I concetti di individuo e reale nel pensiero filosofico indiano alle radici della Colon classification Cristina Lavazza bozza: novembre 2006 Alla base del sistema classificatorio di Ranganathan, accanto all’impianto filosofico tradizionale, c’è il complesso concetto di individuo, di individualità che pervade trasversalmente tutte le scuole filosofiche indiane staccandosi nettamente dall’idea occidentale di “io”. Il complesso rapporto tra Atman e Brahman 1 tra l’Uno e il Tutto che arrivano ad identificarsi, a fondersi fino a divenire sinonimi rappresentano l’io e il mondo esterno, l’uomo e la natura e gli oggetti che lo circondano. Ma cosa succede in una cultura dove l’io non è disponibile come oggetto in sé, in una tradizione dove l’unica conoscenza del vero io è il Brahman? Può succedere, come nel caso di Ranganathan che l’oggetto diventa soggetto e la classificazione dello scibile non prende vita dall’individuo (bibliotecario) ma dal divenire ovvero dalle caratteristiche intrinseche degli elementi da classificare. Difficilmente la Colon classification sarebbe potuta nascere in Occidente dove la sovranità dell’io, del controllo sulla natura appare un problema primario. L’io mancante 2 in India, quasi incomprensibile per molte discipline occidentali come la psicologia o la psicanalisi, si è dimostrato un ostacolo complesso anche per gli studi etnografici sulla cultura indiana e sulle categorie di pensiero indigene. Non stupisce dunque che una classificazione che generata dalle caratteristiche intrinseche dell’oggetto e non a priori dal soggetto nasca da una cultura come quella indiana. In India anche linguisticamente non esiste differenza tra io-come-soggetto e io-come-oggetto: per l’indiano l’io è costituito solo come oggetto per altri. Anche la lingua hindi ha la particolarità di non avere nominativo ma di rivolgere sempre la frase al passivo (il soggetto è sempre in complemento agente) e l’oggetto diventa soggetto 3. Anche gli oggetti di Ranganathan risentono di questa idea: sono i fenomeni che attraverso gli elementi che li caratterizzano in quanto tali a decretare i principi logico-semantici alla base della classificazione. Non è l’uomo a stabilire i rapporti tra le cose ma sono le cose stesse a stabilire in quali rapporti sono le une con le altre e l’uomo, il bibliotecario nel nostro caso, stabilisce un criterio guida (rotazionale) per rendere fruibile l’impianto classificatorio. Dunque l’uomo esiste in quanto agente ma non può prescindere dal reale che in 1 Termine filosofico religioso sanscrito che indica lo spirito, il soffio, l’anima (deriva dalla radice an respirare). Nel senso più generico designa il sè, vale a dire l’essenza più intima di ogni essere. Nella filosofia indiana del Vedanta, a partire dalle Upanisad in poi l’atman e l’essenza sostanziale, causa ultima di tutto l’universo, viene quindi identificata con il Brahman. La forza suprema ed unica al di sopra di tutte le divinità. 2 il concetto di “auto” ha sempre creato in India non pochi problemi di traduzione. Lo “svadharma” uno dei concetti chiave della Bhagavad Gita non può essere reso semplicemente con “self-norm”(autonorma) come traducono molti indologi, perchè non c’è nessun io a cui fare riferimento. Ananda Coomaraswamy, uno dei maggiori portavoci della cultura indiana moderna ha tradotto svadharma con propria moralità o propria norma evitando le trappole del prefisso “self”. 3 Prevale il concetto di “io sociale” che vedremo meglio a breve India gioca un ruolo al pari dell’essere, e questo è ribadito anche a livello sociale dove la individualità di una persona è soggetta alle limitazioni imposte dal rapporto. Un indiano si vede come padre, figlio, nipote, allievo e queste sono le sole identità che egli possiede sempre nel tempo. Un’identità al di fuori di questi rapporti è per lui difficilmente concepibile. È molto frequente nelle famiglie indiane sentir parlare di una persona come “della madre di Deepa” o “del padre di Vikram”, e le persone indicate non si sentono minimamente sminuite da questi riferimenti indiretti. È all’interno del quadro o della rete complessiva di tali rapporti che l’individuo si situa, come l’uno nel tutto, come il soggetto nel mondo circostante. In India i rapporti sociali non possono essere concepiti al di fuori della gerarchia castale 4 . La religione induista si basa sul complesso sistema castale, una rigida gerarchia sociale fondata su una contrapposizione di puro e impuro (tanto più si è puri tanto più si è alti nella scala gerarchica). In India principio religioso e principio sociale si fondono e si confondono in maniera immutabile nei millenni. La teoria della gerarchia che si basa sull’aspetto della separazione sociale sottintende invece interdipendenza: il mondo delle caste è un mondo di relazioni complesso dove il particolare non esiste, in estrema sintesi una struttura in cui l’individuo non è 5 . L’individuo diventa tale in un’accezione occidentale del termine solo quando esce dal reticolo delle interdipendenze ovvero quando può uscire dal mondo diventando samnyasin (asceta)6. L’identità indiana dunque non è mai quella sovrana dell’uomo occidentale che è garantita dalla divinità, dal rapporto uomo/dio nella sua unicità (in India esiste un complesso pantheon), ma è derivata in un modo endogeno dagli altri che appartengono allo stesso clan, alla stessa tribù e alla stessa casta. È un’identità diretta dagli altri e la formazione di essa non è qualcosa che avviene all’interno di un individuo con il passaggio attraverso stadi inesorabili, come succede in occidente ma qualcosa che è attribuito alla persona dall’esterno. Allo stesso modo l’oggetto che è parte di un tutto complesso diventa accessibile solo attraverso i suoi attributi es. colore, sapore, etc. Ma cosa è l’oggetto al di fuori di questi attributi? Rispondere a questa domanda significa addentrarsi nel complicato mondo delle scuole di pensiero indiane. Senza scendere nello specifico possiamo affermare genericamente che il pensiero è un lungo ininterrotto dialogo tra due correnti opposte: da una parte il realismo delle scuole più antiche, più spesso un pluralismo che pone la realtà del mondo esterno e dall’altra un idealismo che nega consistenza al contenuto dell’esperienza un acosmismo che riduce il mondo ad un succedersi di immagini suscitate nella coscienza assoluta, ma in se stessa irreale. Per le scuole realiste7 (tra le quali il Vaisesika, il Jainismo, la Mimansa, il Sankhya e il Vedanta) il reale è dispiegato di fronte a noi e al mondo nel quale ci muoviamo. La 4 Il sistema castale è una struttura gerarchico-sociale molto articolata. Le caste base sono 4: Brahamani (sacerdoti), Kshatriya (guerrieri), Vaisya (commercianti) e Shudra (servitori), accanto, ma fuori dalla struttura ci sono i pariah, gli intoccabili. Nei millenni le caste si sono si sono moltiplicate in centinaia di sottocaste inglobando anche gruppi appartenenti ad altre religioni (esistono caste musulmane). 5 Louis Dumont, Homo Hierarchicus, Milano, Adelphi 1991, p. 438. 6 Dumont parla dell’”opzione di salvezza” data proprio al rinunciante, l’unico modo di uscire dalla onmipervasiva struttura gerarchica indiana. Il samnyasin abbandonando il mondo lascia tutto ciò che faceva di lui un “ego” (ahamkara) per riassorbire il proprio sé nell’Assoluto. Per l’uomo carico di doveri (legati al proprio karma e al proprio status castale) il rinunciante diventa un uomo “libero” che ha spezzato gli ormeggi. Madeleine Biardeau, L’induismo, Milano, Mondadori, 1891, pp. 52-60. 7 Dall’altra parte si contrappongono le scuole idealiste come quella degli Yogacara (scuola buddhista Mahayana) che affermano che il mondo e i fenomeni non sono altro che apparenze costituite dalla conoscenza. Giuseppe Tucci, Storia della filosofia indiana, Bari Laterza, 1987. classificazione inizia con raggruppamenti in corpi (kaya) come quella jaina: anime spazio moto riposo materia e mantiene un carattere ontologico, restano cioè classificazioni dei “realia” che rappresentano l’essere intrinseco delle cose: padartha o tattva. Per il Vaisesika, abbiamo visto le categorie sono 6: sostanza, qualità, moto, generalità, particolarità, inerenza, solo più tardi ne venne aggiunta una settima, la negazione. Bibliografia Guénon René, Studi sull’induismo, Roma, Basaia ed. 1983 Tucci Giuseppe, Storia della filosofia indiana, Bari Laterza, 1987 Dumont Louis, Homo Hierarchicus, Milano, Adelphi 1991 Senart Emile, Les castes dans l’Inde, Paris, Libraire Orientaliste Paul Geuthner, 1927. Zaehner R. C., Hinduism, Oxford, Oxford University, 1966 Cultura e società in India, Torino, Ed. Della Fondazione Agnelli 1991. Biardeau Madeleine, L’induismo, Milano, Mondadori, 1891