Capitolo VIII
L’atto nello spazio e nel tempo
1.Lo spazio e il tempo
L’atto si inquadra nel tempo e nello spazio. Il punto di vista spaziale è importante, soprattutto in materia
processuale, costituendo il luogo dove il contratto è stato concluso o deve essere eseguito un possibile criterio di
individuazione della competenza territoriale del giudice al pari del resto del luogo ove il convenuto ha la propria
residenza.
Lo spazio non è peraltro regolamentato da nessuna norma, nel senso che i privati sono liberi di individuare a
proprio piacimento il luogo ove agire.
Dal punto di vista temporale:
- da un lato si pone il termine che i privati possono apporre liberamente a taluni atti e non ad altri e talvolta è
addirittura necessario apporre. Si pensi per esempio al termine di adempimento delle obbligazioni che
costituisce un elemento imprescindibile dell’atto.
- dall’altro si situa il termine inteso come periodo temporale entro il quale un dato diritto è esercitato. Al mancato
esercizio protratto per un tempo stabilito dalla legge è ricollegata dall’ordinamento la perdita del diritto stesso.
La ratio della sanzione è diversa a seconda dei casi ma è comunque inquadrata spazialmente e temporalmente.
2. La prescrizione
Secondo l’art. 2034 ogni diritto si estingue per prescrizione; quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge.
Se la prescrizione operasse nel senso di estinguere il diritto, non si comprenderebbe la regola posta dall’art. 2940
secondo cui non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato. Dovrebbe allora ipotizzarsi che
a seguito della prescrizione nascerebbe in capo al debitore un’obbligazione naturale.
Sembra più opportuno dire che il diritto prescritto non si estingue ma perde la propria forza, nel senso che, se si
agisce in giudizio, il terzo potrà obiettare l’intervenuta prescrizione, in tal modo bloccando l’iniziativa
giurisdizionale. Ma se tale eccezione non viene opposta, il diritto potrà essere fatto valere ad ogni effetto.
Questa interpretazione della norma appare la più coerente tra le altre regole. Il giudice innanzitutto non può
rilevare d’ufficio (di propria iniziativa) la prescrizione non opposta dalla parte convenuta in giudizio, ma, se
eccepita, assicurando il contraddittorio, individuare la norma applicabile, se essa prevede un termine diverso
rispetto a quello che deve comunque essere indicato dalla parte. Se invece il diritto prescritto si estinguesse il
giudice dovrebbe rilevarlo sul piano della legittimazione ad agire, che sarebbe carente per assenza del diritto posto
a base dell’azione giudiziale e in presenza di un’obbligazione naturale incoercibile (che non dà azione).
Inoltre la prescrizione, se già maturata è rinunziabile ad opera del soggetto che potrebbe avvalersene, segno questo
evidente che il diritto prescritto non si è stinto perché altrimenti una rinunzia non avrebbe senso.
La rinunzia può essere manifestata anche per fatti concludenti, assolutamente incompatibili con la volontà di
avvalersi della prescrizione; per esempio la ricognizione del debito, la richiesta di una dilazione di pagamento.
In materia di transizione vale rinunzia la transazione sul quantum debeatur in sede risarcitoria, ma non la
trattativa transattiva se si contenta il diritto della controparte.
Per quanto la parte vi abbia rinunziato o non la faccia valere, la prescrizione può essere opposta dai suoi creditori o
da chiunque vi abbia interesse.
Le eccezioni poste alla generale regola della prescrittibilità dei diritti sono due:
 quella di carattere generale, riguarda i diritti indisponibili, quelli cioè che non possono essere oggetto di atti di
disposizione da parte del titolare: diritti della personalità, gli status, la potestà dei genitori.
 quella di carattere speciale, riguarda singole ipotesi tipicamente previste, importante è l’imprescrittibilità della
qualità di erede.
In entrambi i casi la norma fa salvi gli effetti dell’usucapione maturata da terzi.
È bene precisare che l’imprescrittibilità del diritto di proprietà significa anche imprescrittibilità delle singole facoltà
che ne costituiscono il contenuto.
La prescrizione presuppone il mancato esercizio di un diritto per un dato tempo. Questo tempo è fissato
inderogabilmente dalla legge in misura variabile a seconda dei casi.
La prescrizione ordinaria è decennale. Un periodo quinquennale è previsto invece per i diritti che derivano dai
rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese, per gli interessi, per le indennità spettanti per la
cessazione del rapporto di lavoro.
Anche il diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale si prescrive in cinque anni, o, se prodotto
dalla circolazione dei veicoli di ogni specie, in due.
La prescrizione è annuale in materia di mediazione, spedizione, trasporto e assicurazione.
I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione inferiore ai dieci anni (prescrizione breve) si prescrivono
egualmente in un decennio se riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato.
Sul piano processuale talune azioni sono imprescrittibili (azione di petizione ereditaria, azione di nullità e azione di
rivendica ), altre si prescrivono in un quinquennio (azione revocatoria, azione di annullamento), altre in un anno
(azione di rescissione). È imprescrittibile l’azione di accertamento negativo volta a far valere l’inesistenza o
l’inefficacia di un rapporto giuridico, perché in tale ipotesi l’azione si legittima come potestà autonoma.
Diversamente è in caso di azione di accertamento positivo, essendo logico che essa perduri finché è in vita il diritto
da accertare.
Quanto alla prescrizione superiore a quella decennale ordinaria, si prescrivono in un ventennio per non uso i diritti
reali su cosa altrui.
La legge prevede anche prescrizioni denominate presuntive, caratterizzate dal fatto che, trascorso un dato periodo, il
diritto si presume estinto per intervenuto pagamento. Trattasi, dunque, di una presunzione iuris tantum di
estinzione, che ammette cioè la prova contraria.
Diverso dunque è il fondamento della prescrizione presuntiva rispetto a quella ordinaria, tanto ciò vero che, non è
ammissibile eccepire in uno stesso giudizio l’una e l’altra, perché la prima eccezione si basa sul presupposto che
l’estinzione dell’obbligazione sia avvenuta mediante pagamento o altro mezzo estintivo, la seconda presuppone che
l’obbligazione non sia sta estinta ma il diritto possa essere bloccato nel suo esercizio.
La presunzione di avvenuto pagamento si applica a quei rapporti tipici della vita quotidiana che si svolgono senza
formalità. Essa pertanto non può operare quando il credito scaturisce da un contratto stipulato per iscritto o
quando le parti abbiano concordato un differimento o un frazionamento dell’adempimento.
termine di prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere in esito ad invio ad
adempiere. È invece irrilevante l’impossibilità di fatto, quale l’ignoranza della identità dell’obbligato o della nullità di
una sentenza per difetto di sottoscrizione da parte del giudice o della titolarità del diritto.
In caso di lesione di un diritto, vale però il momento in cui essa è concreta e conoscibile mentre in caso di
trasmissioni di malattia contagiosa, di indegnità a succedere e di illeciti degli amministratori, decorre da quando si
manifesta in forma oggettiva la malattia. La prescrizione dell’azione revocatoria decorre da quando all’atto di
disposizione è stata data pubblicità.
Il termine non decorrerà anche con riguardo all’inadempimento dovuto ad un comportamento doloso o da violenza
da parte di terzi.
La sospensione ha come effetto di rinviare l’inizio della decorrenza o di sospenderla. Durante il periodo di
sospensione il tempo non decorre cosicché la prescrizione maturerà quando sarà trascorso il termine di legge una
volta sommato quello precedente a quello successivo al periodo sospeso.
Le cause di sospensione sono tassative e attengono ai rapporti esistenti tra le parti e alle particolari condizioni
soggettive del titolare.
Il nostro ordinamento conosce anche l’istituto dell’interruzione del decorso, per effetto del quale inizia a decorrere
un nuovo periodo di prescrizione, senza che possa tenersi conto di quello precedente. Ha efficacia interruttiva ogni
atto che valga a costituire in mora il debitore, sia esso stragiudiziale o giudiziale.
Stragiudizialmente l’atto consiste in una richiesta o intimazione scritta del titolare del diritto indirizzata al debitore
e diretta ad ottenere l’esecuzione della prestazione.
Giudizialmente l’interruzione segue alla notificazione di un atto di citazione con il quale si inizia un giudizio, sia
esso di cognizione o conservativo o esecutivo.
Mentre l’interruzione giudiziale vale in ogni caso, quella stragiudiziale vale solo per l’esercizio dei diritti di credito ai
quali corrisponde un obbligo di prestazione.
Quelle ora viste sono cause civili d’interruzione ma in caso di non esercizio di un diritto reale su cosa altrui
l’interruzione può anche conseguirsi mediante atti reali di godimento del bene; si parla di cause naturali
d’interruzione.
Talvolta l’ordinamento eccezionalmente interviene prevedendo la possibilità per qualsiasi interessato di ottenere dal
giudice, esperendo la actio interrogatoria, la fissazione di un termine abbreviato rispetto a quello prescrizionale.
3. La decadenza
Dalla prescrizione si differenzia la decadenza. L’esigenza di certezza pretende che date situazioni non possano
essere protratte al di là di tempi comunque circoscritti, al fine di evitare dubbi.
Non è ammessa né la sospensione né l’interruzione del corso del termine.
Eguali considerazioni della prescrizioni possono essere fatte per quanto riguarda la sospensione, sebbene in tal
caso trattasi d’ipotesi non legate in alcun modo al comportamento volontario del titolare del diritto ma piuttosto
dovute a situazioni e comportamenti obiettivi.
L’attenzione del legislatore per il profilo dell’indisponibilità si manifesta da un lato nell’impossibilità di operare una
rinuncia e dall’altro nella rilevabilità d’ufficio, ogniqualvolta la decadenza è stabilita dalla legge in materia sottratta
alla disponibilità delle parti, come quella tributaria.
La legge permette di fissare termini convenzionali di decadenza, purché essi non rendano eccessivamente difficile
ad una della parti l’esercizio del diritto.
Un termine di decadenza può essere fissato anche dal giudice a cui si rivolga la parte interessata al superamento di
una situazione d’incertezza. Tipico è il caso della actio interrogatoria in conseguenza della quale il giudice fissa, ad
esempio, il termine l’accettazione all’eredità.
La decadenza non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto. Tuttavia se si
tratta di un termine stabilito dal contratto o da una norma di legge relativa a diritti disponibili, la decadenza può
essere anche impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il
diritto soggetto a decadenza.
Non sempre è agevole stabilire se un certo termine è previsto dalla legge a pena di decadenza o di prescrizione. Si fa
riferimento allo scopo e alla funzione che il termine deve svolgere. Indici cono quello della maggiore brevità del
termine di decadenza e quello secondo cui la prescrizione riguarda sempre e solo l’esercizio di diritti mentre la
decadenza può riguardare anche atti conservativi all’esercizio del diritto stesso.