al monumento dei Caduti partigiani sovietici, per la fine della

Omaggio ai caduti russi per la libertà
Intervento di Roberto Cenati Vicepresidente vicario dell’ANPI di Milano, tenuto il 9
maggio al cimitero di Musocco, davanti al monumento dei Caduti partigiani
sovietici, per la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa.
L’8 maggio 1945, a Berlino, alla presenza dei rappresentanti delle forze armate dell’Unione
Sovietica, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Francia venne firmato l’atto di capitolazione
incondizionato della Germania.
Dopo la firma dell’atto, dal 9 al 17 maggio 1945 si consegnarono alle autorità sovietiche 1 milione
e 391 mila uomini dell’esercito tedesco. La guerra in Europa era terminata; il 9 maggio si celebra la
fine di quel sanguinoso conflitto che costò la vita ad oltre 50 milioni di persone e in Russia si
celebra la vittoria della Grande Guerra Patriottica contro il nazifascismo.
Ma la Seconda Guerra Mondiale non fu solo un conflitto sanguinoso. Fu anche un vero e proprio
scontro planetario tra le forze della coalizione antifascista che si richiamavano agli ideali di
democrazia e libertà e quelle, nazifasciste e hitleriane che volevano imporre in Europa e nel mondo
un regime antidemocratico, oppressivo, fondato sul razzismo, sull’antisemitismo e sul terrore. Se
avessero vinto le forze che si richiamavano alle ideologie nazifasciste, l’Europa si sarebbe
trasformata in un immenso campo di concentramento.
All’alba del 22 Giugno 1941 la Germania nazista attacca a tradimento l’Unione Sovietica,
impiegando ingenti mezzi: 5 milioni e mezzo tra soldati e ufficiali, quasi 5.000 aeroplani, oltre
3.500 carri armati.
Il governo fascista, deciso a non essere da meno dell’alleato nazista, inviò il corpo di spedizione
dell’Armir, che subì pesantissime perdite. La tragedia vissuta dai soldati italiani rappresenta una
delle più gravi responsabilità del fascismo di fronte al popolo italiano e contribuì a rendere sempre
più vivi e forti il risentimento e l’ostilità degli italiani verso il fascismo. Non furono pochi coloro
che, segnati da quella tragica esperienza, militarono, dopo il loro ritorno in Italia, nelle formazioni
partigiane, come Nuto Revelli, fra i primi organizzatori della Resistenza nel Cuneese, dopo l’8
Settembre 1943.
Ebbe inizio, con l’operazione Barbarossa, la Grande Guerra Patriottica, condotta dall’esercito, dai
partigiani e da tutto il popolo sovietico contro l’invasione nazifascista.
Nelle zone occupate le autorità tedesche organizzavano rastrellamenti, perquisizioni, bruciavano le
case di quanti opponevano resistenza, gettavano in carcere e nei campi di concentramento i familiari
dei partigiani.
Le SS tedesche, dopo l’occupazione dei villaggi, si macchiarono anche di atroci crimini contro gli
ebrei, centinaia di migliaia dei quali furono eliminati.
Dal 1941 al 1944 furono deportati in Germania, dalle zone occupate dell’Unione Sovietica, circa 5
milioni di persone, con l’obiettivo di rifornire di manodopera la macchina bellica hitleriana e con
l’intendimento di fiaccare la Resistenza antinazista.
Leningrado, ora San Pietroburgo, fu assediata dal 9 Settembre 1941 al 18 Gennaio 1944, per 900
lunghissimi giorni. Durante quell’assedio decine di migliaia di donne, di bambini e di anziani
morirono di fame e di fatiche.
Ma il tentativo dei tedeschi di terrorizzare la popolazione si rivelò controproducente. La Resistenza
prendeva sempre più vigore e costituì, con il lavoro di milioni di cittadini nelle retrovie, volto a
dotare il Paese di una economia di guerra all’altezza della situazione, il fattore determinante nella
disfatta degli invasori, sconfitti nella storica battaglia di Stalingrado e arresisi al maresciallo Zukov
il 31 gennaio 1943.
Cominciò allora quella ritirata tedesca che non doveva più arrestarsi, sino al tracollo definitivo del
Terzo Reich.
Saremo sempre infinitamente grati e riconoscenti a tutto il popolo sovietico per questo suo
fondamentale e determinante contributo alla sconfitta del nazifascismo.
Ma un ulteriore motivo di gratitudine e di riconoscenza ci lega al popolo russo.
Esso è rappresentato dal contributo delle migliaia di soldati di poco più di vent’anni, provenienti
dalle parti più remote dell’Unione Sovietica che, catturati dai tedeschi e tradotti in Italia, riuscirono
a fuggire, dopo l’8 Settembre 1943, dai campi di prigionia fascisti e si unirono alle formazioni
partigiane.
Di essi vogliamo ricordare, oggi, simbolicamente, tre partigiani sovietici della 53a Brigata
Garibaldi, fucilati insieme a partigiani italiani, tra cui il tenente Giorgio Paglia, giovane studente del
Politecnico di Milano, il 21 Novembre 1944, dai fascisti della Legione Tagliamento, nella località
Malgalunga in provincia di Bergamo.
I loro nomi sono: Semion Kopcenko, nome di battaglia Simone, Ilarion Etanov, nome di battaglia
Donez, Alexander Nogin, nome di battaglia Molotov.
Grande è stato il tributo di sangue dei partigiani sovietici in Italia.
Sono circa 500 le tombe di militari sovietici sparse nei cimiteri italiani.
Il monumento davanti al quale siamo oggi raccolti è dedicato ai partigiani sovietici caduti in Italia,
combattendo nelle file del Corpo Volontari della Libertà.
In questo campo del Cimitero maggiore di Milano, riposano 8 soldati sovietici, tutti giovanissimi,
prigionieri di guerra, vittime di incursioni aeree tra il 1942 e il 1943.
Questo campo ci impone il dovere di ricordare quale è stato il prezzo durissimo di sangue e
sofferenze pagati dai giovani partigiani europei per ridare la libertà a tutti noi. Ma da questo campo
ci giunge anche un monito. La memoria è il valore che ci può salvare, la testimonianza più
autentica, perché memoria e storia sono il contrario dell’oblio che tende a cancellare le differenze.
Noi vogliamo che gli uomini siano liberi. Ma per essere liberi ciascuno di noi deve conoscere, avere
memoria del passato. Se non si conosce la storia, si è gregari e schiavi, non si è liberi.
Ricordiamoci una cosa fondamentale. Non è vero che “il lavoro rende liberi”, come beffardamente
si leggeva all’ingresso del lager di Auschwitz, ma è la conoscenza che ci fa liberi; ecco perché noi
vogliamo che la nostra memoria sia per tutti conoscenza di cosa è stato il nazifascismo e di quali
sono stati i valori di chi si è battuto contro il regime del terrore, per essere liberi e per costruire una
società più giusta.
Concludo col ricordare un evento molto significativo avvenuto il 16 Maggio 1945 sul piazzale del
lager di Mauthausen, nel quale venivano deportati gli operai delle grandi fabbriche del Nord, a
seguito degli scioperi del novembre-dicembre 1943 e del marzo 1944. Il 16 maggio 1945 si svolse
una grande manifestazione antinazista, nel corso della quale, gli ex deportati, pronunciarono un
solenne giuramento, nel quale, tra l’altro affermarono: “Si aprono le porte di uno dei campi peggiori
e più insanguinati: quello di Mauthausen.
La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della
fratellanza tra i popoli.
Vogliamo percorrere una strada comune: quella della libertà di tutti i popoli, del rispetto reciproco,
della collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero, giusto per tutti.
Nel ricordo del sangue versato da tutti i popoli, nel ricordo di milioni di fratelli assassinati dal
nazifascismo, giuriamo di non abbandonare mai questa strada”.
E questo deve essere anche il nostro impegno.
Roberto Cenati