Zenone, Achille e la Tartaruga di Heisenberg Marcella Giulia LORENZI 1, Mauro FRANCAVIGLIA 2 0. Premessa Nel testo (di prossima pubblicazione) 3 che raccoglie le Lezioni Eleatiche tenute nel 2009 ad Ascea da Jonathan Barnes, l’autore delle lezioni stesse rivisita, con grande dovizia di particolari, alcuni degli aspetti più salienti di alcuni contributi di Zenone alla Filosofia antica e moderna della Scienza, limitandosi per sua volontà ai risvolti di natura più strettamente logica e filosofica. Nella sua opera, strettamente focalizzata al punto di rasentare l’eccessiva profondità, Barnes – volutamente – si limita però a considerare solamente una piccolissima parte dell’opera di Zenone (“sarò interessato solamente a una metà di quella conclusione […] e considererò solamente una metà degli argomenti di Zenone per quella metà di conclusione. […] Mi restringerò quindi, in linea di principio, a metà della metà di uno dei quaranta quesiti di Zenone, e quindi solo alla centossantesima parte del suo lavoro”) 4 - con ciò riferendosi, in particolare, al problema della “dicotomia” insito in Zenone (in particolare, nel Paradosso noto come Paradosso di Achille e della Tartaruga) scegliendo volutamente di ignorare altri aspetti dei Paradossi zenoniani e, di essi, soprattutto il sottile intreccio tra Paradossi sulla divisibilità dello Spazio e Paradossi sul Movimento. In un nostro breve intervento a chiusura delle Lezioni medesime fu sottomesso a Barnes il quesito se mai i filosofi della Scienza si fossero posti il problema di rileggere i Paradossi di Zenone in “chiave quantistica”. A tale domanda non fu purtroppo data risposta e nel citato volume 5 già abbiamo su questo presentato un nostro brevissimo commento. Con questo articolo più esteso – che riprende quanto da noi già scritto altrove 6 vogliamo ora far vedere come, alla luce delle più moderne questioni filosofiche e scientifiche poste in atto dalla nuova Fisica e dalla nuova Matematica del XX Secolo (ci riferiamo, più precisamente, alla Meccanica Quantistica ed alla Teoria dei 1 Laboratorio per la Comunicazione Scientifica, Università della Calabria, Ponte Bucci, Cubo 30b, 87036 Arcavacata di Rende CS – e-mail: [email protected] 2 Laboratorio per la Comunicazione Scientifica, Università della Calabria, Ponte Bucci, Cubo 30b, 87036 Arcavacata di Rende CS; Dipartimento di Matematica, Università di Torino, Via C. Alberto 10, 10123, Torino – e-mail: [email protected] 3 J. BARNES et al, Zenone e la Grandezza delle Cose, a cura di L. Rossetti e M. Pulpito, 2010, Academia Vg., Sankt Augustin 4 BARNES,, cit., Cap. 5 2 M.G. LORENZI, M. FRANCAVIGLIA, I Paradossi di Zenone e la Meccanica Quantistica, in Barnes et al., cit. 6 M.G. LORENZI, M. FRANCAVIGLIA, Continuo o Discreto…? Dai Paradossi di Zenone alla Meccanica Quantistica, in un Volume Celebrativo del LXX Compleanno di Livio Rossetti, edito da F. Marcacci et al., 2010, in corso di stampa Frattali), sia per noi assai proficuo non disgiungere l’analisi del Paradosso di Achille (relativo alla divisibilità del Tempo e dello Spazio, ma anche al Movimento) dalla contestuale analisi di altri Paradossi zenoniani sul Movimento e sullo Spazio (ad esempio, il Paradosso della Freccia), in modo da poter provocatoriamente rileggere e reinterpretare in chiave quantistica (discreta piuttosto che continua) l’ancor fresca e tutt’altro che risolta questione che i detti Paradossi posero nell’antichità e che ancor oggi meritano degna attenzione da parte di scienziati e filosofi. 1. Introduzione: l’Eterna Dicotomia tra “Continuo” e “Discreto” A distanza di quasi duemilacinquecento anni dall’opera di Democrito 7 ancora fresca e viva è l’eterna dicotomia tra Continuo e Discreto. La Scienza e la Filosofia ancora s’interrogano se la Natura abbia carattere “continuo” – ovvero non esistano vuoti nello Spazio (e nel Tempo) – oppure carattere “discreto” – ovvero se la struttura intima dello Spazio e del Tempo sia in realtà fatta di pieni e di vuoti. In primis se lo chiede la Fisica, che dello Spazio e del Tempo si pone innanzitutto il problema dell’effettiva misurabilità. Ma analogo e cogente problema investe anche la Matematica, che dello Spazio e del Tempo si pone il problema di una rappresentazione che sia coerente con l’esperienza quotidiana e, al contempo, con il rigore deduttivo. Questa profonda dicotomia affonda le sue radici nella notte dei tempi ed è soltanto convenzionale farla risalire a quel periodo d’oro nella Scienza antica in cui i grandi pensatori della civiltà Greca 8 si avventurarono in lunghe e proficue speculazioni filosofiche e scientifiche sull’Infinito e sull’Infinitesimo, che tuttavia crearono per loro numerosi Paradossi, sottilmente legati anche al problema della continuità e dell’Atomismo 9. Come vedremo (e come traspare anche in Barnes 10) l’analisi dei Paradossi di Zenone viene solitamente condotta riferendosi al quadro geometrico dell’impianto euclideo; fatto che noi ovviamente non contestiamo, volendo tuttavia instillare il dubbio (per noi più che lecito alla luce delle nuove conquista della Fisica e della Geometria) che possa valer la pena di rivisitare Zenone svincolandosi dalla rigidità dell’impianto geometrico euclideo ed accettando, invece, una visione più vicina al “discreto” piuttosto che al “continuo”. È infatti ben noto che – intorno al III Secolo a.C. – l’opera di Euclide spazzò via, in un certo senso, le dottrine precedenti, con la definitiva sistemazione della Geometria da disciplina ancora in parte empirica e “pratica” (come la stessa etimologia porterebbe a pensare) a disciplina fondata sul rigore deduttivo e su un impianto fatto di Postulati e di Teoremi che da questi derivano per conseguenza logica. La Geometria Euclidea 11 fu quindi assunta quale 7 Democrito di Abdera (Δηµόκριτος, 460–360 a.C.) - unitamente al suo maestro Leucippo - fondatori della Teoria dell’Atomismo 8 D.J. BOORSTIN, The Seekers. The Story of Man’s Continuing Quest to Understand his World, New York 1999, Vintage Books, Random House Inc. 9 BARNES,, cit., Cap. 4 (“Gli Atomi”) 10 BARNES,, cit., Cap. 11 4 (“Gli Atomi”) EUCLIDE, Gli Elementi di Euclide, a cura di A. Frajese e L. Maccioni, Torino 1970, UTET base di ogni speculazione sulla natura del Cosmo e tale restò, incontrastata, sino alle soglie del XX Secolo, per essere rimessa infine sotto discussione solamente, e non senza una certa riluttanza, dalle conquiste della Fisica della seconda metà del XIX Secolo (l’Elettromagnetismo di James Clerk Maxwell 12) e dell’inizio del Secolo successivo (la Teoria della Relatività di Albert Einstein 13 e la Meccanica Quantistica14). A questo proposito ci piace emblematicamente ricordare una famosa frase che, ancora nel XVII Secolo (1623), Galileo Galilei scrisse ne “Il Saggiatore”: “Questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto” 15. A rimarcare come la Fisica dovesse assoggettarsi alla Geometria Euclidea, assumendo la struttura “rigida e assoluta” dello Spazio di Euclide a paradigma eterno e immutabile per la comprensione del mondo 16 (si veda anche Barnes 17). E ci sembra anche doveroso ricordare che - sebbene già dalla fine del XVII Secolo la Matematica si fosse posta concretamente il problema dell’esistenza di Geometrie Non-Euclidee 18 (questione sollevata indirettamente dai pensatori arabi che nel medioevo tramandarono la conoscenza e lo studio dell’opera di Euclide 19) - le speculazioni sulle geometrie “diverse” da quella di Euclide riguardarono, all’inizio, il sottile problema se il famoso V Postulato di Euclide (cfr. oltre) si potesse desumere dagli altri Postulati ovvero se esso fosse un’ipotesi non dimostrabile e da essi indipendente; e solo verso la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX esse raggiunsero il ruolo di studio volto a mettere in discussione la validità del medesimo V Postulato. Ancora Karl Friedrich Gauss, nel suo trattato del 1827 20, studiava le proprietà geometriche delle “superfici immerse nell’ordinario spazio Euclideo a tre dimensioni”. E solo con l’opera di Bernhard Riemann 21 inizia a prendere piede la piena consapevolezza che la Geometria Euclidea possa essere una 12 J. C. MAXWELL, Trattato di Elettricità e Magnetismo, Torino 1973, UTET 13 A. EINSTEIN, Zur Elektrodynamik bewegter Körper, Annalen der Physik, 1905 - On the Electrodynamics of Moving Bodies, in: The collected papers of A. Einstein, John Stachel Editor (1989), pp. 276-295; A. EINSTEIN, Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie, Annalen der Physik, 49, 769-822 (1916) 14 D. BOHM, Quantum Theory, London 1989, Dover (ISBN 0-486-65969-0) 15 16 GALILEO GALILEI, Opere di Galileo Galilei, a cura di Francesco Brunetti, Torino 1964, UTET E. SERGIO, Verità matematiche e Forme della Natura, da Galileo a Newton, Roma 2006, Aracne Editrice (ISBN 88-548-0626-9) – si veda in particolare il Cap. 1 su Galileo (pp. 53-96) 17 BARNES,, cit., Cap. 2 (“L’Infinito”) e Cap. 7 (“La Risoluzione”) 18 C.B. BOYER, Storia della Matematica, Milano 2000, Mondadori (ISBN 8804334312) 19 L. MAIERÙ, Scienza, Geometria, Geometrie. Un Percorso Storico-Didattico («Rubbettino Università» 36), Soveria Mannelli (CS) 2008, Rubbettino 20 C.F. GAUSS, Disquisitiones Generales supra Superficies Curvas, 1827 21 B. RIEMANN, On the Hypotheses which lie at the Bases of Geometry, 1866, trad. inglese in Nature, Vol.VIII, n. 183, 184 specie di “incidente di percorso”; che la Natura sia dominata, in realtà, dalla Curvatura piuttosto che dalla Linearità 22; e che possano esistere infiniti spazi di dimensione arbitraria che generalizzano sia la “rigida” Geometria di Euclide sia la Geometria Gaussiana delle superfici curve bidimensionali. Scrisse Riemann nella sua famosa prolusione Sulle Ipotesi che Giacciono alle Basi della Geometria (da lui presentata all’Università di Göttingen nel 1854, ma pubblicata postuma solo nel 1866): “La curvatura dello Spazio deve essere desunta dalle osservazioni astronomiche […] Se l’indipendenza dei corpi dalla posizione non esiste, allora non possiamo trarre conclusioni dalle relazioni metriche dell’infinitamente grande estendendole a quelle dell’infinitamente piccolo; in tal caso la curvatura in ogni punto può avere un valore arbitrario nelle tre direzioni. […] La questione della validità delle ipotesi della Geometria nell’infinitamente piccolo è intimamente legata alla questione dei fondamenti delle relazioni metriche nello Spazio” 23. Ci piace far notare come in questa profonda trattazione sulle basi “sensibili” della nuova Geometria – che di fatto riportava la Geometria ad essere, come nell’antico passato, non soltanto una disciplina teorico-speculativa, quanto anche una disciplina di “misurazione del mondo sensibile” – Riemann getta, nello stesso tempo, sia le prime basi filosofiche della Relatività Generale di Einstein (laddove la nozione di curvatura, nelle proprietà “in grande” dello Spazio, ne viene a determinare le proprietà gravitazionali) sia implicitamente le basi di quella che diverrà poi la Meccanica Quantistica (suggerendo che la Geometria dell’infinitamente piccolo possa essere ben diversa – come proprio il principio di Heisenberg insinuerà negli anni venti del XX Secolo – dalla Geometria “in grande” dello Spazio). E ci piace anche ricordare che la nuova Fisica aperta dalla Teoria della Relatività einsteiniana ha, invero, profonde radici cartesiane. La teoria cartesiana del mondo fisico esposta nei suoi Principia Philosophiae 24 si basa sull'elaborazione dei concetti fondamentali di Spazio, Materia e Moto, ereditati dalla filosofia aristotelico-scolastica della natura, su cui Descartes si era formato. Secondo il principio metodologico di Cartesio, infatti, tutte le leggi della Fisica dovrebbero seguire more geometrico. Egli costruisce la sua teoria dello Spazio identificandolo con la Materia; lo Spazio è dunque estensione e il Moto è da considerarsi un attributo di questa. La causa del Moto della Materia è dunque il conatus pensato come una generale tendenza al Movimento, influenzata dalla distribuzione locale della Materia. Non è possibile considerare il Moto di un corpo se non in vicinanza di altra Materia che ne influenza il Moto. Una concezione, questa, che sembra precorrere l'idea che la presenza di quantità di Materia implichi una curvatura dello Spazio, generando così un campo di forza che agisce sulla Materia stessa. In questo modo Descartes interpreta la continuità come principio per la propagazione del Moto nello Spazio, un'idea che nella scienza contemporanea era 22 R. DOBLE, M. FRANCAVIGLIA, M.G. LORENZI, The Future of Futurism, in: „Generative Art - Proceedings of GA2009, XII Generative Art Conference, Milano, 14-17 December 2009” (C. Soddu Ed.), Milano 2009, Domus Argenia Publisher (volume degli abstracts p. 61, articolo nel CD-Rom, pp. 377-385 – ISBN 0788896610008); M.G. LORENZI , M. FRANCAVIGLIA, Art & Mathematics: Motion and Fourth Dimension, the Revolution of XX Century, APLIMAT - Journal of Applied Mathematics, 1 (2), 97-108 (2008) – ISSN 1337-6365; in: “Proceedings 7th International Conference APLIMAT 2008” (Bratislava, February 5-8, 2008); M. Kovacova Ed.; Slovak University of Technology (Bratislava, 2008), pp. 673-683 - ISBN 978-80-89313-03-7 (book and CD-Rom) 23 24 RIEMANN, cit. R. DESCARTES, in E. Lojacono (a cura di), Opere Scientifiche, il Discorso sul Metodo. DiottricaMeteore-Geometria, Torino, UTET destinata a trasformarsi nel nuovo concetto di campo fisico 25 . Queste considerazioni, che potrebbero qui sembrare fuori luogo per il contesto storico, ci torneranno invece utili quando, più avanti, affronteremo l’analisi contestuale dei Paradossi zenoniani sullo Spazio e sul Movimento (Achille, la Freccia) 26. Torniamo quindi alle origini della Geometria Euclidea, osservando in primis che il concetto “euclideo” di punto (entità “immateriale” e priva di dimensione) si rivelò nell'antichità “vincente” sul concetto pitagorico di punto, fondato invece sull'ipotesi di “materialità” del punto stesso 27, cui il pitagorismo attribuiva il ruolo di particella infinitesima e fondamentale, dotata di una propria dimensione (seppur piccolissima) Nella sua accezione “moderna” la Geometria Euclidea analizza pertanto il mondo come se avesse natura continua (e su questo si fonderanno – come vedremo oltre – sia il problema dell'irrazionalità e dell'incommensurabilità, sia il problema degli infinitesimi). Ma le visioni pitagoriche e democritee di punto, sostanzialmente abbandonate dalla Fisica e dalla Geometria “classiche”, sono state sostanzialmente rivitalizzate dalla Fisica del XX secolo, laddove la Meccanica Quantistica 28 - nella sua rivoluzionaria predizione che al di sotto di una scala molto piccola (variamente nota come limite di Planck) non abbia senso misurare con “precisione infinita” (il cosiddetto principio di indeterminazione di Werner Heisenberg) - ci induce a ripensare con maggior attenzione al dualismo tra Continuo e Discreto; un dualismo che, dalla Geometria classica all'Analisi infinitesimale ed alla Matematica moderna, risulta ancora ben lontano da una definitiva sistemazione 29 30. Seppur la Geometria Euclidea analizzi un mondo “ideale” interpretato come “continuo”, il senso comune della nostra esperienza, la moderna strumentazione di calcolo fornita dagli elaboratori elettronici e le moderne conquiste della Fisica ci inducono quindi a rimeditare più a fondo sull'effettiva natura del mondo osservato e misurato, contrapponendo – in un certo senso – un mondo ideale continuo (pensato ma non misurato) a un mondo percepito e osservato in modo discreto. Portandoci ad affermare, in modo forse un po’ provocatorio, che non sia tanto il Discreto una buona approssimazione di una realtà continua, quanto piuttosto il Continuo come un’ottima strumentazione mentale e matematica atta a comprendere in modo più diretto una realtà più complessa e basata su sottili ed ancora sconosciuti rapporti tra quantità discrete e localizzate nel Tempo e 25 M. FRANCAVIGLIA, M. PALESE, Geometria e Fisica da Descartes ad Einstein, in: “La Scienza e i Vortici del Dubbio” L. Conti & M. Mamone Capria eds., Napoli, 2000, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 179-191; M. FRANCAVIGLIA, M. PALESE, Il Ruolo della Geometria Non Euclidea nello Sviluppo delle Teorie Relativistiche della Gravitazione, in: “Un Grande Matematico dell’Ottocento, Onoranze a Eugenio Beltrami 1835-1900, Milano 14-15 Ottobre 2004”, Incontri di Studio 39, Milano, 2007, Ed. Universitaria di Lettere, Economia e Diritto, Ist. Lombardo – Accademia di Scienze e Lettere, pp. 195-210 26 In particolare ci piace citare che “Descartes si pose il problema dell’universalità della Scienza coltivando l’opportunità di unificare la scienza del discreto (l’Aritmetica) alla scienza del continuo (la Geometri), come affermato da E. SERGIO in Verità matematiche e Forme della Natura, da Galileo a Newton, cit., alla pagina 173 - si veda in particolare tutto il Cap. 4 su Descartes (pp. 167-206) 27 28 Secondo ipotesi coerenti con la visione “atomistica” di Democrito, su cui torneremo nel § 2. BOHM, cit 29 B. RUSSELL, I Fondamenti della Geometria, Roma 1975, Newton Compton Editori 30 B. RUSSELL, I Principii della Matematica. Traduzione di Ludovico Geymonat, Milano 1980, Longanesi nello Spazio. Alla luce di queste considerazioni rivisiteremo qui i celebri Paradossi di Zenone per darne una rilettura critica nell’ottica di questa rinnovata sfida tra “Continuo” e “Discreto”, cercando di evidenziarne l’ancor fresca attualità ed una possibile quanto “provocatoria” riformulazione in termini di “quanti”…. 2. “Continuo” e “Discreto” nell’Età Classica, tra Democrito, Pitagora ed Euclide Democrito introdusse nel pensiero occidentale la teoria dell'Atomismo, considerata ancora oggi una delle visioni più “scientifiche” dell’antichità; afferma Ludovico Geymonat 31 che “l’Atomismo di Democrito… ebbe una funzione determinante, nel XVI e XVII secolo, per la formazione della scienza moderna”. In Democrito la materia è supposta avere natura strettamente discontinua perché non è possibile suddividerla indefinitamente in parti sempre più piccole: ogni processo di successiva divisione deve infatti necessariamente terminare dopo un certo numero di passi. Gli Atomi erano quindi concepiti come particelle originarie indivisibili: quantità primitive e semplici (ovverossia, “non composite”) – un’ipotesi straordinariamente anticipatrice non tanto del concetto moderno di Atomo quanto, piuttosto, del concetto moderno di “Quanto” e di “Vuoto Quantistico” 32. La realtà era quindi caratterizzata da rapporti quantitativi, secondo un’idea più antica che, in realtà, già risaliva alla Scuola Pitagorica. Anche per Pitagora, infatti, il “punto” geometrico era un’entità materiale (e non immateriale, come sarà invece affermato successivamente negli “Elementi” di Euclide): esso occupava quindi una porzione piccola ma pur sempre finita di spazio. Democrito contrapponeva pertanto l’indivisibilità dello spazio fisico (che lui postulava e che trovava nell’Atomo un limite invalicabile) alla divisibilità infinita dello Spazio geometrico, sostenuta già da Zenone attraverso i suoi famosi “Paradossi” (sui cui torneremo). Lo “Spazio geometrico” di Zenone possedeva quindi – sebbene ancora in forma primordiale – le caratteristiche di uno spazio costituito da punti immateriali e privi di dimensione, spazio che verrà successivamente codificato dalla “Geometria Euclidea” . 3. Numeri Razionali e Irrazionali: dal Discreto Pitagorico al Continuo Euclideo Giova a questo punto ricordare che la visione “continuista” della Geometria Euclidea era fortemente influenzata dalla convinzione che non possa esistere il “nulla”, cioè la convinzione che ogni piccola porzione di Tempo e di Spazio debba necessariamente essere riempita da qualcosa (horror vacui), tanto che anche lo Zero era una “presenza ingombrante” e anche l’Infinito fu guardato con un certo sospetto da molti pensatori antichi 33. Ciò che sfuggiva all’esattezza fu variamente interpretato come necessità di approssimazione legata all’impossibilità materiale di compiere misure infinitamente precise. In un certo senso, Infinito e Infinitesimi – di cui la scienza Greca ben presto si accorse di non poter fare a meno – restarono per secoli materia di continua 31 L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano 1970-1976, 7 voll. ISBN 8811250412 32 BOHM, cit. 33 L. RUSSO, La Rivoluzione Dimenticata. Il Pensiero Scientifico Greco e la Scienza Moderna, Milano 1997, Feltrinelli discussione, per condurre infine, tra il XVII e il XIX Secolo, allo sviluppo dell’Analisi Infinitesimale su cui si fonda buona parte della Matematica moderna. Incombeva anche il problema dell’Incommensurabilità (evocato, per esempio, dal Teorema di Pitagora, che contribuiva infatti a minare quell’aspetto della dottrina pitagorica che intendeva rappresentare il mondo attraverso l’esclusivo uso dei Numeri Razionali. La diagonale di un quadrato unitario deve avere quadrato uguale a due, ma è assai facile dimostrare che non esiste alcun rapporto di Interi il cui quadrato possa fare esattamente due: lato e diagonale di un quadrato sono quindi “incommensurabili”). Oggi noi sappiamo che ogni Numero Irrazionale in rappresentazione decimale (ovvero pensato come “somma infinita” di frazioni decimali in base dieci, a coefficienti interi scelti tra 0 e 9) non ammette una sequenza periodica di cifre; e per dare un senso alla Geometria Euclidea, fatta di punti immateriali, sappiamo anche che è necessario aggiungere agli infiniti Razionali tutti i “nuovi numeri” che razionali non sono (e che la Matematica moderna scoprirà essere molti di più, costituendo un’infinità “non numerabile”) 34. Questo nuovo insieme, immagine in realtà di un segmento euclideo continuo e privo di lacune, prende il nome di insieme dei Numeri Reali. 4. La Scuola Eleatica: Zenone e i Paradossi sul Movimento Con i suoi Paradossi (che coinvolgono il concetto di “infinita divisibilità dello Spazio”) Zenone intendeva dimostrare le contraddizioni logiche insite nell’accettare la realtà del Movimento, rifiutando l'esperienza sensibile e affermando che “la realtà è immobile”. Sebbene molti studiosi moderni attribuiscano alle argomentazioni di Zenone il mero carattere di esercizio logico, riconoscendone la validità nell’influenzare la storia del pensiero matematico ma negandone l’effettivo valore fisico, i Paradossi di Zenone rivestono invece a nostro parere, alla luce della nuova Matematica e della nuova Fisica del XX Secolo, un buon motivo per ripensare più approfonditamente alla dicotomia tra Continuo e Discreto. E – come già anticipato nella nostra Introduzione – dovremo per forza farlo coniugando l’analisi del Paradosso di Achille e del Paradosso della Freccia (sullo Spazio e sul Movimento). Il Paradosso che qui più c’interessa è quindi il Paradosso di Achille e la Tartaruga, che riassumeremo come segue: “Achille insegue la Tartaruga di Zenone, ma non la potrà mai raggiungere”. Infatti, se Achille e la Tartaruga occupano in un istante iniziale (convenzionalmente t=0) due posizioni distanti tra loro, cioè se Achille concede alla Tartaruga un “vantaggio” iniziale (che chiameremo d), nel tempo t1 in cui Achille si muove verso la Tartaruga, la Tartaruga si sposterà in avanti di un poco; e quando Achille arriverà, come detto in un tempo t1, nella posizione in cui si trovava all’inizio la Tartaruga (a distanza d da Achille), Achille dovrà ancora muoversi in avanti. Impiegherà quindi un tempo t2 per raggiungere la nuova posizione occupata dalla Tartaruga, ma questa si sarà nuovamente spostata un po’ più avanti; Achille dovrà allora impiegare un tempo t3 per raggiungere la terza posizione raggiunta dalla Tartaruga, che nel frattempo si sarà ancora spostata in avanti. Questo processo – dice Zenone – si protrarrà all’infinito e, quindi, Achille non raggiungerà mai la Tartaruga. Zenone, ovviamente, ben sapeva che Achille avrebbe raggiunto la Tartaruga e utilizzava pertanto questo Paradosso per sostenere l’inconsistenza dell’Infinito e 34 BOYER, cit. l’impossibilità di perpetuare oltre ogni limite questo processo di continua divisione. Ben sappiamo che la Matematica del Continuo ha risolto il Paradosso di Achille e della Tartaruga attraverso l’introduzione del concetto di “serie numerica” (convergente). Infatti, il tempo complessivo che serve ad Achille per raggiungere la Tartaruga è la somma degli infiniti tempi ti che servono ad Achille per spostarsi dalla i-esima posizione (occupata al tempo ti) a quella successiva (occupata al tempo ti+1). Nell’accezione moderna del termine, il calcolo di questa serie è assai semplice. Assumendo infatti che i moti avvengano uniformemente (cioè linearmente nel tempo) e dette v e V le velocità della Tartaruga e di Achille (con l’intesa che risulti, ovviamente, V >v), mentre la Tartaruga in un tempo ti percorre uno spazio vti Achille percorrerà uno spazio Vti. Ma essendo d la distanza iniziale tra Achille e la Tartaruga, si ha ovviamente t1 = d/V e in questo tempo la Tartaruga si sposta di uno spazio d1 = dv/V. Achille dovrà quindi impiegare un tempo t2 = dv/V2 per raggiungere la nuova posizione della Tartaruga, che in questo tempo si sarà nuovamente spostata di uno spazio d2 = dv2/V2; e così via. Si riconosce allora che la successione dei tempi è data dalla formula ti = dvi-1/Vi e la successione degli spazi dalla formula di = dvi/Vi. Ciascun tempo ti è più piccolo del precedente (essendo V>v) e quindi i tempi tendono a diventare sempre più piccoli e infinitesimi; al tendere di i all’infinito essi tendono pertanto ad annullarsi. La somma di tutti i tempi è quindi data dalla “serie geometrica” convergente (cfr. anche Barnes 35) T = Σ ti = Σ dvi-1/Vi = 1/v Σ dvi/Vi = d/v Σ (v/V)i = d/v [v/(V – v)] = d/(V – v) (che, tra l’altro, divergerebbe a infinito se fosse v=V, suffragando l’evidente osservazione che se la Tartaruga corresse quanto Achille allora Achille non la raggiungerebbe mai…. Laddove il risultato negativo che si otterrebbe formalmente per v >V – ipotesi sotto la quale la serie in realtà non è sommabile - indica, invece, che per raggiungere una Tartaruga che corre più in fretta di Achille è necessario invertire la freccia del Tempo ed avere, questa volta, una Tartaruga veloce che rincorre, all’incontrario, un Achille non più “piè veloce”….). A questo risultato si potrebbe ovviamente arrivare più direttamente impostando le equazioni che reggono il Moto uniforme. Infatti, nel tempo T cercato Achille percorre uno spazio incognito x = VT e la Tartaruga percorre lo stesso spazio x = d + vT. Dall’uguaglianza VT = d + vT segue allora il medesimo risultato. Ma è bene ricordare che al tempo di Zenone questo tipo di analisi era ben lontano dalle possibilità materiali di calcolo. Veniamo ora a ricordare il Paradosso della Freccia, secondo cui una Freccia che appare in Movimento è, in realtà, immobile: in ogni istante essa occuperà uno spazio uguale a quello della sua lunghezza; e poiché il tempo in cui la Freccia si muove è fatto di singoli istanti, essa sarà immobile in ognuno di essi. Questo Paradosso, in un certo senso opposto al precedente, richiede di accettare l'esistenza di punti e istanti indivisibili: il Movimento é impossibile perché dalla somma di istanti “immobili” non può risultare il Moto. L’argomento di Zenone si basa sull’idea che un atto di Movimento possa essere descritto attraverso una successione infinita di atti “infinitesimi” di non-Movimento. A questo proposito vogliamo osservare che proprio dalla sua implicita critica e riassunzione in termini positivi nascerà nella Meccanica 35 BARNES,, cit., Cap. 6 (“Addizioni Infinite”) Classica 36 il Principio di D’Alembert (base della cosiddetta Meccanica Lagrangiana 37 ), che tende a interpretare il Movimento come una successione infinita (e non numerabile, perché “continua”) di posizioni di assoluto equilibrio tra le forze reali e le forze dinamiche (o “apparenti”). E, sempre a proposito del Paradosso della Freccia, ci piace anche ricordare (con Bertrand Russell 38) che il meccanismo di visione su cui si basa il Cinema crea un’immagine mentale del Movimento proprio sfruttando una successione di immagini ferme; così come, in modo del tutto complementare, la fotografia digitale ci permette oggi di creare immagini artistiche di tipo “futurista” sfruttando il Movimento della macchina fotografica ed una serie di fermo-immagine che schiacciano nella stessa immagine bidimensionale le tre dimensioni spaziali insieme con quella temporale 39. Come affermato da Umberto Bartocci: “i Paradossi di Zenone sul Movimento debbono essere considerati come “sempre attuali e non risolubili”, in quanto essi puntano l'attenzione sulle dicotomie tra “reale e pensato” e tra “Spazio (continuo) e Tempo (discreto)” 40. 5. Somme Infinite e Serie: la Soluzione Illuminista dei Paradossi di Zenone Il Paradosso della Freccia e quello di Achille - unitamente alle antinomie tra visione euclidea e pitagorica del punto - sono stati risolti dalla Matematica del ‘700 attraverso l’Ipotesi del Continuo e la teoria dei Numeri Reali, sulla base del presupposto che sia lo Spazio sia il Tempo possano essere infinitamente divisibili - al contrario di quanto pensavano invece Democrito e tutti gli Atomisti - e attraverso definizioni formali che rendono possibile la misurazione di insiemi infiniti (ovvero, di cardinalità illimitata) 41 . Come già abbiamo detto, questo percorso - che impone il passaggio dal Discreto al Continuo - è frutto implicito della scoperta pitagorica dell’esistenza di “Numeri Irrazionali”. Questa scoperta costringe – di fatto – alla vittoria del paradigma continuo rispetto a quello discreto: il “punto pitagorico”, dotato di un’infinitesima dimensione, perde terreno rispetto al “punto euclideo”, privo di dimensione sensibile. Un segmento, di lunghezza finita, è quindi composto da un’infinità di punti – un’infinità che la Matematica del XVIII secolo riconoscerà essere non numerabile (né, del resto, questa infinità potrebbe essere numerabile, perché altrimenti la lunghezza del segmento sarebbe esprimibile come somma di una “serie numerica” formata da infiniti zeri; e la somma di un’infinità numerabile di zeri conduce inesorabilmente a un risultato nullo). Solamente una “somma” di un’infinità non-numerabile di zeri può invece dare, nell’accezione moderna della Teoria della Misura 42, un risultato diverso 36 H. GOLDSTEIN, C. POOLE, J. SAFKO, Meccanica Classica, Bologna 2005, Zanichelli (ISBN 8808234002) 37 J.L. LAGRANGE, Mécanique Analitique, Paris 1811-1815, Ve. Courcier 38 RUSSEL 1975, 1980, cit. 39 DOBLE, FRANCAVIGLIA, LORENZI, cit; LORENZI, FRANCAVIGLIA, cit. 40 U. BARTOCCI, I Paradossi di Zenone sul Movimento e il Dualismo Spazio-Tempo, Episteme, Physis e Sophia nel III Millennio, Perugia 2004, n. 8 (http://www.cartesio-episteme.net/ep8/ep8-zeno.htm>, con un'appendice "Sulle definizioni matematiche di discreto e continuo" (<http://www.cartesio episteme.net/ep8/ep8-zeno-app.htm) 41 BOYER, cit. 42 BOYER, cit. da zero….! Nella Matematica del Settecento s’imporrano quindi, in modo forte e definitivo, i concetti dell’Analisi Infinitesimale, attraverso le nozioni di Successione Numerica, di Limite e di Serie Numerica; s’imparerà a trattare con disinvoltura la somma di infinite quantità infinitesime e a utilizzare questo fecondo metodo di calcolo per le più sottili questioni di Geometria, tra cui il calcolo delle lunghezze, delle aree e dei volumi, ma anche per descrivere la Meccanica e la dinamica dell’Universo attraverso lo strumento del Calcolo Differenziale di Gottfried W. Leibnitz e di Isaac Newton 43. Segnando così, nella Matematica e nella Fisica del XIX Secolo, il definitivo trionfo dell’elegante e solido paradigma continuo rispetto al non meno affascinante ed enigmatico paradigma discreto. 6. Il “Paradosso di Zenone” è Veramente un Paradosso…? Come già abbiamo affermato sopra, Matematica e Fisica del XX Secolo ci inducono a ripensare a questa eterna dicotomia tra Continuo e Discreto. Le teorie sul Caos e sui fenomeni irreversibili, con il concetto di Frattale successivamente scaturitone 44, ci suggeriscono di rinverdire qualche nostro antico e mai risolto dubbio. L’eterno problema dell’inconoscibilità “effettiva” di un Numero Reale non “razionale” appartiene a questa categoria di pensiero: ogni Numero Irrazionale ammette una definizione formale che pienamente lo definisce (per esempio, come “separatore di classi contigue di Numeri Razionali”), ma è anche altrettanto vero che la successione delle infinite cifre decimali (mai periodiche) di un Numero Irrazionale è imprevedibile e incalcolabile a priori. La Meccanica Quantistica 45, con le sue sconvolgenti predizioni, ha poi posto il problema dell’effettiva possibilità di misurare ad libitum sotto qualunque soglia pensabile (il già citato Principio di Indeterminazione, secondo il quale nessuna misurazione di nessuna quantità fisica sensibile potrà mai scendere al di sotto di una soglia di precisione, i cui limiti sono imposti dalla costante fisica fondamentale nota come Costante di Planck) 46. Tutto ciò ripropone con forza al nostro pensiero una visione della Natura fatta di quanti piuttosto che una Natura infinitamente divisibile e continua. I “quanti” – parti non ulteriormente divisibili di Spazio e di Tempo – sono concettualmente analoghi agli Atomi di Democrito: quantità fisiche piccolissime, ma finite, sotto le quali non è più possibile misurare né Spazio né Tempo, né altre variabili. L’eterna dicotomia, quindi, si ripresenta tra commensurabilità e incommensurabilità…. Ed è proprio quest’ultima 43 R. CIRINO, Dal Movimento alla Forza: Leibniz, l’Infinitesimo tra Logica e Metafisica, Soveria Mannelli 2006, Rubbettino (ISBN: 88-498-1593-X) 44 K.J. FALCONER, Fractal Geometry, New York 1990, John Wiley & Sons 45 BOHM, cit. 46 Conviene a questo punto osservare che, nella sua accezione più nota, il Principio di Indeterminazione di Heisenberg afferma, in sostanza, che l’errore compiuto nel misurare la posizione di una particella elementare e l’errore compiuto nel misurarne la velocità hanno un prodotto che non può scendere sotto un limite imposto dalla Costante di Planck. Se – quindi – si pensa di poter individuare con infinita precisione la posizione, si commette un errore infinito nel determinare la velocità (e viceversa). Il che costringe, spiegando le nostre motivazioni profonde, a non poter disgiungere l’analisi dei paradossi sulla divisibilità dello Spazio (e del Tempo) dai paradossi sul Movimento. Secondo la Meccanica Quantistica, in un senso opportuno, divisibilità in “quanti” e lettura della velocità (cioè del “Movimento”) sono infatti momenti che non possono essere slegati tra loro. considerazione a portarci a concludere, un po’ provocatoriamente, che la Teoria dei Quanti insieme con l’impossibilità materiale di “misurare ad infinitesimo” (come suppongono invece Fisica e Geometria del Continuo) suggeriscono un altro modo di rispondere al sottile quesito posto dal Paradosso di Achille e della Tartaruga. Se i “quanti temporali” (sotto i quali non si può suddividere ulteriormente il Tempo) che caratterizzano l’ipotetico Moto uniforme di un Achille veloce che cerca di raggiungere una Tartaruga più lenta sono tra di loro incommensurabili (ovvero non ammettono, nel mondo ideale del Continuo e dei Numeri Reali, un rapporto razionale) l’unica risposta possibile è che Achille non raggiungerà mai la Tartaruga di Heisenberg: potrà solo, ad un certo punto della sua corsa fatta di piccoli salti quantistici, sorpassarla senza accorgersene. Vi sarà cioè un istante in cui ancora Achille vede la Tartaruga davanti a sé e già pensa di poterla raggiungere; ma nell’istante quantizzato successivo, per forza unico ed esattamente calcolabile, egli sarà già oltre, l’avrà “sorpassata”…. e non la potrà più “vedere” se non inviando un segnale all’indietro nel Tempo (ovvero, rovesciando verso “il passato” i suoi sensori ed apparati di misura).