Complementi di Algebra Lineare

Complementi di Algebra Lineare
Paolo Zappa
appunti a uso degli studenti
1
1.1
Numeri e spazi vettoriali complessi
Breve introduzione storica
Si è soliti introdurre i numeri complessi, partendo dal problema della risoluzione
dell’equazione
x2 = −1;
(1)
ma questo non è il motivo storico della nascita dei numeri complessi. In effetti
la risoluzione dell’equazione (1) non poteva essere considerato un problema matematico aperto, nel senso che, fin dalla nascita dei numeri reali negativi, era
ovvio che l’equazione (1) non aveva soluzioni.
La questione che ha dato l’avvio allo studio dei numeri complessi è invece collegata al problema della risoluzione dell’equazione di terzo grado. Cardano e Tartaglia avevano scoperto una formula per determinare una soluzione
dell’equazione
x3 + px + q = 0,
alla quale si può ricondurre ogni equazione di terzo grado mediante un cambiamento lineare di variabile. La formula di Cardano è la seguente
!
!
"
"
3
2
3 −q
3 −q
p
p3
q
q2
+
+
+
−
+ .
(2)
x=
2
4
27
2
4
27
2
3
La formula non può essere utilizzata quando il discriminante, q4 + p27 , è
minore di 0, eppure ogni equazione di terzo grado ha almeno una radice reale.
Ecco il problema matematico aperto: risolvere l’equazione cubica nel casus irriducibilis, cioè quando il discriminante è minore di 0.
Bombelli esaminò l’equazione
x3 − 15x − 4 = 0
(3)
che appartiene al casus irriducibilis e ha la radice 4. Dalla formula di Cardano
si otterrebbe
#
#
√
√
3
3
x = 2 + −121 + 2 − −121.
1
Bombelli dimostrò, che, attribuendo un significato matematico alla radice quadrata di −1 (la chiama più di meno), se si pone
#
√
√
3
2 + −121 = a + b −1
allora
#
3
2−
√
√
−121 = a − b −1;
per cui applicando la formula di Cardano si ottiene
√
√
x = (a + b −1) + (a − b −1) = 2a.
Bombelli
non conosceva un algoritmo per l’estrazione della radice cubica di
√
2 + −121, ma verificò che,√estendendo le usuali regole del calcolo algebrico a
espressioni che contenevano −1,
√
√
√
(2 + −1)3 = 2 + 11 −1 = 2 + −121,
per cui a = 2, b = 1 e x = 4.
Dunque l’introduzione dell’ entità più di meno rendeva compatibile la radice
4 dell’equazione (3) con la formula di Cardano (2). Non si poteva ancora affermare di aver risolto il casus irriducibilis, perché non √
era noto un algoritmo
per determinare la radice cubica dell’espressione a + b −1,
√ ma la utilità di
considerare, nella trattazione di problemi algebrici, l’entità −1, chiamata successivamente unità immaginaria, era pienamente dimostrata.
Soltanto due secoli più tardi,
grazie a Gauss, verrà attribuita la natura di
√
numero all’espressione a + b −1, detta numero complesso.
Per quanto in senso storico la nascita dei numeri complessi sia da ricondurre
a problemi algebrici, in queste note i numeri complessi verranno introdotti seguendo una problematica geometrica.
1.2
Le coordinate polari
Nel piano fissiamo un punto O, una semiretta r uscente da O e un verso per la
misura degli angoli orientati che hanno r come primo lato.
A ogni punto P del piano diverso da O possiamo associare due numeri: il
primo ρ rappresenta la distanza di P da O, il secondo θ la misura in radianti
dell’angolo orientato che la semiretta uscente da O e passante per P forma con
r. La coppia (ρ, θ) dà una rappresentazione del punto P in coordinate polari.
Una precisazione è necessaria sulla misura dell’angolo orientato. Senza entrare in sottili disquisizioni su cosa sia la misura di un angolo, segnaliamo che
le coppie (ρ, θ) e (ρ, θ1 ) corrispondono allo stesso punto se θ − θ1 = 2kπ, con
k ∈ Z.
Diversi approcci si trovano in letteratura, per trattare le difficoltà provenienti
dalla mancanza di corrispondenza biunivoca fra i punti del piano e l’insieme delle
coppie di numeri reali (ρ, θ). Segnalo i due principali. Il primo, quello della
geometria differenziale, prevede che vi siano infiniti sistemi di coordinate locali
2
di tipo polare e quindi che un punto possa essere rappresentato da infinite coppie
di numeri. Il secondo di tipo più algebrico, prevede che la misura dell’angolo
orientato sia un insieme infinito di valori, per cui le coordinate polari di un
punto sono una coppia di cui il primo elemento è un numero reale positivo e il
secondo un insieme di numeri reali che differiscono fra loro per multipli interi
di 2π. Seguendo questo secondo approccio scriveremo
p
P ≡ (ρ, Θ).
dove
Θ = {θ + 2kπ}k∈Z .
ρ si chiama il modulo di P ; Θ si chiama l’argomento2 di P .
Quando scriviamo Θ1 + Θ2 , intendiamo l’insieme ottenuto sommando ogni
numero del primo insieme con ogni numero del secondo e cioè l’insieme3
1
Θ1 + Θ2 := {θ1 + θ2 + 2kπ}k∈Z .
Quando applichiamo a Θ una funzione trigronometrica si intende che la applichiamo a uno qualunque dei suoi valori, senza pericolo di confusione, perché
ogni funzione trigonometrica ha 2π come periodo.
Osserviamo infine che non vengono assegnate le coordinate polari del punto
O.
Per determinare le relazioni che esistono fra coordinate polari e coordinate
cartesiane, mettiamo sul piano un sistema di riferimento cartesiano ortogonale,
dove l’origine coincide con O, l’asse positivo delle ascisse x coincide con la
semiretta r e l’asse positivo delle ordinate y, ortogonale all’asse delle ascisse
in O, sia scelto, fra i due possibili, in modo tale che l’angolo orientato xy
ˆ misuri
{ π2 + 2kπ}k∈Z .
Se P ha coordinate cartesiane
P ≡ (x, y)
e coordinate polari
allora, da un verso
e dall’altro4
p
P ≡ (ρ, Θ).
$
x = ρ cos(Θ)
y = ρ sin(Θ)

)

ρ
=
x2 + y 2


cos(Θ) = √ 2x 2
x +y


 sin(Θ) = √ y .
x2 +y 2
1 nella
terminologia antica raggio vettore.
terminologia antica anomalia
3 in questo modo si garantisce che la misura dell’angolo che si ottiene dalla giustapposizione
del secondo spigolo di un angolo orientato con il primo spigolo di un secondo angolo orientato
è uguale alla somma delle misure dei due angoli orientati.
4 evitiamo di dare un’espressione espilicita per Θ, perché bisognerebbe prima convenire sulle
definizioni delle funzioni arcoseno e arcocoseno.
2 nella
3
1.3
Definizione dei numeri complessi
L’introduzione delle coordinate cartesiane nel piano permette di definire una
corrispondenza biunivoca fra i punti del piano e R2 e questa corrispondenza
permette di trasportare sul piano l’operazione di somma propria dello spazio
vettoriale R2 . Per cui, se P1 ≡ (x1 , y1 ) e P2 ≡ (x2 , y2 ), poniamo5
P1 + P2 :≡ (x1 + x2 , y1 + y2 )
Quale operazione suggeriscono le coordinate polari fra i punti del piano privato dell’origine? I moduli, essendo numeri reali positivi, hanno una struttura
naturale di gruppo se considero la moltiplicazione; mentre, per quanto riguarda
gli argomenti, ho una struttura di gruppo se considero la somma.
Combiniamo le due operazioni precedenti, il prodotto dei moduli e la somma
degli argomenti, in una nuova operazione per i punti del piano privato dell’origine,
p
p
che denotiamo provvisoriamente con ∗: posto che sia P1 ≡ (ρ1 , Θ1 ) e P2 ≡
(ρ2 , Θ2 ), definiamo
p
P1 ∗ P2 :≡ (ρ1 ρ2 , Θ1 + Θ2 ).
Questa stessa operazione, in coordinate cartesiane assume l’espressione
#
#
P1 ∗ P2 ≡( x21 + y12 x22 + y22 (cos Θ1 cos Θ2 − sin Θ1 sin Θ2 ),
#
#
x21 + y12 x22 + y22 (cos Θ1 sin Θ2 + cos Θ2 sin Θ1 ) =
(x1 x2 − y1 y2 , x1 y2 + x2 y1 )
Trasferiamo le operazioni cosı̀ introdotte in R2 ,
(x1 , y1 ) + (x2 , y2 ) := (x1 + x2 , y1 + y2 )
(x1 , y1 ) ∗ (x2 , y2 ) := (x1 x2 − y1 y2 , x1 y2 + x2 y1 ).
Si prova che (R2 , +, ∗) è campo, cioè
• è un gruppo commutativo rispetto la somma (+) con elemento neutro
(0, 0)
• gli elementi diversi da (0, 0) formano un gruppo rispetto al prodotto (∗),
con elemento neutro (1, 0)
• vale la proprietà distributiva
((x1 , y1 ) + (x2 , y2 )) ∗ (x3 , y3 ) = (x1 , y1 ) ∗ (x3 , y3 ) + (x2 , y2 ) ∗ (x3 , y3 )
5 la
somma dei punti nel piano con origine fissata, può essere introdotta in modo puramente
→
→
geometrico, con la regola del parallelogramma applicata ai vettori geometrici OP1 e OP2 .
4
Le verifiche delle proprietà sono tutte elementari; segnaliamo solo la prova
dell’esistenza dell’inversa rispetto al prodotto6 :
sia (a, b) &= (0, 0), dobbiamo cercare (x, y) tale che
(a, b) ∗ (x, y) = (1, 0)
cioè
$
ax − by
bx + ay
=
=
1
0
poichè il sistema ha una e una sola soluzione, essendo a2 + b2 &= 0, l’inverso di
(a, b) esiste.
Chiameremo (R2 , +, ∗) il campo dei numeri complessi e verrà semplicemente
indicato con C; come d’uso, eviteremo di scrivere il simbolo dell’operazione
prodotto, e converremo anche che in un’espressione algebrica, in mancanza di
parentesi, l’operazione prodotto abbia priorità sull’operazione di somma.
La funzione
f: R →
C
x (→ (x, 0)
è iniettiva e tale che
f (x + y) = f (x) + f (y)
f (xy) = f (x)f (y)
pertanto, se identifichiamo x ∈ R con (x, 0) ∈ C, possiamo considerare il campo
C come un’estensione del campo R.
C eredita da R2 anche la struttura di spazio vettoriale su R , quindi ho due
operazioni di prodotto di un numero complesso per un numero reale, quella che
c’è in ogni spazio vettoriale di moltiplicazione di un vettore per uno scalare,
e quella che deriva dal considerare ogni numero reale un particolare numero
complesso. Per fortuna le due operazioni coincidono, per cui non vi è ambiguità
nel prodotto di un numero reale per un numero complesso. La base standard di C
come spazio vettoriale su R è formata dai numeri7 (1, 0) e (0, 1), il numero (1,0)
possiamo chiamarlo 1, corrispondendo al numero reale 1 e all’unità del prodotto;
chiamiamo unità immaginaria il numero (0, 1) e indichiamola sinteticamente con
”i”.
Formando 1 e i una base di C come R-spazio vettoriale, possiamo rappresentare il numero (x, y) ∈ C nel seguente modo
(x, y) = x1 + yi = x + iy.
Abbiamo che i2 = −1; pertanto i è soluzione dell’equazione x2 = −1, ma
anche −i è soluzione, quindi la scrittura
√
i = −1,
6 che
7 gli
peraltro è ovvia se si pensa al prodotto in termini di coordinate polari
elementi di C vengono chiamati numeri e non vettori
5
che si trova in molto libri, è fonte di confusione, essendo equivoco il significato
√
del simbolo .
Indicheremo il generico numero complesso con la lettera z e volendo mettere
in luce la decomposizione di cui sopra scriveremo
z = x + iy.
(4)
x si chiama la parte reale di z (si indica Re(z)) e y la parte immaginaria (si
indica Im(z)). La scrittura data dalla (4) è particolarmente comoda perché il
prodotto fra due numeri complessi può essere eseguito con le usuali regole del
calcolo algebrico, sostituendo −1 ogni volta che troviamo i2 .
1.4
Alcune funzioni elementari su C
La seguente funzione si chiama coniugio ed è particolarmente importante
C
z = x + iy
→
C
(
→
z̄ := x − iy
La sua importanza deriva dal fatto che il coniugio è un isomorfismo di campi,
cioè è biunivoca e gode delle seguenti proprietà
z1 + z2 = z̄1 + z̄2
z1 z2 = z̄1 z̄2
La parte reale e la parte immaginaria di un numero complesso possono essere
definite tramite il coniugio da
Re :
C
z
→ R⊂C
z+z̄
(
→
2
Im : C
z
→ R⊂C
z−z̄
(
→
2i
Per il coniugio valgono le seguenti proprietà di facile verifica
• z̄¯ = z
• z + z̄ = 2Re(z)
• z − z̄ = 2iRe(z)
• z −1 = (z̄)−1 , per z &= 0
• z̄ = z ⇔ z ∈ R
• z̄ = −z ⇔ z ∈ iR, in tal caso diremo che z è un immaginario puro.
6
Definiamo la funzione modulo di un numero complesso z = z+iy nel seguente
modo
)
|z| = x2 + y 2 ,
)
√
risulta |z| = Re(z)2 + Im(z)2 = z z̄. Trattandosi di numeri
√ reali positivi o
nulli, non c’è equivoco col simbolo di radice, intendendosi con x il numero reale
non negativo il cui quadrato è x. Inoltre se z è un numero reale il suo modulo
coincide col valore assoluto, per cui non c’è confusione nel simbolo usato.
Per la funzione modulo valgono le seguenti proprietà
• |z| ≥ 0 e |z| = 0 ⇔ z = 0
• |z̄| = |z|
• |Re(z)| ≤ |z|, |Im(z)| ≤ |z|, |z| ≤ |Im(z)| + |Re(z)|
• |z1 z2 | = |z1 ||z2 |
• |z −1 | = |z|−1 , per z &= 0
• |z1 + z2 | ≤ |z1 | + |z2 |
• |z1 + z2 | ≥ ||z1 | − |z2 ||.
Segnaliamo la dimostrazione delle ultime due relazioni, essendo le altre immediate:
|z1 + z2 |2 = (z1 + z2 )(z1 + z2 ) = |z1 |2 + z1 z̄2 + z̄1 z2 + |z2 |2 =
|z1 |2 + z1 z̄2 + z1 z̄2 + |z2 |2 =
|z1 |2 + 2Re(z1 z̄2 ) + |z2 |2 ≤
|z1 |2 + 2|z1 z̄2 | + |z2 |2 =
|z1 |2 + 2|z1 ||z̄2 | + |z2 |2 =
|z1 |2 + 2|z1 ||z2 | + |z2 |2 =
(|z1 | + |z2 |)2 ,
similmente (passaggi abbreviati)
|z1 − z2 |2 = |z1 |2 − 2Re(z1 z̄2 ) + |z2 |2 ≥
|z1 |2 − 2|(z1 z̄2 )| + |z2 |2 =
(|z1 | − |z2 |)2 .
1.5
La rappresentazione trigoniometrica di un numero complesso
Scriviamo un numero complesso z = x + iy diverso da 0 nella forma
z = |z|(
Im(z)
Re(z)
+i
).
|z|
|z|
7
Poiché
*
Re(z)
|z|
+2
+
*
Im(z)
|z|
+2
= 1, possiamo anche scrivere
z = |z|(cos Θ + i sin Θ).
(5)
dove Θ = {θ + 2kπ}k∈Z rappresenta la misura8 dell’angolo orientato che la
semiretta uscente da 0 e passante per 1 forma con la semiretta uscente da 0
e passante per z; esso è tale che cos Θ = Re(z)
e sin Θ = Im(z)
|z|
|z| . Θ si dice
l’argomento di z. La funzione argomento è definita per tutti numeri complessi
diversi da 0 ed è un esempio di funzione a più valori.
Siano
z1 = ρ1 (cos θ1 + i sin θ1 )
z2 = ρ2 (cos θ2 + i sin θ2 ),
due numeri complessi, con θ1 , θ2 ∈ R e ρ1 , ρ2 ∈ R+ ; se z1 = z2 , allora, essendo
| cos θ + i sin θ| = 1, abbiamo
ρ1 = |ρ1 || cos θ1 + i sin θ1 | = |ρ1 (cos θ1 + i sin θ1 )| = z1 =
z2 = |ρ2 (cos θ2 + i sin θ2 )| = |ρ2 || cos θ2 + i sin θ2 | = ρ2 ,
quindi cos θ1 = cos θ2 e sin θ1 = sin θ2 . Poiché l’implicazione nell’altro verso è
ovvia, possiamo concludere che
$
ρ1 = ρ2
z1 = z2 ⇐⇒
(6)
∃k ∈ Z : θ1 = θ2 + 2kπ
Pertanto, se rapprensentiamo la misura di un angolo orientato con un insieme di
numeri reali Θ = {θ + 2kπ}k∈Z , un numero complesso non nullo è univocamente
determinato dalla sua rappresentazione (5). Per ogni θ ∈ Θ
z = |z|(cos θ + i sin θ)
si chiama una rappresentazione trigonometrica di z. Tornando alla (5) Θ si
chiama l’argomento di z e ogni θ ∈ Θ si chiama una determinazione dell’argomento
di z.
Siano
z1 = |z1 |(cos Θ1 + i sin Θ1 )
si ha
z2 = |z2 |(cos Θ2 + i sin Θ2 ),
z1 z2 = |z1 ||z2 |(cos(Θ1 + Θ2 ) + i sin(Θ1 + Θ2 )),
(7)
che è ovvia se si considera la ”genesi” che abbiamo presentato del prodotto di
numeri complessi, e che comunque si prova facilmente usando le formule del
coseno e del seno dell’angolo somma.
8 è doveroso segnalare che la definizione di misura di un angolo, specie se orientato, è questione assai delicata e autorevoli matematici ritengono che questa non possa essere data in
mamiera corretta se non in un corso di analisi complessa o in un corso di teoria della misura;
purtroppo ragioni didattiche impongono anticipare le definizioni delle funzioni trigonometriche, ed anche la rappresentazione trigonometrica di un numero complesso.
8
Come caso particolare dalla (7) otteniamo la formula di De Moivre
z n = |z|n (cos(nΘ) + i sin(nΘ)),
(8)
zn = w
(9)
La formula De Moivre permette di risolvere in C l’equazione
Sia
w = |w|(cos Φ + i sin Φ),
con Φ = {φ + 2kπ}k∈Z , e sia
z = |z|(cos Θ + i sin Θ),
con Θ = {θ + 2kπ}k∈Z una soluzione di (9). Abbiamo |w| = |z|n , Φ = nΘ.
1
Da cui segue subito che |z| = |w| n , ma non possiamo scrivere Θ = Φ
n , perché i
Φ
2π
valori degli elementi di n differiscono fra loro per multipli di n e quindi Φ
n non
rappresenta la misura di un angolo. In effetti da (9) segue
$
1
|z| = |w| n
∀φ ∈ Φ, ∀θ ∈ Θ, ∃k ∈ Z : φ = nθ + 2kπ
ovvero
$
1
|z| = |w| n
∀φ ∈ Φ, ∀θ ∈ Θ, ∃k ∈ Z : θ =
φ
n
+
2kπ
n
Pertanto ∀k ∈ Z , in numeri
,
,
,
-1
φ 2kπ
φ 2kπ
+
+ i sin
+
|w| n cos
n
n
n
n
sono soluzioni della (9) ma non ho infinite soluzione diverse, potendo i numeri
φ
2kπ
n + n rappresentare diverse determinazioni dello stesso angolo. Sia φ ∈ Φ,
poniamo
θ0
= nφ
θ1
= nφ + 2π
n
θ2
= nφ + 2 2π
n
..
..
.
.
θn−1
=
φ
n
+ (n − 1) 2π
n
a cui corrispondono gli angoli le cui misure sono
Θ0
Θ1
Θ2
..
.
= { nφ + 2kπ}k∈Z
= { nφ + 2π
n + 2kπ}k∈Z
= { nφ + 2 2π
n + 2kπ}k∈Z
..
.
Θn−1
= { nφ + (n − 1) 2π
n + 2kπ}k∈Z ;
9
φ
il numero nφ + n 2π
n = n + 2π appartiene a Θ0 e non da luogo a una diversa
soluzione dell’equazione (9). Pertanto, se w &= 0, l’equazione (9) ha n distinte
soluzioni ed esse sono date da 9
1
z0
z1
z2
..
.
= |w| n (cos(Θ0 ) + i sin(Θ0 ))
1
= |w| n (cos(Θ1 ) + i sin(Θ1 ))
1
= |w| n (cos(Θ2 ) + i sin(Θ2 ))
..
.
zn−1
= |w| n (cos(Θn−1 ) + i sin(Θn−1 ))
1
Infine, se w = 0, la (9) ha la sola soluzione nulla.
Esempio Per trovare le soluzioni dell’equazione z 3 = 2, dobbiamo rappresentare in modo trigonometrico il numero complesso 2:
2 = 2(cos(0) + i sin(0))
pertanto le tre radici cubiche di 2 sono
z0
z1
z2
1
1
= 23
= 2 3 (cos(0) + i sin(0))
√
1
1
2π
2π
3
= 2 (cos( 3 ) + i sin( 3 )) = 2 3 (− 12 + i √23 )
1
1
3
4π
1
3
= 2 3 (cos( 4π
3 ) + i sin( 3 )) = 2 (− 2 − i 2 )
Esempio Per trovare le soluzioni dell’equazione z 4 = −1, dobbiamo rappresentare in modo trigonometrico il numero complesso -4:
−4 = 4(cos(π) + i sin(π))
pertanto le quattro radici quarte di -4 sono
z0
=
z1
=
z2
=
z3
=
1
1
2 2 (cos( π4 ) + i sin( π4 ))
1
2
2 (cos( π4
1
2 2 (cos( π4
1
2 2 (cos( π4
+
+
+
1
1
= 2 2 ( 222 + i 222 )
π
2)
+ i sin( π4 + π2 ))
π) + i sin( π4 + π))
3π
π
3π
2 ) + i sin( 4 + 2 ))
=
=
=
1
1
2
1
2 (− 222 + i 222
1
1
1
2 2 (− 222 − i 222
1
1
1
2 2 ( 222 − i 222 )
=1+i
)
)
= −1 + i
= −1 − i
=1−i
Esempio Per trovare le soluzioni dell’equazione z 2 = −i, dobbiamo rappresentare in modo trigonometrico il numero complesso i:
−i = (cos(
3π
3π
) + i sin( ))
2
2
pertanto le due radici quadrate di -i sono
1
1
z0
3π
= (cos( 3π
4 ) + i sin( 4 ))
= (− 222 + i 222 )
=
z1
3π
= (cos( 3π
4 + π) + i sin( 4 + π))
=(
=
9 nella
1
22
2
−i
1
22
2
)
√
2
(−1 + i)
√2
2
2 (1 − i)
formula che segue al posto di Θ0 , Θ1 . . . potremmo scrivere anche θ0 , θ1 . . .
10
La formula di De Moivre (8) ci ha permesso di trovare le soluzioni di alcune
semplici equazioni polinomiali, ma non esiste una formula che utilizzi solo le
quattro operazioni e le estrazioni di radici, tipo quella di Cardano (2) che dia
le soluzioni della generica equazione polinomiale, quando il grado è maggiore
di 4. Ciononostante, il seguente teorema, cosı̀ importante da essere chiamato
teorema fondamentale dell’algebra, assicura che almeno una soluzione esiste.
Teorema (fondamentale dell’algebra)
Ogni polinomio in una variabile, a coefficienti complessi, non costante, ha
almeno una radice10 in C .
Le dimostrazioni puramente algebriche di questa teorema sono molto complesse;
altre più abbordabili fanno uso di strumenti di analisi matematica.
Un polinomio in una variabile si dice monico se il coefficiente del termine di
grado massimo è 1. Se un polinomio p(z) ha una radice z0 , allora è divisibile
per (z − z0 ) e, ripetendo la divisione n volte, otteniamo il seguente
Corollario Ogni polinomio, in C, non costante, di grado n, si fattorizza nel
prodotto di una costante e di n fattori di primo grado monici.
Ogni polinomio a coefficienti reali è anche un polinomio a coefficienti complessi, e come tale ammette radici complesse.
Proposizione 1.1 Sia p(x) un polinomio a coefficienti reali. Se w è una radice
di p(x) anche w̄ lo è.
Dim. Sia p(x) = an xn + an−1 xn−1 + . . . + a1 x + a0 . Se w è radice abbiamo
an wn + an−1 wn−1 + . . . + a1 w + a0 = 0,
coniugando ambo i membri, abbiamo
an wn + an−1 wn−1 + . . . + a1 w + a0 = 0̄ = 0,
da cui, considerate le proprietà della funzione coniugio e tenendo presente che i
coefficienti sono reali,
an w̄n + an−1 w̄n−1 + . . . + a1 w̄ + a0 = 0,
cioè p(w̄) = 0.
!
Corollario Ogni polinomio a coefficienti reali di grado dispari ha almeno
una radice reale.
1.6
Spazi vettoriali reali e spazi vettoriali complessi
Abbiamo già osservato che C è uno spazio vettoriale sul campo R di dimensione
2, essendo {1, i} una base. C è anche uno spazio vettoriale sul campo C, e in
10 cioè un numero complesso dove il polinomio vale 0, per questo la radice di un polinomio
si dice anche uno zero del polinomio
11
questo caso la sua dimensione è 1, essendo ogni numero complesso non nullo
una sua base.
Uno spazio vettoriale V su C è anche uno spazio vettoriale su R , in quanto,
essendo definito il prodotto di un vettore per un numero complesso, è definito
anche il prodotto di un vettore per un numero reale poiché questo è un particolare numero complesso. Indichiamo con VR l’insieme V munito della sola
struttura di spazio vettoriale reale.
Proposizione 1.2 Sia V uno spazio vettoriale su C. Se dim(V ) = n, allora
dim(VR ) = 2n.
Dim. Sia V = {v1 , . . . , vn } una base su C di V . Allora VR = {v1 , . . . , vn , iv1 , . . . , ivn }
è una base di V su R. Infatti, essendo V una base su C, abbiamo che ogni vettore
w si scrive
w = z1 v1 + . . . + zn vn = (x1 + iy1 )v1 + . . . (xn + iyn )vn =
x1 v1 + . . . + xn vn + y1 iv1 + . . . + yn ivn .
e quindi VR è un sistema di generatori su R di V . D’altra parte, se
a1 v1 + . . . + an vn + b1 iv1 + . . . + bn ivn = 0
è una combinazione lineare nulla degli elementi di VR , allora
(a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn = 0,
è una combinazione lineare a coefficienti complessi nulla dei vettori della base
V; pertanto
(a1 + ib1 ) = . . . = (an + ibn ) = 0
da cui a1 = . . . = an = b1 = . . . = bn = 0.
!
Sia ora V uno spazio vettoriale reale di dimensione n, possiamo dare a V ×
V una struttura di spazio vettoriale complesso11 . Questo spazio si chiama il
complessificato di V e lo indichiamo con VC . Le operazioni di somma e prodotto
per uno scalare in VC sono definnite da
(v1 , v2 ) + (w1 , w2 ) := (v1 + w1 , v2 + w2 )
(x + iy)(v1 , v2 ) := (xv1 − yv2 , yv1 + xv2 )
Le verifiche delle proprietà sono di routine. Per quanto già visto all’inizio del
paragrafo, VC ha anche una struttura di spazio vettoriale reale, che coincide
con quella di V × V . Possiamo definire un’applicazione iniettiva da V in VC ,
11 V
× V ha in maniera naturale una struttura di spazio vettoriale reale di dimensione 2n.
12
che è lineare come applicazione fra spazi vettoriali reali (verifiche banali), nel
seguente modo
J : V −→
VC
v (−→ (v, 0)
Abbiamo
(v1 , v2 ) = (v1 , 0) + i(v2 , 0),
per cui, se identifichiamo v con (v, 0), (operazione legittimata dal fatto che J è
lineare e iniettiva) possiamo scrivere
(v1 , v2 ) = v1 + iv2 .
Proposizione 1.3 Se dim(V ) = n, allora dim VC = n.
Dim. Basta provare che, sotto l’identificazione J, una base di V è anche
una base di VC . Sia dunque V = {v1 , . . . , vn } una base di V ; sia (v, w) ∈ C;
abbiamo
v = a1 v1 + . . . + an vn
w = b1 v1 + . . . + bn vn
da cui
(v, w) = v + iw = a1 v1 + . . . + an vn + i(b1 v1 + . . . + bn vn ) =
(a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn ,
pertanto V = {v1 , . . . , vn } è un sistema di generatori di VC .
Sia ora
(a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn = 0
una combinazione lineare nulla dei vettori di V, abbiamo
(a1 v1 + . . . + an vn , b1 v1 + . . . + bn vn ) =
a1 v1 + . . . + an vn + i(b1 v1 + . . . + bn vn ) =
(a1 + ib1 )v1 + . . . + (an + ibn )vn = 0 = (0, 0)
da cui
a1 v1 + . . . + an vn = b1 v1 + . . . + bn vn = 0
e, essendo {v1 , . . . , vn } linearmente indipendenti in V , concludiamo che
a1 = . . . = an = b1 = . . . = bn = 0
e che {v1 , . . . , vn } sono linearmente indipendenti in VC .
!
13
1.7
Applicazioni lineari e matrici
1.7.1
Sia F : V → W un’applicazione C-lineare fra spazi vettoriali complessi di dimensione n e m. Siano V = {v1 , . . . , vn }, W = {w1 , . . . , wm }, basi di V e
W rispettivamente. Come è noto a F possiamo associare una matrice m × n,
MW,V (F ), sinteticamente definita dalla relazione
F (V) = WMW,V (F ).
MW,V (F ) = (αij ) è una matrice a elementi complessi. Essa può essere scritta
come A + iB, dove gli elementi di A = (aij ) e B = (bij ) sono, rispettivamente, le
parti reali e le parti immaginarie degli elementi di MW,V (F ), cioè αij = aij +ibij .
Nel paragrafo precedente abbiamo visto che V e W , sono anche spazi vettoriali reali di dimensione 2n e 2m; per distinguerli li abbiamo chiamati VR e WR .
F è anche un’applicazione R-lineare da VR a WR .
Siano VR e WR le basi di VR e WR precedentemente definite. Vogliamo
calcolare MWR ,VR (F ).
Le colonne di MWR ,VR (F ), sono rappresentate dalle componenti dei vettori
F (v1 ), . . . , F (vn ), F (iv1 ), . . . , iF (vn ), rispetto a WR = {w1 , . . . , wm , iw1 , . . . , iwm }.
Abbiamo
m
m
m
m
m
.
.
.
.
.
F (vj ) =
αij wi =
aij wi + i
bij wi =
aij wi +
bij iwi
i=1
i=1
i=1
i=1
i=1
e
F (ivj ) = iF (vj ) = i
m
.
i=1
αij wi =
m
.
i=1
iaij wi −
m
.
bij wi =
i=1
da cui la matrice cercata, è rappresentata a blocchi da
,
A −B
MWR ,VR (F ) =
.
B A
m
.
i=1
aij iwi −
m
.
bij wi ,
i=1
1.7.2
Sia ora F : V → W un’applicazione lineare fra spazi vettoriali reali di dimensione n e m e siano V = {v1 , . . . , vn }, W = {w1 , . . . , wm }, basi di V e W ,
rispettivamente. Possiamo estendere F a un’applicazione FC : VC → WC , per
linearità, utilizzando il fatto che le basi V e W di di V e W sono anche basi di
VC e WC , e dunque la FC è definita sui vettori di una base di V . FC si chiama
la complessificata dell’applicazione F . Essendo FC (vj ) = F (vj ), abbiamo che
MW,V (FC ) = MW,V (F ).
Osservazione Capiterà, qualche volta, di considerare le radici complesse ( e
non reali) del polinomio caratteristico di un operatore T su uno spazio vettoriale
reale; questi numeri sono autovalori dell’operatore complessificato TC ; i rispettivi
autovettori saranno combinazioni lineari a coefficienti complessi dei vettori della
base di V e come tali elementi di VC .
14