neurologiaSindrome di Guillain-Barré

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Anno I - N.2 - 2007
Trimestrale di
aggiornamento scientifico
Reg. Trib. N. 642
del 18.10.2007
ISSN XXXX-XXXX
immunologia
Direttore responsabile
Immunodeficienze primitive
Wubbo Tempel
Editore
Elsevier Masson srl
Via Paleocapa, 7
20121 Milano (MI)
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CSL Behring
per i Sigg. Medici
Fuori commercio
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3
Use of intravenous immunoglobulin in human disease: a review of evidence 6
by members of the Primary Immunodeficiency Committee of the American
Academy of Allergy, Asthma and Immunology
Orange JS, Hossny EM, Weiler CR, Ballow M, Berger M, Bonilla FA, Buckley R, Chinene J,
El-Gamal Y, Mazer BD, Nelson RP Jr, Patel DD, Secord E, Sorensen RU, Wasserman RL,
Cunningham-Rundles C; Primary Immunodeficiency Committee of the American
Academy of Allergy, Asthma and Immunology
Health-related quality of life and treatment satisfaction in North American
patients with primary immunedeficiency diseases receiving subcutaneous
IgG self-infusions at homesitis
Nicolay U, Kiessling P, Berger M, Gupta S, Yel L, Roifman CM, Gardulf A,
Eichmann F, Haag S, Massion C, Ochs HD
8
Safety and efficacy of self-administered subcutaneous immunoglobulin
in patient with primary immunodeficiency diseases
Ochs HD, Gupta S, Kiessling P, Nicolay U, Berger M; Subcutaneous IgG
Study Group
Rapid subcutaneous IgG replacement therapy is effective and safe
in children and adults with primary immunodeficiencies – a prospective,
multi-national study
Gardulf A, Nicolay U, Asensio O, Bernatowska E, Bock A, Carvalho BC, Granert C,
Haag S, Hernandez D, Kiessling P, Kus J, Pons J, Niehues T, Schmidt S, Schulze I,
Borte M
Replacement IgG therapy and self-therapy at home improve the
health-related quality of life in patients with primary antibody deficiencies
Gardulf A, Nicolay U
9
ematologia
10
11
13
Uso di Ig endovena nelle patologie neoplastiche ematologiche
associate a ipogammaglobulinemia
A study of incidence and characteristics of infections in 476 patients from
a single center undergoing autologous blood stem cell transplantation
Puig N, de la Rubia J, Jarque I, Salavert M, Montesinos P,
Sanz J, Martín G, Sanz G, Cantero S, Lorenzo I, Sanz MA
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Superior immunomodulatory effects of intravenous immunoglobulins
on human T-cells and dendritic cells: comparison to calcineurin inhibitors
Tha-In T, Metselaar HJ, Tilanus HW, Boor PP, Mancham S, Kuipers EJ,
de Man RA, Kwekkeboom J
A multicenter, randomized, double-blind comparison of different doses of
intravenous immunoglobulin for prevention of graft-versus-host disease
and infection after allogeneic bone marrow transplantation
Winston DJ, Antin JH, Wolff SN, Bierer BE, Small T, Miller KB, Linker C, Kaizer H,
Lazarus HM, Petersen FB, Cowan MJ, Ho WG, Wingard JR, Schiller GJ,
Territo MC, Jiao J, Petrarca MA, Tonetta S
Dose-by-dose virological and hematological responses to intravenous
immunoglobulin in an immunocompromised patient with persistent
parvovirus B19 infection
Tang JW, Lau JS, Wong SY, Cheung JL, Chan CH, Wong KF, Wong A, Chan PK
Temporary blast reduction after immunoglobulin administration for
congenital cytomegalovirus infection masking infant leukemia with
cryptic MLL rearrangement
Metzler M, Bruch J, Stachel D, Langer T, Borkhardt A, Harbott J, Rascher W,
Holter W
16
neurologia
21
Sindrome di Guillain-Barré
The challenges of managing and treating
Guillain-Barré syndrome during the acute phase
Atkinson SB, Carr RL, Maybee P, Haynes D
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17
18
19
Current therapeutic options in severe
Guillain-Barré syndrome
Shahar E
23
Pharmacoeconomics of therapy for Guillain-Barré syndrome: plasma
exchange and intravenous immunoglobulin
Tsai CP, Wang KC, Liu CY, Sheng WY, Lee TC
25
Intravenous immunoglobulin for Guillain-Barré syndrome:
how effective?
Tasdemir HA, Dilber C, Kanber Y, Uysal S
26
Long-term outcome of Guillain-Barré syndrome
Koeppen S, Kraywinkel K, Wessendorf TE, Ehrenfeld CE, Scharks
M, Diener HC, Weimar C
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Guillain-Barré syndrome
Kuwabara S
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immunologia
Immunodeficienze primitive
Andrea Matucci,*
Alessandra Vultaggio,* Paola Parronchi†
*Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi;
†
Università degli Studi, Firenze
Caratteristiche generali delle immunodeficienze
Le immunodeficienze primitive (Primary ImmunoDeficiency
Diseases, PIDD) costituiscono un gruppo disomogeneo di
malattie, caratterizzato da deficit a carico di varie componenti del sistema immune, con conseguente aumentata
suscettibilità alle infezioni (in particolare da agenti batterici). Le PIDD sono malattie relativamente poco frequenti in
quanto si riscontrano in 1/10.000-1/20.000 nati vivi e possono essere correlate a difetti genetici singoli oppure essere
poligeniche o dovute a interazioni tra substrato genetico e
ambiente. Possono manifestarsi in qualsiasi età, compresa
l’età adulta, e si mantengono per tutto il corso della vita. La
classificazione delle PIDD si basa sul tipo di difetto immunologico che le caratterizza, per cui vengono distinte in:
ID con interessamento esclusivo della produzione di
anticorpi
– agammaglobulinemia legata al cromosoma X (XLA)
– agammaglobulinemia autosomico-recessiva
– immunodeficienza comune variabile (ICV)
– deficit di sottoclassi IgG
– ipogammaglobulinemia transitoria dell’infanzia
– deficit di anticorpi specifici
ID combinate da deficit anticorpale e cellulare
– sindrome di Wiskott-Aldrich
– atassia-teleangectasia
– sindrome da iper-IgM
Malattie da deficit della funzione linfocitaria
– deficit anticorpali (o ID umorali o a carico dei linfociti B)
– deficit cellulari in cui le risposte anticorpali sono conservate, ma sono alterati i meccanismi effettori cellulari
– ID combinate in cui entrambi i bracci dell’immunità
specifica sono alterati
Malattie da deficit di fagocitosi
Malattie da deficit complementare
La terapia sostitutiva con immunoglobuline (Ig) somministrate per via endovenosa (IVIG) è stata introdotta nei protocolli terapeutici delle PIDD da circa 25 anni e ha profondamente modificato le prospettive e la qualità della vita dei
pazienti. Inoltre, e quasi contemporaneamente, sono state
descritte le proprietà immunomodulatorie e antinfiammatorie delle IVIG e il loro uso è stato quindi allargato a numerose patologie autoimmuni. Sia le immunodeficienze primitive caratterizzate da esclusivo interessamento del compartimento umorale sia le gravi forme combinate, nelle quali
sono anche presenti alterazioni del compartimento cellulare, si avvalgono della terapia sostitutiva con preparati
immunoglobulinici:
Il tempo di comparsa delle tipiche manifestazioni infettive
che caratterizzano queste forme di PIDD con interessamento del compartimento umorale è molto variabile. Le IgG di
origine materna, che passano al feto nel terzo trimestre di
gravidanza, infatti, vengono progressivamente perdute nell’arco dei primi 6-12 mesi di vita, parallelamente all’acquisizione della capacità di produrre autonomamente anticorpi.
Le immunodeficienze ad esclusivo interessamento del
compartimento umorale e osservate dagli immunologi
pediatri sono rappresentate da forme legate a deficit genetici che bloccano la maturazione dei linfociti B a uno stadio
precoce (linfociti pre-B), con conseguente sviluppo di manifestazioni infettive gravi (infezioni batteriche dell’intero tratto respiratorio o di altri organi e apparati, sepsi, infezioni da
enterovirus). In alternativa, l’assenza completa dello sviluppo dei linfociti o di alcune loro sottopopolazioni, oppure l’alterato sviluppo dei linfociti T o dei meccanismi alla base
della cooperazione B-T, sono alla base di gravi forme a comparsa precoce di immunodeficienze combinate, talora associate a malformazioni di altri organi e apparati. Alcune di
queste patologie, pur avvalendosi della terapia sostitutiva
con Ig, trovano esclusivamente nel trapianto di midollo
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o nella terapia genica un possibile approccio risolutivo.
Nell’adulto, l’immunodeficienza comune variabile (ICV), il
deficit di IgA o di sottoclassi IgG e il deficit di anticorpi specifici sono le forme di più frequente riscontro, oltre al vasto
gruppo di immunodeficienze secondarie.
L’ICV è caratterizzata da bassi livelli di IgG (e spesso anche di
IgA e/o di IgM) e alterata risposta a seguito di vaccinazioni
o infezioni naturali. All’immunodeficit, quasi paradossalmente, si associano manifestazioni autoimmuni per lo più
organo-specifiche (tiroiditi, anemie emolitiche, piastrinopenia, neutropenie, uveiti), ma anche non organo-specifiche
(vasculiti, artriti), a un elevato rischio di proliferazione B cellulare benigna o linfomatosa, e a malattie respiratorie
(asma, rinite). La complessità delle alterazioni genetiche
descritte nell’ICV rende ragione della sua considerazione
come “sindrome” più che un singolo quadro patologico.
Il deficit di IgA (IGAD) è relativamente frequente (1
caso/700 nella popolazione bianca), ma non è necessariamente corredato da sintomi clinici. Un aumento della frequenza degli episodi infettivi a carico del tratto respiratorio
superiore (riniti, sinusiti) e inferiore (broncopolmoniti) caratterizza questa sindrome e non è raro il riscontro di deficit
immunoglobulinici associati (ad es., deficit di IgG2).
Anche il deficit di sottoclassi IgG (IGGSD) può passare del
tutto inosservato, ma i pazienti sintomatici sperimentano frequenti infezioni batteriche a carico dell’apparato respiratorio,
in particolare causate da germi capsulati ad alto contenuto
polisaccaridico (deficit di IgG2) o virali (deficit di IgG3).
Infine, una categoria distinta di pazienti con ricorrenti infezioni dell’apparato respiratorio mostra, pur in presenza di
livelli consistenti di Ig circolanti, un’inadeguata capacità di
rispondere con la produzione di anticorpi specifici verso
particolari agenti infettivi (SADNI).
Indicazioni al trattamento
con sostituti immunoglobulinici
La somministrazione regolare di preparati immunoglobulinici purificati è alla base della terapia delle agammaglobulinemie, dell’ICV e delle immunodeficienze combinate, oltre
che di alcuni casi selezionati di immunodeficienza secondaria gravati da infezioni ricorrenti o insolitamente gravi. Nelle
recenti raccomandazioni del Primary Immunodeficiency
Committee dell’American Academy of Allergy, Asthma and
Immunology sono richiamate le indicazioni per l’uso delle
IVIG codificate dalla FDA statunitense (si veda pag. 6).
4
Per quanto attiene le immunodeficienze primarie, le indicazioni sono riservate al trattamento delle PIDD, all’incremento del livello circolante di anticorpi nelle immunodeficienze
primarie e alla terapia sostitutiva nelle immunodeficienze
primarie in cui sia stata dimostrata una grave alterazione
della capacità di sintesi anticorpale.
Facendo riferimento alle patologie dell’adulto e del bambino sopra discusse, nell’articolo è anche riportata la forza
delle evidenze della letteratura riguardanti il trattamento
con immunoglobuline in ciascuna entità nosologica.
Nonostante non siano disponibili studi in doppio cieco,
controllati con placebo su pazienti con ICV, è noto che la
precocità della diagnosi (e quindi dell’intervento terapeutico sostitutivo) è fondamentale per ridurre l’incidenza delle
infezioni ed evitare così ai pazienti la progressione verso la
malattia polmonare cronica e il deterioramento funzionale.
Nei pazienti affetti da deficit di sottoclassi IgG, il trattamento sostitutivo è riservato a coloro che presentano gravi
manifestazioni infettive con necessità di trattamenti antibiotici ripetuti. In questi casi, il protocollo di terapia è caratterizzato dalla somministrazione di IVIG prevalentemente
nel periodo invernale e sottoposto a revisione per l’opportunità di prosecuzione dopo 5 o più mesi di semplice osservazione. Dopo tale periodo, infatti, mentre alcuni pazienti
continuano a mostrare miglioramento clinico, altri possono
presentare recidive delle infezioni e quindi richiedere la
ripresa della terapia.
Il deficit isolato di IgA non è generalmente un’indicazione
alla terapia sostitutiva con IVIG, a meno che non sia associato a deficit di produzione di IgG e a manifestazioni infettive
maggiori. In questi pazienti deve essere sempre ben considerata la possibilità di reazioni avverse ai preparati immunoglobulinici per la produzione di IgE-anti-IgA oppure di
attivazione complementare da complessi IgG-anti-IgA.
Terapia con IVIG
Come tutte le Ig di uso terapeutico, le IVIG provengono
invariabilmente dal plasma dei donatori attraverso una
serie di “step” preparatori e sono specificatamente preparate per la via di somministrazione endovenosa (polvere liofilizzata, formulazioni liquide al 5% o al 10%). Le preparazioni
di Ig possono provenire dalla frazione plasmatica di una
donazione di sangue o, più frequentemente, da un gran
numero di plasmaferesi. Il numero di donatori che contribuiscono a formare questo “pool” di Ig varia da 15.000 a
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60.000 ed è sottoposto di routine a screening infettivologico (HbsAg, p24 dell’HIV, HCV, RPR-ELISA). La capacità di fornitura del prodotto è quindi limitata ed è perciò cruciale
riconoscere esattamente il bisogno dei pazienti di essere
trattati, valutando al contempo il rischio di eventi avversi.
Nella rassegna di Orange et al. vengono in proposito riportate le principali indicazioni e modalità di trattamento (si
veda pag. 6).
Come sottolineato invece dall’articolo di Nicolay et al., negli
USA oltre la metà dei pazienti trattati riceve la propria dose
di IVIG presso una struttura medica (ambulatorio, DH, ospedale) e il 40% al proprio domicilio, ma sempre assistito da
personale sanitario sia per la possibile difficoltà nel reperire
facilmente vie di accesso venoso sia per la possibilità che si
verifichino eventi avversi con ricadute sulla vita sociale dei
pazienti e con la sempre più urgente necessità di trovare
vie alternative per la somministrazione dei preparati.
Alternative alle IVIG: somministrazione sottocutanea
Nonostante la terapia con Ig per via venosa sia tuttora la più
usata al mondo, le prime infusioni di preparati immunoglobulinici sono state eseguite per via sottocutanea da sir
Bruton nella metà degli anni Cinquanta per i pazienti affetti dalla sindrome agammaglobulinemica che porta il suo
nome (agammaglobulinemia legata al sesso, XLA o sindrome di Bruton). I primi trial clinici con Ig per via sottocutanea
(SCIG) sono stati messi a punto nei Paesi scandinavi all’inizio
degli anni Novanta utilizzando i preparati immunoglobulinici formulati per la somministrazione intramuscolare e
riscontrando come la somministrazione a intervalli compresi tra 3 e 14 giorni fosse in grado di garantire (e mantenere)
livelli soddisfacenti di IgG sieriche.
Lo studio di Ochs et al. appare di interesse poiché ha preso
in considerazione il profilo di sicurezza e l’efficacia di una
preparazione immunoglobulinica polivalente non modificata per uso sottocutaneo (Vivaglobin® IgG al 16%, ZLB
Behring) (si veda pag. 9), giungendo alla conclusione che le
SCIG agiscono con analoga efficacia rispetto alle classiche
IVIG, presentando un buon profilo di sicurezza e tollerabilità.
Anche il lavoro di Gardulf et al. si è prefissato di studiare efficacia e sicurezza del trattamento con SCIG in pazienti adulti e pediatrici, esaminando tuttavia una diversa modalità di
utilizzo del farmaco (si veda pag. 10). Analoghi risultati positivi dal punto di vista medico ben si accordano, del resto,
con i risultati positivi riportati dall’articolo di Nicolay et al. in
un terzo studio multicentrico, che ha invece avuto come
obiettivo la valutazione dell’impatto psicologico del trattamento domiciliare con SCIG su pazienti già trattati in ospedale con IVIG attraverso l’uso di un questionario sulla qualità di vita correlata alla salute (HRQL) (si veda pag. 8).
Infine, se, come sottolinea l’articolo di Gardulf e Nicolay (si
veda pag. 11), è vero che i pazienti con PIDD (ICV o XLA)
hanno una peggiore qualità di vita rispetto ai soggetti normali di controllo, essi raggiungono facilmente un miglioramento significativo delle loro condizioni (indice fisico p
<0,01, indice psicosociale p <0,001, svago p <0,05), una
volta iniziata la terapia sostitutiva con Ig. Inoltre, adulti e
bambini sono ancora più soddisfatti dall’introduzione dei
programmi domiciliari con SCIG con l’autosomministrazione
a opera di piccole pompe portatili facili da maneggiare.
Letture consigliate
Aiuti F, et al.
Linee guida per la diagnosi e la terapia
dell’immunodeficienza comune variabile.
Position Paper della Società Italiana di Allergologia
ed Immunologia Clinica.
Italian J Allergy Clin Immunol 2006;16:1-30.
Bonilla FA, Geha RS.
Primary immunodeficiency diseases.
J Allergy Clin Immunol 2003;111:S571-581.
Busse PJ, Razvi S, Cunningham-Rundles C.
Efficacy of intravenous immunoglobulin in the
prevention of pneumonia in patients with common
variable immunodeficiency.
J Allergy Clin Immunol 2002;109:1001-1004.
Notarangelo L, Casanova JL, Fisher A, et al.
Primary immunodeficiency diseases: an update.
J Allergy Clin Immunol 2004;114:677-687.
Radinsky S, Bonagura VR.
Subcutaneous immunoglobulin infusion as
an alternative to intravenous immunoglobulin.
J Allergy Clin Immunol 2003;112:630-633.
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immunologia
Immunodeficienze primitive
Use of intravenous immunoglobulin in human disease:
a review of evidence by members of the Primary
Immunodeficiency Committee of the American
Academy of Allergy, Asthma and Immunology
Orange JS, Hossny EM, Weiler CR, Ballow
M, Berger M, Bonilla FA, Buckley R,
Chinene J, El-Gamal Y, Mazer BD, Nelson
RP Jr, Patel DD, Secord E, Sorensen RU,
Wasserman RL, Cunningham-Rundles C;
Primary Immunodeficiency Committee
of the American Academy of Allergy,
Asthma and Immunology
J Allergy Clin Immunol 2006;117(6):S525-553
Le preparazioni di immunoglobuline
umane per uso endovenoso (IVIG)
sono di estrema importanza per il trattamento di molte patologie umane.
Alcune di queste sono malattie per le
quali non esistono terapie alternative
accettabili. In questa rassegna, vengono riconsiderate le evidenze per il
vasto spettro di utilizzo delle IVIG e formulate specifiche raccomandazioni
sulla base dei dati finora raccolti. Dati i
potenziali rischi legati al loro uso e la
forzata scarsità delle IVIG correlata alla
loro modalità di preparazione, è assolutamente necessaria una stretta osservanza delle indicazioni e delle
modalità di somministrazione.
• Il paziente in cui si dimostra necessità di trattamento viene generalmente trattato ogni
3-4 settimane con una dose di IVIG di 200-600 mg/kg.
• Vengono in seguito stabiliti la dose da somministrare e l’intervallo di trattamento successivi, in modo da garantire un livello di IgG di almeno 500 mg/dl.
• Un buon protocollo di trattamento prevede in genere 0,4 g/kg di IVIG ogni 3-4 settimane.
• Un livello sierico più elevato di IgG circolanti (800 mg/dl) potrebbe essere utile per ottenere migliori risultati a livello polmonare.
– Tuttavia, poiché la farmacocinetica delle IgG è molto variabile da soggetto a soggetto, una determinata dose mensile di IVIG può dare risultati molto diversi anche in
pazienti con massa corporea simile, per cui la terapia va adeguatamente individualizzata.
• Difficoltà nel codificare il trattamento in tutti i pazienti derivano, inoltre, da:
– Frequenza con cui si misurano i livelli sierici di IgG nei pazienti trattati altamente
variabile da Centro a Centro.
– Scarsa utilità del dosaggio delle IgG totali nei pazienti trattati affetti da forme di
immunodeficienza normoglobulinemica con deficit di produzione di anticorpi specifici.
– Mancato raggiungimento di un livello “stabile” di IgG prima di 6 mesi di trattamento
continuativo.
– Necessità di adeguamento della dose per modificazioni della massa corporea del
paziente trattato (soprattutto nei bambini).
– Variabilità del protocollo di trattamento da Centro a Centro.
– Mancata esistenza di studi che confrontino i diversi intervalli di somministrazione (2,
3, 4 settimane), per cui i clinici generalmente “adeguano” la frequenza del trattamento sulla base di eventuali manifestazioni cliniche (febbre, sintomi a carico dell’apparato respiratorio, ecc.) che si presentano nella settimana precedente l’infusione.
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immunologia
Immunodeficienze primitive
Tabella. Indicazioni all’uso delle IVIG codificate dalla FDA statunitense
N. di prodotti riconosciuti
Malattie nelle quali il trattamento è indicato
11
PIDD o altre immunodeficienze primarie del compartimento umorale
5
Porpora trombocitopenica primaria
3
Malattia di Kawasaki
2
Leucemia linfatica cronica a cellule B
1
Infezione pediatrica da HIV
1
Trapianto di midollo
Tabella. Evidenze della letteratura riguardanti la terapia con IVIG in diverse condizioni di immunodeficit dell’adulto
e del bambino
Malattia
Evidenza
Forza della raccomandazione
Immunodeficienze primitive con assenza di linfociti B
PIDD con ipogammaglobulinemia e alterata produzione
di anticorpi specifici (ICV, IGGSD)
IIb
IIb
B
B
SADNI
III
C
IGGSD (IgG4) IGAD
IV
D
Evidenza IIb: da almeno uno studio quasi-sperimentale.
Evidenza III: da studi non sperimentali descrittivi, come ad esempio studi comparativi, di correlazione o caso-controllo.
Evidenza IV: da report di commissioni di esperti, opinioni e/o esperienza clinica di autorità riconosciute nel campo.
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immunologia
Immunodeficienze primitive
Health-related quality of life and treatment
satisfaction in North American patients with primary
immunedeficiency diseases receiving subcutaneous
IgG self-infusions at homesitis
Nicolay U, Kiessling P, Berger M, Gupta S,
Yel L, Roifman CM, Gardulf A,
Eichmann F, Haag S, Massion C, Ochs HD
La terapia dei pazienti affetti da immunodeficienze primitive si avvale della
somministrazione di preparati immunoglobulinici contenenti IgG per tutta
la durata della vita. La somministrazione può essere eseguita sia per via
endovenosa (IVIG) sia per infusione
sottocutanea (SCIG). In questo articolo, è stato preso in esame l’impatto
dell’autosomministrazione settimanale domiciliare di immunoglobuline per
via sottocutanea (SCIG) sulla qualità
della vita in relazione allo stato di salu-
comuni attività quotidiane e lavorative, una vitalità significativamente
migliorata e un miglior stato di salute
in generale. La soddisfazione nei confronti del trattamento era significativamente migliore nel gruppo A. La preferenza per la via sottocutanea e per la
somministrazione a casa era rispettivamente dell’81% e del 90% nel gruppo
A. Nel gruppo B, il 69% dei pazienti
preferiva la via sottocutanea e il 92% la
somministrazione domiciliare.
te, alla soddisfazione nei confronti del
trattamento e alle preferenze in
pazienti che, prima dell’inizio di questo studio, erano trattati con IVIG presso l’ospedale o l’ambulatorio medico
(gruppo A) o a casa (gruppo B).
Quarantaquattro pazienti nordamericani affetti da immunodeficienze primitive sono stati inclusi nel presente
studio (28 pazienti nel gruppo A e 16
nel gruppo B). I pazienti del gruppo A
hanno riferito un numero significativamente inferiore di limitazioni nelle
J Clin Immunol 2006;26(1):65-72
• Una terapia sostitutiva con IgG per tutta la vita rappresenta il cardine del trattamento
dei pazienti affetti da deficit immunitari a prevalente componente anticorpale.
• La somministrazione delle SCIG è di facile esecuzione, riduce il rischio di eventi avversi
gravi rispetto alla terapia endovenosa, ottiene livelli sierici di IgG elevati e affidabili e
rende agevole il trattamento domiciliare.
• Questo studio ha valutato la qualità di vita correlata alla salute (HRQL), la soddisfazione
rispetto al trattamento e le preferenze di pazienti adulti affetti da PIDD passati da una
terapia con IVIG eseguita in una struttura sanitaria o già a domicilio, a un trattamento
domiciliare con SCIG (Vivaglobin® IgG al 16%, ZLB Behring) somministrato autonomamente.
• Ai quesiti standard facenti parte degli strumenti di valutazione della HRQL e del gradimento dei pazienti sono state aggiunte le due seguenti domande:
– Quale terapia con IgG preferisce?
– Dove preferisce eseguire il trattamento?
• IVIG
• In ospedale/ambulatorio
• SCIG
• A casa
• Indifferente
• Indifferente
Risultati
• Il trattamento domiciliare (con IVIG o con SCIG) è risultato comunque più gradito rispetto alla terapia ospedaliera/ambulatoriale perché riduce la percezione di limitazioni allo
svolgimento delle proprie attività e alla salute fisica in generale.
• Il passaggio da un trattamento domiciliare con IVIG a una terapia domiciliare con SCIG
ha mostrato benefici ulteriori per il miglioramento della vitalità dei pazienti che hanno
riferito di sentirsi più energici, meno stanchi e meno esposti a “fatigue” (meno astenici).
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Immunodeficienze primitive
Safety and efficacy of self-administered
subcutaneous immunoglobulin in patient with
primary immunodeficiency diseases
Ochs HD, Gupta S, Kiessling P, Nicolay U,
Berger M; Subcutaneous IgG
Study Group
Negli Stati Uniti, la terapia standard per
i pazienti affetti da immunodeficienze
primitive (PIDD) consiste attualmente
nell’infusione endovenosa di immunoglobuline (IVIG) a intervalli di 3-4 settimane. Per valutare metodi alternativi
di somministrazione delle immunoglobuline, abbiamo messo a punto
uno studio in aperto per studiare l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di preparati immunoglobulinici
per via sottocutanea (IgG al 16%) in
pazienti affetti da PIDD. Dopo l’ultima
infusione endovenosa di IVIG, 65
pazienti hanno iniziato un periodo di
wash-in/wash-out della durata di 3
mesi fino alla fase di mantenimento
media della concentrazione sierica di
IgG è aumentata da 786 a 1040 mg/dl,
con un incremento medio del 39%.
L’evento avverso di più frequente
riscontro è stato una reazione nella
sede di infusione, riferita dal 91% dei
pazienti, di intensità per lo più tra lieve
e moderata e con un’incidenza decrescente nel tempo. Non sono stati
riportati eventi avversi maggiori correlati al trattamento. Abbiamo pertanto
concluso che la somministrazione sottocutanea di SCIG al 16% è sicura e
rappresenta una valida alternativa alla
terapia sostitutiva endovenosa (IVIG)
nelle PIDD.
con le sole immunoglobuline per via
sottocutanea. Questa fase è stata
seguita da 12 mesi di infusioni sottocutanee settimanali di immunoglobuline, a una dose determinata in un sottostudio di farmacocinetica in modo
da garantire dosi non inferiori a quelle
endovenose. La dose media settimanale era di 158 mg/kg, calcolata in
modo da essere pari al 137% della precedente dose endovenosa. Due
pazienti (4%) hanno riferito un’infezione batterica grave (polmonite), con
un’incidenza annuale di 0,04 per annopaziente. Si sono verificate 4,43 infezioni globalmente considerate per
anno-paziente. Durante lo studio, la
J Clin Immunol 2006;26(3):265-273
• Questa valutazione, multicentrica e in aperto, del profilo di sicurezza ed efficacia di una
preparazione immunoglobulinica polivalente non modificata per uso sottocutaneo
(Vivaglobin® IgG al 16%, ZLB Behring), recentemente immessa sul mercato europeo e
statunitense, ha esaminato i risultati ottenuti in adulti e bambini affetti da PIDD.
• Il preparato contiene 160 mg/ml di IgG, è privo di zuccheri o conservanti, ha un pH di
7,0 e utilizza come stabilizzante la glicina.
• Lo studio si è posto come obiettivi la misurazione del livello sierico di IgG, il numero
delle infezioni durante il ciclo di trattamento e il numero (e il tipo) di eventi avversi correlato alle infusioni sottocutanee che venivano eseguite a domicilio da pazienti precedentemente sottoposti a terapia con IVIG arruolati dopo adeguato addestramento.
• Le dosi somministrate sono state variabili in quanto aggiustate sulla base dei livelli individuali di IgG sieriche e della diversa farmacocinetica, ma con range abbastanza ristretti (155-165 mg/kg) e comunque corrispondenti al 137% della dose settimanale di IVIG.
Risultati
• I livelli di IgG totali nel siero, già soddisfacenti prima dell’inizio del trattamento (in
media 786 mg/dl), indice di una buona qualità della terapia sostitutiva alla quale tutti i
pazienti erano stati sottoposti, hanno raggiunto una media di 1040 mg/dl dopo l’inizio
della SCIG, con un incremento del 39% e mantenimento di tali livelli per tutto il periodo dello studio, che è stato protratto per un anno.
9
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immunologia
Immunodeficienze primitive
• Verosimilmente, in correlazione ai migliorati livelli sierici di anticorpi, il numero degli
episodi infettivi è stato basso (0,04 episodi per paziente/anno) e soltanto due pazienti
hanno mostrato eventi infettivi maggiori (polmonite) anche se, in pratica, quasi tutti i
pazienti (96%) hanno riferito infezioni di un qualche tipo durante il periodo dello studio con preponderanza di infezioni delle vie respiratorie superiori (50% circa) e di febbre (12%).
• Su un totale di 3656 infusioni, sono stati osservati 2584 eventi avversi, di cui, però, solo
1901 effettivamente correlati alle infusioni (0,52/infusione). La quasi totalità di essi è
consistita in reazioni nel punto di infusione (1787 eventi) e oltre il 90% dei casi è risultato di entità da lieve a modesta, di durata breve (1-2 giorni) e non tale da richiedere
alcun trattamento.
• Analogamente a quanto osservato per il trattamento con IVIG, anche la somministrazione sottocutanea ha determinato con discreta frequenza la comparsa di cefalea
(32%), generalmente tardiva (1-2 giorni dopo l’infusione), mentre 9 pazienti (14%)
hanno sperimentato un totale di 10 episodi avversi maggiori, ma non correlabili alla
terapia (ostruzione intestinale, epistassi, gastroenterite, ecc.).
• Le conclusioni sono state pertanto che le SCIG agiscono con analoga efficacia rispetto
alle classiche IVIG, presentando un buon profilo di sicurezza e tollerabilità.
10
Rapid subcutaneous IgG replacement therapy
is effective and safe in children and adults with
primary immunodeficiencies – a prospective,
multi-national study
Gardulf A, Nicolay U, Asensio O,
Bernatowska E, Bock A, Carvalho BC,
Granert C, Haag S, Hernandez D,
Kiessling P, Kus J, Pons J, Niehues T,
Schmidt S, Schulze I, Borte M
Sessanta pazienti (16 bambini e 44
adulti) hanno partecipato allo studio,
che aveva lo scopo di stabilire: (i) i livelli di IgG sieriche quando i pazienti passavano dalla modalità di somministrazione endovenosa (IVIG) praticata in
ospedale a quella sottocutanea (SCIG)
autogestita a casa usando la stessa
dose cumulativa mensile, (ii) il grado di
protezione contro le infezioni e (iii) la
sicurezza di un nuovo preparato pronto all’uso contenente IgG al 16%. Tutti
i bambini e 33 adulti partecipanti allo
studio avevano ricevuto IVIG per >6
mesi al momento del reclutamento.
Dieci adulti che erano stati mantenuti
in trattamento SCIG per molti anni
ticolare dopo 8-10 settimane. In conclusione, la somministrazione SCIG si è
dimostrata sicura. Elevati livelli di IgG
sieriche sono stati facilmente mantenuti, garantendo un’ottima protezione
nei confronti delle infezioni.
hanno fatto da gruppo di controllo. La
media delle IgG sieriche è aumentata
nei bambini inizialmente trattati con
IVIG da 7,8 a 9,2 g/l (p <0,001) e negli
adulti da 8,6 a 8,9 g/l (p <0,001). In
totale, sono state osservate 114 infezioni respiratorie, il 90% delle quali di
entità lieve. Una sola infezione grave di
natura batterica (polmonite) è stata
osservata in un adulto. Il tasso annuale
di infezioni gravi è stato di 0,04 episodi/paziente. In totale, sono state eseguite 2297 infusioni e sono state
osservate 28 reazioni avverse (1%) a
interessamento sistemico, ma nessuna
di grave entità. Le reazioni locali sono
andate riducendosi nel tempo, in par-
J Clin Immunol 2006;26(2):177-185
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immunologia
Immunodeficienze primitive
• Questa valutazione di efficacia e sicurezza del trattamento (inizialmente eseguito in
ospedale e poi proseguito al domicilio) con SCIG in pazienti adulti e pediatrici ha previsto una somministrazione rapida, assicurata da una speciale pompa per infusioni con
ago piccolo (25G) che consente di infondere 40 ml della preparazione (sufficiente per
un paziente di 65 kg) in appena 1 ora. Per evitare reazioni locali eccessive, in ciascuna
sede non sono stati infusi più di 10-15 ml di preparato.
Risultati
• Il livello sierico di IgG raggiunto con tale modalità di infusione è risultato significativamente maggiore rispetto a quanto osservato con le classiche IVIG (da 780 a 920 mg/dl
nei bambini e da 860 a 890 mg/dl negli adulti; p <0,001).
• Dei 52 pazienti arruolati, ben 5 non hanno sviluppato alcuna infezione durante il periodo di trattamento, 35 pazienti hanno presentato 1-3 episodi infettivi e i restanti 12 episodi multipli (1 paziente x 8 episodi, 1 x 6, 3 x 5 e 7 x 4).
• Le infezioni sono risultate prevalentemente a carico delle vie respiratorie, con un rapporto di 0,5 e 3,6 paziente/anno, rispettivamente, per le infezioni del tratto respiratorio
inferiore e superiore.
• Su un numero totale di 2297 infusioni, 28 (1%) sono state le reazioni avverse segnalate
(17 episodi febbrili, 1 crisi di starnuti, 1 malessere generale, 1 reazione cutanea non
generalizzata, 1 brividi) e 641 le reazioni locali (edema, eritema, indurimento della
cute), che nella quasi totalità (98%) sono state giudicate di entità lieve. Inoltre, il numero delle reazioni locali è andato riducendosi nel corso della terapia, in particolare dopo
le prime 12 settimane di trattamento.
Replacement IgG therapy and self-therapy at home
improve the health-related quality of life in patients
with primary antibody deficiencies
Scopo della rassegna. L’articolo prende in considerazione la qualità di vita
correlata alla salute e lo stato di salute
di pazienti affetti da immunodeficienze del compartimento umorale (deficit
di produzione di anticorpi) prima e
dopo l’inizio di una terapia sostitutiva
cronica con immunoglobuline IgG e
prima e dopo l’introduzione di programmi terapeutici domiciliari. Viene
anche discussa l’importanza dei risul-
tati ottenuti secondo la valutazione da
parte del paziente stesso o dei suoi
familiari.
Risultati recenti. I pazienti adulti ai
quali è stata da poco diagnosticata
un’immunodeficienza primitiva da
deficit anticorpale e non ancora sottoposti ad adeguato trattamento sostitutivo con immunoglobuline IgG riferiscono un cattivo stato di salute e una
qualità di vita insoddisfacente rispetto
Gardulf A, Nicolay U
Curr Opin Allergy Clin Immunol 2006;6(6):434-442
agli individui sani di controllo.
L’infusione sottocutanea di IgG a
cadenza settimanale (100 mg/kg)
migliora nettamente lo stato di salute
e normalizza la qualità della vita correlata alla salute. L’autosomministrazione
domiciliare di IgG migliora ulteriormente lo stato di salute e la qualità di
vita percepiti dai pazienti sia adulti sia
bambini. È stato dimostrato che essere
in grado di autoinfondersi i preparati
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immunologia
Immunodeficienze primitive
immunoglobulinici a casa propria
anziché doversi recare in ospedale 2-4
volte al mese aumenta notevolmente
la soddisfazione nei confronti del trattamento in pazienti e familiari e accre-
sce il senso di indipendenza, autocontrollo e flessibilità.
Riassunto. Un’adeguata terapia sostitutiva con IgG comporta un netto
miglioramento delle condizioni di vita.
I programmi di terapia domiciliare
vanno incoraggiati in quanto l’autosomministrazione migliora la qualità
della vita correlata alla salute e la percezione del proprio stato di salute.
• I pazienti con deficit anticorpali primari non sottoposti a trattamento evidenziano una
qualità di vita correlata alla salute (HRQL) peggiore rispetto a quella della popolazione
generale.
Risultati
• La terapia sostitutiva con IgG migliora la HRQL di questi pazienti.
• L’autoinfusione domiciliare di SCIG ottiene un ulteriore miglioramento della HRQL e
della soddisfazione dei pazienti nei confronti del trattamento.
Figura 1.
Qualità di vita riferita da pazienti affetti da immunodeficienza comune variabile o da agammaglobulinemia legata al cromosoma X prima di qualunque trattamento con IgG e dopo 18 mesi
di terapia con SCIG (100 mg/kg/settimana).
Pazienti con ICV o XLA non trattati
Gli stessi pazienti dopo 18 mesi di terapia con infusione rapida di SCIG
Controlli sani di età corrispondente
Punteggio SIP
30
20
10
0
Mobilità
Comportamento
emotivo
Attività
sociali
Stanchezza
Attività
lavorative
Attività
ricreative
(SIP = Sickness Impact Profile, a un punteggio SIP più elevato corrisponde una peggiore HRQL)
Percezione delle infezioni riferita dai pazienti prima di qualunque trattamento con IgG e dopo
18 mesi di terapia con SCIG (100 mg/kg/settimana).
Punteggio su una scala analogico-visiva*
Figura 2.
100
Pazienti con ICV o XLA non trattati
Gli stessi pazienti dopo 18 mesi di terapia con infusione rapida di SCIG
80
** p <0,01
*** p <0,001
60
***
**
40
**
20
0
Frequenza di infezioni
Timore per le infezioni
Ansia per la salute futura
(*Il punteggio di 100 corrispondeva alla massima frequenza e al livello massimo di timori e ansia
per la salute futura, il grafico si riferisce ai valori mediani registrati durante lo studio)
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ematologia
Uso di Ig endovena nelle patologie
neoplastiche ematologiche associate
a ipogammaglobulinemia
L’ipogammaglobulinemia rappresenta una condizione che
si associa a numerose emopatie maligne, sia come conseguenza diretta della malattia, sia come effetto collaterale
della terapia. In particolare nelle forme linfoproliferative,
come leucemia linfatica cronica, mieloma multiplo, linfomi,
il coinvolgimento dei linfociti B determina la ridotta produzione di immunoglobuline policlonali esponendo così il
paziente a un aumentato rischio di infezioni, specie da batteri capsulati. Nei pazienti sottoposti a chemioterapia intensiva, e ancor più in quelli trattati con trapianto autologo o
allogenico di cellule staminali, l’ipogammaglobulinemia si
presenta come conseguenza della immunodepressione
generalizzata indotta dalla terapia.
Nel trapianto di cellule staminali autologhe, le complicanze
infettive dovute a immunodepressione rappresentano la
maggior causa di morbilità, sebbene la mortalità infettiva
legata alla procedura sia piuttosto bassa (Puig et al.). Più del
90% delle morti dovute a cause infettive nella casistica
riportata di 476 pazienti autotrapiantati era tuttavia da
ricondurre a infezioni polmonari. Nei pazienti immunodepressi a seguito di chemioterapia intensiva, la somministrazione di immunoglobuline endovena (IVIG) ad alte dosi
viene utilizzata nell’ambito della profilassi antinfettiva o
come trattamento delle infezioni resistenti alla politerapia
antibiotica. In questi casi, il razionale della terapia risiede
essenzialmente in un effetto sostitutivo, nel tentativo di
rimpiazzare l’azione antinfettiva delle immunoglobuline
che non vengono prodotte dal paziente.
Tuttavia, come in altre patologie (le malattie autoimmunitarie,
ad esempio) è probabile che la somministrazione di immunoglobuline endovena induca effetti di immunomodulazione
più ampi di quelli attualmente conosciuti. Un esempio illuminante viene dai riceventi di trapianto allogenico di midollo
osseo. Questi pazienti rappresentano il sottogruppo maggiormente a rischio di infezioni nell’ambito dei pazienti ematologici e la somministrazione profilattica di immunoglobuline
endovena è comunemente utilizzata, e approvata, per la profilassi delle infezioni e delle polmoniti interstiziali. Tuttavia, è
stato dimostrato che le IVIG sono anche in grado di ridurre
Valeria Santini
Professore Associato di Malattie del Sangue
UF Ematologia
Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi
Università di Firenze
l’incidenza di graft-versus-host-disease (GVHD) acuta dopo
allotrapianto. Studi recenti riportano gli effetti delle immunoglobuline nell’inibire in vitro la proliferazione e l’attivazione dei
linfociti T e la capacità allostimolatoria delle cellule dendritiche (Tha-in et al.). Quest’ultimo effetto sarebbe dovuto all’induzione di ADCC (citotossicità cellulare anticorpo-dipendente) delle cellule dendritiche da parte delle cellule NK. Da notare che i farmaci immunodepressivi più impiegati nella prevenzione della GVHD, ciclosporina e tacrolimus, non sembrano in
grado di agire sulle cellule dendritiche, le cellule presentanti
l’antigene professionali, responsabili dell’attivazione dei linfociti T vergini.
Il dosaggio di immunoglobuline da somministrare rappresenta un punto chiave. Nei riceventi di trapianto allogenico,
la dose classica di 500 mg/kg di peso corporeo è stata
messa a confronto con due dosaggi ridotti: 100 mg/kg e
250 mg/kg (Winston et al.). Nello studio randomizzato che
ha coinvolto più di 600 pazienti, non sono state riscontrate
differenze fra i diversi dosaggi nell’incidenza di GVHD acuta
e cronica e nelle infezioni post-trapianto, se non nei pazienti ad alto rischio con donatore non correlato. È possibile
quindi che dosi anche inferiori a quelle comunemente utilizzate possano essere efficaci, almeno nella maggior parte
dei casi, grazie anche a meccanismi immunomodulanti. Da
notare che anche nella leucemia linfatica cronica, nella
quale la somministrazione profilattica mensile di IVIG si è
dimostrata in grado di ridurre significativamente il numero
di infezioni, studi randomizzati non hanno trovato differenze di efficacia fra la dose di 250 mg/kg e quella di 500
mg/kg giorni di trattamento.
Una strategia efficace per ottenere un rapporto
costo/beneficio ottimale nel trattamento con immunoglobuline endovena può essere quella del monitoraggio frequente dell’effetto terapeutico. Le IVIG sono utilizzate
comunemente nel trattamento delle infezioni virali persistenti nei soggetti immunocompromessi con neoplasie
ematologiche. Infezioni da citomegalovirus (CMV) o parvovirus B19 (PVB 19) sono estremamente diffuse nella popolazione generale, per cui la percentuale di immunoglobuline
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ematologia
specifiche presenti nei preparati ottenuti da pool di donatori è piuttosto alta, spiegando l’efficacia della terapia con
IVIG nel trattamento di queste infezioni nei pazienti immunodepressi. La possibilità data dalle moderne tecniche di
biologia molecolare di monitorare i livelli di DNA virale nel
circolo dei pazienti durante il trattamento con IVIG permette di ottimizzare il numero di dosi da somministrare (Tang et
al.). In casi di mancata risposta dopo 1 o 2 dosi, la terapia
può essere interrotta, risparmiando così al paziente ulteriori dosi probabilmente non efficaci; in caso di risposta progressiva, la terapia può essere continuata, fino a negativizzazione della carica virale.
Un ulteriore esempio di trattamento con IVIG di un’infezione virale da CMV viene dal caso riportato da Metzler et al.,
che illustra anche gli stretti rapporti intercorrenti fra infezioni virali e patologie linfoproliferative. In questo caso, la terapia con immunoglobuline di una neonata di 2 mesi con
infezione da CMV congenita ha mascherato una sottostante leucemia a cellule B, la cui progressione è stata temporaneamente ritardata dalla somministrazione di IVIG. Il caso è
interessante perché apre nuovi scenari per il trattamento
con immunoglobuline endovena nei pazienti con neoplasie ematologiche. Sebbene non sia noto un effetto patoge-
14
netico del CMV nello sviluppo di leucemia, è possibile ipotizzare che progenitori emopoietici spinti a proliferare dall’infezione virale siano più suscettibili all’insorgere della trasformazione neoplastica. La terapia con IVIG potrebbe
quindi, bloccando la replicazione virale, aver rallentato lo
sviluppo della malattia leucemica.
La terapia con immunoglobuline endovena ha un ruolo
accertato nel trattamento dei pazienti con neoplasie ematologiche e ipogammaglobulinemia secondaria, con un’efficacia riconosciuta nella prevenzione delle infezioni in particolare in alcune condizioni (leucemia linfatica cronica,
riceventi di trapianto allogenico). Accanto al trattamento
sostitutivo delle immunoglobuline non prodotte dal
paziente, le IVIG presentano altre potenzialità, legate a un
vasto effetto immunomodulante, in parte ancora da scoprire. Nei pazienti sottoposti ad allotrapianto le immunoglobuline svolgono anche un ruolo di prevenzione della
GVHD, agendo sui principali protagonisti della risposta
immunitaria cellulare, linfociti T e cellule dendritiche. Altre
prospettive terapeutiche non mancheranno di venire da
un’ulteriore conoscenza dei meccanismi d’azione delle
immunoglobuline ad alte dosi terapeutiche nella immunomodulazione.
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ematologia
Uso di Ig endovena nelle patologie neoplastiche ematologiche
associate a ipogammaglobulinemia
A study of incidence and characteristics of
infections in 476 patients from a single center
undergoing autologous blood stem cell
transplantation
Puig N, de la Rubia J, Jarque I,
Salavert M, Montesinos P, Sanz J, Martín G,
Sanz G, Cantero S, Lorenzo I, Sanz MA
Le complicanze infettive sono la maggiore causa di morbilità e mortalità nei
pazienti sottoposti a trapianto autologo di cellule staminali (ASCT). Abbiamo
esaminato 476 pazienti con emopatie
maligne (401) o tumori solidi (75) trattati con ASCT tra febbraio 1990 e maggio
2005. La profilassi antinfettiva consisteva di differenti combinazioni di ciprofloxacina, cotrimossazolo, fluconazolo,
amfotericina B in aerosol, acyclovir e
immunoglobuline endovena. Complessivamente, 454 pazienti (95%) hanno
sviluppato una febbre nei primi 60 gior-
quentemente. Il quadro delle infezioni
non si è modificato significativamente
durante lo studio, con l’eccezione di
una incidenza di batteriemia da grampositivi significativamente più alta nei
primi 5 anni dello studio. La mortalità
dovuta alle infezioni è stata del 5% (21
casi), con la polmonite come causa di
morte più frequente. L’ASCT dovrebbe
essere considerata una procedura a
basso rischio, sebbene siano ancora
necessari approcci terapeutici nuovi
per i pazienti che sviluppano infezioni
respiratorie gravi.
Int J Hematol 2007;86(2):186-192
ni dopo ASCT. Nella maggioranza dei
casi, la terapia antibiotica iniziale consisteva di antibiotici beta-lattamici a
largo spettro con o senza amikacina.
Un glicopeptide è stato somministrato
come terapia iniziale in 86 casi. In totale, vi sono state 132 (29%) infezioni clinicamente documentate (37 polmoniti), 79 (17%) infezioni documentate
microbiologicamente (65 batteriemie)
e 243 (54%) casi di febbre di origine
sconosciuta. Gli stafilococchi coagulasinegativi (18, 25%) e l’Escherichia coli (18,
25%) erano gli organismi isolati più fre-
• Le complicanze infettive rappresentano il maggior rischio associato con il trapianto
autologo di cellule staminali. Questo studio ne ha analizzato le frequenza e il tipo in una
casistica di 476 pazienti.
• Nonostante il 95% dei pazienti inclusi nell’analisi abbia sviluppato una febbre, la mortalità dovuta alle infezioni è risultata complessivamente bassa: 5% dei casi. L’incidenza
di infezioni da gram-positivi è diminuita dopo i primi 5 anni (vedi Figura).
Distribuzione
delle batteriemie.
L’incidenza delle
batteriemie è stata
del 22%, 12% e 9%
nei tre periodi dello
studio.
Gram-positive
Gram-negative
Batteriemie
p = 0,003
25
Percentuale di episodi
Figura.
20
15
10
5
0
1990-1995
1996-2000
2001-2005
Periodo di studio
• La somministrazione di immunoglobuline endovena può essere usata, accanto a quella di antibiotici, antifungini e antivirali, per la profilassi antinfettiva in questi pazienti.
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ematologia
Uso di Ig endovena nelle patologie neoplastiche ematologiche
associate a ipogammaglobulinemia
Superior immunomodulatory effects of intravenous
immunoglobulins on human T-cells and dendritic
cells: comparison to calcineurin inhibitors
Premesse: La somministrazione profilattica di immunoglobuline endovena
(IVIG) anti-HBs nei pazienti sottoposti a
trapianto di fegato con infezione da
epatite B è in grado di proteggere dal
rigetto acuto. Per esplorare l’idoneità
delle immunoglobuline endovena
(IVIG) come profilassi del rigetto acuto
e della graft-versus-host-disease (GVHD)
dopo trapianto allogenico, sono stati
paragonati gli effetti delle IVIG e degli
inibitori della calcineurina (CNI) sulle
cellule T umane circolanti e sulle cellule dendritiche (DC). Metodi: Le cellule
T venivano stimolate con fitoemoagglutinina (PHA) o cellule presentanti
l’antigene (APC) spleniche allogeniche
e la proliferazione e produzione di citochine dei linfociti T era determinata in
presenza o in assenza di IVIG o CNI. DC
circolanti immature erano stimolate in
presenza o assenza di IVIG o CNI, e
venivano valutate la capacità stimolatoria allogenica delle cellule T, la morte
cellulare e la maturazione fenotipica.
Risultati: IVIG e CNI inibivano egualmente la proliferazione dei linfociti T e
la produzione di IFN-gamma dopo stimolazione con PHA o allogenica. Le
cellule T CD8+ rappresentavano il bersaglio preferenziale dell’effetto inibitorio sia delle IVIG che dei CNI dopo stimolazione allogenica. Come i CNI, l’aggiunta di IVIG a diversi intervalli di
tempo dopo l’attivazione dei linfociti T
sopprimeva la progressione mitotica
delle cellule T rispondenti. Nelle DC
trattate con IVIG la capacità di stimola-
Tha-In T, Metselaar HJ, Tilanus HW,
Boor PP, Mancham S, Kuipers EJ,
de Man RA, Kwekkeboom J
Transplantation 2006;81(12):1725-1734
re la proliferazione allogenica delle cellule T veniva soppressa del 73 ± 12%,
mentre la funzione delle DC non era
alterata dai CNI. La ridotta capacità di
stimolare linfociti T allogenici delle DC
trattate con IVIG correlava con l’induzione di morte cellulare nelle DC stesse
e la ridotta sopra-regolazione di CD40
e CD80. Conclusioni: In vitro il trattamento con IVIG è in grado di inibire
funzionalmente i due principali tipi cellulari immunitari implicati nel rigetto e
nella GVHD, cioè i linfociti T e le DC,
mentre i CNI sopprimono solo le cellule T. Agendo sia sui linfociti T sia sulle
DC, le IVIG possono rappresentare un
candidato promettente per la terapia
immunosoppressiva dopo trapianto
allogenico.
• Questo articolo indaga gli effetti in vitro delle IVIG e degli inibitori della calcineurina
più usati in clinica, ciclosporina e tacrolimus, sui tipi cellulari responsabili della GVHD
dopo trapianto di midollo osseo: linfociti T e cellule dendritiche.
• A differenza dei CNI, le IVIG a concentrazioni paragonabili a quelle raggiungibili clinicamente,
sono in grado non solo di inibire la proliferazione e l’attivazione dei linfociti T, ma anche la
capacità allostimolatoria e la maturazione di DC isolate dal sangue periferico (vedi Figura).
Effetto delle IVIG
sull’attività
allostimolatoria delle
DC: paragonate al
controllo e a DC
trattate con
ciclofosfamide (ciclo)
e tacrolimus (tacro),
DC trattate con IVIG
(IVIG) inducono una
proliferazione
significativamente
minore di linfociti
Tallogenici (p < 0,05).
Controllo
Incorporazione di 3H (cpm)
Figura.
IVIG
Ciclo
Tacro
40000
35000
30000
25000
20000
15000
10000
5000
0
5000
2500
Numero di DC
1250
• La terapia con IVIG è stata approvata per la prevenzione di GVHD e infezioni nei riceventi di trapianto allogenico: oltre a presentare minori effetti collaterali, i dati immunologici
suggeriscono che potrebbe essere più efficace di quella con ciclosporina o tacrolimus.
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ematologia
Uso di Ig endovena nelle patologie neoplastiche ematologiche
associate a ipogammaglobulinemia
A multicenter, randomized, double-blind comparison
of different doses of intravenous immunoglobulin for
prevention of graft-versus-host disease and infection
after allogeneic bone marrow transplantation
La terapia con immunoglobuline endovena è approvata per l’uso nei riceventi
di trapianto allogenico di midollo osseo
per la prevenzione della graft-versushost-disease (GVHD) e delle infezioni,
ma la dose minima efficace non è stata
stabilita. In questo studio multicentrico,
randomizzato, in doppio cieco, pazienti
sottoposti a trapianto allogenico di
midollo sono stati randomizzati a ricevere dosi di 100 mg/kg, 250 mg/kg o
500 mg/kg di immunoglobuline endovena. Ciascuna dose veniva somministrata settimanalmente per 90 giorni e
poi mensilmente fino a 1 anno dopo il
trapianto. Una GVHD acuta (gradi 2-4) è
comparsa nel 39% dei pazienti (80 su
206) nel gruppo trattato con 100 mg/kg,
nel 42% dei pazienti (88 su 208) nel
gruppo trattato con 250 mg/kg e nel
35% (72 su 204) nel gruppo trattato con
500 mg/kg (p = 0,344). Fra i pazienti
con donatore di midollo non correlato,
una dose più alta di immunoglobuline
endovena (500 mg/kg) era associata
con una minore GVHD acuta (p = 0,07).
L’incidenza di GVHD cronica, di infezione e di polmonite interstiziale è risultata simile per tutte e tre le dosi di immunoglobuline endovena. Inoltre, la dose
di immunoglobuline non aveva effetto
sui tipi di infezione, sulla recidiva della
emopatia maligna o sulla sopravvivenza. A eccezione di una maggiore frequenza di brividi (p = 0,007) e cefalea (p
= 0,015) nei pazienti riceventi la dose di
Winston DJ, Antin JH, Wolff SN, Bierer BE,
Small T, Miller KB, Linker C, Kaizer H,
Lazarus HM, Petersen FB, Cowan MJ,
Ho WG, Wingard JR, Schiller GJ, Territo MC,
Jiao J, Petrarca MA, Tonetta SA
Bone Marrow Transplant 2001;28(2):187-196
immunoglobulina di 500 mg/kg o di
250 mg/kg, gli eventi avversi erano
simili per i tre dosaggi. Questi risultati
suggeriscono che le dosi di immunoglobuline endovena di 100 mg/kg, 250
mg/kg e 500 mg/kg sono associate con
una incidenza di GVHD e di infezioni
simile nella maggior parte dei trapianti
di midollo osseo allogenico. Questi dati
dovrebbero essere tenuti in considerazione nel disegno di strategie con un
buon rapporto costo/efficacia per l’utilizzo di immunoglobuline endovena in
pazienti sottoposti a trapianto allogenico riceventi altri regimi standard per la
profilassi della GVHD e delle infezioni.
• Questo studio multicentrico randomizzato è stato disegnato per indagare l’efficacia di
dosaggi di IVIG minori di quelli dimostratisi efficaci nella prevenzione di infezioni e
GVHD nei riceventi di trapianto allogenico di midollo osseo.
• Su una popolazione complessiva di 618 pazienti valutabili, dosaggi ridotti, pari a 250 mg/kg
e 100 mg/kg, si sono dimostrati altrettanto efficaci della dose standard di 500 mg/kg nella
prevenzione della GVHD acuta e cronica e delle infezioni post-trapianto (vedi Tabella).
Tabella. Incidenza di graft-versus-host-disease (GVHD) acuta
Caratteristiche
Dose di immunoglobuline endovena
100 mg/kg
250 mg/kg
500 mg/kg
Pazienti totali
206
208
204
Pazienti con GVHD
80 (39%)
88 (42%)
72 (35%)
Grado 2
33 (16%)
37 (18%)
34 (17%)
Grado 3-4
47 (23%)
51 (24%)
38 (18%)
• Il dosaggio di 500 mg/kg si è dimostrato più efficace nel prevenire la GVHD acuta solo nei
pazienti ad alto rischio (in particolare, nei riceventi di trapianto da donatore non correlato).
• Un migliore rapporto costo/efficacia può essere ottenuto con il trattamento con immunoglobuline endovena a dosi di 250 e 100 mg/kg nella maggior parte dei riceventi di
trapianto allogenico.
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ematologia
Uso di Ig endovena nelle patologie neoplastiche ematologiche
associate a ipogammaglobulinemia
Dose-by-dose virological and hematological
responses to intravenous immunoglobulin in an
immunocompromised patient with persistent
parvovirus B19 infection
Tang JW, Lau JS, Wong SY, Cheung JL,
Chan CH, Wong KF, Wong A, Chan PK
Un uomo di 42 anni con linfoma mantellare al IV stadio ha ricevuto chemioterapia e trapianto autologo di cellule staminali periferiche. Il paziente ha sviluppato pancitopenia e l’esame del midollo osseo indicava una aplasia della serie
rossa indotta dal parvovirus B19 (PVB
19), confermata dai test virologici. Dosi
multiple di immunoglobuline endovena (IVIG) sono state somministrate nei
to graduale dei parametri ematologici
del paziente. Questa comunicazione
dimostra come il monitoraggio frequente della risposta virologica ed ematologica alla terapia con IVIG per infezione persistente da PVB 19 in un paziente
immunocompromesso possa permettere di ottimizzare l’uso di questo trattamento, relativamente costoso e qualche volta insufficiente.
mesi seguenti, mentre campioni di sangue venivano prelevati dopo ogni dose
per la valutazione quantitativa del DNA
del PVB 19 e la valutazione ematologica,
al fine di determinare la risposta. Ogni
dose di IVIG ha prodotto una diminuzione di 1-3 log10 nei livelli di DNA del PVB
19. Alla fine, dopo la quinta dose di IVIG,
il DNA virale è stato ridotto a <10
copie/ml di siero, con un miglioramen-
J Med Virol 2007;79(9):1401-1405
• In questo Case Report viene descritto il caso di un paziente con linfoma mantellare con
pancitopenia da parvovirus B19 dopo trapianto autologo di cellule staminali.
• Il trattamento con IVIG è stato monitorato dopo ogni dose valutando la ripresa ematologica e il livello di DNA virale: il raggiungimento di un livello <10 copie/ml di siero
dopo la 5a dose ha permesso di interrompere il trattamento, evitando la somministrazione di dosi superflue (vedi Figura).
Livelli di parvovirus B19
(copia di DNA/ml),
emoglobina (Hb, g/dl),
globuli bianchi
(GB, x 109/l-1) e piastrine
(Plts, x 109/l-1) dopo
chemioterapia.
B19
Hb
Plts
GB
25,00
20,00
Hb, GB, piastrine
Figura.
15,00
10,00
5,00
0,00
70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170 180 190 200 210 220
Giorni dopo la chemioterapia
• Il numero di dosi di immunoglobuline endovena utilizzate nel trattamento delle infezioni da parvovirus negli ospiti immunocompromessi può essere ottimizzato, ottenendo un migliore rapporto costo/beneficio, con un monitoraggio appropriato degli effetti della terapia.
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ematologia
Uso di Ig endovena nelle patologie neoplastiche ematologiche
associate a ipogammaglobulinemia
Temporary blast reduction after immunoglobulin
administration for congenital cytomegalovirus
infection masking infant leukemia with cryptic
MLL rearrangement
Metzler M, Bruch J, Stachel D, Langer T,
Borkhardt A, Harbott J, Rascher W,
Holter W
La distinzione fra soppressione midollare reattiva dovuta a infezione virale e
stadi leucemici iniziali può essere difficile, in particolare nei neonati. Riportiamo il caso di una bambina di 2 mesi
presentatasi con pancitopenia e marker positivi per infezione congenita da
citomegalovirus (CMV). La diagnosi
munoglobuline. La diagnosi molecolare ha potuto essere posta solo utilizzando l’analisi di ibridazione in situ
fluorescente (FISH) in interfase, che
può essere considerata uno strumento
diagnostico addizionale di grande utilità in simili casi.
Leuk Res 2007;31(4):553-557
definitiva della coesistenza di leucemia neonatale a cellule pro-B con riarrangiamento criptico MLL è stata ritardata in questo caso dalla rigenerazione transitoria della ematopoiesi normale e dalla riduzione delle cellule blastiche anormali nel midollo osseo
seguite alla somministrazione di im-
• Questo Case Report illustra il caso di una neonata di 2 mesi in cui una pancitopenia, in
presenza di marker positivi per una infezione congenita da CMV, è stata trattata con la
somministrazione di IVIG.
• Sebbene la terapia con immunoglobuline abbia permesso una ripresa ematologica
temporanea, una leucemia a cellule B, caratterizzata dalla presenza di un riarrangiamento del gene MLL non evidenziabile all’analisi citogenetica convenzionale, si è sviluppata 4 settimane più tardi.
• L’analisi quantitativa retrospettiva del clone neoplastico ha permesso di individuare
una chiara riduzione del clone stesso a seguito del trattamento con IVIG (vedi Figura).
Quantificazione dei blasti
tramite osservazione al
microscopio di strisci di
midollo osseo (MO),
dual-color FISH e analisi
citofluorimetrica (FACS).
Striscio di MO
FISH
FACS
100
% di leucociti totali
Figura.
80
60
40
20
0
0
7
14
21
28
35
42
Giorni dalla presentazione iniziale
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ematologia
Uso di Ig endovena nelle patologie neoplastiche ematologiche
associate a ipogammaglobulinemia
• Un effetto immunomodulatorio, la riduzione del carico virale co-responsabile della proliferazione leucemica o una azione diretta sui blasti neoplastici sono i meccanismi
potenzialmente responsabili di questo effetto anti-leucemico della terapia con immunoglobuline, da investigare ulteriomente.
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
La forma classica della sindrome di Guillain-Barré (GBS) viene definita come una polineuropatia acuta demielinizzante, caratterizzata da una paralisi flaccida ascendente simmetrica, ariflessia,
danno sensoriale e alterazioni del sistema nervoso autonomo. La
GBS è spesso preceduta da un’infezione intercorrente, virale o
batterica, seguita da una progressione dei sintomi fino a una fase
acuta “di plateau” e graduale risoluzione della sintomatologia.
Sebbene siano state descritte diverse varianti della malattia, fra
cui la classica forma di polineuropatia demielinizzante infiammatoria acuta, la neuropatia assonale motoria acuta e la neuropatia assonale senso-motoria acuta, la patogenesi immunomediata è considerata comune a tutte, pur con meccanismi probabilmente diversi. Il trattamento della GBS si basa pertanto, a fianco della terapia di supporto necessaria nella fase acuta, su interventi ad azione immunomodulante. La terapia di supporto della
GBS è diretta essenzialmente alla prevenzione e al trattamento
dell’insufficienza respiratoria, se necessario con l’ausilio della
ventilazione meccanica, della disfunzione del sistema nervoso
autonomo, delle sepsi e della trombosi venosa profonda Altri
interventi essenziali comprendono la terapia del dolore, la nutrizione enterale o parenterale, la cura dell’integrità cutanea e la
prevenzione della perdita di tono muscolare (Atkinson et al.).
Tre differenti approcci immunomodulanti sono stati valutati
per il trattamento dei pazienti con GBS grave: inizialmente corticosteroidi per via orale o endovenosa, poi plasmaferesi (PE) e
infine immunoglobuline endovena (IVIG). Come descritto nell’articolo di revisione di Shahar, a differenza dell’effetto positivo
esercitato nella polineuropatia demielinizzante cronica, l’uso
dei corticosteroidi somministrati da soli si è rivelato inefficace
nella GBS grave. In una metanalisi sistematica del Cochrane
Database, che includeva 6 trial clinici randomizzati, per un totale di 195 pazienti trattati con steroidi orali e 243 pazienti trattati
con metilprednisolone endovena paragonati con 187 controlli,
i corticosteroidi non inducevano differenze significative nella
risoluzione dei sintomi e nell’esito della malattia. Al momento, il
trattamento con corticosteroidi da soli, sia per via orale sia per
via endovenosa, non è raccomandato nella GBS, sebbene vi
siano indicazioni a favore di una loro efficacia, in associazione
alla terapia con IVIG, nel ridurre il tempo necessario per riacqui-
Adriano Chiò
Professore Associato di Neurologia
Dipartimento di Neuroscienze,
Università degli Studi di Torino
stare la deambulazione autonoma. Le ragioni per cui gli steroidi, nonostante la loro efficacia nel trattamento della gran parte
delle patologie autoimmunitarie, non sono attivi nella GBS non
sono note e potrebbero essere legate a un effetto tossico diretto sul muscolo denervato.
La plasmaferesi è stato il primo trattamento per le forme gravi
di GBS a dimostrarsi superiore in efficacia alla sola terapia di supporto e viene generalmente effettuata secondo uno schema
terapeutico che comprende lo scambio di 200-250 ml di plasma per kg di peso corporeo per ogni sessione, per un totale di
5-6 sessioni durante un periodo di 7-14 giorni. La logica alla
base dell’uso della plasmaferesi nella GBS è quella di rimuovere
gli immunocomplessi dannosi, tuttavia essa è probabilmente
anche in grado di agire direttamente sul sistema immunitario
attivando il complemento, influenzando i componenti cellulari
e persino rimuovendo gli auto-anticorpi legati ai tessuti.
Nonostante la sua efficacia, l’utilizzo della plasmaferesi nella
GBS presenta notevoli problemi, poiché necessita di personale qualificato, attrezzatura specialistica e accessi venosi adeguati, potenzialmente difficili da reperire soprattutto nei bambini. Inoltre, la plasmaferesi è associata a una frequenza non
indifferente di effetti collaterali e complicanze, che possono
mettere in pericolo la vita del paziente e incidono anche sulla
valutazione costo-beneficio. Nello studio di Tsai et al., la valutazione farmacoeconomica del trattamento con plasmaferesi
paragonato a quello con IVIG ha mostrato un costo complessivo per paziente minore nel caso di terapia con immunoglobuline. Da notare che il costo delle immunoglobuline stesse,
seppur non indifferente, viene significativamente superato nei
pazienti trattati con plasmaferesi dai costi aggiuntivi legati alle
complicanze e a una maggiore durata dell’ospedalizzazione.
La terapia con alte dosi di immunoglobuline endovena si è
andata affermando nel trattamento della GBS grave a partire
dalla fine degli anni ’80, sulla base di un razionale che vedeva
le IVIG fornire una fonte di anticorpi anti-idiotipo, in grado di
bloccare la cascata di eventi conducenti alla demielinizzazione. Anche in questo caso, i meccanismi che mediano l’efficacia delle IVIG sono probabilmente più complessi e comprendono il legame con componenti del complemento, l’inibizione
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neurologia
della produzione di citochine e l’azione sulle cellule effettrici B e
T. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia terapeutica delle
IVIG nelle forme gravi di GBS, inclusi studi randomizzati controllati che hanno confrontato l’efficacia, la frequenza di recidiva e gli
eventi avversi delle IVIG rispetto alla plasmaferesi. L’efficacia delle
immunoglobuline è risultata comparabile a quella della plasmaferesi e questo dato, associato a una maggiore facilità d’uso e alla
minore incidenza di effetti collaterali, rende attualmente il trattamento con IVIG la terapia di prima linea di scelta nella GBS. La
dose utilizzata è di 2 g/kg di peso corporeo, somministrata
secondo diversi schemi terapeutici: 0,4 g/kg/die per 5 giorni o la
dose totale di 2 g/kg distribuita su 2 giorni consecutivi. A questi
dosaggi, gli effetti collaterali sono generalmente lievi e autolimitanti, e comprendono cefalea, brividi, mialgia, dolore lombare.
Gli effetti collaterali gravi sono rari e compaiono principalmente
in pazienti con patologie sistemiche preesistenti.
La sindrome di Guillain-Barré nei bambini si manifesta generalmente con un decorso più lieve e con prognosi più favorevole.
Numerosi studi hanno indagato l’efficacia della terapia con
immunoglobuline endovena nei pazienti pediatrici, anche in
relazione alle maggiori difficoltà legate all’utilizzo della plasmaferesi nei bambini più piccoli. In uno studio clinico su 47 pazienti pediatrici trattati con IVIG paragonati a 28 bambini sottoposti
a sola terapia di supporto, il primo gruppo presentava un più
rapido miglioramento dei sintomi, in particolare in quei pazienti in cui la terapia veniva somministrata in un periodo di 2 giorni rispetto a quelli trattati su un periodo di 5 giorni. Sebbene la
maggioranza degli studi riporti una più rapida risoluzione dei
sintomi e una riduzione della mortalità nei bambini sottoposti
a terapia con IVIG rispetto alla sola terapia di supporto, nel loro
studio Tasdemir et al. non hanno trovato vantaggi significativi
nella terapia con immunoglobuline rispetto alla sola terapia di
supporto e ne suggeriscono l’utilizzo solo nei casi con fattori di
rischio per insufficienza respiratoria. Fattori come il momento di
inizio della terapia (ottimale entro 10 giorni dalla comparsa dei
primi sintomi) e le caratteristiche cliniche e di laboratorio dei
pazienti andranno ulteriormente studiati per ottimizzare l’efficacia del trattamento con IVIG nei bambini con GBS.
Un aspetto importante della GBS è quello della risoluzione dei
segni e sintomi della malattia e delle possibili sequele neurologiche. La risoluzione della fase acuta della malattia, che normalmente inizia dopo 2-4 settimane dalla fine della fase progressiva, può residuare in una serie di deficit neurologici, principalmente di tipo motorio. Nello studio condotto da Koeppen
et al., accanto alle sequele motorie, è stato preso in considera-
22
zione anche l’esito a lungo termine dei disturbi sensoriali e del
sistema nervoso autonomo. Su una popolazione di 34 pazienti con sindrome di Guillain-Barré, sottoposti a esame neurologico ed elettrofisiologico a un intervallo medio di 3,5 anni dall’insorgenza della malattia, l’85% dei pazienti ha mostrato deficit neurologici alla valutazione di follow-up. La percentuale è
maggiore di quanto riportato da altri autori, generalmente
non superiore al 30-40%, discrepanza che potrebbe essere
dovuta proprio alla maggiore attenzione posta alle sequele di
tipo sensoriale e autonomico. Ciò che può essere realmente
importante è la possibilità per il medico di predire l’esito clinico della malattia durante la fase acuta e l’attenzione posta su
aspetti importanti della sindrome a volte trascurati. Il punteggio clinico che viene proposto, basato su 3 fattori (l’età alla diagnosi, la durata dell’ospedalizzazione e la necessità di respirazione meccanica durante la fase acuta) in grado di predire
l’evoluzione della malattia, se confermato potrà rappresentare
un utile strumento clinico. Va sottolineato che il trattamento
effettuato non sembra invece associato con la presenza di
deficit neurologici residui.
Le prospettive terapeutiche della GBS includono trattamenti al
momento ancora in corso di sperimentazione, come la filtrazione del liquido cefalorachidiano, la somministrazione di anticorpi
monoclonali anti-linfociti T, la terapia con interferone beta. È
inoltre possibile che le diverse forme della malattia presentino
meccanismi patogenetici immunitari differenti, da tenere in
considerazione nel disegno di approcci terapeutici innovativi e
nell’ottimizzazione delle terapie attualmente disponibili. Studi
elettrofisiologici suggeriscono un danno neurologico diverso
per la AIDP (polineuropatia demielinizzante infiammatoria
acuta, prevalente in Europa e Nord America) e per la AMAN
(neuropatia assonale motoria acuta, prevalente nell’Estremo
Oriente): una dominante riduzione dei potenziali motori nella
AMAN e un rallentamento della conduzione nervosa nella AIDP
(Kuwabara). Le due forme potrebbero avere alla base meccanismi autoimmunitari diversi, con un prevalente interessamento
dell’immunità umorale nella prima e dell’immunità cellulare
nella seconda. Di qui, ad esempio, la maggiore efficacia della
terapia con IVIG rispetto alla plasmaferesi nella AMAN riportata
in alcuni studi preliminari. La sempre migliore comprensione dei
meccanismi patogenetici immunitari alla base della malattia e
delle sue diverse forme potrà consentire in futuro una terapia
maggiormente personalizzata e attiva, in particolare per quei
pazienti, specie con importante interessamento assonale, in cui
ancora le attuali terapie possono risultare inefficaci.
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
The challenges of managing and treating
Guillain-Barré syndrome
during the acute phase
Atkinson SB, Carr RL, Maybee P, Haynes D
La sindrome di Guillain-Barré (GBS) è
una malattia infiammatoria acquisita
che interessa circa 2 persone ogni
100.000 abitanti all’anno. L’incidenza è
casuale e non sono stati identificati
fattori di rischio discriminanti, inclusa
l’età, il sesso o l’etnia. La sindrome pro-
inclusi la fisiopatologia della malattia,
la presentazione clinica, la valutazione
e il trattamento infermieristico e le
opzioni terapeutiche attualmente
disponibili.
voca una demielinizzazione dei nervi
periferici, che porta a una progressiva
debolezza muscolare e paralisi. L’infermiere di terapia intensiva dovrebbe
ottenere da questo articolo una visione generale della sindrome di GuillainBarré durante la fase acuta. Vengono
Dimens Crit Care Nurs 2006;25(6):256-263
• Il trattamento infermieristico rappresenta un aspetto molto importante della gestione
dei pazienti con sindrome di Guillain-Barré. L’articolo riassume le principali caratteristiche della malattia e il ruolo dell’infermiere nella terapia di supporto e immunomodulante.
• Vengono citati quattro approcci terapeutici immunomodulanti: i corticosteroidi, la plasmaferesi, la terapia con immunoglobuline endovena e la filtrazione del liquido cefalorachidiano, quest’ultimo ancora sperimentale. La plasmaferesi e le IVIG sono le terapie
di scelta. L’infermiere di terapia intensiva deve conoscerle adeguatamente entrambe,
per essere in grado di prevenire le complicanze e per aiutare il malato e la famiglia nella
comprensione del trattamento.
• Altri interventi infermieristici essenziali comprendono il riconoscimento e il trattamento del dolore, della paura e dell’ansia, la valutazione dello stato nutrizionale e della
nutrizione enterale, la cura dell’integrità cutanea, la prevenzione della perdita di tono
muscolare e il riconoscimento precoce di complicanze come l’insufficienza respiratoria,
la disfunzione del sistema nervoso autonomo, le sepsi e la trombosi venosa profonda.
Current therapeutic options in severe
Guillain-Barré syndrome
Shahar E
La forma classica della sindrome di
Guillain-Barré (GBS) consiste in una
polineuropatia motoria e sensoriale
demielinizzante acuta monofasica,
caratterizzata da debolezza flaccida
motorie e sensoriali, come pure forme
esclusivamente autonomiche. Complessi meccanismi immunomediati
portano alla demielinizzazione segmentale accompagnata da interessa-
simmetrica ascendente, con alterazione sensoriale e, meno comunemente,
perturbazioni autonomiche. Sono
anche state identificate forme puramente motorie assonali, assonali
Clin Neuropharmacol 2006;29(1):45-51
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
mento assonale nei casi a decorso protratto. L’individuazione di strategie di
immunomodulazione può quindi consentire di arrestare e persino far regredire il danno autoimmune ai nervi periferici. Il presente articolo rivede le opzioni
immunomodulatorie attuali nelle
forme gravi di GBS. Una recente metanalisi Cochrane di 6 studi randomizzati
ha mostrato l’assenza di un miglioramento significativo con l’uso di corticosteroidi, incluso metilprednisolone
orale o endovena. Il trattamento combinato con metilprednisolone e immunoglobuline era in grado di accorciare il
tempo necessario per riguadagnare la
deambulazione indipendente. La pla-
smaferesi (PE) è stato il primo metodo
sicuramente efficace di immunomodulazione, seguito dalle immunoglobuline endovena (IVIG). I due approcci presentano effetti benefici comparabili e
sono stati usati sia separatamente sia in
combinazione, ma la PE è più frequentemente associata a eventi avversi
gravi, richiedenti l’interruzione della
terapia, inclusa una diatesi emorragica.
Inoltre, la PE è effettuabile solo nei
maggiori centri di riferimento e richiede attrezzature adeguate e personale
esperto. In più, i bambini più piccoli
possono essere a rischio di sanguinamento dopo l’inserzione di cateteri di
calibro elevato. Pertanto, nei casi di GBS
grave, le IVIG sono raccomandate come
prima linea di terapia, a una dose totale
empirica di 2 g/kg somministrata nel
corso di 2 giorni consecutivi. Tale trattamento, specialmente nei bambini, si è
dimostrato molto efficace con trascurabili effetti collaterali. Nei casi a decorso
protratto, l’aggiunta di corticosteroidi
endovena alle IVIG dovrebbe essere
presa in considerazione, poiché può
accorciare il tempo necessario a riguadagnare una deambulazione indipendente. In caso di fallimento di questo
schema terapeutico, può essere eseguita una PE, usando separatori a centrifuga con albumina 5% come soluzione sostitutiva.
• Questo articolo presenta una estensiva revisione della letteratura per quanto riguarda
il trattamento immunomodulante della sindrome di Guillain-Barré, indicato a partire
dal grado 3 di severità (vedi Tabella).
Tabella. Scala della disabilità motoria nella sindrome di Guillain-Barré
Grado
Disabilità motoria
0
Sano
1
Segni o sintomi minori
2
In grado di camminare 5 m senza supporto
3
In grado di camminare 5 m con supporto
4
Costretto a letto o su una sedia: incapace di camminare 5 m con supporto
5
Necessita della ventilazione meccanica
6
Deceduto
• Il trattamento con IVIG risulta il trattamento di prima linea di scelta nei casi di GBS
grave, alla dose di 2 g/kg somministrata nel corso di 2 giorni consecutivi.
• La terapia con corticosteroidi (metilprednisolone i.v., 20-30 mg/kg/die per 5 giorni),
inefficace da sola, può essere aggiunta al trattamento con IVIG nei casi protratti, per
accelerare la ripresa della deambulazione autonoma.
• La plasmaferesi risulta altrettanto efficace delle IVIG, ma per i suoi maggiori effetti collaterali va riservata ai casi di fallimento della terapia di prima linea.
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
Pharmacoeconomics of therapy for Guillain-Barré
syndrome: plasma exchange and intravenous
immunoglobulin
Tsai CP, Wang KC, Liu CY, Sheng WY, Lee TC
La sindrome di Guillain-Barré (GBS) è
una neuropatia acuta e una sindrome
clinica che include diversi sottotipi
patologici ed elettrofisiologici. Le
immunoglobuline endovena (IVIG) e la
plasmaferesi (PE) sono entrambe terapie ugualmente efficaci per il trattamento della GBS; tuttavia, il costo delle
IVIG può essere più basso, sia per il
paziente sia per il sistema sanitario.
Uno studio retrospettivo è stato effettuato dal 1999 al 2004 per confrontare
la farmacoeconomica di PE e IVIG nella
pazienti che hanno richiesto un respiratore automatico rispetto a quelli in
cui non è stato necessario (p = 0,008, ttest) e la lunghezza dell’ospedalizzazione ha mostrato una correlazione
lineare molto forte con i costi totali
(coefficiente di correlazione di Pearson
= 0,907). L’analisi della regressione
indicava che ogni giorno addizionale
di ricovero aumentava i costi di ospedalizzazione di una media di 5599
Nuovi Dollari di Taiwan (NT) (1,00$
USA = 33,50$ NT nel 2005).
J Clin Neurosci 2007;14(7):625-629
GBS, includendo un totale di 24
pazienti con GBS ricoverati presso il
Taipei Veterans General Hospital. Lo
studio ha dimostrato che, nonostante i
costi dei farmaci usati nella terapia con
IVIG, il trattamento della GBS con IVIG
presentava un migliore rapporto
costo/efficacia (p = 0,057) di quello
con PE per quanto riguarda la durata
totale dell’ospedalizzazione e i costi
per le procedure e l’ospedalizzazione
stessa. Lo studio ha anche mostrato
che i costi totali erano più alti per i
• Sia la plasmaferesi sia le immunoglobuline endovena si sono dimostrate terapie efficaci per la sindrome di Guillain-Barré: un’analisi dei costi legati a entrambe le procedure
può quindi rappresentare un utile criterio nella scelta della terapia.
• In questo studio sono stati confrontanti i costi totali del trattamento di 7 pazienti con
GBS che hanno ricevuto IVIG con quelli di 10 pazienti trattati con plasmaferesi.
Nonostante il costo più elevato dei farmaci nel gruppo immunoglobuline, il costo totale per paziente era più alto nel gruppo trattato con plasmaferesi (vedi Tabella).
Tabella. Stima dei costi medi e test di Kruskal Wallis
Variabili di costo
PE (n = 10)
IVIG (n = 7)
Media
SEM
Media
SEM
Farmaci
135.740
54.087
227.975
64.646
Procedure
128.944
22.326
40.320
26.685
Ospedalizzazione
252.673
52.172
92.529
62.358
Totale
517.357
114.813
360.824
137.228
• La riduzione del costo nei pazienti trattati con immunoglobuline risulta principalmente dovuta alla minore durata dell’ospedalizzazione, alla minore incidenza di complicanze e al minor numero di pazienti che hanno necessitato della ventilazione meccanica
rispetto al gruppo trattato con plasmaferesi.
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
Intravenous immunoglobulin
for Guillain-Barré syndrome:
how effective?
La sindrome di Guillain-Barré è una
neuropatia infiammatoria demielinizzante acuta caratterizzata da poliradicoloneurite progressiva simmetrica,
manifestantesi principalmente con
debolezza e ariflessia. In questo articolo, riportiamo i nostri risultati in 25
bambini trattati con immunoglobuline endovena e li confrontiamo con
quelli di altri 30 bambini che hanno
ricevuto esclusivamente terapia di
supporto. Terapia di supporto da sola
è stata somministrata a 30 bambini
non in grado di ricevere gammaglobuline endovena a causa di una carente disponibilità delle gammaglobuline
stesse, importate in piccola quantità in
quegli anni. Venticinque pazienti sono
stati trattati con gammaglobuline
endovena, alla dose di 0,4 g/kg/die per
5 giorni consecutivi. Diciassette bam-
bini in questo gruppo hanno ricevuto
le gammaglobuline endovena entro
10 giorni dalla comparsa dei primi sintomi e 8 dopo i primi 10 giorni. La
media del tempo impiegato dai sintomi per raggiungere il livello massimo è
stata di 6,9 (range 4-12) giorni nei
pazienti trattati con gammaglobuline
endovena entro i primi 10 giorni, significativamente più corto che nel gruppo trattato con sola terapia di supporto (6,9 vs 8,8 giorni, rispettivamente) (p
<0,05). Il ricovero in ospedale dopo i
primi sintomi, il grado di disabilità, il
tempo necessario per migliorare il
grado di disabilità, il periodo di ospedalizzazione e la mortalità non sono
stati differenti nei gruppi trattati con
gammaglobuline e con terapia di supporto (p >0,05). Il nostro parere per la
terapia con gammaglobuline endove-
Tasdemir HA, Dilber C, Kanber Y, Uysal S
J Child Neurol 2006;21(11):972-974
na nella sindrome di Guillain-Barré è
che se il paziente ha fattori di rischio
per l’insufficienza respiratoria, allora il
trattamento dovrebbe essere iniziato.
Dopo i risultati di questo studio siamo
più fiduciosi circa il follow-up di questi
pazienti. In conclusione, sebbene sia
stato riportato che le gammaglobuline endovena possono facilitare il
miglioramento della malattia e ridurre
la mortalità nei bambini con sindrome
di Guillain-Barré, vi sono stati anche
studi in cui il trattamento con gammaglobuline endovena non è risultato
migliore della terapia di supporto,
come nel nostro caso. Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per determinare quando le immunoglobuline endovena dovrebbero essere somministrate e a pazienti con quali caratteristiche
cliniche e di laboratorio.
• È generalmente accettato che la sindrome di Guillain-Barré presenti un decorso clinico
e una prognosi più favorevoli nei pazienti pediatrici. In questo articolo vengono riportati i risultati ottenuti in 25 bambini con GBS trattati con IVIG, confrontati con quelli
ottenuti in un’altra coorte di pazienti pediatrici che hanno ricevuto solo terapia di supporto.
• Dei 25 bambini trattati con IVIG, 17 hanno iniziato la terapia entro i primi 10 giorni dalla
comparsa dei sintomi. Né il tempo necessario per migliorare la sintomatologia, né la
durata di ospedalizzazione, né la mortalità sono risultati significativamente differenti
nei bambini trattati con IVIG rispetto a quelli trattati con sola terapia di supporto (vedi
Tabella).
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
Tabella. Caratteristiche cliniche dei pazienti che hanno ricevuto IVIG o terapia di supporto
Caratteristiche
IVIG (n = 25)
Terapia di supporto (n = 30)
Età alla presentazione (anni)
6,8 (1,5-16)
6,3 (1,5-15)
Sesso (M/F)
Infezione precedente (g)
Coinvolgimento del nervo cranico
Ventilazione meccanica
Proteina CSF (mg/dl)
Follow-up mediano (g)
Ricovero in ospedale dopo il primo sintomo (g)
Grado di disabilità
Tempo trascorso dall’inizio dei sintomi per raggiungere il nadir (g)
Tempo per il miglioramento di un grado di disabilità (g)
Durata dell’ospedalizzazione (g)
Mortalità
2,6
12
3
7
167 (5,4-510)
105 (20-270)
5 (1-30)
6,5 (4-9)
8,2 (4-17)
15,9 (9-34)
20,7 (6-52)
4
2,7
19
1
2
194 (55-471)
184 (22-730)
7 (1-30)
6,1 (4-9)
8,8 (4-15)
16,4 (10-33)
17,6 (8-48)
1
• I pazienti che hanno ricevuto immunoglobuline entro i primi 10 giorni hanno presentato un tempo medio per raggiungere il grado massimo di sintomatologia (nadir) significativamente più corto rispetto ai pazienti trattati con terapia di supporto (6,9 vs 8,8
giorni, rispettivamente; p <0,05).
• Viene raccomandato l’uso delle IVIG nei pazienti pediatrici con GBS solo in presenza di
fattori di rischio per lo sviluppo di insufficienza respiratoria. L’inizio del trattamento
entro i primi 10 giorni dalla comparsa dei sintomi sembra essere un fattore importante
per un’efficacia terapeutica ottimale.
Koeppen S, Kraywinkel K, Wessendorf TE,
Ehrenfeld CE, Scharks M, Diener HC,
Weimar C
Long-term outcome
of Guillain-Barré syndrome
Obiettivi. Indagare le sequele neurologiche a lungo termine dopo la sindrome di Guillain-Barré (GBS) e valutare il valore predittivo dell’insufficienza
respiratoria durante la fase acuta della
malattia. Metodi. Trentaquattro pazienti con GBS, inclusi 5 pazienti con la
sindrome di Miller-Fisher, ricoverati
presso la clinica universitaria fra il 1994
e il 2002 sono stati sottoposti a esame
neurologico ed elettrofisiologico dopo
7-86 mesi di follow-up dalla comparsa
della GBS. Risultati. Dei 34 pazienti, 5
hanno mostrato una guarigione com-
Neurocrit Care 2006;5(3):235-242
pleta, 11 hanno presentato lievi sintomi e/o segni residuali e 18 hanno
avuto deficit neurologici funzionalmente rilevanti, principalmente agli
arti inferiori, sebbene tutti i pazienti
fossero in grado di camminare senza
assistenza e nessuno mostrasse insufficienza respiratoria. Gli studi di conduzione nervosa hanno rivelato segni di
anormalità in 30 pazienti. La valutazione della funzione autonomica del
sistema cardiovascolare mostrava una
risposta della pressione arteriosa alla
stazione eretta patologica in 27
pazienti su 33. Non è stata trovata
alcuna associazione fra il decorso della
malattia e un respiro patologico
durante il sonno al follow-up. L’età
all’esordio della malattia, la necessità
di respirazione meccanica e la durata
della fase di plateau correlavano con la
gravità delle sequele neurologiche al
follow-up. Conclusioni. Vi è stata un’alta persistenza di segni e sintomi sensorimotori residui dopo GBS nella
nostra coorte di pazienti. Inoltre, cali
pressori anormali non associati a una
disregolazione ortostatica clinicamen-
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
te evidente sono stati rilevati nella
maggioranza dei pazienti al follow-up.
Ciò è in contrasto con studi precedenti che hanno descritto un graduale
miglioramento della disfunzione autonomica dopo 2-18 mesi. Uno score
prognostico combinato basato su età
del paziente, durata della fase di plate-
au e presenza di insufficienza respiratoria nella fase acuta della GBS potrebbe predire l’esito a lungo termine.
• In questo studio sono state indagate le sequele a lungo termine in 34 pazienti con sindrome di Guillain-Barré. I segni e sintomi neurologici sono stati valutati separatamente
per il sistema nervoso motorio, sensitivo e autonomo, allo scopo di ottenere un quadro
più dettagliato dell’esito funzionale della GBS a lungo termine.
• In contrasto con lavori precedenti, ben l’85% dei pazienti ha mostrato deficit neurologici alla valutazione di follow-up, localizzati principalmente alle estremità inferiori.
Ventisette pazienti su 33 presentavano una caduta più o meno marcata della pressione
arteriosa all’assunzione della stazione eretta.
• Non è stata identificata alcuna associazione significativa fra il tipo di trattamento ricevuto nella fase acuta e l’esito a lungo termine. Al contrario, uno score prognostico basato sull’età alla diagnosi, la durata della fase di plateau e la necessità di respirazione meccanica era in grado di predire l’evoluzione della malattia a lungo termine (vedi Figura).
Distribuzione dei
punteggi clinici totali al
follow-up, stratificati
secondo il punteggio
prognostico al basale
(determinato da età
all’esordio, durata della
fase di plateau e necessità
di ventilazione meccanica)
in 34 pazienti dopo GBS.
30
Punteggio totale (IC 95%)
Figura.
20
10
0
0
1
2
3
Punteggio prognostico
28
4
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neurologia
Sindrome di Guillain-Barré
Kuwabara S
Guillain-Barré syndrome
La sindrome di Guillain-Barré (GBS)
viene attualmente divisa in due sottotipi maggiori: la polineuropatia demielinizzante infiammatoria acuta (AIDP) e
la neuropatia assonale motoria acuta
(AMAN). Questa revisione evidenzia le
pubblicazioni recenti più rilevanti, in
particolare sulla fisiopatologia della
AMAN. Il mimetismo molecolare del
lipo-oligosaccaride batterico da parte
dei gangliosidi umani è oggi considerato un’importante causa di AMAN. I
Curr Neurol Neurosci Rep 2007;7(1):57-62
gangliosidi GM1, GM1b, GD1a e
GalNAc-GD1a espressi sull’assolemma
del neurone motorio sono probabilmente gli epitopi per gli auto-anticorpi
nella AMAN. A livello dei nodi o paranodi, la deposizione di anticorpi antiganglioside causa inizialmente un
blocco reversibile della conduzione,
seguito da degenerazione assonale.
Dati elettrodiagnostici avvalorano questo processo. La disgregazione dei glicolipidi, importanti per mantenere il
raggruppamento dei canali ionici a
livello dei nodi e paranodi, può alterare
la conduzione nervosa. I polimorfismi
genetici del Campylobacter jejuni
determinano l’espressione dei gangliosidi sulla parete batterica. Al contrario, i
target molecolari nella AIDP non sono
ancora stati identificati. Metanalisi
hanno mostrato l’efficacia della plasmaferesi e della terapia con immunoglobuline, ma non con corticosteroidi,
nell’accelerare la guarigione.
• L’articolo rivede le conoscenze fisiopatologiche attuali dei due principali tipi di sindrome di Guillain-Barré, evidenziando i potenziali meccanismi immunomediati che determinano i difetti a carico del rivestimento mielinico o dell’assone nervoso.
• I dati elettrodiagnostici mostrano una riduzione dei potenziali motori nella AMAN e un
rallentamento della conduzione nervosa nella AIDP, in relazione probabilmente a meccanismi immunopatogenetici diversi.
• Entrambi i tipi di GBS rispondono al trattamento con plasmaferesi e immunoglobuline
endovena (vedi Figura), ma dati preliminari mostrano che queste ultime potrebbero
essere più efficaci della plasmaferesi nelle forme assonali (AMAN).
Figura.
Studi di conduzione del nervo
ulnare in pazienti con neuropatia
assonale motoria acuta eseguiti nei
giorni 3 e 8. Il paziente ha ricevuto
trattamento con immunoglobuline
a partire dal giorno 3. I potenziali
d’azione del muscolo sono registrati
dall’abduttore del mignolo con
stimolazione a livello del polso,
sopra e sotto il gomito, e dell’ascella.
Si noti la rapida risoluzione dei
blocchi della conduzione nel
segmento distale del nervo e al
gomito.
Giorno 3
Giorno 8
29
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V
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Riassunto delle caratteristiche del prodotto
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
Vivaglobin, soluzione di 160 mg/mL per iniezione
(uso sottocutaneo)
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
1 mL contiene:
immunoglobulina umana normale (sottocutanea)
160 mg*
*Corrispondenti al contenuto di proteine totali di cui almeno
il 95% IgG
Distribuzione delle sottoclassi di IgG:
ca. 61 %
IgG1
IgG2
ca. 28 %
ca. 5 %
IgG3
IgG4
ca. 6 %
IgA
max. 1,7 mg/mL
Per gli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Soluzione per iniezione (uso sottocutaneo)
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche
Terapia sostitutiva negli adulti e nei bambini affetti da sindromi
di immunodeficienza primitiva (PID) quali:
• agammaglobulinemia e ipogammaglobulinemia congenite
• immunodeficienza comune variabile,
• immunodeficienza combinata grave,
• carenza di sottoclassi IgG con infezioni ricorrenti.
Terapia di sostituzione nel mieloma o nella leucemia linfatica
cronica, con grave ipogammaglobulinemia secondaria
e infezioni ricorrenti.
4.2 Posologia e modo di somministrazione
Posologia
Il dosaggio va determinato singolarmente per ciascun paziente,
tenendo conto dei parametri farmacocinetici e della risposta
clinica. I dosaggi qui di seguito riportati sono da ritenere
come indicativi. Con somministrazione per via sottocutanea,
il dosaggio deve essere scelto in modo tale da conseguire
un livello sostenuto di IgG nel plasma. Può essere necessaria
una dose di carico di almeno 0,2 - 0,5 g/kg (1,3-3,1 mL/kg) di
peso corporeo, ripartita in più giorni, con una dose massima
giornaliera di 0,1 fino a 0,15 g/kg di peso corporeo, e secondo
quanto indicato dal medico curante. Dopo che i livelli di IgG
abbiano raggiunto lo stato stazionario, le dosi di mantenimento
si somministreranno a intervalli successivi, preferibilmente con
cadenza settimanale tali da raggiungere una dose mensile
complessiva compresa fra circa 0,4 e 0,8 g/kg (2,5 - 5 mL/kg)
di peso corporeo. Per la regolazione della dose e degli intervalli
di dosaggio di Vivaglobin vanno misurati i livelli minimi di IgG.
Modalità di somministrazione
Vivaglobin deve essere somministrato per via sottocutanea.
L’infusione sottocutanea nel trattamento domiciliare deve
essere effettuata da un medico esperto nel trattamento
dell’immunodeficienza e nell’orientamento dei pazienti in tema
di terapia domiciliare. I pazienti saranno istruiti sull’impiego
della pompa a siringa, sulle tecniche di infusione, sulla
compilazione di un diario di trattamento e sui provvedimenti
da adottare in caso di gravi reazioni avverse.
La velocità di infusione raccomandata è pari a 22 mL/h.
In una sperimentazione clinica, nel corso della quale sono stati
valutati 53 pazienti, la velocità di infusione di Vivaglobin è stata
portata - nella fase di addestramento sotto la supervisione di un
medico - dagli iniziali 10 mL/h a 22 mL/h. Vivaglobin deve essere
preferibilmente iniettato nella parete addominale, nella coscia
e/o nel gluteo. In ogni singolo sito di iniezione non devono
essere iniettati più di 15 mL. Dosi di quantità superiore a 15 mL
devono essere iniettate ripartendole in più punti.
4.3 Controindicazioni
Ipersensibilità accertata nei confronti di qualsiasi componente
del prodotto. Vivaglobin non deve essere iniettato per
via intravascolare. Non deve essere somministrato per via
Vivaglobin 210x280 indd 1
intramuscolare in caso di trombocitopenia di grado severo
e in altri disturbi della coagulazione.
4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni d’impiego
Non iniettare per via endovascolare! In caso di iniezione
accidentale di Vivaglobin in un vaso sanguigno, è possibile
che il paziente sviluppi uno shock anafilattico.
La velocità di infusione raccomandata per Vivaglobin è indicata
al paragrafo “4.2 Modalità di somministrazione” e deve
essere rispettata. I pazienti devono essere tenuti sotto stretto
monitoraggio ed attentamente controllati durante l’infusione
per accertare tempestivamente l’eventuale insorgenza di
qualsiasi effetto avverso. Alcune reazioni avverse possono
presentarsi con maggiore frequenza nei pazienti ai quali
l’immunoglobulina umana normale è somministrata per la
prima volta, oppure, ma raramente, quando si cambia prodotto
o se il trattamento è stato interrotto per più di 8 settimane.
Vere reazioni di ipersensibilità sono rare. Possono manifestarsi
in rarissimi casi di carenza di IgA con anticorpi anti-IgA: questi
pazienti devono essere trattati con cautela.
Raramente, Vivaglobin può causare caduta pressoria
accompagnata da reazione anafilattica anche in pazienti
che hanno ben tollerato un precedente trattamento con
immunoglobulina umana normale.
Le potenziali complicanze possono essere sovente evitate,
accertandosi:
• che i pazienti non siano sensibili alle immunoglobuline
umane normali, infondendo loro, la prima volta,
il prodotto lentamente (vedere paragrafo” 4.2 Modalità
di somministrazione”);
• che i pazienti siano attentamente monitorati per accertare
con tempestività l’insorgenza di qualsiasi sintomo nel corso
dell’infusione. In particolare, si raccomanda di monitorare
i pazienti nel corso della prima infusione e per la prima
ora successiva, al fine di potere subito individuare potenziali
reazioni avverse che insorgano nelle seguenti situazioni:
- pazienti non precedentemente trattati con
immunoglobulina umana normale,
- pazienti in precedenza trattati con un altro prodotto, oppure
- quando è intercorso molto tempo dalla precedente infusione.
Tutti gli altri pazienti devono essere comunque tenuti sotto
osservazione per almeno 20 minuti dopo la somministrazione.
In caso di sospetta reazione allergica o anafilattica si dovrà
sospendere immediatamente la somministrazione del prodotto.
In caso di shock devono essere adottate le procedure correnti
standard per il trattamento dello shock.
Le procedure standard per prevenire infezioni che risultino
dall’uso di prodotti derivati da sangue o plasma umano
comprendono la selezione dei donatori, il controllo delle
singole donazioni e dei pool di plasma per la presenza
di specifici marcatori di infezione e l’adozione di fasi di
produzione efficaci per l’inattivazione/la rimozione dei virus.
Ciò nonostante, quando vengono somministrati prodotti
derivati da sangue o plasma umano, non può essere totalmente
esclusa la possibilità di trasmissione di agenti infettivi.
Ciò vale anche per virus sconosciuti o emergenti e per altri
patogeni. I provvedimenti adottati sono considerati efficaci
nei confronti di virus capsulati come HIV, HBV e HCV,
e nei confronti dei virus non capsulati HAV e parvovirus B19.
Esiste una rassicurante esperienza clinica in merito alla
non trasmissione dell’epatite A o del parvovirus B 19 con la
somministrazione di immunoglobuline e si ritiene anche che il
contenuto anticorpale rappresenti un importante contributo
alla sicurezza contro i virus. Si raccomanda in modo particolare
che, ogni qual volta si somministri Vivaglobin, si registrino sia il
nome del paziente che il numero di lotto del prodotto stesso,
in modo da stabilire un collegamento fra il nome del paziente
e il numero del lotto.
4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione
Vaccini con virus vivi attenuati
La somministrazione di immunoglobulina può compromettere,
in un periodo compreso fra 6 settimane e 3 mesi dalla
vaccinazione, l’efficacia di vaccini vivi attenuati, come i vaccini
contro il morbillo, la rosolia, la parotite e la varicella.
Dopo la somministrazione di Vivaglobin deve intercorrere un
intervallo di almeno 3 mesi prima di procedere alla vaccinazione
con vaccini contenenti virus vivi attenuati. Nel caso del morbillo,
questo effetto di indebolimento della vaccinazione può durare
fino a 1 anno. Pertanto, nei pazienti vaccinati contro il morbillo
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si deve controllare la specifica situazione anticorpale.
Interazioni con analisi sierologiche
È opportuno tenere presente all’atto dell’interpretazione
dei risultati di test sierologici che il transitorio aumento degli
anticorpi trasportati passivamente in seguito ad iniezioni di
immunoglobuline può rendere positivi i risultati dei test.
La trasmissione passiva di anticorpi per gli antigeni eritrocitari,
ad es. A, B e D, può interferire con alcuni test sierologici per la
ricerca di allo-anticorpi eritrocitari (ad es. test di Coombs), con
la conta dei reticolociti e con l’aptoglobina.
4.6 Gravidanza ed allattamento
La sicurezza di questo medicinale in donne gravide non
è stata stabilita in sperimentazioni cliniche controllate,
pertanto, occorre porre particolare attenzione nel decidere
se somministrare questa specialità medicinale durante la
gravidanza o nella fase di allattamento al seno.
L’esperienza clinica acquisita nell’impiego delle
gammaglobuline non porta a ritenere la comparsa di effetti
pericolosi in caso di somministrazione delle stesse durante la
gravidanza né per la madre, né per il feto o per il neonato.
4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli
e sull’uso di macchinari
Non vi sono indicazioni che Vivaglobin possa compromettere la
capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.
4.8 Effetti indesiderati
In uno studio clinico eseguito con somministrazione
sottocutanea in 60 soggetti, sono stati riportati, i seguenti
effetti indesiderati: reazioni al sito di infusione molto comuni
e in gran parte di intensità lieve (gonfiore, irritazione,
arrossamento, indurimento, sensazione localizzata di calore,
prurito, ecchimosi) all’inizio del trattamento sottocutaneo
e con riduzione molto rapida entro le prime dieci infusioni,
quando i soggetti si abituano a questo tipo di trattamento.
(Le reazioni al sito di iniezione non sono state segnalate in uno
studio in cui i pazienti erano stati trattati con immunoglobulina
sottocutanea per anni prima della sperimentazione).
In singoli casi:
• reazioni allergiche comprendenti caduta della pressione
• reazioni generalizzate come brividi, febbre, cefalea,
malessere, moderata lombalgia, sincope, capogiri,
disturbi cutanei, broncospasmo
Durante la sorveglianza post-marketing di prodotti
somministrati per via intramuscolare o sottocutanea, sono stati
segnalati raramente i seguenti effetti indesiderati:
• reazioni allergiche comprendenti caduta della pressione,
dispnea, reazioni cutanee che, in casi isolati, sono progredite
fino allo shock anafilattico, anche quando il paziente
non aveva presentato reazioni di ipersensibilità in occasione
di somministrazioni precedenti.
• reazioni generalizzate come brividi, febbre, cefalea,
malessere, nausea, vomito, artralgia e moderata lombalgia.
• reazioni cardiovascolari, in particolare nei casi di accidentale
somministrazione del prodotto per via endovascolare.
• reazioni locali nel sito di infusione/iniezione:
gonfiore, irritazione, arrossamento, indurimento,
sensazione localizzata di calore, prurito, ecchimosi o rash.
Per informazioni in merito al rischio di malattie infettive,
vedere paragrafo 4.4 “Avvertenze speciali e opportune
precauzioni d’impiego”.
4.9 Sovradosaggio
Non sono note conseguenze da sovradosaggio.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche
Gruppo farmacoterapeutico: sieri immuni ed immunoglobuline;
immunoglobuline umane normali, per somministrazione
extravascolare. Codice ATC: J06B A01
L’immunoglobulina umana normale contiene principalmente
immunoglobulina G (IgG), caratterizzata da un ampio spettro
anticorpale verso vari agenti infettivi. Vivaglobin contiene
gli anticorpi dell’immunoglobulina G che sono presenti nella
popolazione normale. Per la sua preparazione si impiegano
pool di plasma ottenuti da almeno 1.000 donatori.
Vivaglobin presenta una distribuzione di sottoclassi di
immunoglobulina G strettamente proporzionale a quella del
plasma umano nativo. La somministrazione di dosi adeguate di
questa specialità medicinale consente di riportare alla norma
bassi valori di immunoglobulina G.
5.2 Proprietà farmacocinetiche
Mediante somministrazione sottocutanea dell’immunoglobulina
Vivaglobin 210x280 indd 2
umana normale sono stati raggiunti nel circolo del ricevente
valori di picco con un ritardo di circa 2 giorni.
I dati ottenuti da una sperimentazione clinica (n = 60) hanno
evidenziato che, nel plasma, possono essere mantenuti livelli
di 8 - 9 g/L (n = 53), somministrando ogni settimana dosi di
Vivaglobin comprese fra 0,05 e 0,15 g per kg di peso corporeo.
Ciò è paragonato a un dosaggio cumulativo mensile di 0,2-0,6 g
per kg di peso corporeo. La IgG e i complessi di IgG vengono
catabolizzati nelle cellule del sistema reticolo-endoteliale
5.3 Dati preclinici di sicurezza
Non esistono dati considerati rilevanti per la sicurezza
clinica oltre ai dati inclusi in altre sezioni del Riassunto delle
Caratteristiche del Prodotto.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti
Glicina, sodio cloruro, acido idrocloridrico o idrossido di sodio
(in piccole quantità, per la regolazione del pH), acqua per
preparazioni iniettabili.
6.2 Incompatibilità
In assenza di studi di compatibilità questo prodotto medicinale
non deve essere miscelato ad altri prodotti medicinali.
6.3 Periodo di validità
Il periodo di validità è di 3 anni. Il prodotto deve essere utilizzato
immediatamente dopo l’apertura della fiala o del flacone.
6.4 Speciali precauzioni per la conservazione
Vivaglobin va conservato in frigorifero (+2° C e +8° C) nella
confezione. Non congelare!
6.5 Natura e contenuto del contenitore
Flaconcino (vetro Tipo I) da 3 mL di soluzione con tappo
(clorobutile) - confezione da 1 o 10 flaconcini;
Fiala (vetro Tipo I) da 5 mL di soluzione - confezione da 1 o 10 fiale;
Flaconcino (vetro Tipo I) da 10 mL di soluzione con tappo
(clorobutile) - confezione da 1, 2, 10 o 20 flaconcini;
Flaconcino (vetro Tipo I) da 20 mL di soluzione con tappo
(clorobutile) - confezione da 1 flaconcino.
Solo la confezione da 2 flaconcini x 10 mL contiene i seguenti
dispositivi: 1 siringa da 20 mL, 1 tubo-perfusore con ago, 2 aghi
ipodermici, 2 aghi areatori, 3 tamponi con alcool.
È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.
6.6 Speciali precauzioni per lo smaltimento
Vivaglobin è una soluzione pronta per l’uso e deve essere
somministrata a temperatura corporea. Vivaglobin è una
soluzione limpida. Il colore può variare da trasparente a giallo
pallido fino a marrone chiaro entro il periodo di validità Non
usare soluzioni che sono torbide o che presentano depositi.
Il prodotto non utilizzato ed i materiali di scarto devono essere
smaltiti in conformità ai requisiti di legge locali.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE
IN COMMERCIO
CSLBehring GmbH - Emil-von-Behring-Str. 76
D-35041 Marburg - Germania
8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE (DELLE AUTORIZZAZIONI)
ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
037882014/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 1 fiala da 5 mL
037882026/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 10 fiale da 5 mL
037882038/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 1 flaconcino 10 mL
037882040/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 10 flaconcini 10 mL
037882053/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 20 flaconcini 10 mL
037882065/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 1 flaconcino 3 mL
037882077/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 10 flaconcini 3 mL
037882089/M - 160 mg/mL
soluzione per infusione sottocutanea 1 flaconcino 20 ml
037882091/M - 160 mg/mL soluzione per infusione sottocutanea
2 flaconcini 10 mL + 1 siringa + 1 tubo perfusore con ago
+ 2 aghi ipodermici + 2 areatori + 3 tamponi con alcool
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO
DELL’AUTORIZZAZIONE
28 settembre 2007
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
Settembre 2007
CSL Behring - P.zza S. Tuerr, 5 - 20149 Milano - Tel. 02 349641
7-01-2008 14:29:08
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ITC 3080387 Depositata presso AIFA 23/11/2007
Una nuova opzione
per la terapia con immunoglobuline
Immunoglobulina umana normale (uso sottocutaneo)
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