I TRE PROBLEMI CLASSICI DELL`ANTICHITA`

I TRE PROBLEMI CLASSICI DELL’ANTICHITA’
“Il numero pigreco, correttamente interpretato, contiene l’intera storia dell’umanità”
Martin Gardner
I problemi classici della geometria greca sono tre: la quadratura del cerchio, la
duplicazione del cubo e la trisezione dell’angolo, la cui risoluzione doveva essere fatta,
secondo i greci, usando soltanto “riga e compasso”.
Questi tre problemi hanno tenuto occupati i matematici per molti secoli; solo nel XIX
secolo si è potuto dimostrare che è impossibile risolverli con quegli strumenti elementari.
COSTRUZIONE CON “RIGA E COMPASSO”
I problemi geometrici per i greci si presentavano in forma costruttiva e quindi la riga, non
graduata, e il compasso erano gli unici ausili disponibili per la loro risoluzione. Anche
Euclide nei suoi Elementi precisa il modo in cui utilizzarli. Egli postula che sia possibile:
-condurre una sola retta passante per due punti qualsiasi (esistenza della riga)
-prolungare illimitatamente un segmento in linea retta (esistenza di una riga infinita)
-disegnare un cerchio con qualsiasi centro e raggio (esistenza del compasso)
La conseguenza di questi postulati è che le uniche operazioni permesse nella risoluzione
con “riga e compasso” dei problemi sono:
-dati due punti, tracciare il segmento che li ha come estremi, la semiretta o la retta
passante per essi;
-dato un punto O ed una lunghezza r, tracciare la circonferenza di centro O e raggio r;
-determinare l punto d’intersezione tra due rette, tra una retta e una circonferenza, tra due
circonferenze.
Non è invece possibile prendere e riportare misure: la riga “non è graduata” e quindi serve
solo per tracciare correttamente un segmento o una retta; il compasso potremmo definirlo
“molle”, cioè si richiude non appena abbiamo tracciato una circonferenza e quindi non può
essere usato neanche lui per prendere o riportare misure.
Con la “riga e il compasso” si possono costruire solo quei segmenti la cui lunghezza
appartenga all’insieme dei numeri razionali o alla sua “estensione quadratica” (ossia per
ogni segmento lungo a si può costruire il segmento lungo √ ). Tradotta questa proprietà
in termini algebrici, possiamo dire che possiamo costruire con “riga e compasso” solo
segmenti la cui lunghezza è un numero che è soluzione di un’equazione polinomiale a
coefficienti interi.
LA QUADRATURA DEL CERCHIO
Lo scopo da raggiungere con la soluzione di questo problema è
quello di costruire un quadrato che abbia la stessa area di un
cerchio dato.
Questo quesito era stato affrontato nell’antichità da molti matematici,
senza però riuscire a risolverlo con gli strumenti elementari, riga e
compasso.
Per risolvere il problema bisognava riuscire a disegnare un quadrato
con il lato lungo √ ; infatti l’area del cerchio è calcolabile attraverso
la formula
e dunque il quadrato cercato doveva avere
quest’area. Ma l’area di un quadrato di lato l è , quindi supponendo che il raggio della
circonferenza abbia valore r=1, l’equazione risolutiva del problema è:
√
Risolvere il problema della quadratura del cerchio, significa dunque trovare un valore
algebrico di , il che è impossibile.
Infatti nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò l’impossibilità di
risolvere questo problema con l’uso soltanto della riga e del compasso,
dimostrando, equivalentemente, che
era un numero trascendente,
non algebrico: cioè non era soluzione algebrica di una equazione
polinomiale a coefficienti interi. Dunque se non è algebrico, esso non
è neppure costruibile con gli strumenti classici.
Ippocrate da Chio, matematico greco del V sec.a.C. è famoso
anche per i contributi dati alla risoluzione di questo problema,
con la quadratura di una lunula. Si consideri un triangolo
rettangolo isoscele ABC, di ipotenusa BC; si costruisca la
semicirconferenza BNC di diametro BC e l’arco di circonferenza
BMC di centro A e raggio AB. La parte di piano delimitata da
questi due archi è chiamata lunula. Ippocrate riuscì a
dimostrare che la lunula era equivalente al triangolo ABC (vedi
la dimostrazione all’interno della sezione Curve celebri
dell’antichità). Questa dimostrazione è il primo caso a noi noto
di quadratura di una figura curvilinea.
LA DUPLICAZIONE DEL CUBO
L’ obbiettivo di questo problema era quello di costruire, con l’ausilio di un compasso e di
una riga, un cubo di volume doppio rispetto a un cubo dato.
Questo problema è arrivato a noi attraverso la storia di due miti.
La prima storia è conosciuta come “Il problema di Delo”: Teone di Smirne, citando
Eratostene, narra che gli abitanti di Delo per liberarsi dalla peste, una volta consultato
l’oracolo di Apollo, avessero ricevuto l’ordine di costruire un altare doppio di quello
esistente.
Nel secondo racconto il protagonista è il re Minosse
che, guardando la tomba di forma cubica del re
Glauco, esclamò: “Piccolo sepolcro per un re: lo si
faccia doppio conservandone la forma; si raddoppino,
pertanto, tutti i lati”. Eratostene, dopo aver rilevato che
l'ordine dato era erroneo, perché raddoppiando i lati di
un cubo se ne ottiene un altro con volume otto volte
maggiore, riferisce che nacque tra gli studiosi il
cosiddetto "problema della duplicazione del cubo”.
Per riuscire a disegnare un cubo di volume doppio di quello di un altro cubo di lato ,
bisognerebbe riuscire a disegnare un cubo con un lato lungo √ .
Questo problema, come quello precedente, è impossibile da risolvere solo con “compasso
e riga”, in quanto si è dimostrato che l’equivalente algebrico del problema è la soluzione di
una equazione cubica priva di radici razionali.
LA RISOLUZIONE DI IPPOCRATE DI CHIO
Ippocrate di Chio, vissuto tra il 460 a.C. e il 380 a.C., fu il
primo a risolvere il problema della duplicazione del cubo,
usando il metodo di riduzione. Questo metodo consiste nel
riformulare il problema in un altro, la cui risoluzione permette
di risolvere anche il problema originario.
Ippocrate sapeva, in quanto allievo di Pitagora, costruire
segmenti x che verificassero la proporzione:
Ippocrate prolungò il lato x, di un segmento lungo b in modo tale
che fossero verificate le proporzioni:
.
Si considerano due delle tre proporzioni e si risolve il sistema
corrispondente:
{
{
Risulta che
è il volume di un cubo equivalente ad un parallelepipedo avente area di
base
e altezza . Se si pone
, l’equazione diventa:
√ .
Abbiamo trovato il lato x di un cubo che ha volume doppio di un cubo di lato a assegnato.
Osserviamo che nella sua risoluzione Ippocrate ha usato strumenti diversi dalla sola “riga
e compasso”, riconducendo il problema alla costruzione di segmenti in un dato rapporto,
con l’uso per esempio di una riga graduata.
LA RISOLUZIONE DI MENECMO
Menecmo, vissuto tra il 380 a.C. e il 320 .C., subito dopo Ippocrate di Chio, riuscì a trovare
due diverse soluzioni a questo problema. Menecmo, riprese le operazioni usate da
Ippocrate di Chio
e pose
. Per la loro risoluzione utilizzò alcune
nozioni geometriche, che possiamo spiegare usando il moderno linguaggio della
geometria analitica.
Se consideriamo le proporzioni sopra scritte, risolverle significa trovare il punto
d’intersezione tra due parabole (nel primo caso) e tra una parabola ed un’iperbole
equilatera (nel secondo caso)
{
2){
√ , ossia è uguale al
L’ascissa dei punti di intersezione è in entrambi i casi uguale a
lato del cubo di volume doppio del volume del cubo assegnato di lato
.
Osserviamo che in entrambe le risoluzioni Menecmo ha fatto uso di alcune curve e non dei
due strumenti elementari richiesti dai matematici greci.
LA TRISEZIONE DELL’ANGOLO
Il problema che si pone con la trisezione di un angolo è
quello di riuscire a costruire un angolo di ampiezza pari
ad un terzo della ampiezza di un altro angolo dato.
Questo problema, a differenza della bisezione
dell’angolo, non si può risolvere usando solamente il
compasso e la riga, cioè con costruzioni geometriche
che impiegano solo rette e circonferenze, a meno che
non si tratti di angoli particolari come l’angolo retto.
Infatti se l’angolo da trisecare è retto si può procedere
nel seguente modo: si disegni la circonferenza, che ha come centro il vertice A dell’angolo
retto, e siano B e C i due punti di intersezione di tale circonferenza con i lati dell’angolo;
si disegnino le due circonferenze di centro C e B rispettivamente, passanti per A; si
chiamino D ed E i due punti di intersezione compresi fra C e B. Se si congiunge il punto A
con i due punti con D ed E, si avranno tre angoli di 30 gradi: cioè un terzo dell’ angolo
iniziale.
Archimede, utilizzando una riga numerata, riuscì a risolvere il problema della trisezione di
un angolo qualunque , come riportato nella sua opera il Libro dei Lemmi.
TRISEZIONE CON IL METODO DI IPPIA
Ippia, nato il 443 a.C. ad Elide, riuscì a risolvere questo problema con l’uso di una riga
numerata e di una curva da lui inventata, la quadratrice, che per questo è nota anche
come la trisettrice di Ippia. La curva ha anche il nome di quadratrice perché Dinostrato,
fratello di Menecmo, la utilizzò per risolvere il problema della quadratura del cerchio.
La quadratrice si costruisce considerando un quadrato ABCD in piano cartesiano, in modo
tale che i lati
e
siano sugli assi cartesiani di
centro A; si disegna l’arco di circonferenza ̂ di
centro A e raggio AB. Si fa traslare il segmento B’C’
parallelo al lato BC, dall’alto verso il basso (da BC
fino
a
darlo
coincidere
con
AD)
e
contemporaneamente, nello stesso intervallo di
tempo, si fa ruotare il raggio AD’ della circonferenza,
in senso orario, da AB fino a coincidere con AD. La
quadratrice è la curva formata dai punti di
intersezione di tali segmenti, durante il loro
movimento; nel disegno è la curva individuata dai
punti B, E, L, G.
Vogliamo trisecare l’angolo   DAˆ D ' .
Consideriamo sul lato AD’ di tale angolo un punto E, e indichiamo con H la sua
proiezione su AD. Indichiamo con x=AH e y=EH e supponiamo che il lato del quadrato
sia AB=1. Sia t l’intervallo di tempo necessario ad AD’ per raggiunge AD e sia Ttot il
tempo totale necessario ad AB per raggiungere AD, descrivendo un angolo di ampiezza
Poiché AD’ e B’C’ si muovono con la stessa velocità costante, anche B’C’ percorrerà la
parte EH (che è uguale a B’A) nello stesso tempo t; ne segue che:
2


 :  EH : BA ossia  :  y : 1  y 
2
2

Essendo φ è l’angolo che vogliamo trisecare, trisechiamo anche il segmento EH=y, in
modo che sia HH’=EH/3=y/3.
La retta B’’C’’ per H’ interseca la curva di Ippia in L; tracciamo ora AL. Per le stesse
ragioni già esposte prima, si avrà:
LAˆ D :

2
 HH ': AB ossia
LAˆ D :
1  1 2  1
 LAˆ D  y   
  
3 2 3  2 3

2

1
EH : AB
3
 1
 LAˆ D :  y : 1
2 3