EZIOPATOGENESI DELL’OSTEOPOROSI L’osteoporosi é una condizione multifattoriale, alla cui patogenesi concorrono fattori costituzionali, genetici e ambientali. È una patologia che coinvolge tutto lo scheletro, caratterizzata da alterazioni qualitative della micro-architettura dell’osso e, soprattutto, dalla riduzione della massa ossea fino a un livello inferiore a quello minimo richiesto per la funzione di sostegno. Ciò è causa di fragilità e costituisce un notevole rischio per il verificarsi di fratture che subentrano a traumi di minima entità, per cui vengono definite anche spontanee. Si ritiene che alla base del fenomeno vi sia dapprima un notevole rallentamento del rimodellamento osseo: nei giovani questo processo si svolge con un elevato turnover, determinando il ricambio annuale di circa il 10 % della massa scheletrica totale; negli anziani il processo è molto meno attivo tanto da essere definito a basso turnover. Il risultato è uno squilibrio tra la formazione e il riassorbimento dell’osso a favore di quest’ultimo (Pontieri e Lombardi, 2008; Gualano et al., 2011). Dal punto di vista eziopatogenetico, è possibile distinguere due tipi di osteoporosi (Pontieri e Lombardi, 2008): idiopatica secondaria Alcuni esponenti del mondo accademico preferiscono aggiungere un terzo tipo, l’osteoporosi distrettuale, generalmente provocata dall’inattività. L’osteoporosi idiopatica, a sua volta, può essere suddivisa in tre forme: senile, post-menopausale e giovanile. Sebbene nessuna di esse risponda ad un meccanismo eziopatogenetico certo e definito, per le prime due forme appare evidente la netta correlazione tra riduzione dell’attività delle gonadi e riduzione della massa ossea, che coinvolge entrambi i sessi. Tuttavia, poiché l’incidenza nelle donne è nettamente prevalente, la forma da post-menopausa costituisce un’entità nosografica a sé stante (Pontieri e Lombardi, 2008). Nel 25 % delle donne, dopo la menopausa, il riassorbimento osseo risulta talmente accelerato da rendere grave il rischio di fratture spontanee. Alcuni studiosi attribuiscono la maggiore incidenza dell’osteoporosi nelle donne alla minore massa ossea del sesso femminile rispetto a quella del sesso maschile e alla ridotta produzione dell’ormone calcitonina (CT), tipica del periodo postmenopausale, che si comporta da antagonista del paratormone (PHT) contrastando il riassorbimento osseo. Tuttavia, è molto probabile che anche gli ormoni sessuali, ed in particolare gli estrogeni, esercitino un’azione protettiva sul tessuto osseo nei confronti del processo di riassorbimento promosso dal PHT. Infatti, l’osservazione epidemiologica indica che l’osteoporosi ha un’incidenza minore nelle donne affette da ipoparatiroidismo e che, in ogni caso, la somministrazione di estrogeni a donne in menopausa ritarda la comparsa di osteoporosi: gli estrogeni stimolerebbero gli osteoblasti, cellule osteoformatrici che esprimono specifici recettori citosolici per questi ormoni; pertanto, in assenza di tale stimolazione, verrebbe a prevalere l’attività degli osteoclasti, cellule preposte al riassorbimento osseo (Pontieri e Lombardi, 2008). Inoltre, in entrambi i sessi, con l’avanzare dell’età, si riduce l’assunzione di alimenti ricchi in calcio ed anche il suo assorbimento, a causa della minore disponibilità di calcitriolo (ormone che favorisce l’assorbimento intestinale di calcio), ed aumenta la sedentarietà, che contribuisce ad aggravare il processo di riassorbimento osseo, come è dimostrato anche dall’osservazione di vecchia data secondo cui il riassorbimento si accentua nei giovani costretti a letto per lungo tempo, e dall’osservazione più recente che l’assenza di sollecitazioni gravitazionali negli astronauti provoca una rapida riduzione della massa ossea (Pontieri e Lombardi, 2008). L’osteoporosi secondaria è conseguente ad altre patologie, più frequentemente alle disendocrinopatie. Essa è molto frequente sia nei pazienti affetti da morbo di Cushing (corticotropinoma dell’adenoipofisi caratterizzato dall’ipersecrezione dell’ormone adrenocorticotropo e dalla conseguente iperproduzione di glucocorticoidi) sia in quelli sottoposti a terapia protratta con glucocorticoidi. Questi ormoni esercitano una doppia azione sugli osteoblasti, riducendone la capacità di sintesi del collagene e incrementandone la sensibilità al PHT. Essi, inoltre, riducono l’assorbimento intestinale di calcio, probabilmente interferendo con l’attività dell’1-α-idrossilasi (enzima renale che incrementa la sintesi di calcitriolo), e provocano un lieve abbassamento della calcemia, seguito da ipersecrezione di PHT (Pontieri e Lombardi, 2008). L’eccessiva sintesi eterotopica di ormoni tiroidei, indicativa di una tireotossicosi, può altresì determinare la comparsa di osteoporosi o l’aggravamento di una forma primaria preesistente in questi pazienti: la riduzione della massa ossea si verifica per un effetto diretto degli ormoni tiroidei sulle cellule ossee e si associa ad un’aumentata escrezione urinaria dei costituenti del collagene, l’ossiprolina e l’idrossilisina (Pontieri e Lombardi, 2008). Un’altra causa di osteoporosi secondaria è il diabete mellito: l’insulina stimola la sintesi del collagene e di vari fattori di crescita da parte degli osteoblasti, fenomeni che evidentemente si riducono in caso di una sua deficiente sintesi. L’osteoporosi secondaria è anche molto frequente nei pazienti affetti da epatopatie croniche evolutive nei quali l’apporto alimentare di calcio è generalmente ridotto a causa della deficiente attivazione della vitamina D nel fegato (Pontieri e Lombardi, 2008). Bibliografia 1. Gualano, M.R.; Sferrazza, A.; Cadeddu, C.; de Waure, C.; La Torre, G.; Ricciardi, W. Epidemiologia dell’osteoporosi post-menopausale nel mondo e in Italia. Italian Journal of Public Health, 2011, 8(2), Suppl. 2, capitolo 1, S3-S22. 2. Pontieri, G.M.; Lombardi, D. Il metabolismo del calcio, del fosforo e del magnesio, e le sue alterazioni. In: Patologia Generale 3° Ed., Pontieri, G.M.; Russo, M.A.; Frati, L.; Eds.; Piccin, 2008, Tomo II, Capitolo 46, pp. 1083-1101.