I soldati di Stalin. Vita e morte nell`Armata Rossa

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LIBRO
IN ASSAGGIO
I SOLDATI DI STALIN
VITA E MORTE NELL’ARMATA
ROSSA 1939-1945
DI CHATERINE MERRIDALE
Introduzione
STORIE VERE DI GUERRA
È il mese di luglio, e nel centro di Kursk non c’è un filo d’ombra. Non deve essere
stato facile ottenere un tale risultato, perché Kursk si trova in una delle zone più fertili
di tutta la Russia, la regione delle cosiddette «terre nere» che si estende a sudovest in
territorio ucraino. Qui, ovunque ci sia acqua, possono crescere i pioppi, e lungo le
strade che portano alla città lo strigolo e la veccia si arrampicano fino all’altezza delle
spalle. La terra è buona anche per gli ortaggi: cetrioli, che i russi marinano con aceto e
semi di aneto, cavoli, patate e zucche. D’estate, il venerdì pomeriggio la città si svuota
in fretta. Gli abitanti se ne vanno nelle loro dacie, le casette di legno tanto care ai
russi, e i campi sono punteggiati di donne curve sugli annaffiatoi. La marea si inverte
nei giorni feriali, quando la gente di campagna si riversa in città. Se vi allontanate dal
centro, incontrerete venditori ambulanti che offrono grossi porcini, torte fatte in casa,
uova, cetrioli e pesche. Passeggiando dietro la cattedrale, costruita nell’Ottocento per
celebrare la vittoria della Russia su Napoleone Bonaparte, potrete vedere bambini
accucciati nell’erba accanto a un branco di sparute capre brune.
Tutta questa vivacità è bandita dalla piazza centrale. Cent’anni fa in questa zona
c’erano palazzi e cortili adorni di viti, adesso c’è solo cemento. Quando ci sono stata,
faceva talmente caldo che non me la sono sentita di misurarla a passi — due o tre
campi di calcio messi in fila —, ma la piazza è veramente grande. Le sue dimensioni
sono spropositate rispetto agli edifici che la circondano e, soprattutto, alla gente che ci
vive. I taxi, scassati modelli sovietici personalizzati con icone, rosari e coprisedili di
finta pelliccia, sono raggruppati sul lato più vicino all’albergo. Ogni mezz’ora un
vecchio autobus, schiacciato dal proprio peso, arranca ansimando verso la stazione
ferroviaria distante diversi chilometri. Ma gli esseri viventi rifuggono da quello spazio
deserto e inospitale. Solo dalla parte dove inizia il parco pubblico ci sono degli alberi,
però di quelli che non fanno ombra. Sono abeti grigioazzurri, simmetrici e ruvidi al
tatto, così rigidi da sembrare di plastica. Si allineano come soldati perché sono piante
sovietiche, le stesse che crescono in tutte le aree pubbliche di qualsiasi città russa.
Provate a guardare accanto alla statua di Lenin o al monumento ai caduti. A Mosca li
potete vedere schierati davanti alle mura rosso sangue della Lubjanka.
La piazza centrale di Kursk, che si chiama ancora Piazza Rossa, ha assunto la forma
attuale dopo la seconda guerra mondiale. La città, infatti, cedette all’avanzata delle
truppe tedesche nell’autunno del 1941, e gli edifici sopravvissuti all’occupazione
furono minati o crivellati di colpi nel febbraio1943, durante la campagna di
riconquista della zona. Molti furono fatti a pezzi nel corso di un rigido inverno in cui
il combustibile e la legna da ardere erano finiti. La vecchia Kursk, un centro di
provincia che nel 1939 ospitava 120.000 persone, venne praticamente distrutta. Agli
urbanisti che la ricostruirono non interessava conservarne il fascino storico. Della
nuova Piazza Rossa non volevano fare un posto dove la gente locale (peraltro
decimata) potesse rilassarsi, bensì una piazza d’armi per un esercito che avrebbe
sempre soverchiato numericamente la popolazione urbana. Nell’estate del 1943, nella
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provincia di Kursk oltre un milione di donne e uomini sovietici parteciparono a
diverse battaglie. I campi ondulati che si estendono verso l’Ucraina hanno assistito a
combattimenti decisivi non soltanto per le sorti della Russia o dell’intera Unione
Sovietica, ma anche per l’esito della guerra in Europa. Dopo la fine del conflitto, il
centro di Kursk fu trasformato in un’arena per cerimonie di dimensioni altrettanto
colossali.
Quale che sia la pietra di paragone adottata, questa guerra sfida il comune senso delle
proporzioni. Già le cifre sono impressionanti. Nel giugno 1941, quando cominciò il
conflitto, circa 6 milioni di soldati tedeschi e sovietici si preparavano a combattere
lungo un fronte che si estendeva per oltre 1500 chilometri attraverso paludi e foreste,
dune costiere e steppa. I sovietici avevano altri 2 milioni di uomini sotto le armi nei
remoti territori orientali. Ne avrebbero avuto bisogno nel giro di poche settimane. Nel
corso dei due anni successivi, con l’intensificarsi degli scontri, entrambi gli
schieramenti arruolarono altri soldati da impiegare in campagne di terra avide di carne
e ossa umane. Sul fronte orientale, nel 1943, non era inconsueto che il numero
complessivo di uomini e donne impegnati simultaneamente in combattimento
superasse gli 11 milioni. I numeri delle perdite furono altrettanto esorbitanti. Nel
dicembre 1941, sei mesi dopo l’inizio del conflitto, l’Armata Rossa aveva perso 4
milioni e mezzo di uomini. La carneficina superò qualsiasi immaginazione. I
testimoni descrissero i campi di battaglia come paesaggi di cenere e acciaio brunito
dal fuoco. Le forme tondeggianti delle teste senza vita catturavano la luce di fine
estate come patate affiorate dalla terra appena smossa. i prigionieri venivano fatti
marciare in massa. Persino i tedeschi non avevano guardie nè filo spinato a
sufficienza per recludere i 2 milioni e mezzo di soldati dell’Armata Rossa catturati nei
primi cinque mesi. Una sola campagna, la difesa di Kiev, costò in poche settimane ai
sovietici quasi 700.000 uomini, fra morti e dispersi. Alla fine del 1941, quasi tutti i
soldati che avevano condiviso il panico di quelle prime notti di giugno erano caduti o
prigionieri. E la stessa cosa si sarebbe ripetuta con la nuova generazione chiamata alle
armi, costretta a indossare l’uniforme e uccisa, catturata o gravemente ferita. Nel
complesso, l’Armata Rossa fu distrutta e ricostituita almeno due volte nel corso del
conflitto. Gli ufficiali, le cui perdite si aggiravano intorno al 35 per cento, cioè
all’incirca quattordici volte la percentuale registrata dall’esercito zarista durante la
prima guerra mondiale, andavano rimpiazzati quasi allo stesso ritmo dei soldati
semplici. Nel 1945, in base alla legge Affitti e prestiti, gli americani rifornivano i
sovietici anche di lamette da barba, ma la maggior parte degli ultimi coscritti
adolescenti poteva ancora farne a meno.
La resa non fu mai un’opzione concreta. Nonostante i bombardieri britannici e
americani continuassero ad attaccare la Germania dal cielo, fin dal 1941 i soldati
dell’Armata Rossa avevano l’amara consapevolezza di essere rimasti l’unica
importante forza di terra a fronteggiare le truppe hitleriane. Attendevano quindi con
ansia la notizia dell’apertura di un secondo fronte in Francia da parte degli Alleati, ma
continuavano a combattere, sapendo di non avere scelta. Non era un conflitto
commerciale o territoriale, ma ideologico, il cui obiettivo era l’annientamento di un
modo di vivere. La sconfitta avrebbe significato la fine del potere sovietico e il
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genocidio degli slavi e degli ebrei. La resistenza ebbe un costo terribile. Il numero
complessivo di vite sovietiche sacrificate superò i 27 milioni, in buona parte civili
morti per le cause più diverse: deportazione, fame, malattie o violenza diretta. Ma
circa il 30 per cento di questa cifra agghiacciante è costituito dai caduti dell’Armata
Rossa, che furono più di 8 milioni. Tale cifra è di gran lunga superiore a quella delle
vittime di tutti gli schieramenti nella prima guerra mondiale e contrasta nettamente
con quella delle perdi te subite tra il 1939 e il 1945 dalle forze armate
angloamericane, che non raggiunsero le 500.000 unità. L’Armata Rossa era, come
disse una recluta, un «tritacarne». «Ci arruolavano, ci addestravano, ci mandavano a
morire» ricordava un altro. I tedeschi minimizzavano, paragonando tutto questo alla
produzione di massa, ma i reggimenti sovietici continuavano a marciare, persino
quando un terzo del loro territorio era in mani nemiche. Nel 1945 il numero
complessivo delle persone che dal 1939 erano state arruolate nelle forze armate
sovietiche superava i 30 milioni.
© 2007 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
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