Modelli atomici
06 I modelli atomici
Le prime misure dello spettro dell'idrogeno mostrarono che l'emissione era concentrata in una
sequenza di righe molto netta e con separazione in frequenza variabile. Balmer (1855) riuscì a
trovare una formula empirica che rendeva ragione in maniera accurata della posizione delle righe
della serie visibile dell'idrogeno. Espressa tramite il reciproco della lunghezza d'onda, tale formula
risultava:
1
1
µ
/ ´ 1Î- œ V H  #  # 
2
7
Ð5.1Ñ
dove m è un mumero intero > # e VL è una costante empirica detta costante di Rydberg, la cui
misura aveva dato il risultato
VL œ "!*'() -7"
(5.2)
Più in generale si hanno, sempre per l'atomo d'idrogeno, le seguenti serie di righe spettrali
1
1
µ
/ ´ 1Î- œ V L  #  # 
8
7
Ð8 < 7Ñ
Ð5.3Ñ
dove 7 e 8 sono numeri interi:
per 8 œ " si ha la serie di Lyman (nell'u.v.)
per 8 œ # la serie di Balmer (nel visibile)
per 8 œ $ la serie di Paschen (nell'i.r.)
per 8 œ % la serie di Brackett (nell'i.r.), ecc..
La (5.3) aveva suggerito la definizione dei termini spettrali
V
"
8#
8 œ "ß #ß $ÞÞÞ
(5.4)
per combinazione dei quali si potevano ottenere (per differenza) le varie lunghezze d'onda delle
varie serie spettrali. Ciò andava sotto il nome di principio di ricombinazione di Ritz. Ritz stesso
aveva sottolineato che la sua formula non poteva essere giustificata in termini di teoria classica; se
infatti si pensa che l'emissione di radiazione da parte degli atomi sia dovuta ad un qualche moto
periodico di cariche all'interno dell'atomo, accanto ad una frequenza fondamentale dovrebbero
essere presenti anche le frequenza armoniche superiori, che viceversa non compaiono nella (5.3).
Prima di arrivare alla concezione atomica attuale furono proposti vari modelli tra cui
alcuni esempi sono:
- Modelli con atomo costituito per la massima parte da elettroni. L'atomo era costituito da un
gran numero di elettroni (da 500 a 1000 nel caso dell'atomo di idrogeno) con idee estremamente
vaghe per quanto riguardava le cariche positive. In una variante del 1897 dovuta a Thomson la
carica positiva era attribuita allo spazio tra gli elettroni.
- Modello di Thomson (1903-1906). In questo caso la carica positiva era distribuita in modo
omogeneo in una sfera con gli elettroni sparsi come lo zibibbo in un panettone. Gli elettroni erano
pari al numero atomico e la massa quindi concentrata nelle cariche positive. Si affacciava così
l'idea che le cariche positive e negative avessero proprietà intrinsecamente diverse (Jeans 1901).
Lenard nel 1903 proponeva che la massa atomica fosse dovuta quasi interamente alle cariche
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positive e che l'atomo fosse quasi vuoto. In questo contesto apparivano naturali i modelli planetari
proposti da Perrin (1901) e da Nagaoka (1903). Questo modello era alquanto curioso in quanto
l'atomo avrebbe avuto una struttura ad anelli simile a quella di Saturno.
Il modello di Thomson
Il modello di Thomson è una specie di modello a goccia molto semplice: la carica positiva
è uniformemente distribuita entro una sfera, in cui sono immersi gli elettroni, concepiti come
particelle molto piccole praticamente libere, da un punto di visto meccanico, di muoversi entro la
sfera e soggette solo a forze di natura elettrica. Il raggio della sfera, in accordo con le varie
valutazioni e previsioni della teoria cinetica dei gas, veniva valutato dell'ordine di "!) -7. In
condizioni normali gli elettroni si trovano in una posizione di equilibrio. Per determinare le
configurazioni di equilibrio occorre calcolare le forze cui sono soggetti gli elettroni in una
generica posizione e quindi determinare la posizione di equilibrio in corrispondenza dell'annullarsi
delle forze. Nel caso dell'atomo di idrogeno la cosa è ovvia, tuttavia richiamiamo il calcoletto che
ci servirà in seguito.
In una posizione generica alla distanza < dal centro, come in Figura 1.1, la forza è dovuta
alla sola carica ; w contenuta nella sfera di raggio <:
;w œ
%1 $
<
< 3 œ Ð Ñ$ ;
$
V
Ð5.5Ñ
dove 3 œ ;ÎÐ%1Î$ÑV $ indica la densità di carica elettrica dell'atomo di carica complessiva ; , e si
esercita come se tale carica fosse tutta concentrata nel centro della sfera, ossia
0œ 
/; w <
/;
œ  $ < œ  5<
#
< <
V
Ð5.6Ñ
Notiamo che questa forza è una tipica forza di richiamo, con 5 œ /;ÎV $ ; chiaramente quindi la
posizione di equilibrio statico è nel centro della sfera. Se vi sono due elettroni immersi in una
sfera di carica positiva ; œ #/, atomo di elio, è chiaro che essi devono trovarsi su uno stesso
Figura 1.1
diametro ed ad una distanza tale che su ciascuno di essi la forza di attrazione dovuta alla carica
positiva sia perfettamente compensata dalla forza di repulsione dovuta alla presenza dell'altro
elettrone. Ossia dev'essere
0"  0# œ 
/;
/#
<
<

œ!
V$
Ð<  <w Ñ# <
Ð5.7Ñ
Per ovvie ragioni di simmetria < œ <w e tenendo conto che ; œ #/ si ricava < œ VÎ#Þ
In maniera analoga si trova che tre elettroni si dispongono nella sfera ai vertici di un
triangolo equilatero di lato V. Thomson considerò inoltre il fatto che si possono ottenere
configurazioni di equilibrio anche se gli elettroni ruotano su orbite; orbite che naturalmente
devono avere un raggio maggiore della distanza dal centro relativa alla configurazione di
equilibrio statico. Tuttavia le maggiori difficoltà provenivano dal fatto che, passando a considerare
quattro elettroni, non vi è più una sola configurazione di equilibrio statico, ma tre. Gli elettroni
possono essere ai vertici di un quadrato, o ai vertici di un tetraedro regolare, oppure uno al centro
e tre ai vertici di un triangolo. Il numero di configurazioni prolifera vertiginosamente al crescere
del numero di elettroni.
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Thomson allora abbandonò 1'idea di ricercare tutte le possibili configurazioni di equilibrio
e si limitò a considerare solo quelle piane. Ma anche in questo caso vi erano diverse
configurazioni "piane" possibili. La configurazione più semplice è quella in cui gli elettroni sono
distribuiti in maniera regolare in un anello concentrico. Per 8  &, però, l'anello risulta sempre
instabile. Per rendere stabile l'anello, quando 8 œ 'ß (ß )ß *, è necessario collocare un elettrone al
centro dell'anello. Con 10 elettroni, almeno due elettroni devono occupare la regione interna
dell'anello in modo da garantire la stabilità: essi occupano, quindi, un anello"interno". Thomson
mostrò che un anello di m elettroni non è stabile se non contiene almeno altri p elettroni (m > p) al
suo interno.
È bene dire che Thomson non pretendeva in questo modo di costruire un modello
dell'atomo reale, ma viceversa cercava di scoprire se esistevano regolarità caratteristiche degli
atomi, immaginando che poi nelle configurazioni di equilibrio spaziali tali regolarità non
dovessero andare perdute. Invece di disporsi su anelli, gli elettroni presumibilmente formeranno
gusci sferici, con ogni guscio racchiudente il minor numero di elettroni all'interno permesso dalle
condizioni di stabilità. Con il criterio di minimo suddetto Thomson determinò le configurazioni di
equilibrio fino a Z=100. Il modello di Thomson suggerisce che una sistematica ripetizione delle
proprietà chimiche si verifichi tra gruppi di elementi. Questa interpretazione della Tavola
Periodica degli Elementi sulla base della struttura a gusci è stata probabilmente la caratteristica del
modello di Thomson che è durata più a lungo. La sola differenza essenziale con il punto di vista
moderno è che Thomson associa il comportamento chimico con la struttura dei gusci interni
invece che con quello esterno.
Il modello di Thomson ebbe un importante successo nel spiegare la diffusione dei raggi X,
la legge di dispersione dei dielettrici e altri fenomeni.
L'esperimento di Rutherford (1911).
Nel 1911 Rutherford ottenne un risultato importante riguardante la struttura dell'atomo.
Consideriamo i raggi ! emessi dal radio (Ra), che attraversano un qualche materiale con una
velocità elevata. La carica di una particella ! è data da +#/ (/ = valore assoluto della carica
"
dell'elettrone = "Þ' "!"* Coulomb œ %Þ) "!"! u.e.s. Ð" Coulomb ¶ $ "!* ?Þ/Þ=. œ "!
?./.7.).
Quando le particelle ! attraversano la materia, la loro direzione viene modificata a causa
delle cariche presenti (cariche  / degli elettroni e cariche positive, multipli di  /, con atomi
globalmente neutri). La presenza di elettroni nella materia era ben nota; ciò che non si sapeva era
come tali cariche fossero distribuite all'interno dell'atomo. La deflessione delle particelle ! era
principalmente dovuta alle cariche positive, a causa della loro massa molto maggiore di quella
dell'elettrone (7/ = !Þ*"" "!#( 1, mentre la massa dell'atomo di idrogeno L è circa ")$' volte
più grande). Perciò lo studio della diffusione ! poteva fornire informazioni sulla distribuzione
della carica positiva all'interno dell'atomo.
Il modello di Rutherford
L'insuccesso del modello di Thomson nello spiegare la deflessione delle particelle ! fu il
punto di partenza di Rutherford per un nuovo modello dell'atomo. Rutherford concentrò la sua
attenzione sulle esperienze di diffusione trascurando 1'antica difficoltà che richiedeva ad un
modello atomico coerente la spiegazione del mistero delle righe spettrali (serie di Balmer).
Rutherford capì che la principale difficoltà con cui si scontrava il modello di Thomson per
spiegare le grandi deflessioni delle particelle ! era dovuta al fatto che, durante l'urto con un
singolo atomo, le particelle ! si venivano a trovare in un campo di forze troppo debole. Egli cercò
quindi di introdurre nella maniera più semplice possibile un campo molto più intenso, senza
alterare il rapporto tra quantità di carica positiva e negativa, cosa necessaria per avere nel suo
complesso l'atomo neutro. Rutherford, come già aveva fatto Thomson, immaginò che quasi tutta la
massa dell'atomo fosse associata alla carica positiva, la quale però non doveva più essere pensata
come uniformemente distribuita in una sfera di raggio V , bensì concentrata nel centro dell'atomo
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stesso; una nuvola di carica negativa, uniformemente distribuita su tutto il volume atomico,
rendeva l'atomo neutro nel suo complesso.
L'ipotesi della nuvola elettronica, che ribaltava in un certo senso il modello di Thomson, fu
posta da Rutherford per comodità di trattazione matematica del problema di scattering senza
preoccuparsi molto di questioni di stabilità. L'idea di una nuvola di cariche negative, che egli ben
sapeva che doveva essere costituita da elettroni, consentiva comunque d'immaginare l'atomo
facilmente penetrabile e la traiettoria della particella ! poco disturbata dalla presenza di elettroni
cui era associata una massa piccolissima. Con il nuovo modello il campo repulsivo in cui viene a
trovarsi la particella ! attraversando l'atomo è molto più intenso e varia, in virtù della forza
coulombiana, come "Î<# , crescendo fortemente con il ravvicinarsi della particella al centro. Con i
dati sperimentali sulla diffusione delle particelle !, Rutherford ricavò che in un urto centrale le
dimensioni del nucleo in cui era concentrata la carica positiva dovesse essere inferiore o eguale a
$ "!"# -7. Il modello nucleare di Rutherford riuscì a spiegare in dettaglio le esperienze di
scattering !, e manteva validi i risultati di Thomson per l'assorbimento dei raggi X, la dispersione,
ecc..
Difficoltà del modello di Rutherford
Rimanevano insoluti i problemi della stabilità della distribuzione della carica positiva e
dello spettro della radiazione emessa; nasceva il nuovo problema della stabilità degli elettroni, che
avrebbero dovuto ruotare per compensare la forza attrattiva coulombiana, ma, così facendo,
avrebbero irradiato energia, finendo quindi sul nucleo. Riassumendo:
a) Ammettendo che l'atomo sia a riposo, con il centro di massa praticamente coincidente
col centro della carica positiva, si ha che le uniche grandezze a disposizione con le quali spiegare
le dimensioni dell'atomo ( µ 1 Å = 10-8 cm) sono la carica -e e la massa m dell'elettrone. Ma con
queste due grandezze non si può formare una lunghezza.
b) Se in qualche modo le orbite elettroniche sono determinate si avrebbe che, secondo la
teoria di Maxwell, essendo gli elettroni cariche accelerate, dovranno emettere radiazione e.m;
perderanno perciò progressivamente energia ed infine collasseranno sul nucleo. La stima del
tempo di collasso in base alla teoria classica porta al valore "Þ$ "!"" =ß cioè un tempo
ridicolmente piccolo in vista della stabilità degli atomi.
c) La frequenza della radiazione emessa risulta proporzionale a <$Î# (la radiazione verrà
emessa con la frequenza di rotazione = dell'elettrone attorno al nucleo), in accordo con la terza
legge di Keplero (cioè: periodo di rotazione X tale che X # º <$ ). Quindi = aumenta con < Ä ! .
Non si spiegano ancora le righe spettrali, che hanno frequenze caratteristiche ben definite.
Il modello di Bohr dell'atomo di idrogeno
Nel 1913 Niels Bohr propose una teoria per interpretare la serie di Balmer e le altre affini.
L'atomo di idrogeno, secondo il modello di Rutherford, consta di un nucleo e di un elettrone che
descrive intorno a quello un'ellisse kepleriana, o, in particolare, un cerchio. Il raggio < dell'orbita è
determinato dalle condizioni iniziali del moto, e può essere qualsiasi: basta che la velocita @ sia
tale che la forza centrifuga 7=# < eguagli l'attrazione elettrostatica del nucleo /# Î<# , da cui:
7=# < œ /# Î<# , @ œ Ê
/#
7<
Ð1.5Ñ
essendo @ œ =<. L'energia del sistema I œ "# 7@#  /# Î< si può quindi esprimere in funzione
della sola <, e risulta: I œ  Ð"Î#Ñ/# Î<. Bohr ammise che nella meccanica atomica esistesse una
condizione supplementare, per cui il moto non è possibile su tutti i cerchi ammessi dalla
meccanica ordinaria, ma soltanto su alcuni di essi, che si chiamano "orbite stabili" o "orbite
quantiche", i cui raggi costituiscono una successione infinita ma "discreta". Tale condizione
supplementare fu dal Bohr formulata richiedendo che il momento angolare (o momento della
quantità di moto) 7@< sia un multiplo intero di 2/#1 ( ´ h ): P ´ 7@< œ 8h . La "quantizzazione"
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dal momento angolare comporta anche quella della velocità, del raggio, dell'energia. Si trova
dunque:
<8 œ 8#
h#
" /#
;
@
œ
;
8
7/#
8 h
I8 œ 
" 7/4
8# #h #
Ð1.6Ñ
Ð1.7/Ñ
Introducendo la costante di "struttura fina":
!´
/#
"
¶
¶ (Þ#) "!$
h"$(
Ð1.8Ñ
le formule precedenti si possono riscrivere:
<8 œ 8#
h
-!
" !# 7- #
; @8 œ
; I8 œ  #
!78
8
#
Ð1.9Ñ
Usando i valori numerici noti, si ottiene dalle formule precedenti:
- "
"
<8 œ !.&#) 8# A° ; @8 œ
; I8 œ  "$Þ' # /Z
8 "$(
8
Ð1.10Ñ
Il raggio della prima orbita di Bohr (8 œ ") vale quindi: +! ¶ !Þ&#) "!) -7 (valore che risultava
dell'ordine di grandezza richiesto dalla teoria cinetica dei gas). L'energia I" relativa alla prima
orbita vale, poi, I" µ "$ /Z , e rappresenta l'energia necessaria per allontanare l'elettrone fino a
distanza infinita con velocità nulla, ovvero l'energia di ionizzazione. Il valore previsto da Bohr
risultò in buon accordo con i valori sperimentali. Infine, si vede che la velocità maggiore con cui
si muove l'elettrone attorno al nucleo si ha nell'orbita più interna: @" œ !- ; tale velocità risulta
oltre cento volte inferiore a quella della luce.
Il Bohr ammise poi che l'elettrone potesse passare, con un salto brusco (salto quantico) da
un'orbita 8 ad un'altra m: sulle modalità di questo passaggio il Bohr non fece alcuna ipotesi,
fuorchè quella che venisse rispettato il principio di conservazione dell'energia: perciò l'atomo deve
assorbire o emettere l'energia corrispondente alla differenza tra I8 ed I7 . Questa energia viene
ordinariamente assorbita o emessa sotto forma di radiazione. Il meccanismo dell'emissione e
dell'assorbimento, nella teoria di Bohr, non è quindi affatto quello della ordinaria teoria
elettromagnetica, anzi, viene esplicitamente negato che valga tale teoria nel campo atomico,
poiché altrimenti l'emissione avrebbe luogo continuamente durante il moto dell'elettrone su
un'orbita quantica, e quindi l'energia dell'atomo andrebbe diminuendo gradatamente, il che è
inconciliabile con l'esistenza dei livelli energetici discreti e la stabilità dell'atomo. L'emissione e
l'assorbimento avvengono ogni volta che l'elettrone passa da un orbita quantica 8 ad una più
interna o esterna 7. In questa transizione Bohr ipotizza che sia emesso o assorbito un fotone di
energia pari alla differenza di energia tra i due stati quantici coinvolti nella transizione. La
frequenza del fotone sarà pertanto
/87 œ
I 8  I7
2
Ð1.11Ñ
con 8 e 7 numeri interi, con 8  7. Dalla (1.11) si vede subito che le frequenze emesse
dall'atomo si presentano come differenze di "termini spettrali"
/87 œ ^ # V_ Ð
"
"
 #Ñ
#
7
8
Ð1.12Ñ
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che ha la stessa forma della formula rappresentante la serie di Balmer e le analoghe. La (1.12)
fornisce anche l'espressione della costante di Rydberg in termini di grandezze universali:
V_ œ
#1# 7^ # /%
!# 7œ
22
2$ -
Ð1.13Ñ
Il valore calcolato è V œ "!*($( -7-1 , in buon accordo con quello sperimentale.
La (1.4) aveva suggerito la definizione dei termini spettrali
V
"
8#
8 œ "ß #ß $ ÞÞÞ
(1.14)
per combinazione dei quali si potevano ottenere (per differenza) le varie lunghezze d'onda delle
varie serie spettrali. Ciò andava sotto il nome di principio di ricombinazione di Ritz. La Figura 1.2
mostra lo spettro dell'atomo di idrogeno, con evidenziate le varie serie spettrali.
Ritz stesso aveva sottolineato che la sua formula non poteva essere giustificata in termini
di teoria classica; se infatti si pensa che l'emissione di radiazione da parte degli atomi sia dovuta
ad un qualche moto periodico di cariche all'interno dell'atomo, accanto ad una frequenza
fondamentale dovrebbero essere presenti anche le frequenza armoniche superiori, che viceversa
non compaiono nella (1.4).
Figura 1.2. Serie spettrali
dell’atomo di idrogeno.
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