Epifania del Signore Cattedrale, 6 gennaio 2011 Omelia del

EPIFANIA DEL SIGNORE
Cattedrale, 6 gennaio 2011
Omelia del Vescovo
Alcuni avrebbero voluto rinchiudere i Vangeli dell’infanzia, e quindi anche l’episodio
dei Magi, tra i miti o le leggende, comunque dentro un’ermeneutica solo teologica dei testi
evangelici, completamente separata dagli eventi storici. Insomma, un Cristo della fede, che
non avrebbe nulla da spartire col Gesù della storia. Sia sul piano dell’esegesi, sia su quello
della critica storica, si è ormai abbandonata questa posizione estrema. Ma anche le ricerche
archeologiche hanno contribuito a dare nuovo vigore storico alla narrazione dei Magi che
giungono da oltre i confini d’Israele per rendere omaggio al neonato bambino.
Già per il passato ci siamo soffermati su alcuni reperti archeologici come il calendario
stellare di Sippar, in cui sono riportati da parte degli astrologi babilonesi i movimenti e le
congiunzioni celesti dell’anno 7 a. C., in cui per ben tre volte (29 maggio, 1 ottobre e 5
dicembre) si realizzò la congiunzione di Giove (pianeta dei dominatori del mondo) con
Saturno (pianeta di Israele) nel segno dei Pesci (il segno della fine dei tempi).
Gli Ebrei, lo sappiamo, attendevano il loro Messia esattamente in quegli anni. Ma la
cosa che colpisce di più è sapere che, proprio in quel tempo, anche altri popoli erano in
attesa. E’ da Tacito e Svetonio, i due grandi storici latini, che apprendiamo come i popoli
fossero in fermento e in attesa di una salvezza, proprio in quel secolo che noi, oggi,
chiamiamo il primo dopo Cristo. E’ bene non perdere di vista le testimonianze esterne ai
libri sacri, perché queste testimonianze ci permettono di inserire le narrazioni sacre in un
contesto che avvalora, in modo sorprendente, quanto il Nuovo Testamento dice.
Soffermiamoci, dopo questa premessa, su quanto afferma la testimonianza
dell’evangelista Matteo. Intanto la vicenda dei Magi ci parla della fede come di una
decisione da prendere, anzi un decidersi. I Magi, lasciata la loro vita di tutti i giorni,
partirono. La fede è sempre un rischiare, un lasciare qualcosa, un andare verso qualcuno
che ancora non si conosce pienamente. I Magi colgono e seguono dei segni: «Abbiamo
visto spuntare la sua stella» (Mt 2, 2).
Pascal ha stigmatizzato questo cogliere i segni dicendo che nella rivelazione cristiana
c’è tanta luce che chi vuol vedere non può non vedere e, nello stesso tempo, c’è tanta
oscurità che chi non vuol vedere può continuare a non vedere. L’espressione molto usata,
e per un verso ineccepibile, ossia che la fede è dono, può rischiare, però, di diventare un
comodo alibi. La fede è donata a tutti; è necessario, però, non rifiutarla e lo si può fare
anche attraverso una chiusura personale di qualsiasi tipo: “non ho tempo”, oppure “ho
altre cose da fare… ci penserò dopo”.
La fede è legata al gesto d’incamminarsi, di lasciarsi interpellare, di non monetizzare
ogni cosa e, infine, di mettere in questione il proprio modo di vivere. La vicenda dei Magi
ricorda anche che è saggio cambiare le proprie idee di fronte ai fatti e saper uscir fuori dai
propri sedimentati schemi. I Magi sono sapienti, uomini dediti alla ricerca, diremmo
uomini di cultura, ma che sanno aprirsi all’improbabile, soprattutto sanno riconoscere il
bambino non ostinandosi a seguire il loro buon senso. Essi vanno verso una reggia, quella
del re Erode, lo interpellano e ricevono informazioni da uomini colti, i sommi sacerdoti e
gli scribi, ma essi si mostrano uomini liberi che sanno staccarsi dal loro precedente modo
di pensare. E appena capiscono che il potere - Erode - e la cultura - i sommi sacerdoti e gli
scribi - non sono al servizio della salvezza, non indugiano un istante; non appena
comprendono che la cultura può fare conoscere un’infinità di cose ma non riconoscere la
verità, appena capiscono che il palazzo del re Erode è ormai solo richiamo storico alla
teocrazia di Israele ma non più il segno vero della presenza di Dio in mezzo al suo popolo,
non esitano a mettersi di nuovo in cammino, seguono la stella e s’inginocchiano davanti a
un bambino deposto in una mangiatoia.
La fede - come detto -, è un rischio, è un mettersi in cammino, è lasciarsi guidare al di
là e oltre le proprie plausibilità, è aprirsi a Dio e alle sue sorprese e per far questo ci vuole
un cuore libero come quello dei Magi.