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LE TRE VIRTÙ TEOLOGALI
« Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e
la carità; ma di tutte più grande è la carità! » (1 Corinzi 13,13)
Nella dottrina cristiana le virtù teologali sono: la fede, la speranza e la carità.
Il vocabolo teologale deriva dal greco θεός=Dio e λόγος=parola, detto
SIGNIFICATO TEOLOGICO
Per la teologia cristiana le virtù teologali sono quelle virtù che riguardano Dio,
rendono l'uomo capace di vivere in relazione con la Trinità e fondano ed animano
l'agire morale cristiano, vivificando le virtù cardinali: (prudenza, giustizia, fortezza,
temperanza). Nella dottrina della Chiesa cattolica queste virtù, a differenza delle virtù
cardinali, non possono essere ottenute con il solo sforzo umano ma sono infuse
nell'uomo dalla grazia divina.
FEDE
La fede è la virtù per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ha rivelato
all'uomo e che la Chiesa ci propone a credere, perché Dio è la stessa Verità. Con la
fede l'uomo si abbandona liberamente e completamente a Dio per fare in pieno la sua
volontà.
SPERANZA
La speranza è la virtù per la quale noi desideriamo e aspettiamo da Dio la vita eterna
come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e
appoggiandoci all'aiuto della grazia dello Spirito Santo per meritarla e preservarla
sino alla fine della vita terrena.
CARITÀ
La carità è la virtù per la quale amiamo Dio al di sopra di tutto e il nostro prossimo
come noi stessi per amore di Dio. Gesù fa di essa il comandamento nuovo, ovvero la
pienezza della Legge di Dio. La carità è il vincolo di tutte le altre virtù, che anima,
ispira e ordina. Poiché la vera gratuità e lo spessore del vero amore è realizzato solo
in nome di Cristo. Tutto è amato e accolto in nome Suo. Ciò che è amato al di fuori di
lui è ugualmente un amore ma un amore imperfetto. La carità rimane l'unica
opportunità per l'uomo d'oggi ovvero la sua trasformazione in homo novus, e nel
contempo un monito, colmare il vuoto di carità per quel tanto di dolcezza che cade
dal cielo con la luce del sole.
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LA FEDE
Anche soltanto in ambito religioso la parola "fede" ha molti significati o quantomeno
coloriture. A volte sta ad indicare la lealtà nei confronti della propria religione (è in
questi termini che si parla, ad esempio, di "fede cattolica"). In alcune religioni, la fede
è costituita dal fatto che certe asserzioni vengono ritenute vere; in altre religioni, che
non sono basate su un certo “credo” codificato, la fede consiste nella lealtà nei
confronti della propria comunità religiosa.
Altre volte si intende per fede un certo modo di relazionarsi a Dio (e di assumere
reciprocamente degli impegni, come nel caso dell’ebraismo). In questo caso, "fede"
diventa sinonimo di "fedeltà". Un tale modo di relazionarsi alla divinità non implica
alcuna sottomissione acritica se non quella relativa alla credenza dell'esistenza della
divinità stessa. Per alcuni la fede diventa elemento di identità (qualcuno può pensare
a sé stesso ad esempio come ad un “musulmano” o ad uno "scettico").
La critica del razionalismo è che una siffatta fede sia irrazionale. Secondo questa
prospettiva, la credenza andrebbe limitata a ciò che è sostenibile tramite la logica,
oppure all’evidenza dei fatti. Molte religioni riconoscono comunque nella ragione e
nella logica un mezzo da affiancare alla fede per giungere alla verità (all'interno del
cattolicesimo, ad esempio, l'enciclica Fides et Ratio esprime questo concetto).
A volte si intende per fede la credenza nell’esistenza di Dio, distinguendo tra la
convinzione personale e quella che è materia di una certa confessione religiosa. Molti
ebrei, cristiani e musulmani sostengono che esiste un sufficiente numero di prove
storiche sia dell’esistenza di Dio sia del suo intervento nelle questioni umane. Di
conseguenza, a loro avviso, non c’è bisogno di una fede in Dio a dispetto
dell’evidenza contraria; si tratta piuttosto di affermare l’evidenza, e di utilizzare al
più la logica per chiarire chi o cosa sia “Dio”, e perché sia opportuno credere in lui.
Per queste persone la fede è dunque un sinonimo di “conoscenza di Dio".
Infine, alcuni credenti –– e molti critici – usano spesso il termine "fede" come
assenso ad una certa credenza, anche in mancanza di qualsiasi prova a favore e spesso
in aperta negazione dell’evidenza. Molti ebrei, cristiani e musulmani ammettono del
resto che, anche quando fosse possibile rintracciare prove concrete a supporto della
loro fede in Dio, essa non sarebbe per questo più salda. Questa nozione di “fede”
rifiuta di rinchiudere il discorso nell’ambito della logica. Una forma di fede simile a
questa è chiamata fideismo: si “deve” credere nell’esistenza di Dio, senza basarsi su
alcuna prova o convinzione o argomento razionale. Una tale prospettiva è spesso
associata al pensiero di Søren Kierkegaard (ed in particolare alla sua opera Timore e
tremore), e ad altri pensatori religiosi facenti capo all’esistenzialismo. William
Sloane Coffin ha affermato che ”fede” non è accettazione senza dimostrazione, ma
fiducia senza riserve.
Raimon Panikkar ha proposto al riguardo la seguente distinzione: per “fede” si
intende la capacità di aprirsi all’ulteriorità, a qualcosa di più, di oltre; si tratta di
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una capacità che non ci viene data né dai sensi né dall’intelletto (Panikkar si
richiama alla filosofia cristiana, che distingueva tra credere in Deum – apertura al
mistero – credere Deo – fiducia in ciò che può essere stato affermato da un essere
supremo – e credere Deum – credere nella sua esistenza). La fede (in Deum) non ha
oggetto; è il pensiero che ha un oggetto; se la fede avesse un oggetto sarebbe
ideologia, un frutto del pensiero, mentre la divinità affiora oltre il pensiero. La
“credenza” è invece la formulazione, l’articolazione dottrinale, compiuta
ordinariamente da una comunità, che si è progressivamente cristallizzata in
proposizioni, frasi, affermazioni e, in termini cristiani, dogmi. Credenza è
l’espressione simbolica, più o meno coerente, della fede che spesso viene formulata
in termini concettuali.
SECONDO IL NUOVO TESTAMENTO
Il significato principale della parola "fede" (traduzione dal greco πιστις, pi´stis), si
riferisce a colui che ha fiducia, che confida, che si affida, la cui persuasione è salda.
La parola greca può anche essere intesa nel senso di “fedeltà” (Tit 2,10).
L’estensore della Lettera agli Ebrei ha scritto che
« La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si
vedono. » (Ebrei 11,1)
Interessante è prendere in considerazione la traduzione di questo brano dal testo
siriaco:
« La fede è convincimento delle cose che si sperano e di quelle che furono in
atto, rivelazione di quelle che non si vedono. » (Ebrei 11,1)
Dante traduce fedelmente, il passo citato, nel Paradiso della "Divina Commedia", dal
testo della Vulgata :
« Fede è sustanza di cose sperate /e argomento de le non parventi; /e questa pare a
me sua quiditate. »
(Par., XXIV, 64-66.)
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La Lettera agli Ebrei continua illustrando il significato ed il ruolo pratico della fede:
« Senza la fede è impossibile essere graditi a Dio; chi infatti gli s'accosta
deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano. »
(Ebrei 11,1)
Riassumendo il concetto neotestamentario di fede, si può dire che esso è basato
sull’autorivelazione di Dio, soprattutto per quanto riguarda la fiducia nelle promesse
ed il timore dei castighi contenuti nella Bibbia.
Inoltre, gli autori del Nuovo Testamento associano la fede in Dio a quella in Gesù
Cristo. Il Vangelo di Giovanni è particolarmente chiaro al riguardo, dove Gesù dice
che
« ... il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al
Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non
onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato » (Giovanni 5,2223)
Alla richiesta
« "Che cosa dobbiamo fare per compiere la volontà di Dio?” Gesù rispose:
“Questa è la volontà di Dio: credere in colui che egli ha mandato”.
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