Complementi di Algebra Lineare Paolo Zappa appunti a uso degli studenti 1 1.1 Numeri e spazi vettoriali complessi Breve introduzione storica Si è soliti introdurre i numeri complessi, partendo dal problema della risoluzione dell’equazione x2 = −1; (1) ma questo non è il motivo storico della nascita dei numeri complessi. In effetti la risoluzione dell’equazione (1) non poteva essere considerato un problema matematico aperto, nel senso che, fin dalla nascita dei numeri reali negativi, era ovvio che l’equazione (1) non aveva soluzioni. La questione che ha dato l’avvio allo studio dei numeri complessi è invece collegata al problema della risoluzione dell’equazione di terzo grado. Cardano e Tartaglia avevano scoperto una formula per determinare una soluzione dell’equazione x3 + px + q = 0, alla quale si può ricondurre ogni equazione di terzo grado mediante un cambiamento lineare di variabile. La formula di Cardano è la seguente ! ! " " 3 2 3 −q 3 −q p p3 q q2 + + + − + . (2) x= 2 4 27 2 4 27 2 3 La formula non può essere utilizzata quando il discriminante, q4 + p27 , è minore di 0, eppure ogni equazione di terzo grado ha almeno una radice reale. Ecco il problema matematico aperto: risolvere l’equazione cubica nel casus irriducibilis, cioè quando il discriminante è minore di 0. Bombelli esaminò l’equazione x3 − 15x − 4 = 0 (3) che appartiene al casus irriducibilis e ha la radice 4. Dalla formula di Cardano si otterrebbe # # √ √ 3 3 x = 2 + −121 + 2 − −121. 1 Bombelli dimostrò, che, attribuendo un significato matematico alla radice quadrata di −1 (la chiama più di meno), se si pone # √ √ 3 2 + −121 = a + b −1 allora # 3 2− √ √ −121 = a − b −1; per cui applicando la formula di Cardano si ottiene √ √ x = (a + b −1) + (a − b −1) = 2a. Bombelli non conosceva un algoritmo per l’estrazione della radice cubica di √ 2 + −121, ma verificò che,√estendendo le usuali regole del calcolo algebrico a espressioni che contenevano −1, √ √ √ (2 + −1)3 = 2 + 11 −1 = 2 + −121, per cui a = 2, b = 1 e x = 4. Dunque l’introduzione dell’ entità più di meno rendeva compatibile la radice 4 dell’equazione (3) con la formula di Cardano (2). Non si poteva ancora affermare di aver risolto il casus irriducibilis, perché non √ era noto un algoritmo per determinare la radice cubica dell’espressione a + b −1, √ ma la utilità di considerare, nella trattazione di problemi algebrici, l’entità −1, chiamata successivamente unità immaginaria, era pienamente dimostrata. Soltanto due secoli più tardi, grazie a Gauss, verrà attribuita la natura di √ numero all’espressione a + b −1, detta numero complesso. Per quanto in senso storico la nascita dei numeri complessi sia da ricondurre a problemi algebrici, in queste note i numeri complessi verranno introdotti seguendo una problematica geometrica. 1.2 Le coordinate polari Nel piano fissiamo un punto O, una semiretta r uscente da O e un verso per la misura degli angoli orientati che hanno r come primo lato. A ogni punto P del piano diverso da O possiamo associare due numeri: il primo ρ rappresenta la distanza di P da O, il secondo θ la misura in radianti dell’angolo orientato che la semiretta uscente da O e passante per P forma con r. La coppia (ρ, θ) dà una rappresentazione del punto P in coordinate polari. Una precisazione è necessaria sulla misura dell’angolo orientato. Senza entrare in sottili disquisizioni su cosa sia la misura di un angolo, segnaliamo che le coppie (ρ, θ) e (ρ, θ1 ) corrispondono allo stesso punto se θ − θ1 = 2kπ, con k ∈ Z. Diversi approcci si trovano in letteratura, per trattare le difficoltà provenienti dalla mancanza di corrispondenza biunivoca fra i punti del piano e l’insieme delle coppie di numeri reali (ρ, θ). Segnalo i due principali. Il primo, quello della geometria differenziale, prevede che vi siano infiniti sistemi di coordinate locali 2 di tipo polare e quindi che un punto possa essere rappresentato da infinite coppie di numeri. Il secondo di tipo più algebrico, prevede che la misura dell’angolo orientato sia un insieme infinito di valori, per cui le coordinate polari di un punto sono una coppia di cui il primo elemento è un numero reale positivo e il secondo un insieme di numeri reali che differiscono fra loro per multipli interi di 2π. Seguendo questo secondo approccio scriveremo p P ≡ (ρ, Θ). dove Θ = {θ + 2kπ}k∈Z . ρ si chiama il modulo di P ; Θ si chiama l’argomento2 di P . Quando scriviamo Θ1 + Θ2 , intendiamo l’insieme ottenuto sommando ogni numero del primo insieme con ogni numero del secondo e cioè l’insieme3 1 Θ1 + Θ2 := {θ1 + θ2 + 2kπ}k∈Z . Quando applichiamo a Θ una funzione trigronometrica si intende che la applichiamo a uno qualunque dei suoi valori, senza pericolo di confusione, perché ogni funzione trigonometrica ha 2π come periodo. Osserviamo infine che non vengono assegnate le coordinate polari del punto O. Per determinare le relazioni che esistono fra coordinate polari e coordinate cartesiane, mettiamo sul piano un sistema di riferimento cartesiano ortogonale, dove l’origine coincide con O, l’asse positivo delle ascisse x coincide con la semiretta r e l’asse positivo delle ordinate y, ortogonale all’asse delle ascisse in O, sia scelto, fra i due possibili, in modo tale che l’angolo orientato xy ˆ misuri { π2 + 2kπ}k∈Z . Se P ha coordinate cartesiane P ≡ (x, y) e coordinate polari allora, da un verso e dall’altro4 p P ≡ (ρ, Θ). $ x = ρ cos(Θ) y = ρ sin(Θ) ) ρ = x2 + y 2 cos(Θ) = √ 2x 2 x +y sin(Θ) = √ y . x2 +y 2 1 nella terminologia antica raggio vettore. terminologia antica anomalia 3 in questo modo si garantisce che la misura dell’angolo che si ottiene dalla giustapposizione del secondo spigolo di un angolo orientato con il primo spigolo di un secondo angolo orientato è uguale alla somma delle misure dei due angoli orientati. 4 evitiamo di dare un’espressione espilicita per Θ, perché bisognerebbe prima convenire sulle definizioni delle funzioni arcoseno e arcocoseno. 2 nella 3 1.3 Definizione dei numeri complessi L’introduzione delle coordinate cartesiane nel piano permette di definire una corrispondenza biunivoca fra i punti del piano e R2 e questa corrispondenza permette di trasportare sul piano l’operazione di somma propria dello spazio vettoriale R2 . Per cui, se P1 ≡ (x1 , y1 ) e P2 ≡ (x2 , y2 ), poniamo5 P1 + P2 :≡ (x1 + x2 , y1 + y2 ) Quale operazione suggeriscono le coordinate polari fra i punti del piano privato dell’origine? I moduli, essendo numeri reali positivi, hanno una struttura naturale di gruppo se considero la moltiplicazione; mentre, per quanto riguarda gli argomenti, ho una struttura di gruppo se considero la somma. Combiniamo le due operazioni precedenti, il prodotto dei moduli e la somma degli argomenti, in una nuova operazione per i punti del piano privato dell’origine, p p che denotiamo provvisoriamente con ∗: posto che sia P1 ≡ (ρ1 , Θ1 ) e P2 ≡ (ρ2 , Θ2 ), definiamo p P1 ∗ P2 :≡ (ρ1 ρ2 , Θ1 + Θ2 ). Questa stessa operazione, in coordinate cartesiane assume l’espressione # # P1 ∗ P2 ≡( x21 + y12 x22 + y22 (cos Θ1 cos Θ2 − sin Θ1 sin Θ2 ), # # x21 + y12 x22 + y22 (cos Θ1 sin Θ2 + cos Θ2 sin Θ1 ) = (x1 x2 − y1 y2 , x1 y2 + x2 y1 ) Trasferiamo le operazioni cosı̀ introdotte in R2 , (x1 , y1 ) + (x2 , y2 ) := (x1 + x2 , y1 + y2 ) (x1 , y1 ) ∗ (x2 , y2 ) := (x1 x2 − y1 y2 , x1 y2 + x2 y1 ). Si prova che (R2 , +, ∗) è campo, cioè • è un gruppo commutativo rispetto la somma (+) con elemento neutro (0, 0) • gli elementi diversi da (0, 0) formano un gruppo rispetto al prodotto (∗), con elemento neutro (1, 0) • vale la proprietà distributiva ((x1 , y1 ) + (x2 , y2 )) ∗ (x3 , y3 ) = (x1 , y1 ) ∗ (x3 , y3 ) + (x2 , y2 ) ∗ (x3 , y3 ) 5 la somma dei punti nel piano con origine fissata, può essere introdotta in modo puramente → → geometrico, con la regola del parallelogramma applicata ai vettori geometrici OP1 e OP2 . 4 Le verifiche delle proprietà sono tutte elementari; segnaliamo solo la prova dell’esistenza dell’inversa rispetto al prodotto6 : sia (a, b) &= (0, 0), dobbiamo cercare (x, y) tale che (a, b) ∗ (x, y) = (1, 0) cioè $ ax − by bx + ay = = 1 0 poichè il sistema ha una e una sola soluzione, essendo a2 + b2 &= 0, l’inverso di (a, b) esiste. Chiameremo (R2 , +, ∗) il campo dei numeri complessi e verrà semplicemente indicato con C; come d’uso, eviteremo di scrivere il simbolo dell’operazione prodotto, e converremo anche che in un’espressione algebrica, in mancanza di parentesi, l’operazione prodotto abbia priorità sull’operazione di somma. La funzione f: R → C x (→ (x, 0) è iniettiva e tale che f (x + y) = f (x) + f (y) f (xy) = f (x)f (y) pertanto, se identifichiamo x ∈ R con (x, 0) ∈ C, possiamo considerare il campo C come un’estensione del campo R. C eredita da R2 anche la struttura di spazio vettoriale su R , quindi ho due operazioni di prodotto di un numero complesso per un numero reale, quella che c’è in ogni spazio vettoriale di moltiplicazione di un vettore per uno scalare, e quella che deriva dal considerare ogni numero reale un particolare numero complesso. Per fortuna le due operazioni coincidono, per cui non vi è ambiguità nel prodotto di un numero reale per un numero complesso. La base standard di C come spazio vettoriale su R è formata dai numeri7 (1, 0) e (0, 1), il numero (1,0) possiamo chiamarlo 1, corrispondendo al numero reale 1 e all’unità del prodotto; chiamiamo unità immaginaria il numero (0, 1) e indichiamola sinteticamente con ”i”. Formando 1 e i una base di C come R-spazio vettoriale, possiamo rappresentare il numero (x, y) ∈ C nel seguente modo (x, y) = x1 + yi = x + iy. Abbiamo che i2 = −1; pertanto i è soluzione dell’equazione x2 = −1, ma anche −i è soluzione, quindi la scrittura √ i = −1, 6 che 7 gli peraltro è ovvia se si pensa al prodotto in termini di coordinate polari elementi di C vengono chiamati numeri e non vettori 5 che si trova in molto libri, è fonte di confusione, essendo equivoco il significato √ del simbolo . Indicheremo il generico numero complesso con la lettera z e volendo mettere in luce la decomposizione di cui sopra scriveremo z = x + iy. (4) x si chiama la parte reale di z (si indica Re(z)) e y la parte immaginaria (si indica Im(z)). La scrittura data dalla (4) è particolarmente comoda perché il prodotto fra due numeri complessi può essere eseguito con le usuali regole del calcolo algebrico, sostituendo −1 ogni volta che troviamo i2 . 1.4 Alcune funzioni elementari su C La seguente funzione si chiama coniugio ed è particolarmente importante C z = x + iy → C ( → z̄ := x − iy La sua importanza deriva dal fatto che il coniugio è un isomorfismo di campi, cioè è biunivoca e gode delle seguenti proprietà z1 + z2 = z̄1 + z̄2 z1 z2 = z̄1 z̄2 La parte reale e la parte immaginaria di un numero complesso possono essere definite tramite il coniugio da Re : C z → R⊂C z+z̄ ( → 2 Im : C z → R⊂C z−z̄ ( → 2i Per il coniugio valgono le seguenti proprietà di facile verifica • z̄¯ = z • z + z̄ = 2Re(z) • z − z̄ = 2iRe(z) • z −1 = (z̄)−1 , per z &= 0 • z̄ = z ⇔ z ∈ R • z̄ = −z ⇔ z ∈ iR, in tal caso diremo che z è un immaginario puro. 6 Definiamo la funzione modulo di un numero complesso z = z+iy nel seguente modo ) |z| = x2 + y 2 , ) √ risulta |z| = Re(z)2 + Im(z)2 = z z̄. Trattandosi di numeri √ reali positivi o nulli, non c’è equivoco col simbolo di radice, intendendosi con x il numero reale non negativo il cui quadrato è x. Inoltre se z è un numero reale il suo modulo coincide col valore assoluto, per cui non c’è confusione nel simbolo usato. Per la funzione modulo valgono le seguenti proprietà • |z| ≥ 0 e |z| = 0 ⇔ z = 0 • |z̄| = |z| • |Re(z)| ≤ |z|, |Im(z)| ≤ |z|, |z| ≤ |Im(z)| + |Re(z)| • |z1 z2 | = |z1 ||z2 | • |z −1 | = |z|−1 , per z &= 0 • |z1 + z2 | ≤ |z1 | + |z2 | • |z1 + z2 | ≥ ||z1 | − |z2 ||. Segnaliamo la dimostrazione delle ultime due relazioni, essendo le altre immediate: |z1 + z2 |2 = (z1 + z2 )(z1 + z2 ) = |z1 |2 + z1 z̄2 + z̄1 z2 + |z2 |2 = |z1 |2 + z1 z̄2 + z1 z̄2 + |z2 |2 = |z1 |2 + 2Re(z1 z̄2 ) + |z2 |2 ≤ |z1 |2 + 2|z1 z̄2 | + |z2 |2 = |z1 |2 + 2|z1 ||z̄2 | + |z2 |2 = |z1 |2 + 2|z1 ||z2 | + |z2 |2 = (|z1 | + |z2 |)2 , similmente (passaggi abbreviati) |z1 − z2 |2 = |z1 |2 − 2Re(z1 z̄2 ) + |z2 |2 ≥ |z1 |2 − 2|(z1 z̄2 )| + |z2 |2 = (|z1 | − |z2 |)2 . 1.5 La rappresentazione trigoniometrica di un numero complesso Scriviamo un numero complesso z = x + iy diverso da 0 nella forma z = |z|( Im(z) Re(z) +i ). |z| |z| 7 Poiché * Re(z) |z| +2 + * Im(z) |z| +2 = 1, possiamo anche scrivere z = |z|(cos Θ + i sin Θ). (5) dove Θ = {θ + 2kπ}k∈Z rappresenta la misura8 dell’angolo orientato che la semiretta uscente da 0 e passante per 1 forma con la semiretta uscente da 0 e passante per z; esso è tale che cos Θ = Re(z) e sin Θ = Im(z) |z| |z| . Θ si dice l’argomento di z. La funzione argomento è definita per tutti numeri complessi diversi da 0 ed è un esempio di funzione a più valori. Siano z1 = ρ1 (cos θ1 + i sin θ1 ) z2 = ρ2 (cos θ2 + i sin θ2 ), due numeri complessi, con θ1 , θ2 ∈ R e ρ1 , ρ2 ∈ R+ ; se z1 = z2 , allora, essendo | cos θ + i sin θ| = 1, abbiamo ρ1 = |ρ1 || cos θ1 + i sin θ1 | = |ρ1 (cos θ1 + i sin θ1 )| = z1 = z2 = |ρ2 (cos θ2 + i sin θ2 )| = |ρ2 || cos θ2 + i sin θ2 | = ρ2 , quindi cos θ1 = cos θ2 e sin θ1 = sin θ2 . Poiché l’implicazione nell’altro verso è ovvia, possiamo concludere che $ ρ1 = ρ2 z1 = z2 ⇐⇒ (6) ∃k ∈ Z : θ1 = θ2 + 2kπ Pertanto, se rapprensentiamo la misura di un angolo orientato con un insieme di numeri reali Θ = {θ + 2kπ}k∈Z , un numero complesso non nullo è univocamente determinato dalla sua rappresentazione (5). Per ogni θ ∈ Θ z = |z|(cos θ + i sin θ) si chiama una rappresentazione trigonometrica di z. Tornando alla (5) Θ si chiama l’argomento di z e ogni θ ∈ Θ si chiama una determinazione dell’argomento di z. Siano z1 = |z1 |(cos Θ1 + i sin Θ1 ) si ha z2 = |z2 |(cos Θ2 + i sin Θ2 ), z1 z2 = |z1 ||z2 |(cos(Θ1 + Θ2 ) + i sin(Θ1 + Θ2 )), (7) che è ovvia se si considera la ”genesi” che abbiamo presentato del prodotto di numeri complessi, e che comunque si prova facilmente usando le formule del coseno e del seno dell’angolo somma. 8 è doveroso segnalare che la definizione di misura di un angolo, specie se orientato, è questione assai delicata e autorevoli matematici ritengono che questa non possa essere data in mamiera corretta se non in un corso di analisi complessa o in un corso di teoria della misura; purtroppo ragioni didattiche impongono anticipare le definizioni delle funzioni trigonometriche, ed anche la rappresentazione trigonometrica di un numero complesso. 8 Come caso particolare dalla (7) otteniamo la formula di De Moivre z n = |z|n (cos(nΘ) + i sin(nΘ)), (8) zn = w (9) La formula De Moivre permette di risolvere in C l’equazione Sia w = |w|(cos Φ + i sin Φ), con Φ = {φ + 2kπ}k∈Z , e sia z = |z|(cos Θ + i sin Θ), con Θ = {θ + 2kπ}k∈Z una soluzione di (9). Abbiamo |w| = |z|n , Φ = nΘ. 1 Da cui segue subito che |z| = |w| n , ma non possiamo scrivere Θ = Φ n , perché i Φ 2π valori degli elementi di n differiscono fra loro per multipli di n e quindi Φ n non rappresenta la misura di un angolo. In effetti da (9) segue $ 1 |z| = |w| n ∀φ ∈ Φ, ∀θ ∈ Θ, ∃k ∈ Z : φ = nθ + 2kπ ovvero $ 1 |z| = |w| n ∀φ ∈ Φ, ∀θ ∈ Θ, ∃k ∈ Z : θ = φ n + 2kπ n Pertanto ∀k ∈ Z , in numeri , , , -1 φ 2kπ φ 2kπ + + i sin + |w| n cos n n n n sono soluzioni della (9) ma non ho infinite soluzione diverse, potendo i numeri φ 2kπ n + n rappresentare diverse determinazioni dello stesso angolo. Sia φ ∈ Φ, poniamo θ0 = nφ θ1 = nφ + 2π n θ2 = nφ + 2 2π n .. .. . . θn−1 = φ n + (n − 1) 2π n a cui corrispondono gli angoli le cui misure sono Θ0 Θ1 Θ2 .. . = { nφ + 2kπ}k∈Z = { nφ + 2π n + 2kπ}k∈Z = { nφ + 2 2π n + 2kπ}k∈Z .. . Θn−1 = { nφ + (n − 1) 2π n + 2kπ}k∈Z ; 9 φ il numero nφ + n 2π n = n + 2π appartiene a Θ0 e non da luogo a una diversa soluzione dell’equazione (9). Pertanto, se w &= 0, l’equazione (9) ha n distinte soluzioni ed esse sono date da 9 1 z0 z1 z2 .. . = |w| n (cos(Θ0 ) + i sin(Θ0 )) 1 = |w| n (cos(Θ1 ) + i sin(Θ1 )) 1 = |w| n (cos(Θ2 ) + i sin(Θ2 )) .. . zn−1 = |w| n (cos(Θn−1 ) + i sin(Θn−1 )) 1 Infine, se w = 0, la (9) ha la sola soluzione nulla. Esempio Per trovare le soluzioni dell’equazione z 3 = 2, dobbiamo rappresentare in modo trigonometrico il numero complesso 2: 2 = 2(cos(0) + i sin(0)) pertanto le tre radici cubiche di 2 sono z0 z1 z2 1 1 = 23 = 2 3 (cos(0) + i sin(0)) √ 1 1 2π 2π 3 = 2 (cos( 3 ) + i sin( 3 )) = 2 3 (− 12 + i √23 ) 1 1 3 4π 1 3 = 2 3 (cos( 4π 3 ) + i sin( 3 )) = 2 (− 2 − i 2 ) Esempio Per trovare le soluzioni dell’equazione z 4 = −1, dobbiamo rappresentare in modo trigonometrico il numero complesso -4: −4 = 4(cos(π) + i sin(π)) pertanto le quattro radici quarte di -4 sono z0 = z1 = z2 = z3 = 1 1 2 2 (cos( π4 ) + i sin( π4 )) 1 2 2 (cos( π4 1 2 2 (cos( π4 1 2 2 (cos( π4 + + + 1 1 = 2 2 ( 222 + i 222 ) π 2) + i sin( π4 + π2 )) π) + i sin( π4 + π)) 3π π 3π 2 ) + i sin( 4 + 2 )) = = = 1 1 2 1 2 (− 222 + i 222 1 1 1 2 2 (− 222 − i 222 1 1 1 2 2 ( 222 − i 222 ) =1+i ) ) = −1 + i = −1 − i =1−i Esempio Per trovare le soluzioni dell’equazione z 2 = −i, dobbiamo rappresentare in modo trigonometrico il numero complesso i: −i = (cos( 3π 3π ) + i sin( )) 2 2 pertanto le due radici quadrate di -i sono 1 1 z0 3π = (cos( 3π 4 ) + i sin( 4 )) = (− 222 + i 222 ) = z1 3π = (cos( 3π 4 + π) + i sin( 4 + π)) =( = 9 nella 1 22 2 −i 1 22 2 ) √ 2 (−1 + i) √2 2 2 (1 − i) formula che segue al posto di Θ0 , Θ1 . . . potremmo scrivere anche θ0 , θ1 . . . 10 La formula di De Moivre (8) ci ha permesso di trovare le soluzioni di alcune semplici equazioni polinomiali, ma non esiste una formula che utilizzi solo le quattro operazioni e le estrazioni di radici, tipo quella di Cardano (2) che dia le soluzioni della generica equazione polinomiale, quando il grado è maggiore di 4. Ciononostante, il seguente teorema, cosı̀ importante da essere chiamato teorema fondamentale dell’algebra, assicura che almeno una soluzione esiste. Teorema (fondamentale dell’algebra) Ogni polinomio in una variabile, a coefficienti complessi, non costante, ha almeno una radice10 in C . Le dimostrazioni puramente algebriche di questa teorema sono molto complesse; altre più abbordabili fanno uso di strumenti di analisi matematica. Un polinomio in una variabile si dice monico se il coefficiente del termine di grado massimo è 1. Se un polinomio p(z) ha una radice z0 , allora è divisibile per (z − z0 ) e, ripetendo la divisione n volte, otteniamo il seguente Corollario Ogni polinomio, in C, non costante, di grado n, si fattorizza nel prodotto di una costante e di n fattori di primo grado monici. Ogni polinomio a coefficienti reali è anche un polinomio a coefficienti complessi, e come tale ammette radici complesse. Proposizione 1.1 Sia p(x) un polinomio a coefficienti reali. Se w è una radice di p(x) anche w̄ lo è. Dim. Sia p(x) = an xn + an−1 xn−1 + . . . + a1 x + a0 . Se w è radice abbiamo an wn + an−1 wn−1 + . . . + a1 w + a0 = 0, coniugando ambo i membri, abbiamo an wn + an−1 wn−1 + . . . + a1 w + a0 = 0̄ = 0, da cui, considerate le proprietà della funzione coniugio e tenendo presente che i coefficienti sono reali, an w̄n + an−1 w̄n−1 + . . . + a1 w̄ + a0 = 0, cioè p(w̄) = 0. ! Corollario Ogni polinomio a coefficienti reali di grado dispari ha almeno una radice reale. 1.6 Spazi vettoriali reali e spazi vettoriali complessi Abbiamo già osservato che C è uno spazio vettoriale sul campo R di dimensione 2, essendo {1, i} una base. C è anche uno spazio vettoriale sul campo C, e in 10 cioè un numero complesso dove il polinomio vale 0, per questo la radice di un polinomio si dice anche uno zero del polinomio 11 questo caso la sua dimensione è 1, essendo ogni numero complesso non nullo una sua base. Uno spazio vettoriale V su C è anche uno spazio vettoriale su R , in quanto, essendo definito il prodotto di un vettore per un numero complesso, è definito anche il prodotto di un vettore per un numero reale poiché questo è un particolare numero complesso. Indichiamo con VR l’insieme V munito della sola struttura di spazio vettoriale reale. Proposizione 1.2 Sia V uno spazio vettoriale su C. Se dim(V ) = n, allora dim(VR ) = 2n. Dim. Sia V = {v1 , . . . , vn } una base su C di V . Allora VR = {v1 , . . . , vn , iv1 , . . . , ivn } è una base di V su R. Infatti, essendo V una base su C, abbiamo che ogni vettore w si scrive w = z1 v1 + . . . + zn vn = (x1 + iy1 )v1 + . . . (xn + iyn )vn = x1 v1 + . . . + xn vn + y1 iv1 + . . . + yn ivn . e quindi VR è un sistema di generatori su R di V . D’altra parte, se a1 v1 + . . . + an vn + b1 iv1 + . . . + bn ivn = 0 è una combinazione lineare nulla degli elementi di VR , allora (a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn = 0, è una combinazione lineare a coefficienti complessi nulla dei vettori della base V; pertanto (a1 + ib1 ) = . . . = (an + ibn ) = 0 da cui a1 = . . . = an = b1 = . . . = bn = 0. ! Sia ora V uno spazio vettoriale reale di dimensione n, possiamo dare a V × V una struttura di spazio vettoriale complesso11 . Questo spazio si chiama il complessificato di V e lo indichiamo con VC . Le operazioni di somma e prodotto per uno scalare in VC sono definnite da (v1 , v2 ) + (w1 , w2 ) := (v1 + w1 , v2 + w2 ) (x + iy)(v1 , v2 ) := (xv1 − yv2 , yv1 + xv2 ) Le verifiche delle proprietà sono di routine. Per quanto già visto all’inizio del paragrafo, VC ha anche una struttura di spazio vettoriale reale, che coincide con quella di V × V . Possiamo definire un’applicazione iniettiva da V in VC , 11 V × V ha in maniera naturale una struttura di spazio vettoriale reale di dimensione 2n. 12 che è lineare come applicazione fra spazi vettoriali reali (verifiche banali), nel seguente modo J : V −→ VC v (−→ (v, 0) Abbiamo (v1 , v2 ) = (v1 , 0) + i(v2 , 0), per cui, se identifichiamo v con (v, 0), (operazione legittimata dal fatto che J è lineare e iniettiva) possiamo scrivere (v1 , v2 ) = v1 + iv2 . Proposizione 1.3 Se dim(V ) = n, allora dim VC = n. Dim. Basta provare che, sotto l’identificazione J, una base di V è anche una base di VC . Sia dunque V = {v1 , . . . , vn } una base di V ; sia (v, w) ∈ C; abbiamo v = a1 v1 + . . . + an vn w = b1 v1 + . . . + bn vn da cui (v, w) = v + iw = a1 v1 + . . . + an vn + i(b1 v1 + . . . + bn vn ) = (a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn , pertanto V = {v1 , . . . , vn } è un sistema di generatori di VC . Sia ora (a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn = 0 una combinazione lineare nulla dei vettori di V, abbiamo (a1 v1 + . . . + an vn , b1 v1 + . . . + bn vn ) = a1 v1 + . . . + an vn + i(b1 v1 + . . . + bn vn ) = (a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn = 0 = (0, 0) da cui a1 v1 + . . . + an vn = b1 v1 + . . . + bn vn = 0 e, essendo {v1 , . . . , vn } linearmente indipendenti in V , concludiamo che a1 = . . . = an = b1 = . . . = bn = 0 e che {v1 , . . . , vn } sono linearmente indipendenti in VC . ! 13 1.7 Applicazioni lineari e matrici 1.7.1 Sia F : V → W un’applicazione C-lineare fra spazi vettoriali complessi di dimensione n e m. Siano V = {v1 , . . . , vn }, W = {w1 , . . . , wm }, basi di V e W rispettivamente. Come è noto a F possiamo associare una matrice m × n, MW,V (F ), sinteticamente definita dalla relazione F (V) = WMW,V (F ). MW,V (F ) = (αij ) è una matrice a elementi complessi. Essa può essere scritta come A + iB, dove gli elementi di A = (aij ) e B = (bij ) sono, rispettivamente, le parti reali e le parti immaginarie degli elementi di MW,V (F ), cioè αij = aij +ibij . Nel paragrafo precedente abbiamo visto che V e W , sono anche spazi vettoriali reali di dimensione 2n e 2m; per distinguerli li abbiamo chiamati VR e WR . F è anche un’applicazione R-lineare da VR a WR . Siano VR e WR le basi di VR e WR precedentemente definite. Vogliamo calcolare MWR ,VR (F ). Le colonne di MWR ,VR (F ), sono rappresentate dalle componenti dei vettori F (v1 ), . . . , F (vn ), F (iv1 ), . . . , iF (vn ), rispetto a WR = {w1 , . . . , wm , iw1 , . . . , iwm }. Abbiamo m m m m m . . . . . F (vj ) = αij wi = aij wi + i bij wi = aij wi + bij iwi i=1 i=1 i=1 i=1 i=1 e F (ivj ) = iF (vj ) = i m . i=1 αij wi = m . i=1 iaij wi − m . bij wi = i=1 da cui la matrice cercata, è rappresentata a blocchi da , A −B MWR ,VR (F ) = . B A m . i=1 aij iwi − m . bij wi , i=1 1.7.2 Sia ora F : V → W un’applicazione lineare fra spazi vettoriali reali di dimensione n e m e siano V = {v1 , . . . , vn }, W = {w1 , . . . , wm }, basi di V e W , rispettivamente. Possiamo estendere F a un’applicazione FC : VC → WC , per linearità, utilizzando il fatto che le basi V e W di di V e W sono anche basi di VC e WC , e dunque la FC è definita sui vettori di una base di V . FC si chiama la complessificata dell’applicazione F . Essendo FC (vj ) = F (vj ), abbiamo che MW,V (FC ) = MW,V (F ). Osservazione Capiterà, qualche volta, di considerare le radici complesse ( e non reali) del polinomio caratteristico di un operatore T su uno spazio vettoriale reale; questi numeri sono autovalori dell’operatore complessificato TC ; i rispettivi autovettori saranno combinazioni lineari a coefficienti complessi dei vettori della base di V e come tali elementi di VC . 14