I problemi classici dell’antichità
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Di che cosa si tratta?
Di solito con la locuzione problemi classici della geometria si intende una serie di questioni
poste all’attenzione dei pensatori greci nell’età classica della matematica, cioè nel IV secolo
a.C. Tra essi sono senz’altro i più famosi il problema della duplicazione del cubo, quello della
trisezione dell’angolo e quello della quadratura del cerchio (ma fa parte del gruppo anche il
problema della costruzione dei poligoni regolari con un numero arbitrario di lati).
Va detto subito che nell’antichità non erano note nè l’algebra, nè la geometria analitica,
quindi risolvere un problema di geometria significava trovare una procedura che permettesse,
utilizzando solamente la riga ed il compasso, di costruirne la soluzione. Non solo: la riga si
deve intendere non graduata, cioè una semplice sbarra con cui tracciare rette nel piano, ed il
compasso non può servire a riportare distanze, ma solo a costruire la circonferenza con centro
dato e che passa per un punto assegnato.
Formalizziamo la questione: posto che S rappresenti un insieme di punti del piano le regole
del gioco che si possono utilizzare sono solamente le seguenti:
1. (costruzione con la riga) tracciare la retta che passa per due punti di S
2. (costruzione con il compasso) tracciare la circonferenza che ha per centro un punto di S e
che passa per un altro punto di S
A partire da S si potranno quindi costruire rette e circonferenze ed intersecando tra loro
due rette, due circonferenze o una retta ed una circonferenza si possono costruire altri punti
che si aggiungono via via ad S. Una costruzione geometrica sarà un insieme di punti che si può
ottenere a partire da S applicando una successione finita di operazioni di intersezione.
Facciamo un esempio: come è possibile determinare il punto medio di un segmento assegnato
utilizzando solo riga e compasso? Il segmento assegnato abbia per estremi i punti A e B. In
questo caso si ha S = {A, B}. Si può procedere cosı̀:
1. traccio il cerchio con centro A e raggio AB (uso il compasso)
2. traccio il cerchio con centro B e raggio AB (uso il compasso)
3. individuo i punti di intersezione T ed U di questi due cerchi
4. traccio il segmento T U (uso la riga)
5. individuo come l’intersezione M tra i segmenti AB e T U .
La successione delle operazioni elencate sopra definisce la costruzione del punto medio M di
AB, perciò M risulta costruibile da S.
Ora che abbiamo chiarito che cosa significava per gli antichi greci risolvere un problema
geometrico, passiamo alla descrizione delle singole questioni.
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La duplicazione del cubo
Secondo una leggenda, riportata in una falsa lettera di Eratostene, il re Minosse aveva fatto
costruire una tomba di forma cubica per il figlio Glauco, ma quando venne a sapere che essa
misurava solo 100 piedi in ciascuna direzione, pensò che era troppo piccola.
Egli disse :≪deve essere raddoppiata in volume≫ ed ordinò ai costruttori di obbedire in
fretta al suo ordine raddoppiando gli spigoli della tomba.
Naturalmente Minosse sbagliava perchè cosı̀ facendo il volume della tomba sarebbe diventato
otto volte maggiore.
Nella stessa lettera si dice che Ippocrate di Chio mostrò l’equivalenza del problema della
duplicazione del cubo con la ricerca dei due medi proporzionali fra due segmenti dati di misure
a e b. In termini moderni, il problema equivale a trovare due numeri x ed y tali che
a:x=x:y=y:b
2
3
2
allora y = xa = ab
x e, eliminando y, x = a b. Se poniamo b = 2a, allora x è lo spigolo di un
cubo di volume doppio di quello di spigolo a.
Una seconda testimonianza, conosciuta come problema di Delo, è dell’espositore Teone di
Smirne. Egli riporta che gli abitanti di Delo, avendo interrogato l’oracolo di Apollo sul modo
di liberarsi dalla peste, avessero ricevuto l’ordine di costruire un altare, di forma cubica, dal
volume doppio rispetto a quello esistente.
Oggi sappiamo che il problema della duplicazione del cubo non ha soluzione se si vogliono
utilizzare solo riga e compasso; non per questo si deve credere che gli antichi greci vi abbiano
rinunciato, anzi ne hanno date varie ingegnosissime soluzioni che fanno uso di altri strumenti:
una soluzione attribuita a Platone fa uso di una costruzione meccanica; un’altra viene riferita
da Diocle (II sec. a.C.) nel suo trattato Sugli specchi ustori ; una di Eratostene che propone la
costruzione di uno strumento in avorio adatto a realizzarla; una di Erone nella Meccanica; una
di Nicomede che fa uso di una curva detta appunto concoide di Nicomede; una di Archita che
utilizza addirittura una curva gobba, cioè non contenuta nel piano (Archita visse nel VI sec.
a.C.!!); infine, forse la più famosa, la soluzione di Menecmo (IV sec. a.C.) che equivale a trovare
l’intersezione tra la parabola di equazione y 2 = bx con l’iperbole di equazione xy = ab (è da
rimarcare che i greci non conoscevano la geometria analitica, quindi la soluzione è stata trovata
con metodi sintetici!).
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La trisezione dell’angolo
Il problema della trisezione dell’angolo consiste nel trovare una costruzione che permetta di
suddividere un angolo qualunque in tre parti uguali. Si dimostra che in generale il problema non
si può risolvere utilizzando solo riga e compasso, tuttavia si può risolvere facilmente per alcuni
angoli particolari, per esempio per l’angolo retto, come dimostra la figura seguente:
Figura 1: La trisezione dell’angolo retto
Archimede propose una costruzione per trisecare un angolo valida per un angolo generico α.
Assegnato α, si traccia una circonferenza arbitraria c con centro in O, individuando le sue
intersezioni P e Q con i due lati di α. Si prolunga inoltre OP dalla parte di O. Si segna sulla
riga un segmento che ha la stessa misura di OP e da Q si conduce la semiretta che interseca
Figura 2: La trisezione di un angolo proposta da Archimede
la circonferenza c ed il prolungamento di OP rispettivamente in due punti P ′ ed O′ tali che
O ′ P ′ = OP . L’angolo β = O Ô′ P ′ ha ampiezza pari a 13 α, infatti il triangolo OO′ P ′ risulta
isoscele per costruzione, quindi P ′ ÔO ′ = β e poichè anche P ′ OQ è isoscele, si ha O Pˆ′ Q = α+β
2 ;
=
2β
da
cui
ma quest’ultimo angolo è supplementare di OPˆ′ O′ , quindi misura 2β. Si ha: α+β
2
α = 3β.
Questa costruzione sembra negare quanto affermato in premessa. Il punto è che non sono
state rispettate le regole, che impongono il solo utilizzo di riga e compasso. Staccando sulla riga
un segmento O′ P ′ = OP abbiamo violato le regole: la riga è infatti diventato uno strumento
graduato.
Va detto che il matematico alessandrino del IV sec. d.C. Pappo era convinto dell’impossibilità
di risolvere il problema della trisezione dell’angolo con i soli riga e compasso e ne propose una
soluzione mediante le coniche.
Quindi già dall’antichità alcuni matematici erano sostanzialmente persuasi dell’impossibilità
di risolvere i problemi classici con riga e compasso, ma il primo studioso che propose l’idea di
dimostrare l’impossibilità fu addirittura Cartesio: dobbiamo attendere il Rinascimento.
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La quadratura del cerchio
Questo problema è sicuramente il più famoso dei problemi classici, tanto che la locuzione
quadrare il cerchio è diventata un luogo comune. Esso consiste nel costruire un quadrato avente
area uguale a quella di un cerchio dato.
Già anticamente il problema era assai popolare, tanto che se ne discute negli Uccelli di
Aristofane (414 a.C.). Plutarco (c. 46-120 d.C.) nel libro Sull’esilio scrive: Non esiste posto che
possa togliere la felicità all’uomo, e neppure la sua virtù ed intelligenza. Annassagora, infatti,
scrisse sulla quadratura del cerchio mentre era rinchiuso in prigione.
L’area del cerchio è data da πr 2 , dove π esprime il rapporto costante tra circonferenza e
diametro di un qualunque cerchio (N.B. questa è quindi la definizione del numero π che risulta
senz’altro, insieme al numero di Nepero, il numero più importante della matematica). Per un
√
cerchio di raggio 1, la quadratura si traduce nel costruire il quadrato di lato π, cosa che si può
fare se è costruibile π (nel senso chiarito nell’appendice).
4.1
Il metodo di Archimede
Vediamo con quale metodo Archimede ottenne un’ottima approssimazione di π. Consideriamo la seguente figura:
Figura 3: Relazione tra ln ed l2n
in essa il segmento AC, che misura ln , rappresenta un lato del poligono regolare di n lati
inscritto nella circonferenza di raggio unitario. Allora il lato del poligono regolare di 2n lati
inscritto è AB e misura l2n . Consideriamo il triangolo rettangolo ABD. La sua area si può
ottenere in due modi: AABD = 12 AB · AD oppure AABD = 12 AH · BD. Ma AB = l2n e quindi
p
2 . Inoltre AH = 1 l e BD = 2. Quindi uguagliando le due espressioni per l’area
AD = 4 − l2n
2 n
di ABD si ha:
q
1
2 = 1 · 1l · 2
· l2n · 4 − l2n
n
2
2 2
Semplificando e passando ai quadrati si ottiene l’equazione
4
2
l2n
− 4l2n
+ ln2 = 0
che fornisce l’unica soluzione accettabile:
l2n =
q
2−
p
4 − ln2
Figura 4: L’approssimazione della circonferenza mediante poligoni inscritti proposta da
Archimede
La relazione precedente è una formula di ricorrenza che Archimede utilizzò cosı̀: sappiamo
che il p
lato dell’esagono regolare inscritto nella circonferenza è l6 = 1. Applicando la formula si ha
√
l12 = 2 − 3. A questo punto si può riapplicare la formula per ottenere l24 e successivamente
l48 e cosı̀ via. Dalla misura del lato del poligono regolare di n lati si può trovare il perimetro,
che, diviso per la misura del diametro, cioè 2, dà un’approssimazione per difetto di π. Vediamo
i risultati che si ottengono in una tabella (puoi provare anche tu utilizzando un foglio di calcolo):
n
6
12
24
48
96
ln
1
0,51763
0,26105
0,13080
0,06543
n
2
· ln
3
3,10582
3,13262
3,13935
3,14103
Il valore esatto di π fino alla quattordicesima cifra è 3,14159265358979. Archimede dimostrò,
utilizzando anche i poligoni circoscritti per una stima per eccesso di π, che
3+
10
1
<π <3+
71
7
e questo equivale a dire che
3.14084... < π < 3.14285...
5
Appendice: traccia della dimostrazione
Come si dimostra l’impossibilità dei problemi classici della matematica? La dimostrazione
passa attraverso l’algebra. Sistemiamo nel piano un riferimento cartesiano ortogonale. Siano O
l’origine degli assi ed U il punto di coordinate (1; 0). Un punto del piano si dirà costruibile
(mediante riga e compasso) se è l’ultimo di una sequenza finita di punti P1 , P2 , ..., Pn tali che
ogni punto della sequenza è O, U oppure è ottenuto in uno dei seguenti modi:
1. come intersezione di due rette, ciascuna delle quali passa per due punti che lo precedono
nella sequenza;
2. come intersezione fra una retta per due punti che lo precedono e una circonferenza avente
centro in un punto che lo precede e passante per un punto che lo precede;
3. come intersezione fra due circonferenze, entrambe aventi centro in un punto che lo precede
e passante per un punto che lo precede;.
Infine un numero x si dirà costruibile se il punto (x; 0) è costruibile.
Con queste premesse si può trovare abbastanza facilmente che tutti i numeri razionali sono
costruibili: utilizzando riga e compasso si possono costruire tutti i punti degli assi a coordinate
intere; per gli altri razionali si può osservare che riga e compasso permettono la costruzione
della retta perpendicolare ad uno degli assi passante per un suo punto: intersecando questa con
una retta passante per O e per un punto a coordinate intere si possono ottenere tutti i punti a
coordinate razionali.
Ma utilizzando riga e compasso è possibile fare di più: per esempio è possibile costruire tutti
√
i numeri del tipo x dove x è un numero razionale. La figura 5 chiarisce come fare.
É possibile stabilire qual è l’insieme dei numeri costruibili? Ora procediamo per sommi capi.
Se c è un numero costruibile allora si dimostra che tutti √
i numeri della forma a + bc con a, b ∈ Q
2) l’insieme che si ottene aggiungendo
sono costruibili. Per esempio potremmo
√ indicare con Q( √
a Q tutti i numeri della forma a + b 2. A partire da Q( 2) possiamo iterare il procedimento
Figura 5: Costruzione del segmento di misura
√
x a partire da x
aggiungendo la radice quadrata di un numero positivo che gli appartiene e cosı̀ via, all’infinito.
Chiamiamo E l’insieme numerico cosı̀ ottenuto. Bene, E è proprio l’insieme di tutti e soli
i numeri costruibili.
Ora, per dimostrare che il problema
della duplicazione del cubo non è risolubile con riga e
√
3
compasso, bisognerà mostrare che 2 non appartiene ad E: si può fare, ma non riportiamo la
dimostrazione.
Allo stesso modo, per dimostrare l’impossibilità di trisecare l’angolo si fa vedere che il problema equivale a trovare in E la soluzione di un’opportuna equazione di terzo grado, e si mostra
che anche questo è impossibile.
Infine, il problema della quadratura del cerchio equivale a dimostrare che π non appartiene
ad E, cioè non è costruibile; in particolare, a questo proposito, si può far vedere che tutti i numeri
costruibili son algebrici, cioè sono radici di un’equazione algebrica a coefficienti in Q, mentre un
risultato del 1882 dovuto a von Lindemann ci assicura che π è un numero trascendente, cioè non
algebrico.