LABORATORIO I-A Cenni sui circuiti elettrici in corrente continua

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UNIVERSITÀ DI GENOVA
FACOLTÀ DI SCIENZE M.F.N.
LABORATORIO I-A
Cenni sui circuiti elettrici in corrente
continua
Anno Accademico 2001 – 2002
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Capitolo 1
Richiami sui fenomeni elettrici
Esperienze elementari mostrano come oggetti materiali possano essere caratterizzati da una
proprietà, detta carica elettrica, in grado di sviluppare una forza tra i corpi stessi. Si osserva
in particolare che esistono due forme di questa proprietà, dette rispettivamente carica positiva
e carica negativa, tali che corpi dotati di carica dello stesso tipo si respingono mentre corpi
dotati di carica differente si attraggono. Oggi sappiamo che questa proprietà è posseduta dalle
particelle elementari che compongono la materia: gli atomi infatti sono costituiti da un nucleo
massivo carico positivamente circondato da una “nuvola” di elettroni, dotati di massa molto
minore e carichi negativamente.
In condizioni normali la carica positiva e quella negativa degli oggetti microscopici si bilanciano esattamente o quasi ed essi ci appaiono elettricamente neutri.
Nei solidi cristallini gli elettroni non sono vincolati ai singoli atomi ma al reticolo cristallino
stesso e si dispongono in una struttura detta di bande energetiche. Quando gli elettroni occupano
completamente i livelli (per cosı̀ dire tutti i “posti liberi”) di una banda i loro movimenti sono
in un certo senso bloccati e la carica, associata al loro movimento, che fluisce in un verso è
bilanciata esattamente dalla carica che fluisce in verso opposto.
Esistono comunque materiali, detti conduttori (tipicamente metalli), in cui una banda non
è completamente occupata e in cui gli elettroni sono liberi di muoversi in ogni direzione, un po’
come le molecole di un gas, e come tali, in condizioni normali, si muovono disordinatamente per
agitazione termica senza dar luogo ad un flusso di carica.
Se invece sugli elettroni liberi sono presenti forze elettriche (analoghe alle forze che a livello
macroscopico sappiamo essere esercitate reciprocamente tra oggetti carichi) questi si possono
muovere collettivamente in modo ordinato dando luogo a quello che si chiama una corrente
elettrica.
Esiste anche la possibilità di passaggio di corrente elettrica con modalità differenti in altri
tipi di conduttori (per esempio conduttori elettrolitici) ma per semplicità non saranno considerati
in questo corso.
Torniamo al concetto di corrente in termini più precisi: possiamo dire che, se una sezione di
un conduttore è attraversata nel tempo ∆t da una quantità di carica elettrica ∆Q, il conduttore
è percorso da una corrente elettrica di intensità i = ∆Q / ∆t.
L’intensità può variare nel tempo: in questo caso possiamo definire una intensità istantanea
i(t) = dQ/dt.
Sperimentalmente si osserva che l’intensità di corrente, in un dato conduttore mantenuto
in condizioni ambientali costanti (in particolare a temperatura costante), è proporzionale al
valore di una quantità, detta differenza di potenziale elettrico, presente tra le estremità del
conduttore.
A sua volta la differenza di potenziale corrisponde al lavoro, cambiato di segno, che le forze
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4
CAPITOLO 1. 1
elettriche compiono su una carica elettrica unitaria che si sposta tra i punti considerati, cioè al
lavoro diviso per la carica elettrica su cui è stato compiuto, ossia ∆VAB = VB − VA = −LAB /Q.
Il rapporto tra la differenza di potenziale (in valore assoluto) e la corrispondente intensità
di corrente si chiama resistenza elettrica del conduttore (R).
Tutto questo è riassunto nella legge di Ohm: ∆V = i R. La legge di Ohm appare
pertanto come la definizione di resistenza elettrica. Il suo contenuto fisico risiede nel fatto che
esistono corpi, detti conduttori“ohmici”, per i quali R è costante al variare della differenza
di potenziale applicata. Occorre osservare subito che R non è costante quando cambia la sua
temperatura; in particolare nei “veri” conduttori (metallici) la resistenza aumenta all’aumentare
della temperatura.
Spesso le resistenze commerciali che vengono impiegate nella realizzazione di circuiti elettrici
(come quelle che si utilizzano nelle esercitazioni di laboratorio di questo corso) sono a base di
carbone e il loro comportamento termico è esattamente opposto a quello dei conduttori metallici,
ossia la resistenza diminuisce all’aumentare della temperatura.
Se si considera un conduttore omogeneo, di sezione costante S e di lunghezza L, si trova
che la sua resistenza è direttamente proporzionale a L e inversamente proporzionale ad S. La
costante di proporzionalità, detta resistività, dipende dal tipo di materiale e, come abbiamo
notato, dalla temperatura. Essa viene comunemente indicata con la lettera ρ.
Quanto detto sopra viene riassunto nella seconda legge di Ohm: R = ρ · L
S.
Nel Sistema Internazionale di unità di misura la grandezza fondamentale di tipo elettrico è
l’intensità di corrente i, la cui unità di misura è detta ampere (A) ed è definita a partire dalla
forza magnetica agente tra fili percorsi da corrente. L’unità di carica elettrica, detta coulomb
(C) è la carica che attraversa un conduttore percorso da una corrente costante unitaria, cioè di
1 A, nell’unità di tempo, cioè in 1 s. Quindi 1 C = 1 A · 1 s ovvero 1 A = 1 C / 1 s.
L’unità di potenziale (o di differenza di potenziale) elettrico, detta volt (V) è definita come
il rapporto tra l’unità di lavoro, il joule (J), e l’unità di carica elettrica: 1 V = 1 J / 1 C, ovvero
1 V = 1 J / (1 A s). La prima legge di Ohm ci consente di ricavare l’unità di misura della
resistenza: il suo nome è appunto Ohm (Ω) e vale 1 Ω = 1 V / 1 A = 1 J/(A2 s). Dalla seconda
legge di Ohm si ricava che l’unità di resistività è l’unità di resistenza per unità lunghezza, cioè 1
Ωm. Spesso si introduce un’altra grandezza, detta conduttanza (G), uguale all’inverso della
resistenza. La sua unità di misura sarà ovviamente 1 Ω−1 = 1 A/V, detta siemens (S). L’inverso
della resistività è detto conducibilità (σ) e la relativa unità di misura nel S.I. è 1 (Ωm)−1 .
Il passaggio di una quantità di carica dQ attraverso un elemento di circuito, ai capi del quale
è presente una differenza di potenziale V, richiede il compimento di un lavoro dL = V dq; se
chiamiamo dt il tempo in cui questo avviene ricaviamo che viene sviluppata una potenza P =
dL/dt= V dQ/dt = V i.
Ne segue che in un circuito, in genere, non si può mantenere un passaggio di corrente senza
la presenza di dispositivi in grado di fornire potenza. L’esperienza quotidiana ci mostra che per
tenere in funzione qualunque apparecchio elettrico occorre alimentarlo con batterie (cariche) o
connetterlo alla rete di distribuzione di energia elettrica (cioè ad una “presa di corrente”).
Le batterie producono energia elettrica tramite reazioni chimiche; in quelle ricaricabili la
reazione viene fatta procedere in senso inverso immettendo corrente con appositi dispositivi
(“caricabatterie”ecc...).
Le “prese di corrente” sono il punto di arrivo di un sistema complesso. Nelle centrali
elettriche dispositivi, detti alternatori, azionati meccanicamente, producono correnti alternate,
ossia variabili sinusoidalmente nel tempo: i(t) = i0 sen (2πνt +φ) con una frequenza ν = 50 Hz
(standard europeo, in USA ν = 60 Hz).
La ragione dell’impiego di correnti alternate deriva dalla facilità di trasformarle da bassa ad
alta tensione e viceversa. Infatti il trasporto di energia elettrica si realizza facilmente ad altissima
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tensione (poichè la potenza è data dal prodotto V i, ad alta tensione si possono utilizzare, a
parità di potenza trasportata, correnti più basse, quindi cavi di sezione ragionevole) mentre per
la produzione e l’utilizzo sono convenienti tensioni relativamente basse (nessuno in casa vorrebbe
collegare il frigorifero a 380000 V).
Le prese di corrente comuni forniscono energia alla tensione efficace di 220 V. A livello di
impianti industriali è anche diffusa la distribuzione a 380 V (trifase) ma questa non è utilizzata
dagli strumenti di interesse di questo corso e non verrà considerata.
Quando si parla di tensione efficace si intende una tensione alternata (variabile sinusoidalmente) tale che la potenza media dissipata su una resistenza sia uguale alla potenza che sarebbe
dissipata da una tensione continua (cioè costante nel tempo) di valore uguale a quello efficace.
In altri termini, se accendo una stufa elettrica alimentandola con una tensione continua di 220 V
oppure con una tensione alternata di valore efficace 220 V, produco la stessa quantità di calore
per unità di tempo.
In pratica si verifica facilmente
che una sorgente alternata con V = V0 sen (2πνt + φ) ha
√
un valore efficace Vef f =V0 / 2.
In molti casi (in particolare per le esercitazioni di laboratorio di questo corso) è opportuno
utilizzare sorgenti che forniscano tensioni continue anzichè alternate.
A questo fine esistono apparecchiature (alimentatori) che trasformano l’alternata in una
tensione “continua” con caratteristiche più o meno aderenti a quelle ideali (ossia di essere perfettamente costanti nel tempo e al variare della corrente erogata) in funzione della qualità (e del
costo) dell’apparecchio.
In moltissimi casi uno o più alimentatori in continua sono contenuti nei comuni apparecchi
domestici che vengono alimentati dalle prese di corrente alternata (televisioni, stereo, computer
ecc.).
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CAPITOLO 1. 1
Capitolo 2
Definizioni, notazioni e leggi
fondamentali
Introduciamo gli elementi che compongono i circuiti che saranno considerati in questo corso e
realizzati nelle esercitazioni di laboratorio.
È importante osservare che i componenti reali che saranno utilizzati nei circuiti approssimano
soltanto il comportamento ideale che viene schematizzato teoricamente. L’approssimazione può
essere molto buona quando il componente viene utilizzato in opportune condizioni di funzionamento, ma al di fuori di queste il comportamento può essere completamente differente da quanto
previsto dalla schematizzazione.
Per esempio un resistore può avere un comportamento perfettamente ohmico se usato correttamente (ossia se attraversato da una corrente tale che la dissipazione di potenza possa essere
smaltita senza surriscaldamenti) ma addirittura fondersi se percorso da correnti di intensità
eccessiva.
Come primo esempio di elemento circuitale consideriamo il resistore, spesso chiamato semplicemente resistenza dal nome della proprietà fisica caratterizzante, appunto la resistenza elettrica. Questo elemento è indicato dal simbolo rappresentato in figura 2.1. Un resistore ideale è
R
Figura 2.1: Simbolo circuitale del resistore di resistenza R.
caratterizzato semplicemente dal valore nominale della sua resistenza (R). Un componente reale
ha (o almeno dovrebbe avere) in condizioni ambientali “normali” una resistenza compatibile con
il valore nominale (indicato da un codice a strisce colorate come in figura 2.2) entro la tolleranza
dichiarata.
Esso è inoltre caratterizzato da una potenza massima, che può essere nei casi più comuni
1/4 W, 1 W oppure 2 W ma anche sensibilmente superiore, quando necessario. Il valore di
resistenza è garantito solo se la potenza effettivamente dissipata sul resistore è inferiore alla
potenza massima. Per valori di potenza superiori, il resistore si scalda significativamente e,
come abbiamo visto, la sua resistenza cambia. Oltre un certo valore il resistore si danneggia (si
“brucia”) e può anche danneggiare il resto del circuito.
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CAPITOLO 2. 2
8
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Nero
Marrone
Rosso
Arancio
Giallo
Verde
Blu
Viola
Grigio
Bianco
1 Cifra
2 Cifra
Esponente
Tolleranza
Rosso : 2%
Oro : 5%
Argento : 10%
Niente : 20%
10 12 15 16 18 20 22 24 27 30 33 36
Sequenza standard
di valori
39 43 47 51 56 62 68 75 82 91 100
Figura 2.2: Codice a colori delle resistenze.
Oltre ai resistori considereremo come elementi circuitali i generatori di tensione e/o di
corrente. Un generatore di tensione ideale è un dispositivo dotato di due terminali ai
cui capi esiste una differenza di potenziale costante, uguale alla forza elettromotrice (f.e.m.),
indipendentemente dall’intensità di corrente erogata.
Un generatore ideale di tensione è schematizzato da uno dei simboli circuitali mostrati in
figura 2.3.
+
+
+
V
-
-
(a)
(b)
Figura 2.3: Simboli circuitali di un generatore ideale di tensione.
Un generatore ideale di corrente è un dispositivo in grado fornire un valore fissato di
corrente, indipendentemente dalla resistenza dei conduttori in cui passa la corrente stessa. Un
generatore ideale di corrente è schematizzato dal simbolo circuitale mostrati in figura 2.4.
Nessun generatore reale di tensione può comportarsi in ogni situazione come uno ideale
in quanto dovrebbe essere in grado di fornire una potenza illimitata al crescere della corrente
erogata.
Una utile schematizzazione, valida soprattutto per descrivere il comportamento di una batteria, è pensare ad un generatore reale come ad un generatore ideale con una resistenza interna
ri in serie. Al crescere dell’intensità di corrente il valore della tensione osservabile sui morsetti
è inferiore a quello nominale per via della caduta di tensione sulla resistenza interna: Vest =
f.e.m. - i ri ; la massima corrente che può essere fornita sarà imax = f.e.m. / ri .
Il comportamento di un alimentatore stabilizzato da laboratorio, usato opportunamente,
9
i
i
Figura 2.4: Simbolo circuitale di un generatore ideale di corrente.
può essere sensibilmente diverso. La tensione diminuisce pochissimo all’aumentare della corrente
finchè questa non supera un certo livello; quando questo è superato la tensione cade a zero molto
rapidamente. Quindi un alimentatore stabilizzato differisce da un generatore ideale in quanto
può fornire un’intensità di corrente non superiore ad un certo limite; fino a quel punto la sua
resistenza interna è in genere trascurabile o comunque molto piccola.
Viceversa una batteria è caratterizzata da una resistenza interna significativa e il cui valore
dipende non solo dalle sue caratteristiche costruttive ma anche dal suo stato di carica (una
batteria scarica ha la stessa f.e.m. di una batteria carica dello stesso tipo ma una resistenza
interna molto più alta: la corrente massima che può erogare è estremamente ridotta ovvero la
tensione che misuriamo ai morsetti sotto carico è molto inferiore al valore della f.e.m).
Analogamente nessun generatore reale di corrente può comportarsi in tutto e per tutto
come uno ideale in quanto nuovamente avremmo situazioni in cui la potenza potrebbe crescere
illimitatamente.
Una schematizzazione comune di un generatore di corrente reale corrisponde ad un generatore ideale con una resistenza in parallelo. La corrente vista all’esterno resta sostanzialmente
costante quando la resistenza esterna è molto più bassa di quella interna ma viene limitata
automaticamente quando la resistenza esterna cresce.
Un buon alimentatore da laboratorio può funzionare con buona approssimazione come
generatore di corrente purchè la tensione ai sui capi non superi un determinato valore.
Le comuni schematizzazioni dei generatori reali sono mostrate in figura 2.5. Lo studio dei
i
ri
+
v
-
(a)
+
v-
ri
(b)
i
rs
(c)
Figura 2.5: Schematizzazione di generatori reali.
circuiti elettrici è basato su due leggi fisiche, dette leggi di Kirchhoff.
La prima legge, detta legge dei nodi o teorema dei nodi, è basata sulla legge di conservazione
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CAPITOLO 2. 2
della carica elettrica. In qualunque punto di un circuito non possiamo avere un’accumulazione
di carica perchè altrimenti si arriverebbe rapidamente a situazioni “esplosive” (differenze di
potenziale elevatissime, campi elettrici e quindi forze enormi e distruttive...).
Quindi se consideriamo un nodo, ossia un punto in cui convergono diversi rami di un
circuito, poichè la carica elettrica non si crea e non si distrugge occorre che la carica trasportata
in un certo tempo verso il nodo sia uguale a quella che esce dallo stesso nodo nello stesso tempo.
In altri termini, la somma delle correnti entranti in un nodo deve essere uguale alla somma delle
correnti uscenti.
Se attribuiamo un segno positivo alle correnti entranti e uno negativo a quelle uscenti dal
nodo, possiamo anche dire che la somma algebrica delle correnti in un nodo deve essere nulla.
La seconda legge di Kirchhoff, detta anche legge della maglia o teorema della maglia, è
una conseguenza dell’unicità del potenziale elettrico. Se noi percorriamo un circuito elettrico
seguendo un cammino chiuso (quello che si chiama appunto una maglia) al termine troviamo lo
stesso potenziale di partenza, ossia la somma algebrica delle variazioni di potenziale deve essere
nulla.
Se in un ramo di un circuito abbiamo una resistenza, questa dà luogo ad una caduta di
potenziale uguale al prodotto di intensità di corrente per resistenza, ossia ∆ V= -iR se stiamo
percorrendo il ramo nello stesso verso della corrente e ∆ V=+iR se lo percorriamo in senso
inverso. Se incontriamo un generatore di tensione questo implica una variazione ∆ V= +f.e.m.
se lo percorriamo dal polo negativo al positivo e ∆ V= -f.e.m. nel caso opposto. Se il generatore
ha una resistenza interna, questa viene trattata come tutte le altre resistenze.
Quindi per capire cosa succede in un circuito contenente solo resistenze e generatori di
tensione è sufficiente procedere nel modo seguente.
In primo luogo assegnare una corrente, con un verso arbitrario, ad ogni ramo del circuito.
Poi, individuati i nodi in cui convergono tre o più rami, scrivere per ciascuno la legge dei nodi.
Fatto ciò, è necessario individuare un certo numero di maglie tali da ricoprire tutti gli
elementi del circuito. In generale la scelta delle maglie non è univoca. L’importante è considerare
il numero minimo di maglie sufficienti, come si è detto, a ricoprire tutti i rami del circuito.
Ogni maglia in più darebbe luogo ad equazioni linearmente dipendenti dalle altre e quindi
appesantirebbe inutilmente la trattazione.
Per ogni maglia indipendente scrivere per ciascuna la legge della maglia a partire dalle
correnti che si erano assegnate inizialmente ai vari rami.
L’insieme delle equazioni scritte per i nodi e di quelle scritte per le maglie si traduce in
un sistema di equazioni lineari in cui le incognite sono le correnti. Il sistema può essere risolto
con uno dei metodi noti consentendo cosı̀ di ricavare le correnti passanti in ogni elemento del
circuito.
È importante notare che quando il valore di una corrente risulta negativo il verso effettivo
di tale corrente è opposto a quello che si era schematizzato.
Capitolo 3
Esempi ed applicazioni delle leggi di
Kirchhoff
Come primo esempio di studio di circuiti consideriamo il caso elementare di due resistori disposti
in serie e collegati ad un generatore ideale di tensione come in figura 3.1. In questo caso le
i
V
R1
R2
+
-
Figura 3.1: Esempio di circuito elettrico con 2 resistenze in serie.
resistenze sono attraversate dalla stessa corrente “i”. La legge della maglia ci dice: V - iR1
- iR2 = 0, cioè V = i (R1 + R2 ). Allora il sistema dei due resistori in serie è equivalente
ad un unico resistore la cui resistenza sia la somma di quelle dei due considerati. La cosa si
estende banalmente al caso di un numero qualunque di resistori in serie, per cui vale la legge
Rs = ni=1 Ri .
Un altro caso è quello di due resistori in parallelo, come in figura 3.2. In questo caso ai
R1
i
V
+
-
R2
Figura 3.2: Esempio di circuito elettrico con 2 resistenze in parallelo.
capi di entrambe le resistenze è applicata la stessa differenza di potenziale V, quindi esse sono
attraversate rispettivamente da intensità di corrente i1 = V/R1 e i2 = V/R2 . Per la legge dei
nodi la corrente totale vista all’esterno del parallelo sarà iT = i1 + i2 = V (1/R1 + 1/R2 ).
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12
CAPITOLO 3. 3
Vediamo allora come il parallelo è equivalente ad un’unico resistore di resistenza Rp tale che
1/Rp = 1/R1 + 1/R2 . Quindi adesso si sommano gli inversi delle resistenze (ovvero si sommano
le conduttanze). Nel caso generale di un numero qualunque di resistori in parallelo vale la legge
1/Rp = ni=1 1/Ri , oppure Gp = ni=1 Gi .
La conoscenza delle leggi di Kirchhoff è essenziale per un corretto impiego degli strumenti
di misura, di cui discuteremo brevemente le caratteristiche principali.
I moderni strumenti di misura elettrici consentono di effettuare svariate misure; in questo
corso ci occupiamo soltanto di misure di resistenza, intensità di corrente continua e differenza
di potenziale continua (o variabile molto lentamente). Gli strumenti si dividono sostanzialmente in due categorie: strumenti a bobina mobile, in cui la visualizzazione è analogica, basata
sul posizionamento di un ago lungo una scala graduata, e strumenti elettronici a conversione
analogico-digitale, in cui la visualizzazione di norma è realizzata mediante un “display” numerico.
Negli strumenti a bobina mobile l’elemento centrale è appunto una bobina percorsa dalla
corrente che si vuole misurare e immersa in un campo magnetico. La bobina si comporta come
un ago magnetico e tende ad allinearsi al campo magnetico, contrastando il richiamo di una
molla. La posizione di equilibrio dipende dal valore della corrente ed è messa in evidenza dalla
posizione di un ago, collegato alla bobina, lungo una scala graduata.
In questo modo si è realizzato uno strumento di misura di corrente, che si chiama amperometro. Si può ottenere un fondoscala differente mettendo in parallelo alla bobina un resistore
(detto di “shunt”) di valore opportuno. Per esempio, se si mette in parallelo un resistore la cui
conduttanza sia 9 volte maggiore di quella della bobina, solo un decimo della corrente totale
passa attraverso la bobina e quindi il fondoscala viene moltiplicato per 10.
Un amperometro deve essere inserito in serie nel ramo di circuito in cui si vuole misurare
l’intensità di corrente. Per alterare il meno possibile le caratteristiche del circuito in cui viene
inserito è bene che la resistenza interna dell’amperometro sia il più possibile bassa.
Per la misura di correnti molto basse si usano strumenti molto sensibili e delicati, detti
galvanometri, il cui funzionamento è analogo a quello degli amperometri ma in cui la bobina, anzichè essere collegata ad una molla, è sospesa a due fili sottili che realizzano anche il
collegamento elettrico.
L’amperometro, con una resistenza in serie, può essere utilizzato per misurare differenze di
potenziale (voltmetro). In questo caso i puntali devono essere collegati ai punti del circuito
tra cui si vuole determinare la differenza di potenziale e quindi la disposizione è in parallelo
rispetto alla porzione di circuito considerata. Per questo motivo è opportuno che la resistenza
interna sia il più possibile alta in modo da non introdurre grosse alterazioni al circuito originale.
Tuttavia in uno strumento a bobina mobile il valore di questa resistenza è limitato dal fatto che
è necessario il passaggio di un’intensità di corrente non troppo piccola per poter spostare l’ago
contro il richiamo della molla.
Attualmente sono molto utilizzati gli strumenti elettronici a conversione analogico-digitale;
questa viene realizzata con diverse tecniche, che in genere si basano sul confronto tra la tensione in misura e una tensione di riferimento generata internamente allo strumento. A titolo di
esempio, uno dei metodi utilizzati consiste nel creare internamente allo strumento una tensione
crescente linearmente nel tempo (rampa di tensione) e contemporaneamente far partire un contatore di impulsi prodotti a intervalli regolari di tempo. Nel momento in cui la tensione generata
supera quella in misura, il contatore viene fermato e un apposito circuito ne visualizza, con le
opportune manipolazioni e conversioni di unità di misura, il contenuto (vedere figura 3.3).
Anche gli strumenti digitali, ovviamente, sono solitamente realizzati in modo da poter misurare grandezze di diverso tipo (tensioni, correnti, resistenze, ecc...). La loro resistenza interna,
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quando usati come amperometri, è in genere confrontabile con quella degli strumenti analogici,
mentre può essere sensibilmente superiore (tipicamente ≈ 10 MΩ) quando usati come voltmetri.
V
(Rampa di tensione)
V
m
Tensione in misura
Impulsi tra t=0 e tm
tm
t
Figura 3.3: Esempio schematico di conversione analogico-digitale.
Può essere utile mettere in evidenza il ruolo della resistenza interna degli strumenti considerando come esempio il metodo voltamperometrico per la determinazione della resistenza, basato sulla misura contemporanea della corrente passante attraverso un conduttore e la
differenza di potenziale ai capi del medesimo.
A questo scopo si possono realizzare in alternativa due circuiti, rappresentati nelle figure
3.4 (a) e (b).
Amp
Amp
Rx
e
Volt
(a)
e
Rx
Volt
(b)
Figura 3.4: Schemi di circuiti per misure di resistenza con il metodo voltamperometrico.
Nel caso del circuito (a) il voltmetro misura correttamente la d.d.p. ai capi di Rx ma
la corrente i’ misurata dall’amperometro differisce in modo sistematico dalla corrente i che
attraversa la resistenza in quando comprende anche la corrente che attraversa il voltmetro stesso.
Si capisce immediatamente che questo effetto tende a 0 quando la resistenza interna del voltmetro
tende a ∞.
V
1
1
1
V
e i’=
dove
=
+
(con RV = resistenza
In generale possiamo dire che i=
Rx
Rp
Rp
Rx
RV
interna del voltmetro).
CAPITOLO 3. 3
14
V
Rx
V
· (1 +
) da cui si ricava Rx = ; la correzione risulta quindi
Rx
RV
i − V/RV
V
V
<< i . La corrente che attraversa Rx sarà i = i −
.
trascurabile se
RV
RV
Se si considera invece il circuito (b) è corretta la corrente i letta dall’amperometro ma risulta
falsata la tensione V’ letta dal voltmetro in quanto essa include anche la caduta di potenziale
nella resistenza interna RA dell’amperometro.
V − iRA
; in questo caso la correzione è
Avremo V’ = i(Rx + RA ) da cui si ricava Rx =
i
trascurabile se iRA << V . La tensione ai capi di Rx sarà ovviamente V = V − iRA
Un altro circuito elementare, che è utile studiare, è il partitore di tensione mostrato
0
in figura 3.5. Nel circuito, ad una sola maglia, circola una corrente i= RaV+R
; la tensione ai
b
Ne segue che i’ =
Ra
V0
Rb
V
Figura 3.5: Il partitore di tensione (o attenuatore).
capi di Rb sarà V = iRb = V0
Rb
. Quindi la tensione ai capi di Rb risulta attenuata di
Ra + Rb
Rb
(detto appunto fattore di attenuazione) rispetto alla tensione V0 fornita
Ra + Rb
dal generatore. È importante osservare che il fattore di attenuazione cosı̀ trovato è valido a
circuito aperto. Se la tensione V viene utilizzata da un carico schematizzato per esempio da
Rp
,
una resistenza RL (figura 3.6) occorre sostituire a Rb il parallelo tra Rb e RL : V = V0
Ra + Rp
dove Rp = (1/Rb + 1/RL )−1 .
un fattore
Ra
V0
Rb
RL
Figura 3.6: Il partitore di tensione con il carico RL .
Il potenziometro è un dispositivo a 3 terminali schematizzato in figura 3.7.
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A
RT
C
RX
B
Figura 3.7: Schema di potenziometro.
Tra i terminali A e B si ha un valore fisso di resistenza (RT ), tra B e C, invece, il valore
può essere regolato mediante una manopola o una vite e assume un valore RX compreso tra 0 e
RT (ovviamente tra C ed A si avrà una resistenza RT - RX ). Il potenziometro, collegato ad un
generatore, costituisce un partitore con fattore di attenuazione regolabile dato da RX /RT . In
presenza di una resistenza di carico RL , posto Rp = (1/RX + 1/RL )−1 , il fattore di attenuazione
Rp
.
diventa
RT − RX + Rp
Si può fare una applicazione completa delle leggi di Kirchhoff considerando un circuito a
due maglie indipendenti, come in figura 3.8. La legge dei nodi, applicata nel punto A, ci
dice:
i1 = i2 + i3 .
La legge delle maglie, applicata per esempio al settore sinistro e al settore destro del circuito,
implica altre due equazioni:
V1 − i1 R1 − i3 R3 = 0
V2 + i3 R3 − i2 R2 = 0
Quindi abbiamo ottenuto un sistema di 3 equazioni lineari in 3 incognite (le 3 correnti);
possiamo osservare che l’applicazione della legge dei nodi al punto B o di quella delle maglie alla
maglia esterna porterebbe a scrivere equazioni linearmente dipendenti da quelle sopra ricavate.
Si può procedere per esempio per sostituzione ricavando inizialmente dalle prime due equazioni
V1 − i3 (R1 + R3 )
R1
e quindi sostituendo nella terza:
i2 =
V2 + i3 R3 −
R2
[V1 − i3 (R1 + R3 )] = 0 da cui
R1
i3 [R3 R1 + R2 R1 + R2 R3 ] = V1 R2 − V2 R1 cioè
i3 =
V1 R2 − V2 R1
.
R3 R1 + R2 R1 + R2 R3
Notiamo che il valore di i3 può essere positivo o negativo (quindi la corrente può andare
secondo il verso ipotizzato oppure al contrario) a seconda dei valori di V1 , V2 , R1 ed R2 .
Sostituendo il valore di i3 nelle equazioni precedenti, ricaviamo rispettivamente
i2 =
R3 V1 + R1 V2 + R3 V2
R3 R1 + R2 R1 + R2 R3
CAPITOLO 3. 3
16
i1
V1
+
-
R1
R2
A
i3
i2
-
R3
+
V2
B
Figura 3.8: Esempio di circuito a due maglie.
R2 V1 + R3 V1 + R3 V2
.
R3 R1 + R2 R1 + R2 R3
Si vede immediatamente che i1 e i2 sono positive indipendentemente dai valori delle grandezze
in gioco, quindi queste correnti seguono sempre il verso ipotizzato inizialmente.
Il problema può essere affrontato in maniera lievemente differente utilizzando il metodo,
introdotto da Maxwell, delle correnti fittizie di maglia. Nell’esempio che abbiamo appena considerato possiamo introdurre una corrente, che chiamiamo iA , associata alla maglia di sinistra e
una corrente, iB , associata alla maglia di destra.
Con questa convenzione è possibile utilizzare soltanto le equazioni delle maglie purchè nei rami in comune a due maglie si consideri come corrente la somma algebrica delle correnti associate
alle due maglie interessate.
Nell’esempio del circuito di figura 3.8 la corrente i1 si identifica con iA , i2 con iB e i3 con iA
- iB . Ovviamente il risultato è esattamente lo stesso: l’unica differenza è che la legge dei nodi
viene utilizzata implicitamente anzichè esplicitamente.
i1 =
Capitolo 4
Alcuni teoremi relativi ai circuiti
elettrici
Dal punto di vista fisico i circuiti elettrici in corrente continua sono descritti completamente dalle
leggi di Kirchhoff. In pratica in molti casi può essere utile fare ricorso ad alcuni teoremi, che
costituiscono essenzialmente elaborazioni matematiche delle leggi precedentemente considerate,
per analizzare più agevolmente alcune situazioni.
Vediamo in primo luogo il teorema di sovrapposizione. Questo asserisce che il comportamento di una rete lineare contenente più generatori indipendenti può essere determinato
considerando separatamente l’effetto di ogni generatore e sommando le rispettive risposte.
Possiamo applicare questo teorema al circuito di figura 3.8: a questo scopo consideriamo i
circuiti mostrati in figura 4.1 (a) e (b), contenenti ciascuno un solo generatore.
+
R1
R2
A
R3
R3
V1 -
R2
A
+
-
R1
V2
B
B
(a)
(b)
Figura 4.1: Circuiti analoghi a quello di figura 3.8 ma con un solo generatore.
Nel caso del circuito (a) avremo la resistenza R1 in serie al parallelo di R2 e R3 . In R1
V1
circolerà la corrente i1a =
.
R + R2 R3
1
R2 +R3
La tensione ai capi di R2 e R3 sarà VABa = V1 − R1 · i1a e quindi le correnti circolanti in R2
e R3 saranno rispettivamente
VABa
VABa
e i3a =
.
i2a =
R2
R3
Se invece consideriamo il circuito (b) R2 sarà in serie al parallelo di R1 ed R3 . In R2 circolerà
17
CAPITOLO 4. 4
18
V2
.
R3
R2 + RR11+R
3
La tensione ai capi di R1 e R3 sarà VABb = V2 − R2 i2b e quindi le correnti circolanti in R1
e R3 saranno rispettivamente
i2b =
VABb
VABb
e i3b =
.
R1
R3
Si possono cosı̀ ricostruire i valori delle correnti nel circuito originale: i1 = i1a + i1b ; i2 =
i2a + i2b ; i3 = i3a + i3b .
In molti casi può essere conveniente considerare un circuito equivalente semplificato rispetto
a quello originale. Questo succede in particolare quando non siamo interessati al dettaglio di
quello che accade internamente al circuito ma ai suoi effetti nei confronti del “mondo esterno”
ossia, in genere, di un altro circuito.
A questo proposito è rilevante il teorema di Thevenin. Questo asserisce che ogni rete
lineare vista tra due capi A e B è equivalente ad un generatore ideale di tensione VT h con in
serie una resistenza RT h . Il valore di VT h è la tensione esistente tra A e B a circuito aperto
(ossia con il circuito non collegato al “resto del mondo”) mentre RT h è la resistenza che si vede
tra i punti A e B supponendo di avere cortocircuitato tutti i generatori di tensione e tagliato i
rami contenenti i generatori di corrente.
Possiamo utilizzare il teorema di Thevenin per “semplificare” il circuito di figura 3.8. Per
esempio la maglia composta dal generatore di tensione V1 e dalle resistenze R1 e R3 si può
ridurre ad un ramo contenente un generatore con una resistenza in serie come illustrato in figura
4.2.
i1b =
R1
V1
+
A
R3
-
Þ
VTh
B
- +
RTh
A
B
Figura 4.2: Esempio di semplificazione di un circuito con il teorema di Thevenin.
La tensione VT h è quella che sussiste tra i punti A e B, quando questi non sono collegati ad
R3
.
altri elementi circuitali, cioè VTh = V1
R1 + R3
La resistenza RT h è quella vista tra A e B cortocircuitando il generatore, ossia il parallelo
R1 R3
.
di R1 con R3 : RTh =
R1 + R3
Allora per il calcolo della corrente circolante in R2 (i2 ) si può far riferimento al
circuito (a una sola maglia) di figura 4.3.
VTh + V2
.
Avremo semplicemente i2 =
RTh + R2
19
È chiaro che con questo metodo perdiamo il dettaglio di cosa accade internamente alla parte
di circuito che abbiamo semplificato.
RTh
VTh
A
+
-
R2
-
V2
+
B
Figura 4.3: Circuito equivalente a quello di figura
Thevenin.
3.8, ricavato utilizzando il teorema di
Un altro modo di sostituire un circuito con uno equivalente semplificato è fornito dal teorema di Norton. Secondo questo teorema si può sostituire qualunque rete lineare tra due punti
A e B con un generatore di corrente con in parallelo una resistenza vista tra i punti A e B (in
pratica la stessa del teorema di Thevenin).
La corrente iN da considerare è quella che scorre tra A e B quando questi punti siano in
corto circuito, ossia collegati da un ramo di resistenza nulla (trascurabile).
L’applicazione del teorema di Norton al circuito di figura 3.8 è mostrata in figura 4.4. La
corrente di corto circuito sarà
V1
iN =
R1
e la resistenza tra A e B sarà
R1 R3
.
RN =
R1 + R3
R1
V1
A
A
+
-
R3
B
Þ
iN
RN
B
Figura 4.4: Esempio di semplificazione di un circuito con il teorema di Norton.
20
CAPITOLO 4. 4
Dai teoremi di Thevenin e Norton si ricava immediatamente che VTh = iN · RTh , cioè che,
presi due terminali A e B di un circuito, la tensione a circuito aperto tra A e B è uguale al
prodotto della corrente di corto circuito per la resistenza vista tra A e B. Questa relazione, che è
formalmente analoga alla legge di Ohm, può essere utile per ricavare semplicemente la tensione
tra due punti di un circuito.
Capitolo 5
Il circuito RC
Si chiama condensatore un dispositivo formato da due conduttori isolati (come esempio tipico,
una coppia di superfici metalliche piane, uguali tra di loro, disposte parallelamente e separate
da un isolante che può anche essere semplicemente aria).
Se sui due conduttori (detti comunemente le “armature” del condensatore) sono presenti
cariche elettriche di uguale intensità ma di segno opposto, tra i due si stabilisce una d.d.p.
direttamente proporzionale alla carica elettrica. Si può allora definire una quantità caratteristica
del condensatore detta capacità tramite l’equazione q = C · V.
La capacità è, dimensionalmente, il rapporto tra una carica elettrica e una differenza di
potenziale, quindi nel S.I. la sua unità di misura è 1 C/ 1 V. Questa unità ha il nome di farad
(F). Si può osservare che 1 F rappresenta una capacità estremamente elevata e che comunemente
la capacità dei condensatori di interesse pratico viene espressa in termini dei sottomultipli (µF,
nF e pF).
Poichè le armature di un condensatore sono isolate, la presenza di un condensatore in un
ramo di un circuito impedisce il passaggio di corrente in modo continuativo; tuttavia è possibile
il passaggio di corrente nei rami che collegano il condensatore al resto del circuito nelle fasi in
cui questo si carica oppure si scarica, ossia in condizioni non stazionarie.
Si può studiare cosa accade in un semplice circuito contenente un condensatore, una resistenza e un generatore di tensione (figura 5.1).
R
V0
+
-
C
Figura 5.1: Esempio di circuito RC.
Possiamo applicare la legge delle maglie, tenendo conto che ai capi del condensatore, su cui
siano presenti cariche +q e -q, si stabilisce una caduta di potenziale data da q/C. Allora avremo
q
V0 − iR − = 0
C
21
CAPITOLO 5. 5
22
dove l’intensità di corrente i e la carica q non sono costanti ma funzioni del tempo. Inoltre
possiamo osservare come la corrente i che attraversa R è quella che determina l’accumulo di
carica q sul condensatore, ossia i = dq/dt. Allora si ricava l’equazione
dq(t) q(t)
−
=0
dt
C
che si può riscrivere come
V0 − R
V0
dq(t) q(t)
+
=
dt
RC
R
(5.1)
Questa è un’equazione differenziale in quanto lega l’incognita (che è una funzione) alle
sue derivate, in questo caso la derivata prima.
Questo tipo di equazione può essere risolta molto facilmente con i metodi dell’analisi matematica. Per il momento ci limitiamo a cercare la soluzione in modo intuitivo.
A questo proposito possiamo fare alcune considerazioni. In primo luogo assumiamo che
all’istante iniziale, ossia quando il circuito viene chiuso, il condensatore sia scarico, ossia q(0) = 0.
In secondo luogo possiamo pensare che asintoticamente non vi sia passaggio di corrente e che
ai capi del condensatore si trovi tutta la d.d.p. fornita dall’alimentatore, cioè limt→∞ q(t) = C V0 .
Infine osserviamo che al passare del tempo, aumentando la carica sul condensatore, deve
diminuire la corrente che attraversa la resistenza e quindi la rapidità con cui la carica stessa
aumenta. Possiamo allora ipotizzare che la dipendenza dal tempo della carica sia esprimibile
dalla relazione
t
q(t) = CV0 [1 − e− τ ]
che soddisfa alle condizioni precedentemente discusse.
Per verificare se questa è veramente la soluzione che cerchiamo, basterà calcolare dq/dt:
1 t
dq(t)
= CV0 e− τ
dt
τ
e sostituire q e dq/dt nell’equazione 5.1:
t
CV0
V0
1 t
[1 − e− τ ] =
CV0 e− τ +
τ
RC
R
Si vede facilmente che l’equazione è soddisfatta se τ = RC. La costante τ (che dimensionalmente è un tempo) è detta la costante tempo del circuito RC e determina la rapidità del
processo di carica del condensatore (tanto più rapido quanto più τ è piccolo).
Possiamo studiare in modo analogo il processo di scarica del condensatore. A questo
scopo possiamo immaginare di eliminare il generatore e di richiudere il circuito contenente il
condensatore, che adesso supponiamo inizialmente carico, attraverso la resistenza R (figura
5.2).
In questo caso l’equazione della maglia si riduce a
q
dq
+
= 0 cioè
dt
RC
1
dq
=−
dt.
q
RC
Integrando si ottiene
1
dq
=−
q
RC
da cui
dt
23
ln
t
q(t)
=−
q(0)
RC
e in conclusione
t
q(t) = q(0) · e− τ
R
C
Figura 5.2: Circuito RC senza generatore: scarica del condensatore.
La dipendenza dal tempo della carica e della scarica del condensatore è mostrata in figura
5.3.
Figura 5.3: Carica e scarica del condensatore.