disegno, il bel dipinto di un volto sorridente, cromaticamente vibrante, segno dell’attenzione dell’artista per una creatura ricca di grazia. Ma presto, inspiegabilmente, alcune litografie riportano bruscamente il clima da un registro poetico a più espliciti segnali crudamente realistici. Bizzarrie sintomatiche del disagio irrimediabilmente profondo di un artista che ci ha lasciato icone straordinariamente brillanti, talora originalmente caustiche, connotate da un segno strutturante e incisivo, sia che dipinga, disegni o imprima un suo sigillo sulla lastra litografica.
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