RILEVARE L’INIZIO Fare consistere il luogo di pensiero della differenza. E' questa l'idea che mi assilla mentre studio testi di donne filosofe. Voglio pensare la filosofia della differenza mettendo fra parentesi la risposta che è per me ancor sempre valida: il luogo del pensiero della differenza è quello delle relazioni fra donne. E ho dato per scontato che se da lì partono le mie parole, tuttavia si riinterrogano. Non sono solitaria abitatrice di una terra di nessuno, nel pensiero femminile della differenza è stata continuamente riformulata la pratica del partire da sé.1 Possiamo ogni volta tornare indietro: non per un rifiuto di andare avanti, ma per trovare ispirazione, per un procedere dove il cammino non sia delimitato dall’appartenenza, ma da una nuova rifocalizzazione di qualcosa che aveva un senso in altro contesto e che, rifocalizzato, puo’ ridarci un senso nuovo e pensieri nuovi. E’ il tentativo di abbandonare ogni forma classica di pensiero: quando da piu’ parti tutti i caratteri dell’opera filosofica sono smentiti, non puo’ che rimanere la dimensione della nostra esperienza. Prima partenza, prima creazione. Partire da sé è stata intuizione centrale nel secondo femminismo. Dalla politica delle donne ho imparato a autocentrarmi fra le relazioni. Questa punta focale relazionale più che vedere me stessa in movimento e in un rapporto di identità con altre, mi adatta la quotidianità. Eppure fra me e me si dà una pratica conoscitiva che non è irrilevante nelle relazioni. Se la metto in azione, mi sostiene. Non come un filo logico adattato al principio di non contraddizione ma come una prassi che veglia sul pensiero e la interazione con l’esperienza relazionale. In questa metodo per la conoscenza mi do la necessità di decidere un inizio per vedere la variazione di significati, per riconoscere dove e come la relazione sprigiona un’energia capace di trasformare il pensiero, le parole con le quali si esprime. E’ solo così che riesco a “fare posto”all’altra-all’altro o come dice Luisa Muraro in un articolo sull’11 settembre <<cedere all'enormità dell'avvenimento, consentendo all'"altro", qualunque cosa sia, di capitarci.>> 2 La filosofia dell’inizio o se si preferisce dell’origine è decisiva per sapere qualcosa di sé. Molte parlano di ‘fare vuoto’, ‘tabula rasa’ posizione di partenza per mettersi di fronte al pensiero maschile e non restarne annullate. Invece c’è un valore assegnabile a elementi di partenza che se si riconoscono: riempiono, dipingono, scrivono e descrivono l’inizio. E’ una posizione unica e nostra che ci viene data per riconoscere un ordine sociale femminile. La incontro praticata con disinvoltura nel mondo delle comunicazioni intellettuali. L’inizio è precedente al pensiero e alla volontà ma allo stesso tempo è origine del pensiero. Decidere l’inizio è scegliere fra possibili determinanti, è curvare il senso degli avvenimenti ordinandoli Decidere l’inizio è semplice. 1 Marisa Forcina, Verdure e parole, Via Dogana, n°. 49, Possiamo ogni volta tornare indietro: non per un rifiuto di andare avanti, ma per trovare ispirazione, per un procedere dove il cammino non sia delimitato dall’appartenenza, ma da una nuova rifocalizzazione di qualcosa che aveva un senso in altro contesto e che, rifocalizzato, puo’ ridarci un senso nuovo e pensieri nuovi. E’ il tentativo di abbandonare ogni forma classica di pensiero: quando da piu’ parti tutti i caratteri dell’opera filosofica sono smentiti, non puo’ che rimanere la dimensione della nostra esperienza. Prima partenza, prima creazione. 2 (Luisa Muraro, Che cosa ci sta capitando, Via Dogana, 58-59, 2001) La scelta non è un’analisi fra tante opache oggettività. C’è evidenza. Tuttavia il luogo d'origine si ripresenta nel pensiero femminile come una maniera per decostruire le contraffazioni, qualora siano tali, dettate dall’immediatezza del sentimento, della falsa coscienza, delle passioni. Non voglio dire che queste siano di per sé campi proibiti alla conoscenza. Voglio dire però che creano malessere e che impediscono di procedere oltre nella scoperta delle conoscenze e soprattutto di sé. Certamente l'incontaminata riproposta dei luoghi d'origine del pensiero rischiano la ripetitività, la castrazione simbolica. Io però penso alla conquista di un metodo per praticare l'impersonale richiamato in Simone Weil per non annullarsi nel collettivo e non coltivare la persona. <<La perfezione è impersonale. La persona in noi è la parte dell'errore e del peccato. Tutto lo sforzo dei mistici è sempre stato volto a ottenere che non ci fosse più nella loro anima nessuna parte che dicesse ''io''>> (pag. 43, La persona e il sacro, S.W. Morale e letteratura, ETS ,1990). Solo una mente in stato di solitudine può raggiungere questa perfezione dell'impersonale <<... se solo si sapesse studiare un metodo per farne uso>> . ( pag.45, ivi) Sapere pensare l’inizio senza forse pretendere di raggiungere il luogo autentico di un’origine la propone anche Marianella Sclavi in ‘’Arte di ascoltare e mondi possibili’’, (Le Vespe, 2000). Marianella Sclavi propone un approccio al mondo in grado di vedere <<contesti bisociati >>, quindi un essere dentro e fuori della cornice di cui facciamo parte. In questo luogo si può dispiegare l’attività fondante dell’autoriflessività ( pag.41) nella quale è determinante sapere cogliere gli stati d’animo , le emozioni, <<specie quelle relative a dettagli e particolari che appaiono ‘’trascurabili’’,’’fastidiosi’’, ‘’ridicoli’’>> (pag.60) In questa sapienza delle tracce e dei paradigmi indiziari fare intervenire una filosofia dell’inizio è determinante. M.S. si appella alla fenomenologia ma è più precisamente l’inizio che bisogna raccogliere e deporre con attenzione mentre si sviluppa una idea. Tanto più se ci si rivolge a donne e uomini adulti, abituati a verificare e riverificare le proprie posizioni e aspettative sul mondo. Queste soggettività alterano e dimenticano l’inizio per un gioco di esistenza nel mondo abituato a scommettere, giocare o ripetere che è la stessa cosa a tenere la distanza con l’inizio se la partenza non è una memorabile intuizione dalla quale parte la conquista del mondo. Gli inizi sono le varie e frequenti esperienze e intuizioni che mettono in movimento l’agire leggero e danzante verso gli oggetti di cui ci parlava Simone Weil. Pensare l’inizio è – per me - fare consistere il luogo di pensiero della differenza. E’ Gerardo Sasso in Tempo evento divenire (Il Mulino, 1996) a mettersi davanti a una domanda - dal punto di vista del metodo - vicina alla mia idea. Nell’Introduzione (pag.17) chiede quale può essere <<il “luogo” in cui la domanda concernente l’esperienza, e le sue forme, manifesta sé stessa>>. Indagando sulla relazione, il filosofo, propone due possibili esiti. La prima fa confluire la domanda nell’essere: essa è in quanto si domanda dell’esperienza. La domanda <<accade a sé stessa>> e costituisce <<il proprio ambito>>. Oppure non sta dentro l’essere e si colloca <<fuori>> e <<accanto>> il suo quadro <<e con l’essere venga perciò di nuovo ad intrattenere un rapporto, che si dica, una relazione>> Ma ancora più specificamente G.S. affronta il senso dell’essere e del rapporto con l’esperienza dove, deciso che <<l’essere è le differenze>> (ivi pag. 21) e viceversa, afferma che precipitano nell’essere e - con Parmenide - le differenze non sono che nomi, perché non si dà che l’essere. In ogni caso <<Non si pensa quel che si dice >> (o s’intende dire). L’altro risvolto propone di supporre l’essere necessario e le determinazioni contingenti: un ordo rerum e un ordo idearum. Ma se è possibile che l’una accolga le altre che vanno a farle visita, si vede che <<non può darsi alcuna distinzione […] fra l’essere e le determinazioni>> Allora (ivi pag. 24) <<Quale luogo, avvenendo l’evento, ossia la domanda, costituisce sé stesso?>> Sono convinta che il corpo risponde sulla propria differenza. Ma da sola la natura del corpo non serve che in maniera riparatoria alla filosofia. Se è vero che l’ordine delle cose accoglie l’ordine delle idee, allora c’è un essere che è l’essere sul quale scivolano le differenze, non essendo che etichette che si possono togliere, rimuovere, dimenticare, scambiare, confondere coscientemente. Non c’è alcuna distinzione fra l’essere delle cose e l’incontro delle idee con esse, di conseguenza. Nel fondo – sotto i nomi - non cambia dunque nulla, sia che le idee imperino nella trascendenza sia che contaminino la realtà nell’immanenza. Il corpo è vero che veicola un segno di sé simbolicamente molto efficace, ma in compagnia delle idee ogni corpo viene restituito a una purezza originaria pre-sessuata, tuttavia senza le idee di che parla questo essere? La ragione pura non riesce a pensare di se stessa senza l’incontro con l’esperienza, e questo abbiamo imparato nella filosofia kantiana. Le idee – allo stesso tempo - nascono e si trasmettono all’interno di contesti misti e ibridi. La purezza delle idee è contaminata da infiniti fattori. Per questo occorre stabilizzare un inizio, rilevarlo. L’inizio è nell’essere presessuato eppure se si lega all’esperienza per avere evidenza perché disconoscerne il segno sessuato ? In nome di che cosa ? Di quale dovere, imposto per chi e per che cosa? Con quale vantaggio? Vantaggio di conoscenza, materia che si accumula alla materia ? Disconoscere il segno evidente dell’inizio che sta nella esperienza serve per confondere ulteriormente gli inizi in tante possibili strade di incroci, e ritornare alla memoria pre-stabilita civilizzata eppure contrassegnata, patriarcalizzata. Non siamo più nel deserto, quindi possiamo stanziarci nel segno dell’esperienza per cogliere quell’essere puro del puro essere, senza determinazioni, e però proprio per questo l’inizio è sessuabile. E’ necessario domandarsi: in quale luogo il corpo, e il segno che idealmente e percettibilmente trasmette fanno avvenire la domanda e quindi la filosofia? Nell’essere parmenideo questa coppia corpo-segno si autocostituisce in essere e tutto il resto viene da sé, secondo Platone questo essere parmenideo avveniva senza divenire, fuori dalla coppia di essere e non essere, le diverse qualità erano posizioni dell’essere. Rimettiamoci alla coppia essere e non essere oppure restiamo nell’essere di Parmenide, il risultato non cambia: occorre pensare un inizio, non l’inizio: un inizio mentre trascuriamo la totalità ferrea dell’essere che non diviene di Parmenide e la dialettica platonica di essere e non essere. Non confondiamoci, a ognuna la sua convinzione però c’è la scelta di un inizio e raccontiamolo e se passiamo per questa iniziativa di salita che ci sia sempre stata la strada o che inizi lì per tutte, non solo per noi decidiamo che è quello il luogo prescelto per capire e anche confondersi. E’ un inizio scelto apposta, vero però, anche se bloccato sulla sua strada del divenire niente o dubbiosa appartenenza alla memoria. Il luogo edificato e costruito mi accoglie però e quindi esiste. Il luogo di pensiero della differenza è invece un segno che sta accanto all’essere. E c’è un segno – un altro oltre a quello dell’essere - che dà consistenza al luogo della differenza. Lo indica. C’è un andare verso un luogo per denominare una origine. Ma il segno del solo essere maschile e femminile percepibile non è conoscenza perché il mio essere è oltre il nome e il corpo che mi presenta. Invece io stabilisco per me l’utilità massima del pensiero dell’origine e mi faccio portare con essa verso il luogo della differenza. L’origine come luogo di esperienza e di elezione, probabilmente irrinunciabile, certamente determinato per starmene fuori dal pensiero maschile, bianco, occidentale, scritto, storicizzato nel senso univoco e patriarcale. C’è quindi un’evidenza nella scelta, è nel soggetto proprio.