Dialettica e filosofia - ISSN 1974-417X [online] Copyright www.dialetticaefilosofia.it Questa opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons Italia, 2.5 RAFFAELE DANESE Gnosi e filosofia: il Perì physeos di Parmenide Gnosi e filosofìa: il Perì Physeos di Parmenide 1. Mito e critica razionale In quel breve, ma denso e significativo saggio filosofico costituito da Per una teoria razionale della tradizione, raccolto poi in Congetture e confutazioni, Karl Popper analizza, alla luce della sua specifica teoria epistemologica, l'innovazione introdotta nella cultura occidentale dal pensiero dei primi filosofi greci: la novità rappresentata dalla nascita della filosofia non starebbe, secondo Popper, e come invece comunemente si crede, nel passaggio «dal mito al logos» ai fini di una migliore e più adeguata - perché appunto «razionale»spiegazione del mondo, bensì, semplicemente, nell'emergere di un atteggiamento critico nei confronti del sapere tradizionale. Le narrazioni dei primi pensatori, osserva infatti Popper, «erano fondamentalmente dei miti come quelle che le avevano precedute» 1. L'aspetto innovatore della filosofia non riguarda perciò il «contenuto» da essa proposto -una interpretazione «razionale» della natura al posto di una «mitologica»-, quanto piuttosto l'atteggiamento mentale che essa presuppone. «Penso -dichiara Popper- che l'innovazione introdotta dai primi filosofi greci fosse, in termini generali, principalmente questa: essi cominciarono a discutere i contenuti della cultura tradizionale, per cui «invece di accettare la tradizione religiosa acriticamente, come se fosse inalterabile [...], invece di tramandare semplicemente una tradizione, la respinsero, e qualche volta inventarono perfino un nuovo mito per sostituirlo all'antico»2. In sostanza, conclude Popper, «i filosofi greci inventarono una nuova tradizione, consistente nell’assumere un atteggiamento critico nei confronti dei miti, nel discuterli; nel non limitarsi, cioè, a raccontare un mito, ma nell'accettare anche il confronto con colui al quale è stato esposto»3. È questa, in definitiva, la differenza tra l'antica sapienza greca, ancora legata ad un modello «sacerdotale», sacrale, della verità e la nuova filosofia4: entrambe propongono «miti», tentativi di spiegazione della realtà e dei suoi «enigmi», dei suoi lati oscuri e misteriosi. La prima presenta però i propri miti come una verità rivelata all'uomo dalla divinità, la seconda pone la verità come risultato di una investigazione o di una ricerca razionale. È chiaro che, allora, il passaggio dall'orientamento religioso a quello filosofico presuppone un generale processo di laicizzazione del sapere che, storicamente, si connette a quell’esperienza unica ed inconfondibile del mondo antico, costituita dalla polis ellenica. Ne Le origini del pensiero greco, Jean Pierre Vernant ha cercato infatti di dimostrare come la razionalità filosofica si sia potuta sviluppare, svincolandosi dalla mentalità religiosa, proprio mediante un rapporto stretto, un legame reciproco - dice egli testualmente - con la nuova realtà maturata in Grecia tra VIII ed il VI secolo. Un aspetto costitutivo della città-stato, nota infatti Vernant, «è il carattere di piena pubblicità dato alle manifestazioni più importanti della vita sociale»5. Nella polis si afferma -di contro al precedente modello politico, incentrato sul palazzo, in cui il signore (ánax), invisibile al démos, esercita un dominio totale- un nuovo spazio politico di carattere «pubblico», che trova nella piazza, o agorá, il luogo tipico di manifestazione. Strumento fondamentale di questa nuova forma politica diviene il linguaggio, che assume ora connotati interamente profani. «Il linguaggio non è più la parola rituale, la formula giusta, ma il dibattito contraddittorio, la discussione, la argomentazione»6. Man mano che esce fuori dal palazzo-tempio per diffondersi nello spazio pubblico, il logos si configura come una realtà puramente umana, soggetta a vincoli, procedure e parametri stabiliti dall'individuo e dalla collettività. «La cultura greca si costituisce aprendo ad una cerchia sempre più larga -e infine all'intero demos- l'accesso al mondo spirituale riservato in origine ad un'aristocrazia di carattere guerriero e sacerdotale»7. Il processo di democratizzazione del sapere fa tutt'uno con la sua laicizzazione, ed è in tale contesto che nasce la tradizione critica di cui parla Popper: «Divenendo elementi di una cultura comune, le conoscenze, i valori, le tecniche mentali sono a loro volta portati sulla piazza pubblica, sottomessi a critica e controversie. Non sono più conservati, come garanzie di potenza, nel segreto di tradizioni familiari; la loro pubblicazione susciterà esegesi, interpretazioni diverse, opposizioni, dibattiti appassionati. Ormai la discussione, l'argomentazione, la polemica diventano le regole del gioco intellettuale come del gioco politico. Il controllo costante della comunità si esercita sulle creazioni dello spirito come sulle magistrature dello Stato [...]. Esse non si impongono più mediante la forza di un prestigio personale o religioso: devono dimostrare la loro giustezza mediante processi di ordine dialettico»8. 2. L'acropoli e l'agorà Quando applichiamo questo schema interpretativo alla filosofia presocratica, notiamo in realtà la presenza, al suo interno, di due orientamenti diversi: da un lato il sapere degli ionici, improntato ad un tipo di razionalità che può venir definita «scientifica», almeno embrionalmente; che non disdegna, anzi si riferisce alle «tecniche», ad un sapere di tipo pratico, come da un sapere «vero» ed autentico e che, esso solo, mette l'uomo in grado di comprendere e dominare la natura. La figura dell'«ingegnoso Talete», che utilizza le cognizioni matematiche derivategli dall'Oriente a scopi ingegneristici -come la deviazione del corso di un fiume per permettere il passaggio dell'esercito di Creso- rappresenta assai bene lo spirito che anima questa corrente di pensiero con cui si fa, tradizionalmente, iniziare la filosofia. Una prosa di Senofane esprime efficacemente il senso che la filosofia e l'indagine razionale hanno per i rappresentanti della scuola ionica: «Gli dèi non hanno certo svelato ogni cosa ai mortali fin dal principio, ma, ricercando, gli uomini trovano a poco a poco il meglio». Non esiste dunque alcun canale privilegiato per accedere alla verità, bensì solo una lenta e paziente ricerca, la quale presuppone però anche un coraggioso e «titanico» atteggiamento di sfida nei confronti della sapienza tradizionale aristocratica e sacrale. Non è un caso, ha osservato a questo proposito Mario Vegetti, che nella mitologia greca sia proprio «un fabbro-scienziato, quel Prometeo che trafuga agli dèi il fuoco, le tecniche e la conoscenza, e li dona agli uomini perché siano in grado di dominare la natura e, al limite, di fare o meno della stessa divinità, che la tradizione poetica antica, da Esiodo a Eschilo, ha raffigurato la grandezza, l'empietà e la novità inquietante del sapiente ionico»9. Ma vi è anche, nella filosofia prima di Socrate, una corrente di pensiero che potremmo definire sacrale, sacerdotale, rappresentata da Pitagora, Eraclito e Parmenide. Per essi la verità si presenta, all'opposto di quanto accade presso gli Ionici, come un dono divino, una «rivelazione» riservata a coloro che, in virtù di qualità elevate, sono gli unici in grado di poterla accogliere. Il saggio appartiene così, secondo questa prospettiva aristocratica, ad una élite spirituale, una ristretta cerchia di «iniziati» che si collocano così automaticamente al di sopra della numerosa folla dei profani, come l’uno è al di sopra dei molti (Pitagora), l’essere al di sopra delle cose (Parmenide), ed il desto al di sopra dei dormienti (Eraclito) 10. Si tratta di una distinzione filosofica, questa tra le due correnti presocratiche, che è anche una distinzione sociale e politica, come ha opportunamente messo in rilievo, sempre, il Vegetti 11. La filosofia delle origini, egli fa infatti notare, ha una struttura bipolare come ha struttura bipolare la antica polis: essa è costituita, da un lato, dall'acròpoli o «città alta», che è anche il polo aristocratico - nell'acropoli sono collocati i templi con i loro sacerdoti, i tribunali con i magistrati e le strutture militari con i loro guerrieri-; dall'altro dall'agorà, o «città bassa», che è la piazza del mercato, brulicante di mercanti, contadini e liberi professionisti e dove si riunisce l'assemblea popolare per discutere degli affari della città, cioè di «politica». Intorno all'agorà si stendono le botteghe, i laboratori e le piccole case dei poveri, insomma la città del popolo (démos). Gli aristocratici, i kalòi kai agathòi arroccati nell'acropoli, non sono disposti a cedere il potere e il dominio culturale al démos: le due correnti di pensiero rispecchiano tale situazione storica. «Da un lato, vi è la cultura che potremmo definire sacerdotale, ramificata in ogni città ma raccolta intorno ad un suo centro ideale, il santuario di Apollo a Delfi [...]; al lato opposto vi è la formazione di una cultura nuova, a carattere prevalentemente tecnicoscientifico, che risponde alle esigenze maturate dal démos nell'agorà. Questa cultura ha i suoi centri a Mileto nel VI secolo e ad Atene nel V»12. Di fronte all'avanzata di questo nuovo sapere, espressione della tendenza della borghesia cittadina a diventare classe egemone, «l'aristocrazia dell'acropoli dà prova, nel momento della minaccia e del pericolo, di una straordinaria capacità intellettuale di reazione»13. Per chi detiene da sempre le chiavi che consentono l'accesso al tempio, al cui interno è custodita la divinità e la sapienza sacra che ne deriva, si tratta di legittimare, davanti agli occhi del démos, il proprio diritto al «potere» sulla base di un «sapere» che lo fondi: «E non si tratta della riproposizione testarda della vecchia sapienza delficosacerdotale; si tratta piuttosto dell'elaborazione di nuove forme di razionalità teorica, che, mentre lasciano intatto l'essenziale della tradizione cui questa aristocrazia si richiama, si dimostrano tuttavia all'altezza dei tempi, altrettanto o più potenti del nuovo concorrente, il sapere che emerge dalle tecniche e dalla ricerca naturalistica» 14. 3. Il poema di Parmenide. La filosofia di Parmenide si colloca a pieno titolo nel quadro di questo sapere sacerdotale così delineato. Parmenide, com'è noto, espose la sua filosofia in un'opera in versi -di cui ci restano solo 154 versi, raggruppati in 19 frammenti- che venne indicata dai commentatori posteriori col titolo di Intorno alla natura. Tale titolazione è tardiva ed è probabilmente originata dalla scuola aristotelica che, con questo termine, si riferiva al pensiero dei primi filosofi, che Aristotele chiamava phisikoi, ovvero «fisici», studiosi della physis15. In realtà, quando ci immergiamo nella lettura dei frammenti del poema parmenideo, siamo trasportati, più che nel mondo dei fisici-scienziati ionici, nel mondo del sapere sacro delle aristocrazie dell'acropoli. Nel «proemio» dell'opera Parmenide, con un linguaggio fortemente suggestivo, ci racconta di un «viaggio» metafisico che lo ha portato lontano dal mondo comune degli uomini, costituito da ingannevoli apparenze e sostenuto da fallaci opinioni, ponendolo a contatto con una verità assoluta, divina e razionalmente necessaria. Vediamone i passi più significativi: Le cavalle che mi trascinano, fin dove vuole il mio cuore, anche ora mi condussero via, dopo che le dee mi ebbero guidato sulla via molto famosa, che per ogni città porta l'uomo che possiede il sapere. Là venni condotto; là mi portarono le molto avvedute cavalle tirando il carro, e le fanciulle additavano il cammino. 5 L’asse infuocato nei mozzi mandava un suono stridente (poiché da ambo i lati era tratto da due ben curvati cerchi) ogni qual volta le figlie del sole, abbandonate le case della Notte, affrettavano il corso a guidarmi verso la luce, liberando il capo dai veli. Ivi è la porta che mette ai sentieri della Notte e del Giorno, e ai due estremi la chiudono l’architrave e la soglia di pietra, e la riempiono, in alto nell’etere, grandi battenti di cui la Giustizia che molto punisce tiene le chiavi dell'eterno uso. 10 Ritenuto degno di accedere alla Verità, che è custodita al di là della porta, il viandante giunge così al cospetto della dea che lo accoglie benevolmente con le seguenti parole: «O giovane condotto da guide immortali che vieni alla nostra casa portato dalle cavalle, 25 sii il benvenuto! Poiché non fu un avverso destino a mandarti per questa via (che è invero lontana dall'orma dell'uomo), ma la legge divina e la giustizia. Ma ora devi imparare ogni cosa e il cuore che non trema alla ben rotonda Verità e le opinioni dei mortali, in cui non è vera certezza 30 Ma tuttavia anche questo imparerai, come l'apparente debba configurarsi perché possa apparire veramente verosimile, penetrando il tutto in tutti i sensi». Del proemio, ed in special modo dei primi versi, colpisce il carattere fortemente simbolico, allegorico. Di una allegoria, si badi bene, che non è da intendere nel senso classico, astrattamente intellettualistico del termine, quale «soluzione» o «formula letteraria» rispondente a finalità teoretico-razionali o, peggio, estetico-decorative; bensì quale esempio di «pensiero mitico», traduzione in immagini religiose oggettive di un particolare tipo di esperienza umana che, presentandosi con gli attributi della «straordinarietà», viene vissuta come esperienza religiosa e soprannaturale, come un vero e proprio «incontro con la divinità». A tal proposito, E. R. Dodds ha osservato come gli antichi greci avessero la tendenza ad oggettivare in forme personali, di tipo mitico-religioso, quegli impulsi psichici profondi e, talora, subitanei e violenti, che sembrano imporsi all'individuo al di fuori e contro la sua stessa volontà cosciente16. Così nell'Iliade si parla frequentemente, in tal senso, di Ate e di Erinni17 o, in Socrate, del démone, inteso come «una specie di elevata guida spirituale, di Super-ego freudiano»18. Ora, questo tipo di interpretazione può applicarsi anche al caso di Parmenide che rappresenta il suo viaggio come guidato dalle «dee» daimones figlie del Sole. Queste sono dunque le forze interiori profonde che determinano la ricerca speculativa del Nostro: sono la raffigurazione mitica di ciò che noi chiameremmo, con Weber, il Beruf di Parmenide, la sua specifica, cioè, «vocazione intellettuale». Il proemio del Perì physeos richiama allora, per evidente analogia, l’inizio della Teogonia esiodea, laddove le Muse, scese dal monte Elicona, ispirano al poeta «un canto divino»: «Presente in entrambi, Esiodo e Parmenide, è infatti l'emozione di un incontro eccezionale, che avviene lontano dalle strade conosciute e consacra, in Esiodo, la presenza di una forza capace di elevare il semplice pastore al rango di uomo divino, e in Parmenide l’orgogliosa coscienza di essere "un uomo che sa"»19. Le cavalle che trascinano il filosofo sono anch'esse un simbolo religioso: il cavallo era infatti considerato dagli antichi come dotato di spirito profetico. Allora, se le cavalle indicano il páthos profetico-religioso che anima la ricerca parmenidea, il «carro» è, evidentemente, il pensiero dello stesso filosofo, ed il sibilo dell'asse nei mozzi è lo sforzo intellettuale -la «fatica del concetto», come lo avrebbe chiamato Hegel- da cui la sua teoresi scaturisce. Ciò che qui viene perciò presentato è una sorta di viaggio soprannaturale, una «iniziazione» alla verità, che verrà alla fine posseduta in forma integrale, «ben rotonda», come è efficacemente detto al verso 29. Questo viaggio porta il filosofo lontano dalle comuni esperienze umane: elargita dalla divinità, la sofia parmenidea pretende di individuare le strutture profonde, noumeniche, dell'essere, ed è, quindi, tanto superiore al sapere profano da avvicinarsi ad un sapere divino: è veramente una «gnosi» filosofica, una «rivelazione», o aletheia, nel senso originario del termine (da a-lanthano = «rendo palese»); dunque un «disvelamento», un disoccultamento dei misteri dell'essere elargito al filosofo dalla divinità, così che egli si configura veramente, al pari degli adepti dei culti misterici, come un «entusiasta», cioè un invasato dalla divinità medesima, un «ispirato» (secondo l'etimologia del sostantivo enthousiasmos da en = «in», «dentro» e theos = «dio»). Questa verità che al filosofo viene rivelata si caratterizza dunque per una inequivocabile connotazione in senso sacrale ed aristocratico. Parmenide, assieme agli altri esponenti del «sapere sacerdotale», si contrappone all'empirismo dei fisici ionici, proponendo una «verità» che scaturisce da oltre i confini dell'esperienza. Interessante è, a questo proposito, il particolare della «porta» (v. 11) che divide la luminosità della sofia dalla oscurità delle doxa e del sapere volgare: alcuni studiosi hanno osservato che questo particolare è tutt'altro che simbolico -o almeno che non lo è necessariamente o del tuttopoiché gli archeologi che hanno lavorato per riportare alla luce i resti dell'antica Elea, la patria di Parmenide, hanno infatti rinvenuto una porta, la cosiddetta Porta rosa di Elea, che separava la città bassa e portuale, «le case della Notte» (v. 9), dal colle dell'acropoli, con le sue case del «Giorno», il regno di Dike e di Alétheia. Il dualismo luce-tenebra, con cui Parmenide descrive metaforicamente il proprio viaggio, trova così dei precisi e concreti riscontri: esso corrisponde a quel dualismo acropoli-agorà, áristoi-démos, messo in rilievo dal Vegetti. Si può perciò ragionevolmente ipotizzare che Parmenide si sia ispirato, a questo proposito, ad un viaggio realmente compiuto nella sua città lungo quella «via del Nume» che conduce alla Porta rosa e, attraverso di essa, all'acropoli ed al tempio 20. Note 1. K. POPPER, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, pag. 218. 2. Ibidem. 3. Ibidem. 4. Cfr. H. FRANKFORT, L'emancipazione del pensiero dal mito, in P. Rossi (a cura di), "Antologia della critica filosofica", vol. I, "L'età antica", Laterza, Bari 1967, pagg. 1-23, che mette in risalto come la letteratura esiodea rappresenti la mediazione ed il momento di passaggio tra questi due diversi modelli del sapere. 5. J. P- VERNANT, Le origini del pensiero greco, Ed. Riuniti, Roma 1976, pag. 42. 6. Id., pag. 41-42. 7. Id., pag. 43. 8. Ibidem. 9. M. VEGETTI, Filosofia e sapere nella città antica, in AA. VV., "Filosofia e società", voi I, pag, 2, Zanichelli, Bologna 1975. 10. Id., pag. 38. 11. Questa interpretazione, infatti, che lo studioso italiano ha posto alla base della sua lettura della filosofia presocratica, è già accennata in Ideologia e utopia di K. MANNHEIM (trad. it., Il Mulino, Bologna 1957), testo rappresentativo di quel ramo delle scienze umane attuali costituito dalla «sociologia della conoscenza», basata sull'assunto teorico che le idee trovino una adeguata spiegazione nella misura in cui vengono ricondotte alla loro origine sociale. Inutile dire che il primo «sociologo della conoscenza» ante-litteram fu, in tal senso, Marx. 12. M. VEGETTI, op. cit., pag. 5. 13. Id., pag. 37. 14. Ibidem. 15. Cfr. F. CIOFFI; Il poema di Parmenide, in AA.VV. "Il testo filosofico. Storia della filosofia: autori, opere, problemi", B. Mondadori, Milano 1991; voi. I, "L'età antica e medievale", pagg. 110-111. 16. Cfr. E. R. DODDS, I Greci e l'irrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959, pagg. 1117. 17. Dodds (pag. 7) definisce la ate «uno stato d'animo», «una pazzia parziale e temporanea» che viene attribuita «ad un'operazione demonica esterna». Nella mitologia religiosa Ate diventa la figlia di Zeus e dea della sventura «che tutti acceca» (OMERO, Iliade, XIX, 91). Quanto alle Erinni o Furiae (da erino = sono furente), dee della vendetta, del rimorso o «maledizione», esse sono la chiara personificazione del senso di colpa che tormenta la mente del reo. 18. Id., pag. 60. Socrate descrive il daimon che guida la sua ricerca intellettuale nei seguenti termini: «Questo che si manifesta in me, fin da fanciullo, è come una voce che, allorché si manifesta, mi dissuade sempre dal fare quello che sono sul punto di fare, e invece non mi incita mai a fare qualcosa» (Apologia, 31D). 19. S. TASSINARI, Storia della filosofia accidentale, Bulgarini, Firenze 1994, voi. I, pag. 78. 20. F. CIOFFI, op. cit., pag. 123. Dialettica e filosofia - ISSN 1974-417X [online] Copyright www.dialetticaefilosofia.it Questa opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons Italia, 2.5