etimologia e leggende di un albero “storico”: il fico

ETIMOLOGIA E LEGGENDE
DI UN ALBERO “STORICO”: IL FICO
di Giacomo Saragosa *
Quale che sia la sua origine etimologica,
il fico, uno degli alberi più noti, diffuso
soprattutto nel bacino del Mediterraneo e
nel Medio e Vicino Oriente, vanta una
storia plurisecolare, arricchita da un vero
e proprio florilegio di citazioni che vanno
dalla Genesi a Virgilio, passando per la
mitologia greca. Introdotto in Italia sicuramente prima della fondazione di Roma
(curioso l’aneddoto di un fico che Catone
portò in senato e la cui relativa freschezza
fu presa a dimostrazione di quanto fosse
vicina Cartagine da Roma), è sempre
stato apprezzato per la sua consistente
base energetica e la facile digeribilità. La
storia etimologica del fico è occasione per
illustrare il significato di alcuni nomi
comuni del mondo vegetale.
Whatever etymological origin the word
may have, the fig is one of the best known
trees especially widespread in the Mediterranean basin and in the Middle and
Near East. It boasts a centuries-old
tradition enriched by a florilegioum of
quotations from Genesis to Virgil,
passing through Greek mythology.
Introduced in Italy surely before the
foundation of Rome - there is a curious
anecdote of a fig Cato brought in the
senate and using the extraordinary
freshness of it he tried to demonstrate how
Carthage was near Rome - the fig has
always been appreciated for its digestibility and solid energetic base. Its etymology
helps illustrate the meaning of several
common names in the vegetal world.
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ico, in latino ficus, che corrisponde al greco sykon, è voce probabilmente dell’oriente da cui viene la pianta. Altri rigettano
la radice sykon e optano per il greco phyo = produco, a causa
della fecondità di questa pianta; altri ancora pensano all’ebraico phag,
che ha lo stesso significato. È un albero notissimo, dal tronco breve,
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* Primo Dirigente della Scuola del Corpo Forestale dello Stato
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contorto, con ramoscelli robusti e frutti di polpa tenera e dolcissima
dalla forma di pera un po’ bislunga.
Recita Tacito negli Annali (XIII, 58) «Ficus Ruminalis, ad quam eiecti sunt Remus et Romulus» (sotto il quale furono allattati, infatti rumus
= mammella); ricordo che il fico Ruminale si trovava presso il Tevere e
che un virgulto di tale albero, piantato da Romolo sul monte Comizio,
diventò il fico del Navio circondato da un cancello di bronzo.
Secondo quanto scrivono Plutarco e Plinio, un altro fu piantato nel
Foro romano, quindi nel centro degli affari della vita romana, perché
ritenuto “albero felice” (Virgilio, Eneide, VIII, 20). Esso fu venerato
fino ai tempi dell’impero e bastava che il suo tronco languisse per riempire la città di costernazione.
Sempre Plinio (Naturalis Historia, XV, 18) ci ricorda che in occasione della caduta del fico sacro a Silvano, che stava davanti al Tempio di
Saturno ai piedi del monte Capitolino in Roma, nel 494 a.C., i pontefici esercitarono il diritto della “exauguratio” o dissacrazione, esclusivamente riservato a loro, senza il quale nessun albero o bosco sacro poteva essere venduto. Da quanto appena detto consegue che il fico comune (ficus carica) chiamato da Catone “fico africano” deve essere stato
introdotto in Italia in tempi sicuramente anteriori alla fondazione di
Roma.
Fin dai tempi più remoti venivano importati dalle coste africane e
probabilmente furono introdotti gli alberi in Italia per non dover pagare il tributo del trasporto ai Fenici ed ai Cartaginesi. È celebre l’episodio di cui fu protagonista Catone il quale mostrò in senato un fico che
era stato colto fresco tre giorni prima sulle mura di Cartagine, facendo
con ciò toccare con mano ai maggiorenti romani la poca distanza cui
stavano i nemici di Roma: secondo la tradizione quindi un fico fu la
causa dell’assedio e della distruzione di Cartagine. È da sottolineare che
il fico di Adamo, le foglie del quale servirono ad Eva (Genesi, III, 7) nel
primo “dopo” della storia dell’umanità, quello che la Bibbia chiama
Theena, non è probabilmente pianta di questo genere, ma è il banano
(Musa paradisiaca). Ancora fino al secolo scorso le foglie di banano continuavano a servire da grembiule alle donne mesopotamiche.
La struttura interna del fico lascia stupiti, perché in seno alla polpa
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si scopre un fiore, fiore che una volta fecondato si richiude in se stesso. Il ricettacolo, supporto delle parti fiorali, si è fatto carnoso, crescendo e incurvandosi, le ha imprigionate insieme ai loro piccolissimi acheni, i semi futuri. La comunicazione con l’esterno è assicurata solo
dall’“occhio” quasi interamente ostruito da brattee; in tal modo una
pianta di fico sembra non fiorire mai. Una curiosità: secondo Plinio
(Naturalis Historia, XV) per assicurarne l’ingrossamento e la maturazione basta pungere l’occhio del frutto quando questo comincia ad arrossare, con uno spillo o una pagliuzza bagnati nell’olio.
Nell’antichità il fico aveva un significato osceno (la radice di sykon è
la stessa della parola scroto) che non ha mai perso del tutto. Messo in
rapporto col capro (non a caso il fico selvatico viene chiamato caprifico) esso apparteneva a Dioniso e più ancora a Priapo, il dio lubrico
della fecondità, a Roma invece a Marte, vero fondatore dell’Urbe poiché aveva generato Romolo e Remo. In latino, caprifico viene da caper
= capro, parola che ha un significato molto particolare perché deriva
dal greco kapraein = essere in fregola.
Il fico che secca e deperisce ha sempre annunciato il declino della
città dove era onorato. I Vangeli lo citano due volte. In Matteo si narra
che dopo l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, rientrando in
città il mattino, dopo aver pernottato a Betania, ebbe fame e vedendo
una pianta di fico lungo la strada si avvicinò ma trovò solo foglie ed
esclamò: «che da te non nasca più frutto in eterno», e all’istante il fico
si seccò. In Giovanni, quando il neo-discepolo Filippo porta Natanaele
da Gesù, quest’ultimo dice: «Ecco un vero israelita nel quale non c’è
finzione»; a Natanaele che gli chiede come lo conosca, Gesù risponde:
«Prima che Filippo mi chiamasse, ti vidi sotto il fico». È lo stesso fico
che Gesù maledirà.
Forse nel fico era simboleggiata la Sinagoga che non avendo riconosciuto il Messia, non darà più frutti (sarà un caso, ma dopo Gesù Israele
non ha più avuto “Profeti”, gente cioè che parlasse in nome e per
conto di Dio; ha solo conservato le sue scritture senza null’altro
aggiungere).
Secondo Plinio (Naturalis Historia, XXIII) «aumenta la forza dei giovani, migliora la salute dei vecchi e riduce le rughe». È un fatto che
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erano alimento di atleti e convalescenti in quanto altamente calorici e
di facile digeribilità. Platone li raccomandava per «rinvigorire l’intelligenza» e sembra certo che combattano l’astenia nervosa. Si trova negli
antichi autori spesso la descrizione di pasti composti da pane d’orzo,
formaggio di capra e fichi, che stupiscono quei potenti mangiatori che
siamo diventati noi.
Abbastanza stranamente ficus ha prodotto, in varie lingue neolatine,
“fegato” passando per il latino ficàtum derivante dalla consuetudine di
ingozzare le oche di fichi per ingrossarne il fegato che allora si chiamava hepar sykaton; per influenza del sostantivo greco, i Romani chiamarono il fegato d’oca ficàtum e il termine passò nell’uso per indicare il fegato umano che allora si chiamava iecur.
Si narrava tra i Greci che il fico fosse stato creato da Dioniso. Esso
esprimeva simbolicamente gli attributi del dio ed il suo lattice era il simbolo del nutrimento che Dioniso dava al mondo.
Nell’Antico Testamento il fico, insieme alla vite, è il simbolo non
solo della fertilità ma anche della vita gioiosa nel regno messianico: «Gli
alberi producono i frutti, la vite e il fico danno il loro vigore», (Gioele
2,22); «Nessuna nazione alzerà la spada contro un’altra e non impareranno più l’arte della guerra. Siederanno tranquilli ognuno sotto la sua
vite e il suo fico e più nessuno li spaventerà» (Michea 4,4).
Etimo di alcuni nomi comuni a tutti gli alberi
Bosco: dal latino buscus o boscus che da alcuni viene fatto derivare dal
greco bòschos = pascolo, da cui ad esempio “proboscide”. Altri prendono spunto dal francese bois che vale anche legno, ritenendo che abbia
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Albero: dal latino arbor e più anticamente arbos, da una radice sanscrita urv nel senso di produrre, essere fecondo. Qualcun altro lo fa
derivare da altra radice sanscrita che ha il senso di innalzarsi, prosperare, da cui deriva anche la voce “arduo”.
È il nome universale di tutte le piante che hanno un fusto dritto,
solitario, perenne, grosso, legnoso, il quale nella parte superiore si
espande in rami a forma di braccia, o in una chioma di fronde aperte.
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origine dal latino buxus = bosso da cui anche il francese buche = legna
e bouquet (anticamente boschet) nel significato di mazzo di fiori, macchia
cespugliosa, non essendo strano che dalla specie si sia passati al genere, come nel greco drys, prima indicativo della quercia e poi di albero in
genere; per conseguenza bosco sarebbe “gruppo, quantità di alberi”. È
un luogo pieno di alberi selvatici ed anche di alberi cedui per uso di
legna. Bosco differisce da selva, che per lo più comprende alberi di alto
fusto adatti alle costruzioni, e da foresta che nel linguaggio comune
indica una vasta estensione di terreno incolto in cui si trovano piante
non ancora toccate dalla mano dell’uomo.
Ceduo: dal latino caedere = tagliare, che va a connettersi alla radice
ka, kad, ska, che significa fendere, dividere, separare e che si trova nel
sanscrito skhade = scindo, nel greco skìde = schiappa di legno e nel latino scandula con lo stesso significato. Applicato al bosco significa destinato ad essere tagliato periodicamente senza togliere le ceppaie e le
radici dove deve di nuovo rinascere.
Corteccia: dalla radice kar col senso di fendere, recidere. È la scorza degli alberi così detta per le screpolature che in genere presenta,
oppure per la sua facilità ad essere divisa e separata dall’albero.
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Fiore: dal latino flos-floris che sembra derivare da una radice indoeuropea bhla-phla col senso di gonfiare, traboccare, sbocciare, affine alla
radice da cui viene bolla. Altri, meno felicemente, accostano flos al
greco phlox = fiamma, osservando con poetica fantasia come la fiamma sia quasi il fiore del fuoco. Altri ancora dalla radice chlo del greco
(chloe = verzura, chloazo = verdeggio, chloeròs = verdeggiante) allo stesso
modo che da Cloris sarebbe derivato Flora, la dea dei fiori, giusta quanto dice Ovidio nei Fasti: «Chloris eram, quae Flora vocor, corrupta latino nominis est nostri litera graeca sòno».
Prodotto della vegetazione delle piante fanerogame, da cui viene
fuori il frutto.
Foglia: dal latino fòlia, plurale di fòlium, passato a fungere da singo-
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lare per analogia con i nomi della prima declinazione; corrispondente
al greco phyllon che viene riportato alla radice del verbo phleo = mi gonfio. Altri invece pensano alla radice bhû = phû del greco phyo = produco, nasco, cresco, da cui anche phyllon nel significato di stirpe.
Ciascuna delle parti, per lo più verdi e di varie forme, che ha la pianta, attaccate ai rami e allo stelo e che serve principalmente alla respirazione ed alla fotosintesi clorofilliana e quindi alla vita della pianta
medesima.
Foresta: dal latino foresta da connettere alla voce fòris o fòras = fuori
su cui nella latinità tarda si formò anche forasticus = esterno, forestare =
mettere fuori, bandire; dunque messa su questo piano dovrebbe significare luogo fuori dell’abitato, luogo selvaggio.
Fusto: in latino fustis = bastone che deriva dallo stesso tema fest =
spingere, battere; ed infatti tale parola aveva il senso particolare di verga
per battere i delinquenti e specialmente i soldati vili o che disertavano
la bandiera. Dal senso di bastone si passò poi a quello di sostegno, da
cui gambo, pedale di alberi e piante, torso dell’uomo.
È quella parte dell’albero che va dalle radici alla sua diramazione, o
fino alla sua punta; altresì è quella parte della pianta fruticosa o erbacea
destinata a sostenere i rami, i fiori, i frutti.
Legno: dal latino lìgnum che viene da lègere = scegliere, raccogliere, a
cui viene attribuito il significato originario di rami secchi da raccogliere per bruciare. Ha molta verosimiglianza l’ipotesi, suggerita dal significato e non contrastata dalle leggi fonetiche, che lignum sta per dignum
dalla radice dagh = bruciare.
È la materia solida degli alberi, tolta la corteccia.
Libro: in latino librum = scorza interna dell’albero; deriva da una
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Ghianda: in latino glans che viene rapportato al sanscrito galana =
che cade, dalla radice gal = cadere giù, staccarsi.
Frutto della quercia e di altri alberi detti per ciò ghiandiferi.
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Etimologia, struttura e leggende di un albero “storico”: il fico
radice europea lap = sbucciare, che si riscontra nel greco lepein = sbucciare e lepos = corteccia.
È il più interno dei tre strati nei quali si divide la corteccia degli alberi (scorza, alburno, libro) sul quale, e specialmente su quello del papyros
egiziano, erano soliti scrivere gli antichi. Da tale uso è venuta poi la
voce “libro” nel significato di qualsiasi materia contenente uno scritto.
È bene ricordare che la voce italiana “foglio” ricorda la foglia degli
alberi, specialmente delle palme, sulle quali, anche, in antico si scriveva.
I Greci chiamarono la sostanza fibrosa del papiro e di altre piante
“biblos” o “byblos”, dal fenicio gybl, che ebbe lo stesso significato e da
tale accezione deriva il termine universale Bibbia ossia “ta biblà”, i libri
per eccellenza.
Pianta: in latino planta = che sorge, dalla radice plat = allargare, da
cui il greco platys = piatto, largo. Nome generale sotto cui si comprendono tutti i vegetali che espandono in aria i rami e le foglie.
Selva: in latino sylva, greco yle che sta per il più antico syle. Nella
Calabria è ancor oggi vigente la forma “Sila”, che designa un vasto territorio boscoso. Gli etnologi riconducono la voce sylva alla radice svar =
suar = sual = sul = splendere, rilucere (alla stessa radice si riconduce
anche la parola cielo) per cui il senso proprio di selva sarebbe quello di
ammasso di legna da ardere.
Boscaglia formata da arbusti più che da alberi di alto fusto, per i
quali si usa bosco (nemus).
Bibliografia
SARAGOSA, G. - Alberi: Etimologia, storia, miti e leggende, Avellino, Casa Editrice
Scuderi.
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