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L’India del boom economico. Società, economia e politica
L’India in poche pennellate
L’India indipendente nasce la mezzanotte del 14 agosto 1947, una data che il
celebre romanzo di Salman Rushdie, I figli della mezzanotte, ha fatto entrare
nell’immaginario letterario collettivo.
L’India è oggi una repubblica
parlamentare, pluripartitica e
federale, che comprende 28 Stati
membri e 7 Territori, governati con
gradi diversificati di autonomia. È
uno
Stato
democratico,
sopravvissuto all’assassinio di due
primi ministri (Indira Gandhi,
Rajiv Gandhi) e che ha goduto, a
differenza di molti dei nuovi Stati
che si sono formati in seguito al
processo di decolonizzazione, di una
notevole stabilità politica. Le
elezioni si tengono regolarmente e,
mentre quasi dappertutto i più
poveri votano di meno, in India avviene il contrario; i partiti accettano il responso
degli elettori; la magistratura è indipendente, la stampa è libera ed è presente
un’attiva società civile che interviene su svariati problemi sociali e politici. Con una
popolazione che si aggira intorno a 1,2 miliardi di abitanti, l’India è oggi il secondo
paese più popoloso del mondo, dopo la Cina, e la più grande democrazia del
pianeta, almeno in termini quantitativi.
È un paese vasto quanto l’Europa, caratterizzato da un’enorme diversità
geografica, etnica e culturale, anche all’interno dei singoli Stati membri.
La grande diversità culturale è testimoniata, ad esempio, dal pluralismo linguistico.
Le lingue ufficialmente riconosciute sono 22 (a fronte di più di 1500 lingue o dialetti
parlati) cui si aggiunge l’inglese. La lingua ufficiale dell’Unione è l’hindi, ma gli
Stati membri hanno la possibilità, ampiamente utilizzata, di adottare una o più
lingue parlate all’interno del proprio territorio come lingue ufficiali. Di fatto però
l’inglese, lascito della lunga dominazione coloniale, resta la lingua più in uso nella
vita pubblica ed economica.
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Per quanto riguarda le religioni poi, la realtà è altrettanto variegata per la presenza
di almeno 6 grandi credi religiosi (induismo, buddismo, jainismo, islamismo,
cristianesimo e sikhismo). Oltre l’80% degli indiani è di religione induista, ma
questa non ha un’organizzazione né una gerarchia religiosa unitarie su tutto il
territorio. Inoltre, gli appartenenti alle altre religioni sono numericamente assai
rilevanti. Il 14% dei musulmani, ad esempio, comprende all’incirca 150 milioni di
persone.
La Costituzione non individua una religione di Stato e garantisce la libertà
religiosa.
Per questo intreccio di lingue, religioni ed etnie, la società indiana si configura perciò
come multietnica, plurilinguistica e multireligiosa.
Dall’immaginario all’immagine reale
L’India dalla millenaria, affascinante e complessa civiltà è nel nostro immaginario
tradizionale la terra di Gandhi e di Buddha, il paese dei santoni, delle vacche sacre,
della sconvolgente estrema povertà di centinaia di milioni di persone. A questa
immagine tradizionale però, più recentemente, si è andata affiancando quella di
un’India moderna, polo mondiale dei servizi ad alto contenuto di conoscenza.
L’India moderna, che ogni anno abilita un numero altissimo di ingegneri e altri
laureati, è insomma ora anche il paese ‘dei cervelli’, dell’outsourcing, di Bollywood
e di Bangalore (la Silicon Valley indiana), una potenza emergente dallo sviluppo
rapido e impetuoso.
Di fatto miseria e dinamismo economico convivono in uno Stato dalle dimensioni
continentali e in piena trasformazione.
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L’economia informale
L’economia indiana è in espansione, nonostante la flessione degli ultimi anni (nel
2012, la crescita del PIL ha toccato “solo” il 6,5%). In termini assoluti il PIL indiano
è il quarto al mondo, con tassi di crescita annua che dagli anni Novanta hanno fatto
parlare di miracolo economico.
Uno degli aspetti più rilevanti
dell’economia indiana è che
circa i due terzi del PIL derivano
dall’economia
informale
(ovvero non registrata e al di
fuori del controllo diretto dello
Stato), presente in tutti i
settori, anche se la gran parte si
concentra
nell’agricoltura.
All’economia
informale
appartiene la maggior parte
della miriade di microimprese
familiari, che producono beni e
servizi allo scopo primario di
generare impiego e reddito
per
la
famiglia
e
che
costituiscono
la
forma
più
comune d’impresa nel paese. Nell’economia informale lavora il 90% della
popolazione attiva senza essere registrata, senza tutele lavorative né
sicurezza sociale e lì si ritrova tutta la povertà indiana (nonché considerevoli
ricchezze non dichiarate).
Lo sviluppo degli ultimi decenni si è accompagnato a imponenti cambiamenti
strutturali che hanno visto una riduzione dell’importanza relativa dell’agricoltura
e un aumento del peso relativo dell’industria (intorno al 28% del PIL) e del
terziario (oltre il 50%). Solo parziali, però, sono stati gli effetti sulla composizione
settoriale dell’occupazione, in gran prevalenza ancora concentrata in attività connesse
all’agricoltura. Quel terzo dell’economia che è formale (registrato e tassato) è,
insomma, cresciuto in modo tale da generare scarse opportunità d’impiego.
Lo sviluppo dell’economia negli ultimi anni
L’India è la quarta potenza agricola del mondo e in agricoltura si concentrano
ancora quasi un quarto del PIL (due terzi al momento dell’indipendenza) e quasi due
terzi della manodopera.
Negli ultimi decenni, notevole è stata la crescita del settore secondario, che è
polarizzato tra grandi gruppi polisettoriali controllati da poche famiglie e un gigantesco
numero di microimprese familiari dell’economia informale e che si è specializzato nei
nuovi settori ad alta intensità tecnologica (dal farmaceutico alle biotecnologie).
Poderosa poi è stata la crescita del terziario, soprattutto dei servizi, che oggi ha
assunto un ruolo centrale nell’economia, in particolare per quel che riguarda
l’espansione indiana sui mercati internazionali.
Nel terziario sono cresciuti rapidamente i comparti innovativi e a elevato
contenuto di conoscenza, trainati dalla domanda delle grandi imprese
multinazionali che, a partire dagli anni Novanta, hanno iniziato a delocalizzare in
India, dove era ed è disponibile forza lavoro altamente qualificata, di madrelingua
inglese e a basso costo (da 10 a 15 volte inferiore a quello pagato in madrepatria). Si
tratta non solo di servizi informatici e di back office alle grandi imprese, ai quali è oggi
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strettamente legata l’immagine dell’India, ma anche di servizi legali, sanitari,
turistici o di consulenza giuridico-amministrativa alle imprese, che hanno visto
l’India imporsi sui mercati internazionali nell’attività di subfornitura. La sfera dei
servizi, da cui deriva la maggior parte del PIL, è comunque assai differenziata per la
coesistenza di attività ad alto livello (che concorrono di fatto a una frazione
dell’economia indiana assai limitata) e di lavoro domestico e igienico-sanitario
assai umile.
Le riforme e l’economia
Molti attribuiscono il recente sviluppo economico indiano alle riforme ‘neoliberiste’
avviate dalla seconda metà degli anni Ottanta del XX secolo e, soprattutto, dal 1991.
Altri sostengono che quelle politiche hanno valorizzato un’economia già dinamica
e limitato, ma non soppresso, i meccanismi statali di indirizzo dell’economia, né
rimosso i freni al suo sviluppo.
In ogni caso, in uno scenario internazionale segnato dalla globalizzazione e dalla
dissoluzione dell’URSS (che crea le premesse per l’emergere di nuovi protagonisti sulla
scena mondiale), l’economia indiana, fino ad allora un sistema misto di piano e di
mercato, con una forte presenza pubblica e una pesante regolazione statale, si apre
gradualmente al settore privato, agli investimenti esteri, al commercio e
all’economia internazionali.
A partire dalla svolta degli anni Novanta, sancita dall’entrata nel GATT (oggi WTO), la
crescita economica dell’India accelera e sempre più velocemente questa si afferma
sulla scena economica mondiale, o meglio ritorna ad affermarsi, considerato che
l’India, prima dell’arrivo delle Compagnie delle Indie e della successiva dominazione
britannica, aveva avuto per diversi secoli un’economia più ricca, e per diversi
aspetti più avanzata, di quella dell’Occidente.
L’evoluzione del quadro politico
In quegli anni i mutamenti non sono stati solo economici. Infatti, comincia a prendere
corpo anche l’attuale quadro politico, caratterizzato da due partiti di portata e
diffusione nazionale: il National Congress Party, in inarrestabile declino, e il
Bharatiya Janata Party, in rapida ascesa; a questi si affianca un crescente numero
di partiti ‘regionali’ (presenti con buoni risultati elettorali in uno o più Stati).
Nelle elezioni del 1989, il Congress perde la maggioranza assoluta dei seggi e la
democrazia indiana passa da una forma di governo a partito dominante (che era,
dall’indipendenza, quello del Congress) a governi di coalizione (e in alternanza) in
cui acquistano un peso politico determinante i partiti regionali.
Il laicismo, portatore di una visione inclusiva della cittadinanza (come
espressione di una scelta indipendente dall’appartenenza a una particolare comunità),
entra in crisi; parallelamente registra un successo crescente, sia fra le masse
diseredate sia nella classe media, il fondamentalismo indù, che si richiama
all’identità nazional-religiosa induista, e si assiste a una recrudescenza dei conflitti
su base etnica e religiosa che fanno registrare ogni anno scontri ed eccidi tra indù e
musulmani o cristiani o tra gruppi castali.
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I grandi squilibri
I successi economici che hanno fatto dell’India uno dei due giganti asiatici non hanno
ridotto la povertà e l’India rimane il paese di circa un terzo dei poveri del
mondo. In altri
termini,
lo
sviluppo indiano
è squilibrato sia
dal punto di vista
territoriale
(tra
città e campagna e
tra Stati) sia da
quello sociale. I
suoi benefici sono
in
larga
misura
andati
ai
pochi
‘super ricchi’ e a
una classe media
in crescita e con
un
livello
di
consumi
occidentale, mentre
il tenore di vita
della gran parte
della popolazione è ristagnato o addirittura peggiorato, come sembrano tragicamente
mostrare, ad esempio, i numeri dei suicidi per debiti tra gli agricoltori (182.936
tra il 1997 e il 2007 secondo dati ufficiali che molti ritengono sottostimati).
Secondo il rapporto sull’istruzione dell’UNESCO (2009), l’80% della popolazione
vive con meno di 2 dollari al giorno e il 34% con meno di 1 dollaro. L’accesso
all’acqua potabile, ai servizi igienico-sanitari, all’istruzione, ai servizi abitativi non è
garantito a una parte della popolazione persino più estesa di quella considerata povera
sulla base del reddito; l’analfabetismo riguarda circa il 40% della popolazione
adulta; la malnutrizione colpisce tra il 20 e il 34% della popolazione (un dato
superato solo da alcuni paesi dell’Africa subsahariana); la mortalità e la malnutrizione
infantili sono molto comuni; la speranza di vita media, pur cresciuta, è di 64 anni.
Le enormi diseguaglianze sociali tuttora presenti sono legate non solo alle disparità
di reddito o di accesso ai servizi o geografiche, ma anche alle discriminazioni di
genere e alla sopravvivenza delle caste.
La discriminazione nei confronti delle donne
La Costituzione garantisce l’uguaglianza tra i sessi e la legislazione indiana ha in
parte attuato questa aspirazione introducendo il divorzio (1955) e abolendo la
poligamia, il divieto per le vedove di risposarsi, i matrimoni fra bambini (l’età
minima è fissata a 15 anni per le donne e 18 per gli uomini), l’obbligo legale della
dote matrimoniale. La discriminazione nei confronti delle donne persiste,
però, in molteplici forme all’interno della famiglia e della società.
L’India è uno dei paesi in cui le femmine sono numericamente meno dei maschi
per vari comportamenti discriminatori quali l’aborto selettivo (il 99% riguarda feti
femmina) o le minori cure riservate alle bambine (la cui mortalità è maggiore di
quella dei maschi). Alla radice di tale fenomeno vi sono diversi fattori fra cui la
preferenza delle famiglie indiane per il figlio maschio e la persistenza del
sistema della dote. Pur abolita nel 1961, la prassi della dote richiesta alla famiglia
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della sposa non è, infatti, scomparsa, si è anzi ulteriormente diffusa e rappresenta uno
degli aspetti più drammatici della condizione femminile. Sta al fondo della convinzione
che la nascita di una bambina sia un peso per la famiglia e un investimento
senza ritorno ed è causa di rovina economica per le famiglie delle ragazze o di
numerosi maltrattamenti ed uxoricidi (mascherati da incidenti domestici e spesso
impuniti), se la famiglia è
insolvente.
Certo la poligamia è quasi
scomparsa e i matrimoni
tra bambini diminuiti e
nelle città ci sono molte
donne
colte
ed
emancipate,
ma
nell’immensa
India
persistono,
pur
con
notevoli
differenze
geografiche,
molteplici
situazioni di svantaggio,
tra le quali quelle legate
all’istruzione (una gran
parte delle bambine è
esclusa dall’istruzione
di base); il divorzio è poco praticato per la forte disapprovazione sociale oltre che per
i gravosi obblighi economici; le vedove sono stigmatizzate se si risposano e perciò
vivono per lo più in miseria; la nascita di un figlio continua a essere altamente
rischiosa per l’elevata mortalità. L’occupazione femminile poi si concentra nel
settore informale, privo di tutele, e per lo più in attività a carattere occasionale;
molte donne svolgono lavori durissimi e percepiscono salari inferiori agli uomini;
violenze, molestie e stupri sono frequenti e in preoccupante ascesa.
Il perdurare del sistema delle caste
Il sistema delle caste, abolito dalla Costituzione, è ancor oggi ampiamente diffuso,
parallelo in qualche modo alle classi sociali con le quali si interseca.
Non esiste un sistema di caste applicabile a tutta l’India: il modello tradizionale dei
quattro varna, cui si aggiungono i fuori casta o dalit e circa 700 comunità adivasi,
è stato declinato in modi diversi a seconda dei tempi e dei luoghi. L’India è così oggi
un mosaico di migliaia di raggruppamenti minori o jati, comunità di riferimento
che svolgono una funzione di regolazione sociale limitando le opportunità e le
possibilità di scelta tanto più quanto più si scende la gerarchia. La fascia più bassa dei
dalit (all’incirca un quarto della popolazione) e adivasi (oltre 80 milioni di individui) è
oggetto ancor oggi di disprezzo e di abusi (dalle offese, alle aggressioni,
limitazioni, violenze sessuali, assassinii...) ed è generalmente confinata nel
bracciantato, nel lavoro igienico-sanitario più umile e nella manovalanza edile.
Tradizionalmente il governo indiano ha seguito una politica di discriminazione
positiva nei confronti degli strati più deboli della popolazione, riservando loro
seggi nei parlamenti, posti e borse di studio nelle scuole, posti di lavoro nel pubblico
impiego. Gli effetti sono stati però contraddittori: hanno sostenuto le aspirazioni di
mobilità sociale ma allo stesso tempo l’identificazione di casta al fine di ottenere i
requisiti per accedere alle quote riservate.
Le barriere culturali e sociali, retaggio del sistema castale, non sono scomparse e gli
individui continuano a costruire la loro identità in funzione della casta (come mostrano
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i matrimoni endogamici). Si presentano con notevoli differenze geografiche e sono
tanto più pesanti quanto meno sviluppati sono, nello Stato di appartenenza, il sistema
scolastico, l’urbanizzazione e l’occupazione.
Progressi e problemi tra l’oggi e il domani
I progressi compiuti dall’India, dall’indipendenza a oggi, sono straordinari ma l’elenco
dei problemi che l’affliggono resta lungo: povertà, corruzione, disuguaglianze
sociali e di genere, sopravvivenza delle caste, disordini politici, aspettative di
vita basse, malnutrizione, terrorismo; una realtà sintetizzabile attraverso l’Indice di
sviluppo umano dell’UNDP, che colloca l’India al posto 134 in un elenco di 182 paesi.
Visto dal resto del mondo, il progressivo affermarsi dell’India, a fianco della Cina,
mostra che il baricentro economico del mondo si sta spostando dall’Atlantico al
Pacifico, ridimensionando la supremazia occidentale (e del Giappone) e ridisegnando il
quadro geo-economico mondiale.
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