Lezioni Giacomo Mezzedimi

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1 Introduzione
La maggior parte delle persone, interpellate su cosa sia per lui/lei la matematica, potrebbe essere
portata a rispondere che è una serie di formule e simboli, magari usati dai matematici come
“codici” per capirsi fra sé e rendere impossibile la partecipazione di “estranei” a questo mondo.
Invece essi sono fondamentali per formalizzare concetti, formule, espressioni in un linguaggio
pseudo-matematico.
Inoltre i matematici usano, oltre ai simboli, definizioni e enunciati: le definizioni servono a
caratterizzare una proprietà, una notazione, per renderla univoca e quindi non ambigua; ad
esempio la frase:
"π‘„π‘’π‘’π‘ π‘‘π‘Ž π‘šπ‘Žπ‘”π‘™π‘–π‘’π‘‘π‘‘π‘Ž è π‘π‘’π‘™π‘™π‘Ž"
non ha alcun senso matematico finché non assegniamo all’aggettivo “bello” una
caratterizzazione precisa.
Ad esempio:
DEFINIZIONE 1.1: Un numero 𝑛 si dice pari se è divisibile per 2.
è una definizione ben posta poiché (supponendo di dare per scontato il concetto di divisibilità) è
completamente univoca.
Notiamo inoltre che nella precedente definizione abbiamo usato una variabile (𝑛), che sta ad
indicare un generico numero naturale.
Come spesso si usa in matematica, useremo i seguenti simboli:
ο‚· β„• sta ad indicare l’insieme dei numeri naturali (1,2,3, …);
ο‚· β„€ sta ad indicare l’insieme dei numeri interi (… , −2, −1,0,1,2, …);
𝑝
ο‚· β„š sta ad indicare l’insieme dei numeri razionali (cioè i numeri della forma π‘ž, con 𝑝 e π‘ž in β„€);
ο‚·
ο‚·
ℝ sta ad indicare l’insieme dei numeri reali (cioè quelli individuabili sulla retta dei numeri,
fra cui gli irrazionali come √2 e i trascendenti come 𝑒 o πœ‹);
β„‚ sta ad indicare l’insieme dei numeri complessi (cioè i numeri della forma π‘Ž + 𝑏𝑖, con π‘Ž e 𝑏
in ℝ).
I matematici riescono a esprimersi grazie alle proprietà, che sono delle affermazioni che possono
assumere i valori di verità vero (𝑉) o falso (𝐹). Ad esempio:
𝑃 = "1 è π‘π‘Žπ‘Ÿπ‘–"
è una proprietà falsa, mentre
𝑄 = "4 è π‘π‘Žπ‘Ÿπ‘–"
è una proprietà vera.
Spesso le proprietà possono contenere variabili; se π‘₯1 , … , π‘₯𝑛 sono variabili, denotiamo con
𝑃(π‘₯1 , … , π‘₯𝑛 ) una proprietà che dipende dalle variabili π‘₯1 , … , π‘₯𝑛 . Ad esempio:
𝑃(π‘₯) = "π‘₯ è π‘π‘Žπ‘Ÿπ‘–"
è tale che 𝑃(1), cioè la proprietà 𝑃(π‘₯) in cui a ogni π‘₯ è stato sostituito 1, è falsa, mentre 𝑃(4) è
vera.
1
Ugualmente:
𝑄(π‘₯, 𝑦) = "π‘₯ < 𝑦"
è tale che 𝑄(1,2) è vera, mentre 𝑄(2,1) è falsa.
Introduciamo ora i primi simboli logici, i cosiddetti connettivi logici; siano 𝑃, 𝑄 proprietà.
Allora:
ο‚· ¬π‘ƒ (si legge “non 𝑃”) sta ad indicare la proprietà che è vera quando 𝑃 è falsa ed è falsa
quando 𝑃 è vera;
ο‚· 𝑃 ∧ 𝑄 (si legge “𝑃 e 𝑄”) è la proprietà che è vera quando sono vere sia 𝑃 che 𝑄 ed è falsa
altrimenti;
ο‚· 𝑃 ∨ 𝑄 (si legge “𝑃 o 𝑄”) è la proprietà che è vera quando o 𝑃 è vera o 𝑄 è vera ed è falsa
altrimenti;
ο‚· 𝑃 → 𝑄 (si legge “𝑃 implica 𝑄”) è la proprietà che è falsa quando 𝑃 è vera e 𝑄 è falsa ed è vera
altrimenti;
ο‚· 𝑃 ↔ 𝑄 (si legge “𝑃 se e solo se 𝑄”) è la proprietà (𝑃 → 𝑄) ∧ (𝑄 → 𝑃).
Riassumendo:
𝑃
𝑉
𝑉
𝐹
𝐹
𝑄
𝑉
𝐹
𝑉
𝐹
¬π‘ƒ
𝐹
𝐹
𝑉
𝑉
𝑃∧𝑄
𝑉
𝐹
𝐹
𝐹
𝑃∨𝑄
𝑉
𝑉
𝑉
𝐹
𝑃→𝑄
𝑉
𝐹
𝑉
𝑉
𝑃↔𝑄
𝑉
𝐹
𝐹
𝑉
Diciamo che due proprietà sono equivalenti se assumono gli stessi valori di verità; in questo caso
scriviamo 𝑃 ≡ 𝑄.
Notiamo ad esempio che:
1. ¬(¬π‘ƒ) ≡ 𝑃;
2. ¬(𝑃 ∧ 𝑄) ≡ (¬π‘ƒ) ∨ (¬π‘„);
3. ¬(𝑃 ∨ 𝑄) ≡ (¬π‘ƒ) ∧ (¬π‘„);
4. (𝑃 ∨ 𝑄) ∨ 𝑅 ≡ 𝑃 ∨ (𝑄 ∨ 𝑅);
5. (𝑃 ∧ 𝑄) ∧ 𝑅 ≡ 𝑃 ∧ (𝑄 ∧ 𝑅);
6. ¬(𝑃 → 𝑄) ≡ 𝑃 ∧ (¬π‘„);
7. 𝑃 → 𝑄 ≡ ¬π‘„ → ¬π‘ƒ;
8. ¬(𝑃 ↔ 𝑄) ≡ (𝑃 ∧ (¬π‘„)) ∨ ((¬π‘ƒ) ∧ 𝑄));
9. ((𝑃 ∧ ¬π‘„) → (𝑇 ∧ ¬π‘‡)) ≡ (𝑃 → 𝑄).
Concentriamoci particolarmente sulle equivalenze 2, 3, 7: le due equivalenze 2, 3 sono spesso
chiamate “leggi di De Morgan”, mentre la 7 viene chiamata “contronominale”.
In pratica, se vogliamo dimostrare che 𝑃 → 𝑄, equivalentemente possiamo dimostrare che
¬π‘„ → ¬π‘ƒ.
Soffermiamoci ora sulla 9: sicuramente è corretta perché:
((𝑃 ∧ ¬π‘„) → (𝑇 ∧ ¬π‘‡)) ≡ (¬(𝑃 → 𝑄) → πΉπ‘Žπ‘™π‘ π‘’) ≡ (π‘‡π‘Ÿπ‘’π‘’ → (𝑃 → 𝑄)) ≡ (𝑃 → 𝑄),
ma la sua importanza verrà chiarita in seguito.
2
Definiamo ora alcuni fondamentali simboli insiemistici:
DEFINIZIONE 1.2: Sia π‘₯ un elemento, 𝐴, 𝐡 insiemi e 𝑃(π‘₯) una proprietà. Allora la scrittura:
ο‚· π‘₯ ∈ 𝐴, che si legge “π‘₯ appartiene a 𝐴”, indica che nell’insieme 𝐴 c’è l’elemento π‘₯;
ο‚· π‘₯ ∉ 𝐴, che si legge “π‘₯ non appartiene a 𝐴”, indica che nell’insieme 𝐴 non c’è l’elemento π‘₯,
cioè è equivalente alla proprietà ¬(π‘₯ ∈ 𝐴);
ο‚· ∃π‘˜ ∈ 𝐴|𝑃(π‘˜), che si legge “esiste un π‘˜ in 𝐴 tale che vale 𝑃(π‘˜)”, indica che esiste
π‘˜ ∈ 𝐴 ∧ 𝑃(π‘˜);
ο‚· βˆ„π‘˜ ∈ 𝐴|𝑃(π‘˜), che si legge “non esiste un π‘˜ in 𝐴 tale che vale 𝑃(π‘˜)”, è equivalente a
¬(∃π‘˜ ∈ 𝐴|𝑃(π‘˜))
ο‚· ∀π‘˜ ∈ 𝐴, 𝑃(π‘˜), che si legge “per ogni π‘˜ in 𝐴 vale 𝑃(π‘˜)”, indica che π‘˜ ∈ 𝐴 → 𝑃 (π‘˜)
ο‚· ∃! π‘˜ ∈ 𝐴|𝑃(π‘˜), che si legge “esiste un unico π‘˜ ∈ 𝐴 tale che vale 𝑃(π‘˜)”, indica la proprietà
(∃π‘˜ ∈ 𝐴|𝑃(π‘˜)) ∧ ((β„Ž ∈ 𝐴 ∧ 𝑃(β„Ž)) → β„Ž = π‘˜).
Notiamo un’importante questione: se consideriamo l’enunciato ¬(∃π‘˜ ∈ 𝐴|𝑃(π‘˜)), esso è
equivalente a ∀π‘˜ ∈ 𝐴, ¬π‘ƒ(π‘˜).
Allo stesso modo, ¬(∀π‘˜ ∈ 𝐴, 𝑃(π‘˜)) è equivalente a ∃π‘˜ ∈ 𝐴|¬π‘ƒ(π‘˜).
Ad esempio, consideriamo l’enunciato:
"𝑂𝑔𝑛𝑖 π‘”π‘Žπ‘‘π‘‘π‘œ è 𝑏𝑙𝑒".
Formalmente, l’esempio può essere riscritto come:
∀π‘₯ ∈ 𝐺, π‘₯ ∈ 𝐡,
o, equivalentemente:
π‘₯∈𝐺→π‘₯∈𝐡
dove 𝐺 è l’insieme di tutti i gatti e 𝐡 è l’insieme di tutte le cose blu.
Quindi, dimostrare la falsità di questo enunciato, significa dimostrare la veridicità di:
¬(∀π‘₯ ∈ 𝐺, π‘₯ ∈ 𝐡) ≡ ¬(π‘₯ ∈ 𝐺 → π‘₯ ∈ 𝐡) ≡ π‘₯ ∈ 𝐺 ∧ π‘₯ ∉ 𝐡 ≡ ∃π‘₯ ∈ 𝐺|π‘₯ ∉ 𝐡
cioè che esiste un gatto che non è blu.
Definiamo alcuni simboli che abbrevieranno le nostre scritture:
DEFINIZIONE 1.3: Siano 𝐴, 𝐡 insiemi. Allora la proprietà:
ο‚· 𝐴 ⊆ 𝐡, che si legge “𝐴 è sottoinsieme di 𝐡”, è equivalente alla proprietà π‘₯ ∈ 𝐴 → π‘₯ ∈ 𝐡;
ο‚· 𝐴 = 𝐡, che si legge “𝐴 è uguale a 𝐡”, è equivalente alla proprietà 𝐴 ⊆ 𝐡 ∧ 𝐡 ⊆ 𝐴, cioè
equivalente a π‘₯ ∈ 𝐴 ↔ π‘₯ ∈ 𝐡;
ο‚· 𝐴 ⊈ 𝐡 ≡ ¬(𝐴 ⊆ 𝐡);
ο‚· 𝐴 ≠ 𝐡 ≡ ¬(𝐴 = 𝐡);
ο‚· 𝐴 ⊂ 𝐡, che si legge “𝐴 è sottoinsieme proprio di 𝐡”, è equivalente a 𝐴 ⊆ 𝐡 ∧ 𝐴 ≠ 𝐡.
Inoltre indichiamo con {π‘₯|𝑃(π‘₯)} l’insieme di tutti gli π‘₯ che rendono vera la proprietà 𝑃.
Introduciamo ora alcune notazioni che risulteranno molto utili e frequenti nella seguente
trattazione e in generale in qualunque studio di matematica:
DEFINIZIONE 1.4: Siano 𝐴, 𝐡 insiemi. Allora definiamo:
ο‚· 𝐴 ∪ 𝐡 = {π‘₯|π‘₯ ∈ 𝐴 ∨ π‘₯ ∈ 𝐡}, detta “unione di 𝐴 e 𝐡”;
3
ο‚·
ο‚·
ο‚·
𝐴 ∩ 𝐡 = {π‘₯|π‘₯ ∈ 𝐴 ∧ π‘₯ ∈ 𝐡}, detta “intersezione di 𝐴 e 𝐡”;
𝐴\𝐡 = 𝐴 − 𝐡 = {π‘₯|π‘₯ ∈ 𝐴 ∧ π‘₯ ∉ 𝐡}.
𝐴̅ = {π‘₯|π‘₯ ∉ 𝐴}
Notiamo innanzitutto che 𝐴 − 𝐡 = 𝐴 ∩ 𝐡̅ ; inoltre dalle leggi di De Morgan segue che:
Μ…Μ…Μ…Μ…Μ…Μ…Μ…
𝐴 ∩ 𝐡 = 𝐴̅ ∪ 𝐡̅ e Μ…Μ…Μ…Μ…Μ…Μ…Μ…
𝐴 ∪ 𝐡 = 𝐴̅ ∩ 𝐡̅ .
Allo stesso modo segue che:
𝑋 − (𝐴 ∩ 𝐡) = (𝑋 − 𝐴) ∪ (𝑋 − 𝐡) e 𝑋 − (𝐴 ∪ 𝐡) = (𝑋 − 𝐴) ∩ (𝑋 − 𝐡).
Per abbreviare la scrittura 𝐴1 ∪ … ∪ 𝐴𝑛 scriveremo:
𝑛
⋃ 𝐴𝑖 = 𝐴1 ∪ … ∪ 𝐴𝑛
𝑖=1
dove 𝑖 è una variabile temporanea che permette di “scorrere” tutti gli 𝐴𝑖 .
Analogamente:
𝑛
β‹‚ 𝐴𝑖 = 𝐴1 ∩ … ∩ 𝐴𝑛 .
𝑖=1
Infine ci dedichiamo all’introduzione degli ultimi simboli, i più importanti e frequenti forse
nell’intera matematica: i simboli di sommatoria e di produttoria.
Essi nascono dalla necessità di compattare alcune scritture altrimenti lunghissime.
Consideriamo ad esempio la scrittura 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1.
Essa contiene 10 volte la somma del numero 1. Oltre a essere scomoda, non è intuitivamente
comprensibile da chi legge.
Dunque i matematici abbreviano quella scrittura con il simbolo di sommatoria:
10
∑1
𝑖=1
dove “𝑖 = 1” significa che la variabile temporanea usata è 𝑖, inoltre il valore di partenza è 1, il
valore di arrivo è 10 e l’argomento (l’1 sulla destra) indica cosa deve essere sommato ogni volta.
In generale, se π‘₯1 , … , π‘₯𝑛 sono numeri (diciamo ∈ β„•, ma è assolutamente indifferente), allora:
𝑛
∑ π‘₯𝑖 = π‘₯1 +. . . +π‘₯𝑛 .
𝑖=1
Ad esempio è utilissima la scrittura:
𝑛
∑ 𝑖 = 1 + 2 + 3+. . . +𝑛 − 1 + 𝑛.
𝑖=1
A volte può essere utile usare la notazione di doppia sommatoria. Ad esempio:
𝑛
𝑛
𝑛
𝑛
𝑛
𝑛
𝑛
∑ ∑ 𝑖𝑗 = ∑ (∑ 𝑖𝑗) = ∑ 1 βˆ™ 𝑗 + ∑ 2 βˆ™ 𝑗 +. . . + ∑ 𝑛 βˆ™ 𝑗
𝑖=1 𝑗=1
𝑖=1
𝑗=1
𝑗=1
𝑗=1
𝑗=1
Notiamo che sono state usate due lettere diverse (𝑖 e 𝑗) per non creare ambiguità in chi legge.
Allo stesso modo si introduce il simbolo di produttoria:
4
𝑛
∏ π‘₯𝑖 = π‘₯1 βˆ™ … βˆ™ π‘₯𝑛
𝑖=1
Tutte le proprietà della sommatoria appena mostrate valgono anche per la produttoria.
2 Dimostrare un enunciato
Per semplificare la trattazione, definiamo un enunciato come l’affermazione di un’implicazione
da un certo numero di proprietà (dette ipotesi) a un altro insieme di proprietà (dette tesi).
In generale, dato un enunciato 𝐸 contenente un numero finito di proprietà, possiamo (quasi)
sempre stabilire se esso è vero o falso.
Per stabilire se 𝐸 sia effettivamente vero o falso, dobbiamo esibire una dimostrazione della
veridicità/falsità di 𝐸.
Una dimostrazione è una serie di deduzioni logiche che dalle ipotesi, cioè dalle proprietà
supposte vere, giunge alla tesi, che è la proprietà (o le proprietà) che vogliamo mostrare essere
vera o falsa.
Facciamo un semplice esempio:
ESEMPIO 2.1: La somma degli angoli interni di un triangolo corrisponde a un angolo piatto.
Dimostrazione:
Sia 𝛼 l’angolo relativo a 𝐴, 𝛽 l’angolo relativo a 𝐡, 𝛾 l’angolo relativo a 𝐢, 𝛿 l’angolo 1 e πœ€
l’angolo 3.
La nostra tesi è 𝛼 + 𝛽 + 𝛾 = 180°.
Immediatamente notiamo che 𝛿 + 𝛽 + πœ€ = 180°; inoltre 𝛼 = 𝛿 e 𝛾 = πœ€, in quanto sono alterni
interni. Dunque:
180° = 𝛿 + 𝛽 + πœ€ = 𝛼 + 𝛽 + 𝛾,
da cui la tesi.
DEFINIZIONE 2.1: Un numero 𝑛 ∈ β„•|𝑛 ≥ 2 si dice primo se (β„Ž divide 𝑛) → β„Ž = 1 ∨ β„Ž = 𝑛.
In altre parole, un numero è primo se è divisibile solo per 1 e per se stesso.
Non definiamo neanche se 1 è primo o no.
ESEMPIO 2.2: Se 𝑝 ∈ β„• è primo e π‘Ž, 𝑏 ∈ β„•, allora 𝑝|π‘Žπ‘ ⇒ 𝑝|π‘Ž ∨ 𝑝|𝑏.
Dimostrazione:
Scriviamo π‘Ž e 𝑏 come prodotto di primi, diciamo π‘Ž = π‘ž1 … π‘žπ‘› , 𝑏 = π‘Ÿ1 … π‘Ÿπ‘š .
Allora 𝑝|π‘ž1 … π‘žπ‘› π‘Ÿ1 … π‘Ÿπ‘š , cioè ∃π‘˜ tale che π‘π‘˜ = π‘ž1 … π‘žπ‘› π‘Ÿ1 … π‘Ÿπ‘š .
Scomponiamo π‘˜ in fattori primi, diciamo π‘˜ = 𝑠1 … 𝑠𝑧 .
5
Allora 𝛼 = 𝑝𝑠1 … 𝑠𝑧 = π‘ž1 … π‘žπ‘› π‘Ÿ1 … π‘Ÿπ‘š , ma quindi le due scomposizioni in primi di 𝛼 devono
coincidere, cioè ogni elemento della prima fattorizzazione deve comparire anche nella seconda
e viceversa.
Ma allora 𝑝 sarà uguale a uno dei fattori primi sulla destra; se 𝑝 = π‘žπ‘– per un certo 𝑖, allora 𝑝|π‘Ž,
mentre se 𝑝 = π‘Ÿπ‘— per un certo 𝑗, allora 𝑝|𝑏, tesi.
Osserviamo che se 𝑝 non è primo la proprietà non vale, poiché ad esempio 8|4 βˆ™ 6, ma 8 ∀ 4 e
8 ∀ 6.
Se dobbiamo dimostrare che 𝐸 è falso, abbiamo già visto nel precedente paragrafo che dobbiamo
esibire un controesempio, cioè un elemento che rispetta le ipotesi ma non rispetta la tesi.
Esempio:
ENUNCIATO 2.1: Ogni numero primo è dispari.
Dimostrazione:
L’enunciato è falso, infatti 2 è primo, ma è pari, cioè non dispari.
Da ora in poi ci occuperemo di dimostrare enunciati veri, cosa molto più frequente del
dimostrare enunciati falsi.
2.1 Dimostrazione della contronominale e dimostrazione per assurdo
La dimostrazione per assurdo è un tipo di dimostrazione nota fin nell’antichità (veniva chiamata
“reductio ad absurdum”), ma è sempre stata vista con diffidenza da molti matematici.
Da qualche tempo però, grazie all’introduzione della logica matematica (che abbiamo appena
accennato nell’introduzione), è stato pienamente dimostrata la completa equivalenza fra una
normale dimostrazione e una dimostrazione per assurdo.
Supponiamo di voler dimostrare l’enunciato 𝐸 = "𝑃 → 𝑄", dove 𝑃 e 𝑄 sono proprietà (o insiemi
di proprietà).
Poiché abbiamo visto che ¬π‘„ → ¬π‘ƒ ≡ 𝑃 → 𝑄, allora invece che dimostrare 𝐸 possiamo
dimostrare:
𝐸 ′ = "¬π‘„ → ¬π‘ƒ"
cioè prendere come ipotesi la negazione della tesi e come tesi la negazione dell’ipotesi.
Iniziamo con un semplice esempio che ci aiuterà a capire quanto in certi casi aiuti dimostrare la
contronominale:
ENUNCIATO 2.2: Ogni numero primo diverso da 2 è dispari.
Prima di procedere con la dimostrazione, riscriviamo formalmente l’enunciato:
ENUNCIATO 2.2’: ∀π‘₯, (π‘₯ ∈ 𝑃 − {2} → π‘₯ ∈ 𝐷), dove 𝑃 è l’insieme dei numeri primi e 𝐷 è
l’insieme dei numeri dispari.
Dimostrazione:
6
Vogliamo dimostrare la contronominale, cioè:
π‘₯ ∉ 𝐷 → (π‘₯ ∉ 𝑃 ∨ π‘₯ = 2).
Scegliamo un qualunque π‘₯.
Poiché π‘₯ è pari, allora è divisibile per 2.
Ci sono due possibilità:
1. π‘₯ = 2, che è in accordo con la tesi;
2. π‘₯ > 2, quindi π‘₯ è divisibile per 2 oltre che per 1 e se stesso, cioè π‘₯ ∉ 𝑃, in accordo con la
tesi.
Visto che in ogni caso troviamo la tesi, concludiamo che l’enunciato è vero.
La dimostrazione, per quanto semplice, mostra chiaramente la potenza della contronominale;
infatti non conosciamo un modo per classificare i numeri primi in un unico insieme, dunque è
veramente molto difficile procedere in un modo diverso.
Passiamo ora alla dimostrazione per assurdo.
Essa dice di procedere in questo modo: assumiamo le ipotesi e neghiamo la tesi; se questo porta a
un assurdo, allora l’enunciato è vero.
Equivalentemente, può essere: assumiamo le ipotesi e neghiamo la tesi; se questo porta a
dimostrare la veridicità di una proprietà e della sua negazione, allora l’enunciato è vero.
Scritto formalmente:
((𝑃 ∧ ¬π‘„) → (𝑇 ∧ ¬π‘‡)) ≡ (𝑃 → 𝑄)
Poiché abbiamo mostrato la correttezza di questa equivalenza, accettiamo anche la
dimostrazione per assurdo.
Vediamo qualche esempio:
ENUNCIATO 2.3: Un numero è primo ↔ non è divisibile per nessun numero primo tranne se
stesso.
Formalizziamo l’enunciato (sia 𝑃 l’insieme dei numeri primi):
ENUNCIATO 2.3’: π‘₯ ∈ 𝑃 ↔ (∀π‘˜ ∈ 𝑃 − {π‘₯}, π‘₯ non è divisibile per π‘˜).
Poiché 𝐴 ↔ 𝐡 ≡ (𝐴 → 𝐡) ∧ (𝐡 → 𝐴), dimostriamo entrambe le implicazioni.
Dimostrazione:
ο‚· Dimostriamo che π‘₯ ∈ 𝑃 → (∀π‘˜ ∈ 𝑃 − {π‘₯}, π‘₯ non è divisibile per π‘˜).
Poiché π‘₯ è primo, non è divisibile per nessun numero tranne se stesso e 1, dunque in
particolare non sarà divisibile per un numero primo diverso da se stesso.
ο‚· Dimostriamo che (∀π‘˜ ∈ 𝑃 − {π‘₯}, π‘₯ non è divisibile per π‘˜) → π‘₯ ∈ 𝑃.
Procediamo per assurdo e supponiamo che π‘₯ non sia primo. Allora π‘₯ è divisibile per un certo
numero 𝑧 che è diverso da π‘₯. Scomponiamo 𝑧 in fattori primi; allora sicuramente esiste un
numero primo 𝑝 che divide 𝑧 e quindi divide π‘₯. Abbiamo trovato un primo che divide π‘₯,
assurdo, dunque concludiamo la dimostrazione.
ENUNCIATO 2.4: Esistono infiniti numeri primi.
Dimostrazione:
7
Supponiamo la falsità della tesi, cioè che esista l’insieme finito 𝑃 = {π‘₯1 , … , π‘₯𝑁 } ⊂ β„• di tutti i
numeri primi. Supponiamo inoltre che in 𝑃 i numeri siano disposti in ordine crescente.
Allora prendiamo il numero:
𝑁
𝑋 = 1 + ∏ π‘₯𝑖 = 1 + π‘₯1 βˆ™ π‘₯2 βˆ™ … βˆ™ π‘₯𝑁
𝑖=1
ottenuto moltiplicando tutti i numeri dell’insieme e aggiungendo 1.
Sicuramente 𝑋 > π‘₯𝑁 e dunque 𝑋 è più grande di qualunque elemento di𝑃.
Sia π‘₯π‘˜ ∈ 𝑃 e consideriamo la frazione:
𝑋
1 + π‘₯1 βˆ™ π‘₯2 βˆ™ … βˆ™ π‘₯𝑁
1 π‘₯1 βˆ™ π‘₯2 βˆ™ … βˆ™ π‘₯𝑁
=
=
+
π‘₯π‘˜
π‘₯π‘˜
π‘₯π‘˜
π‘₯π‘˜
Poiché π‘₯π‘˜ ∈ 𝑃, allora π‘₯1 βˆ™ π‘₯2 βˆ™ … βˆ™ π‘₯𝑁 è divisibile per π‘₯π‘˜ . Inoltre, poiché π‘₯π‘˜ > 1, allora 1 non è
divisibile per π‘₯π‘˜ e quindi 𝑋 non è divisibile per π‘₯π‘˜ .
Poiché un tale ragionamento può essere fatto per qualunque π‘₯π‘˜ ∈ 𝑃, affermiamo che 𝑋 non è
divisibile per nessun elemento di 𝑃, cioè per nessun primo, quindi è primo.
Dunque 𝑃 non è l’insieme di tutti i primi, poiché non contiene 𝑋, assurdo.
Da questo segue la tesi.
Concludiamo con alcuni esercizi riguardo alle dimostrazioni per assurdo; consiglio vivamente ai
meno pratici con questo metodo di risolverli e, in caso di difficoltà, farsi aiutare da qualcuno più
esperto.
ESERCIZI (* indica una difficoltà più elevata)
Esercizio 1: Dimostrare che non esiste il massimo numero naturale.
Esercizio 2: Se π‘₯ ∈ β„•, π‘₯ 2 non è mai un numero primo.
Esercizio 3: Se la media di 𝑛 numeri è > π‘š, allora uno di quei numeri è > π‘š.
Esercizio 4: Se π‘₯ 2 è pari, allora π‘₯ è pari.
Esercizio 5: Sia 𝑝 un primo diverso da 2 e π‘₯ un numero. Allora 𝑝 + π‘₯ primo → π‘₯ pari.
Esercizio 6: Prendiamo un numero pari π‘˜. Costruiamo il numero π‘˜ ′ = 2π‘˜ + 1, poi continuiamo
a costruire numeri in modo che il successivo sia 2 volte il precedente +1.
Dimostrare che (β„Ž è un numero pari della successione) → β„Ž = π‘˜.
Esercizio 7*: Siano π‘Ž, 𝑏 ∈ β„• tali che π‘Ž > 𝑏 e 𝑏 ≠ 0. Dimostrare che esistono unici π‘ž, π‘Ÿ numeri
tali che π‘Ž = 𝑏 βˆ™ π‘ž + π‘Ÿ, con π‘Ÿ < 𝑏 (che non sono altro che il quoziente e il resto della divisione di
π‘Ž per 𝑏).
Esercizio 8*: √2 è irrazionale (cioè non si può scrivere come frazione di due numeri naturali).
Esercizio 9*: 2𝑝 − 1 è primo → 𝑝 è primo (è vero il viceversa? Consiglio di interessarsi almeno
dei cosiddetti “numeri primi di Mersenne” e dei numeri perfetti).
SOLUZIONI
Raccomando di non vedere la soluzione fino a non aver provato e riprovato a ragionare
sull’esercizio.
8
1. Supponiamo che esista 𝑛 ∈ β„• massimo dei naturali. Allora 𝑛 + 1 ∈ β„• e 𝑛 + 1 > 𝑛, dunque 𝑛
non è il massimo dei naturali, assurdo.
2. Supponiamo che π‘₯ 2 sia primo. Allora π‘₯ 2 è divisibile sia per 1, sia per π‘₯ che per π‘₯ 2 . Poiché π‘₯ 2
è primo, allora deve essere π‘₯ = 1 ∨ π‘₯ = π‘₯ 2 , cioè π‘₯ = 1 ∨ π‘₯ = 0. Ma in entrambi i casi, né
1 = 12 né 0 = 02 sono primi, assurdo.
3. Supponiamo che tutti i numeri siano ≤ π‘š. Allora, detta 𝑀 la media dei numeri:
π‘₯1 +. . . +π‘₯𝑛 π‘š+. . . +π‘š π‘šπ‘›
𝑀=
≤
=
= π‘š,
𝑛
𝑛
𝑛
assurdo.
4. Supponiamo π‘₯ dispari. Allora π‘₯ 2 è dispari, assurdo.
5. Supponiamo la falsità della tesi, cioè ¬(𝑝 + π‘₯ primo → π‘₯ pari). Per quanto abbiamo visto,
questo è equivalente a 𝑝 + π‘₯ primo ∧ ¬(π‘₯ pari), cioè 𝑝 + π‘₯ primo ∧ π‘₯ dispari.
Poiché 𝑝 primo ∧ 𝑝 ≠ 2 → 𝑝 dispari, allora 𝑝 + π‘₯ pari. Poiché 𝑝 > 2 → 𝑝 + π‘₯ > 2, dunque
𝑝 + π‘₯ non è primo, assurdo.
6. Supponiamo la falsità della tesi, cioè ¬((β„Ž è un numero pari della successione) → β„Ž = π‘˜).
Abbiamo visto che è equivalente a (β„Ž è un numero pari della successione) ∧ β„Ž ≠ π‘˜.
Allora β„Ž = 2π‘š per un certo π‘š ∈ β„•, quindi, se β„Ž = 2π‘˜ + 1, abbiamo che 2π‘š = 2π‘˜ + 1, cioè
un numero pari è uguale a uno dispari, assurdo.
7. Poiché dobbiamo dimostrare che esistono unici tali π‘ž, π‘Ÿ, allora articoliamo la dimostrazione
in due parti: nella prima ne dimostriamo l’esistenza, nella seconda l’unicità.
Esistenza: Consideriamo l’insieme 𝑆 = {π‘Ž − 𝑛𝑏|𝑛 ∈ β„•} ∩ β„•. Poiché 0 ∈ 𝑆, allora 𝑆 è non
vuoto e dunque ammette minimo, sia esso π‘Ÿ.
Facciamo vedere che π‘Ÿ < 𝑏: infatti, se fosse π‘Ÿ ≥ 𝑏, allora π‘Ÿ − 𝑏 ≥ 0 e dunque π‘Ÿ − 𝑏 ∈ 𝑆, cioè
π‘Ÿ non sarebbe il minimo di 𝑆, assurdo.
Sia π‘ž tale che π‘Ž − π‘žπ‘ = π‘Ÿ; abbiamo trovato i π‘ž, π‘Ÿ che volevamo.
Unicità: Supponiamo per assurdo che esistano due coppie diverse π‘ž, π‘Ÿ e π‘ž ′ , π‘Ÿ ′ che soddisfano
le ipotesi. Supponiamo ad esempio che π‘ž > π‘ž ′ (da cui dunque π‘Ÿ < π‘Ÿ ′).
Allora π‘Ž = π‘žπ‘ + π‘Ÿ = π‘ž ′ 𝑏 + π‘Ÿ ′ , da cui (π‘ž − π‘ž ′ )𝑏 = π‘Ÿ ′ − π‘Ÿ.
Sicuramente π‘ž − π‘ž ′ ≥ 1, perciò (π‘ž − π‘ž ′ )𝑏 ≥ 𝑏.
D’altra parte, π‘Ÿ ′ < 𝑏 → π‘Ÿ ′ − π‘Ÿ < 𝑏, quindi 𝑏 < 𝑏, assurdo.
π‘š
8. Supponiamo per assurdo che √2 = 𝑛 , con π‘š, 𝑛 ∈ β„• e ridotta ai minimi termini (cioè il
massimo comun divisore fra π‘š e 𝑛 è 1. Allora:
π‘š2
2 = 2 → π‘š2 = 2𝑛2
𝑛
Dunque π‘š2 è pari, quindi π‘š è pari. Perciò π‘š = 2π‘˜ per un certo π‘˜ ∈ β„•. Allora:
(2π‘˜)2 = 2𝑛2 → 2π‘˜ 2 = 𝑛2 ,
da cui 𝑛 è pari, assurdo, poiché allora 𝑀. 𝐢. 𝐷(π‘š, 𝑛) ≥ 2.
9. Se per assurdo 𝑝 non è primo, allora 𝑝 = π‘Žπ‘ per certi π‘Ž, 𝑏 ∈ β„•, π‘Ž, 𝑏 > 1.
Allora 2𝑝 − 1 = 2π‘Žπ‘ − 1 = (2π‘Ž − 1)(2π‘Ž(𝑏−1) + 2π‘Ž(𝑏−2) +. . . +2π‘Ž + 1), cioè 2𝑝 − 1 è divisibile
per 2π‘Ž − 1, che è > 1 perché π‘Ž > 1, assurdo.
9
2.2 Dimostrazione per induzione
Questa tecnica è usata spessissimo in matematica, specialmente nelle dimostrazioni che
riguardano i numeri naturali.
Enunciamo innanzitutto il principio di induzione:
PRINCIPIO DI INDUZIONE: Supponiamo che 𝑃(π‘₯) sia una proprietà dipendente da π‘₯.
Supponiamo che:
ο‚· 𝑃(π‘Ž) vale;
ο‚· ∀𝑛 ≥ π‘Ž, 𝑃(𝑛) → 𝑃(𝑛 + 1).
Allora 𝑃(𝑛) vale ∀𝑛 ≥ π‘Ž.
Intuitivamente, il principio di induzione può essere paragonato al domino: cioè se facciamo
cadere la prima pedina, e ogni pedina fa cadere la successiva, allora cadranno tutte le pedine.
Nella maggior parte dei casi, abbiamo π‘Ž = 0 o π‘Ž = 1.
Quindi, per dimostrare che 𝑃(π‘₯) è vera ∀π‘₯ ∈ β„•, dobbiamo dimostrare che 𝑃(0) (o 𝑃(1)) vale
(passo base) e che, se 𝑃(𝑛) vale, vale anche 𝑃(𝑛 + 1) ∀𝑛 ∈ β„• (passo induttivo).
Facciamo un semplice esempio:
ENUNCIATO 2.5: ∑𝑛𝑖=1 𝑖 =
𝑛(𝑛+1)
2
∀𝑛 ≥ 1.
Mostriamo il passo base, cioè 𝑛 = 1.
1βˆ™2
Dobbiamo dimostrare che ∑1𝑖=1 𝑖 = 2 . Questo è banale, poiché entrambi i membri sono = 1.
Supponiamo ora vera 𝑃(𝑛), cioè che ∑𝑛𝑖=1 𝑖 =
𝑛+1
𝑛
∑𝑖 = ∑𝑖 + 𝑛 + 1 =
𝑖=1
𝑖=1
𝑛(𝑛+1)
(𝑛+1)(𝑛+2)
2
2
; mostriamo che ∑𝑛+1
𝑖=1 𝑖 =
.
(𝑛 + 2)(𝑛 + 1)
𝑛(𝑛 + 1)
+𝑛+1=
2
2
da cui la tesi.
Notiamo che il principio di induzione, come qualsiasi altro enunciato, avrebbe bisogno di una
dimostrazione.
Usualmente, però, in matematica esso viene posto come assioma, cioè viene considerato
intuitivamente valido a tal punto di porlo vero senza dimostrazione.
Per chi fosse interessato, il principio di induzione è logicamente equivalente (cioè da uno si
dimostra l’altro e viceversa) al principio del minimo, che afferma:
PRINCIPIO DEL MINIMO: Ogni sottoinsieme non vuoto di β„• ammette un minimo.
Visto che intuitivamente l’induzione appare come un metodo molto forte, mentre quest’ultimo
sembra infinitamente più debole, invito i più coraggiosi a dimostrare le due implicazioni.
Premetto che è difficile, ma è sempre utile (e interessante) provare qualcosa di ambizioso!
(Suggerimento: potrebbe essere utile la dimostrazione per assurdo)
Per i più coraggiosi, proponiamo una dimostrazione:
10
ο‚·
ο‚·
Dimostriamo che il principio del minimo implica il principio di induzione.
Vogliamo dimostrare che, assumendo vero il principio del minimo, le proprietà 𝑃(0) vera e
∀𝑛 > 0, 𝑃(𝑛) → 𝑃(𝑛 + 1) implicano che 𝑃(𝑛) è vera ∀𝑛 ∈ β„•.
Consideriamo 𝑆 = {π‘˜ ∈ β„•|𝑃(π‘˜) π‘“π‘Žπ‘™π‘ π‘Ž} e supponiamo per assurdo che sia 𝑆 ≠ ∅.
Allora 𝑆 contiene l’elemento minimo π‘š > 0, cioè 𝑃(π‘š) è falsa. Ma π‘š è il minimo di 𝑆,
quindi π‘š − 1 ∉ 𝑆, cioè 𝑃(π‘š − 1) è vera. Ma per ipotesi 𝑃(π‘š − 1) → 𝑃(π‘š), quindi 𝑃(π‘š) è
vera, assurdo.
Dimostriamo che il principio di induzione implica il principio del minimo.
Per assurdo, sia 𝑇 un sottoinsieme dei naturali che non ha un minimo. Consideriamo β„• − 𝑇.
Mostriamo per induzione forte (poiché è equivalente all’induzione) che β„• − 𝑇 = β„•.
Passo base): 0 ∈ β„• − 𝑇, poiché se non ci stesse, allora 0 ∈ 𝑇 e dunque 𝑇 avrebbe un elemento
minimo (poiché 0 è il più piccolo dei naturali);
Passo induttivo): Se 0,1,2, … , 𝑛 ∈ β„• − 𝑇, allora 𝑛 + 1 ∈ β„• − 𝑇, poiché altrimenti 𝑛 + 1 ∈ 𝑇 e
0, … , 𝑛 ∉ 𝑇, assurdo perché 𝑛 + 1 sarebbe il minimo di 𝑇.
Dunque β„• − 𝑇 = β„•, cioè 𝑇 = ∅, tesi.
Osserviamo inoltre che il passo base è necessario quanto il passo induttivo; è quindi un errore
molto grave (nonostante spesso il passo base sia una banale verifica) non soffermarsi sulla sua
effettiva validità. A questo proposito, mostriamo il seguente controesempio:
CONTROESEMPIO 2.6: Tutti i gruppi di 𝑛 gatti contengono solo gatti blu.
Dimostrazione:
Dimostriamo solo il passo induttivo.
Dobbiamo mostrare che è vera la proprietà (ogni gruppo di 𝑛 gatti contiene solo gatti blu) →
(ogni gruppo di 𝑛 + 1 gatti contiene solo gatti blu).
Poiché ∀𝑛 ≥ 1 la premessa è falsa (in quanto non esistono gatti blu), allora la proprietà è sempre
vera.
Da questo segue la tesi.
È evidente che la mancanza del passo base rende veri enunciati palesemente falsi.
Ecco perché è così grave l’omissione del passo base.
Esiste un’altra formulazione del principio di induzione, chiamata induzione forte, equivalente
alla prima:
PRINCIPIO DI INDUZIONE II: Sia 𝑃(π‘₯) una proprietà dipendente da π‘₯. Supponiamo che:
ο‚· 𝑃(0) vera;
ο‚· ∀𝑙, (∀π‘˜ < 𝑙, 𝑃(π‘˜) vera) → 𝑃(𝑙) vera
Allora 𝑃(𝑛) è vera ∀𝑛 ∈ β„•.
Questa seconda formulazione prende il nome di induzione forte perché contiene un’ipotesi più
forte di quella dell’altra formulazione.
Infatti, l’induzione I chiede che se è vera 𝑃(𝑛), è vera anche 𝑃(𝑛 + 1), mentre l’induzione II
chiede che se sono vere tutte le 𝑃(π‘˜), con π‘˜ < 𝑛 + 1, allora è vera anche 𝑃(𝑛 + 1).
11
Questa formulazione può essere molto utile in certe dimostrazioni; facciamo un esempio.
ENUNCIATO 2.7: Sia {π‘₯𝑛 } una successione definita da: π‘₯0 = 0, π‘₯1 = 1, π‘₯𝑛+2 =
π‘₯𝑛+1 +π‘₯𝑛
2
∀𝑛 ∈ β„•.
Dimostrare che 0 ≤ π‘₯π‘˜ ≤ 1 ∀π‘˜ ∈ β„•.
Se volessimo dimostrare questo enunciato con l’induzione I, dovremmo dimostrare che se
π‘₯
+π‘₯
0 ≤ π‘₯𝑛 ≤ 1, allora 0 ≤ π‘₯𝑛+1 ≤ 1, cioè 0 ≤ 𝑛−12 𝑛 ≤ 1. Ma non avendo alcuna ipotesi su π‘₯𝑛−1,
la dimostrazione non è completabile.
Procediamo invece con l’induzione II:
Dimostrazione:
Poiché π‘₯0 = 0 e 0 ≤ 0 ≤ 1, il passo base segue immediatamente.
Per ipotesi induttiva ho che 0 ≤ π‘₯𝑛 ≤ 1 e 0 ≤ π‘₯𝑛+1 ≤ 1, quindi, supponendo π‘₯𝑛+1 ≥ π‘₯𝑛 (il
viceversa è analogo):
π‘₯𝑛+1 + π‘₯𝑛
0 ≤ π‘₯𝑛 ≤
≤ π‘₯𝑛+1 ≤ 1,
2
da cui la tesi.
Facciamo ora un altro esempio, un po’ più complesso, di induzione II:
ENUNCIATO 2.8: Ogni numero 𝑛 ≥ 2 è scomponibile nel prodotto di primi.
Dimostrazione:
Procediamo con l’induzione II: il passo base è ovvio poiché 2 è primo e dunque è già scomposto
nel prodotto di primi.
Sia ora 𝑛 ∈ β„•, 𝑛 > 2; allora ci sono due possibilità: 𝑛 è primo o 𝑛 non è primo.
Se 𝑛 è primo, ho subito la tesi.
Se 𝑛 non è primo, allora si può scrivere come 𝑛 = π‘Ž βˆ™ 𝑏, con π‘Ž < 𝑛 ∧ 𝑏 < 𝑛.
Allora, per ipotesi induttiva, sia π‘Ž che 𝑏 sono scomponibili nel prodotto di primi.
Segue che quindi 𝑛 è scomponibile nel prodotto di primi, da cui la tesi.
Elenchiamo ora delle importantissime relazioni, semplicemente dimostrabili per induzione, che
chiunque con una conoscenza di base di matematica deve sapere:
1. ∑𝑛𝑖=1 𝑖 2 =
2.
3.
4.
π‘›βˆ™(𝑛+1)βˆ™(2𝑛+1)
6
π‘›βˆ™(𝑛+1) 2
𝑛
3
∑𝑖=1 𝑖 = (
)
2
𝑛−1
∑𝑖=0 (2𝑖 + 1) = 𝑛2
1−π‘ž 𝑛+1
∑𝑛𝑖=1 π‘ž 𝑖 =
, per
1−π‘ž
1
𝑖
π‘ž ≠ 1, che porta alla nota serie ∑∞
𝑖=1 π‘ž = 1−π‘ž, per |π‘ž| < 1.
ESERCIZI (* indica una difficoltà più elevata)
1. Calcolare ∑𝑛𝑖=1 ∑𝑖𝑗=1(2𝑗 + 1).
𝑖
𝑖
2𝑛
2. Calcolare ∑2𝑛
𝑖=1 ⌊2⌋ e ∑𝑖=1 ⌈2⌉ (ricordiamo che ⌊π‘Ž⌋ è la funzione pavimento che vale l’intero
più grande minore di π‘Ž e che ⌈π‘Ž⌉ è la funzione soffitto che vale l’intero più piccolo maggiore
di π‘Ž).
3. Mostrare che ∑𝑛𝑖=1 𝑖 3 = (∑𝑛𝑖=1 𝑖 )2. Esiste un’altra dimostrazione di questo fatto?
12
4.
5.
6.
7.
*Dimostrare che tutte le potenze di 3 hanno la cifra delle decine pari.
(1 + π‘₯)𝑛 ≥ 1 + 𝑛π‘₯, per ogni 𝑛 ∈ β„•, π‘₯ ≥ −1 (Disuguaglianza di Bernoulli).
Dimostrare che 𝑛3 + 5𝑛 è divisibile per 6 per ogni 𝑛 ≥ 1.
*Siano date 𝑛 rette nel piano. Si chiede di trovare una formula che conti il numero massimo
di zone individuate da queste rette e di dimostrarne l’esattezza.
8. **Trovare una procedura algoritmica che, data la formula compatta per ∑𝑛𝑖=1 𝑖 π‘Ž per tutti gli
π‘Ž ≤ π‘˜, trova la formula compatta per ∑𝑛𝑖=1 𝑖 π‘˜+1 .
9. **Siano dati 𝑛 blocchi rettangolari infilati dentro un’asta rigida, messi secondo un ordine
decrescente di grandezza come in figura (nel caso 𝑛 = 6). Ad ogni mossa si può spostare un
unico blocco da una ad un’altra qualsiasi asta, purché il blocco poggi o in terra o sopra un
blocco più grande. Il gioco finisce quando la torre è ricomposta in questo ordine sulla terza
asta. Si chiede di trovare una formula che conti il numero minimo di passi necessari per
completare il gioco e di dimostrarne l’esattezza.
10. **Sia data una scacchiera 2𝑛 × 2𝑛 , con 𝑛 ∈ β„•. Si annerisce una casella qualunque. Si dimostri
che si possono ricoprire esattamente le altre 22𝑛 − 1 caselle con pezzi a “L” di 3 caselle
ognuno, senza che questi siano sovrapposti o escano dalla scacchiera.
11. *Sia dato il numero π‘ž ∈ β„š tale che in scrittura decimale sia π‘ž = π‘Ž1 … π‘Žπ›Ό , 𝑏1 … 𝑏𝛽 𝑐1 … 𝑐𝛾 , con
0 ≤ π‘Žπ‘– , 𝑏𝑗 , π‘π‘˜ ≤ 9 ∀𝑖, 𝑗, π‘˜ (dove gli π‘Žπ‘– rappresentano la parte intera, i 𝑏𝑗 l’antiperiodo e i π‘π‘˜ il
periodo. Dimostrare che π‘ž =
π‘Ž1 …π‘Žπ›Ό 𝑏1 …𝑏𝛽 𝑐1 …𝑐𝛾 −π‘Ž1 …π‘Žπ›Ό 𝑏1 …𝑏𝛽
⏟
99…99
⏟
00…00
, cioè "tutto il numero meno tutto il
𝛾 π‘£π‘œπ‘™π‘‘π‘’ 𝛽 π‘£π‘œπ‘™π‘‘π‘’
numero senza il periodo fratto tanti 9 quante le cifre del periodo e tanti 0 quante le cifre
dell’antiperiodo”.
2
12. *Calcolare ∑𝑛𝑖=1⌊√𝑖⌋.
13. *Sia 𝐴1 = {1}, 𝐴2 = {4,9}, 𝐴3 = {16,25,36}, in generale sia 𝐴𝑛 l’insieme che contiene gli 𝑛
quadrati immediatamente successivi a quelli di 𝐴𝑛−1. Sia 𝑆𝑛 la somma degli elementi di 𝐴𝑛 .
Trovare una formula chiusa per 𝑆𝑛 .
14. *Consideriamo una scacchiera infinita in cui in ogni casella c’è un numero reale con la
seguente proprietà: il numero di ogni casella è uguale alla media dei numeri delle 4 caselle
adiacenti. Dimostrare che tutti i numeri della scacchiera sono uguali.
13
3 IL PRINCIPIO DEI CASSETTI
Concludiamo questa breve presentazione con un principio che deve la sua grandiosità alla sua
infinita semplicità. Il principio dei cassetti (noto anche come il principio delle gabbie e dei
piccioni) riveste un ruolo fondamentale nello studio della teoria degli insiemi, quella disciplina
che studia le relazioni fra insiemi infiniti.
Il nostro scopo qui è molto più limitato, in quanto studieremo le proprietà degli insiemi finiti,
molto più vicini alla nostra immaginazione e alle nostre capacità di astrazione.
PRINCIPIO DEI CASSETTI: Mettiamo 𝑛 + 1 piccioni in 𝑛 gabbie. Allora in almeno una gabbia
ci sono almeno 2 piccioni.
La veridicità di questo principio è assolutamente evidente: dopo aver messo un piccione per
gabbia, tutte le gabbie contengono un piccione e ne rimane uno da porre; dovunque lo
mettiamo, in quella gabbia ci saranno 2 piccioni. Non è difficile intuire che con qualunque altra
disposizione la situazione è analoga.
Mostriamo un evidente corollario del principio dei cassetti:
COROLLARIO 1: Mettiamo 𝑛 + π‘˜ piccioni, π‘˜ ≥ 1, in 𝑛 gabbie. Allora in almeno una gabbia ci
sono almeno 2 piccioni.
Per quanto (a prima vista) banale, questo enunciato permette di risolvere problemi di
elevatissima difficoltà, altrimenti insolubili.
Una formulazione equivalente del corollario 1 è:
COROLLARIO 2: Siano 𝐴, 𝐡 insiemi, con |𝐴| < |𝐡| (|𝐴| indica il numero di elementi di 𝐴).
Allora non esistono funzioni iniettive da 𝐡 ad 𝐴.
Introduciamo infine un ultimo corollario, più raro nell’utilizzo, ma altrettanto importante:
COROLLARIO 3: Mettiamo π‘›π‘˜ + 1 piccioni, π‘˜ ≥ 1, in 𝑛 gabbie. Allora in almeno una gabbia ci
sono almeno π‘˜ + 1 piccioni.
Mostriamo ora un esempio di applicazione del principio dei cassetti:
𝑝
ENUNCIATO 3.1: Sia π‘Ž = π‘ž ∈ β„š. Allora π‘Ž ha una struttura decimale limitata oppure periodica.
Dimostrazione:
Se π‘Ž ha una struttura decimale limitata, allora ho la tesi.
Se invece ha infinite cifre dopo la virgola, consideriamo la divisione di 𝑝 per π‘ž.
Sappiamo che esistono 𝑧, π‘Ÿ1 ∈ β„•|𝑝 = π‘§π‘ž + π‘Ÿ1; 𝑧 è la parte intera di π‘Ž.
Ora, se 𝑧2 , π‘Ÿ2 ∈ β„•|10π‘Ÿ1 = 𝑧2 π‘ž + π‘Ÿ2 , notiamo che 𝑧2 è la prima cifra decimale di π‘Ž.
In generale, siano π‘§π‘˜ , π‘Ÿπ‘˜ ∈ β„•|10π‘Ÿπ‘˜−1 = π‘§π‘˜ π‘ž + π‘Ÿπ‘˜ ; allora π‘§π‘˜ è la π‘˜-esima cifra decimale di π‘Ž.
Poiché 1 ≤ π‘Ÿπ‘– ≤ π‘ž − 1 ∀𝑖, in quanto sono resti e sono ≠ 0 perché π‘Ž ha infinite cifre decimali,
allora dobbiamo assegnare ad ogni π‘Ÿπ‘– un valore compreso fra 1 e π‘ž − 1.
14
In altre parole, dobbiamo porre infiniti resti in un numero finito di gabbie (per la precisione
π‘ž − 1), dunque per il principio dei cassetti esisteranno due resti, diciamo π‘Ÿπ‘— = π‘Ÿβ„Ž , uguali (𝑗 < β„Ž).
Poiché π‘Ÿπ‘— = π‘Ÿβ„Ž e π‘ž = π‘ž, allora avremo 𝑧𝑗 = π‘§β„Ž e π‘Ÿπ‘—+1 = π‘Ÿβ„Ž+1 .
Ma poiché π‘Ÿπ‘—+1 = π‘Ÿβ„Ž+1 e π‘ž = π‘ž, allora avremo 𝑧𝑗+1 = π‘§β„Ž+1 e π‘Ÿπ‘—+2 = π‘Ÿβ„Ž+2 .
Tramite una immediata induzione, troviamo che le cifre decimali fra la 𝑗-esima e la (β„Ž − 1)esima sono uguali a quelle fra la β„Ž-esima e la (2β„Ž − 𝑗 − 1)-esima.
Quindi π‘§β„Ž = 𝑧2β„Ž−𝑗 , quindi 𝑧𝑗 = π‘§β„Ž = 𝑧2β„Ž−𝑗 , dunque procedendo come prima dimostriamo che le
cifre dalla β„Ž-esima alla 𝑗-esima si ripetono uguali all’infinito, cioè che la struttura decimale di π‘Ž
è periodica.
Con questo esempio possiamo intuire la potenza del principio dei cassetti: infatti il fatto appena
dimostrato è difficilmente dimostrabile con altre vie.
Le applicazioni del principio dei cassetti sono infinite; potrebbe essere necessaria una sua furba
applicazione nella più disparata e impensabile situazione; basti pensare che l’esercizio 1
proposto qui sotto era presente nella scorsa olimpiade nazionale a Cesenatico ed è stato risolto
correttamente da una dozzina di ragazzi in tutta Italia!
ESERCIZI
1) **Dimostrare che esiste un numero 𝑁 che si scrive come somma di almeno due diverse 2015uple 0 < π‘₯1 <. . . < π‘₯2015 di potenze 2014-esime di interi positivi (e generalizzare il risultato
per 𝑑 + 1-uple di potenze 𝑑-esime).
2) *Dimostrare che dati i primi 2𝑛 numeri naturali, comunque ne scelga 𝑛 + 1, ce ne saranno
almeno due tali che uno divide l’altro.
3) Dimostrare che dati tre numeri naturali, ce ne sono due la cui somma è pari.
4) *Dimostrare che ogni permutazione dei primi 𝑛2 + 1 interi positivi contiene una
sottosequenza crescente o decrescente di lunghezza 𝑛.
5) **Consideriamo un percorso automobilistico circolare per percorrere il quale occorrono
esattamente 100 litri di benzina. Lungo il percorso sono state disposte, in modo casuale,
alcune taniche di benzina che in totale contengono 100 litri, ma che individualmente
contengono un numero casuale di litri. Dimostrare che esiste un punto del percorso a partire
dal quale, a serbatoio inizialmente vuoto, si riesce a completare il giro (Suggerimento:
combina induzione e principio dei cassetti).
6) Ci sono 15 persone ad un festa e alcune di esse si scambiano un stretta di mano. Dimostrare
che almeno due persone hanno stretto lo stesso numero di mani.
7) Ci sono 𝑛 persone ad un festa e alcune di esse si scambiano un stretta di mano. Dimostrare
che almeno due persone hanno stretto lo stesso numero di mani.
8) *Ad uno stage partecipano 9 ragazzi, ciascuno dei quali parla al più 3 lingue. Sapendo che
ogni coppia di ragazzi riesce a comunicare (dunque i suoi due componenti hanno una lingua
in comune), si dimostri che almeno una lingua è parlata da almeno 5 ragazzi.
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