I Paradossi di Zenone e la Meccanica Quantistica Marcella Giulia LORENZI 1, Mauro FRANCAVIGLIA 2 0. Introduzione: Perché Disgiungere ciò che Zenone non Divise…? Nelle sue Lezioni Eleatiche di questo volume 3 Barnes rivisita, con gran dovizia di particolari, alcuni tra i più salienti aspetti del contributo di Zenone alla Filosofia della Scienza, limitandosi, per sua esplicita scelta, ai risvolti di natura più strettamente logico-filosofica. Nella sua opera, strettamente focalizzata al punto di rasentare l’eccessiva profondità, Barnes si limita, volutamente, a considerare soltanto una piccolissima parte dell’opera di Zenone (“sarò interessato solamente a una metà di quella conclusione […] e considererò solamente una metà degli argomenti di Zenone per quella metà di conclusione. […] Mi restringerò […] a metà della metà di uno dei quaranta quesiti di Zenone, e quindi solo alla centossantesima parte del suo lavoro”) 4 . Barnes si riferisce, in particolare, al solo problema della “dicotomia” insito in alcuni dei Paradossi zenoniani, scegliendo volutamente di ignorare il profondo rapporto tra i Paradossi sullo Spazio e quelli sul Moto. Lungi dal voler criticare la sua giusta libertà di scelta, vogliamo tuttavia sottolineare che, da un punto di vista più moderno e meno ancorato a una visione ancora ottocentesca dell’opera di Zenone, una rivisitazione della sua influenza sul pensiero scientifico moderno – nella sua accezione completa del termine – meriterebbe invece una diversa chiave di lettura. In un nostro breve intervento a chiusura delle sue Lezioni gli sottoponemmo infatti il quesito se mai i filosofi della Scienza si fossero posti il problema di rileggere i paradossi di Zenone in “chiave quantistica” (e, in particolare, facendolo alla luce del cosiddetto “Principio di Indeterminazione di Heisenberg”). A tale domanda non fu purtroppo data risposta esauriente; e ciò ha suscitato questo nostro brevissimo commento, che, focalizzandosi direttamente sulle citate lezioni, prelude a un articolo ben più profondo e più esteso che comparirà in un’altra monografia 5. Nella nostra analisi vogliamo innanzitutto rimarcare come, alla luce delle più moderne questioni filosofiche e scientifiche poste in atto dalla nuova Fisica e dalla nuova Matematica del XX Secolo 6, sia invece per noi assai più proficuo e lungimirante non disgiungere l’analisi del “Paradosso di Achille” (relativo al Moto, ma anche alla divisibilità del Tempo e dello Spazio) dalla contestuale analisi di altri paradossi zenoniani sul Movimento (ad esempio, il 1 Laboratorio per la Comunicazione Scientifica, Università della Calabria, Ponte Bucci, Cubo 30b, 87036 Arcavacata di Rende CS – e-mail: [email protected] 2 Laboratorio per la Comunicazione Scientifica, Università della Calabria, Ponte Bucci, Cubo 30b, 87036 Arcavacata di Rende CS; Dipartimento di Matematica, Università di Torino, Via C. Alberto 10, 10123, Torino – e-mail: [email protected] 3 J. BARNES et al, Zenone e la Grandezza delle Cose, a cura di L. Rossetti e M. Pulpito, 2010, Academia Vg., Sankt Augustin 4 BARNES,, cit., Cap. 2 (“L’Infinito”) 5 M.G. LORENZI, M. FRANCAVIGLIA, Zenone, Achille e la Tartaruga di Heisenberg, in un volume monografico edito da G. Luchetta, Dip. di Filosofia dell’Università della Calabria, 2010, in stampa 6 Ci riferiamo, più precisamente, alla “Meccanica Quantistica” ed alla “Teoria dei Frattali”, che - in una moderna rilettura critica dell’opera di Zenone, su cui tutto o quasi è già stato detto – non possono assolutamente essere ignorate. “Paradosso della Freccia” o anche il “Paradosso dello Stadio”), sì da poter provocatoriamente rileggere e reinterpretare in chiave quantistica (discreta piuttosto che continua) l’ancor fresca e tutt’altro che risolta questione che i detti paradossi posero nell’antichità e che ancor oggi meritano degna e rinnovata attenzione da parte di filosofi e scienziati. Li rivisiteremo nell’ottica di questa rinnovata sfida tra “Continuo” e “Discreto”, cercando di evidenziarne l’ancor fresca attualità, per proporne una possibile quanto “provocatoria” riformulazione in termini di “quanti”... 1. La mai Risolta Dicotomia tra “Continuo” e “Discreto” A distanza di quasi duemilacinquecento anni dall’Atomismo di Democrito ancora fresca e viva è l’eterna “dicotomia tra Continuo e Discreto”. La Scienza e la Filosofia ancora s’interrogano se la Natura abbia carattere “continuo” – ovvero non esistano vuoti nello Spazio (e nel Tempo) – oppure carattere “discreto”, ovvero se la struttura intima dello Spazio e del Tempo sia invece fatta di pieni e di vuoti 7. L’analisi dei Paradossi di Zenone è solitamente condotta facendo esplicito riferimento al quadro geometrico dell’impianto euclideo (come del resto traspare anche in Barnes 8); fatto per noi incontestabile ma riduttivo, volendo noi instillare il dubbio (più che lecito alla luce delle nuove conquiste della Fisica e della Geometria) che valga invece la pena di rivisitare Zenone svincolandosi dalla rigidità di Euclide ed accettando, invece, una visione più vicina al “Discreto” piuttosto che al “Continuo”. Se è pur vero che, intorno al III Secolo a.C., l’opera di Euclide spazzò via le dottrine precedenti, con la definitiva sistemazione di quella parte della Geometria che noi oggi chiamiamo giustamente con il nome di “Geometria Euclidea” 9 - e se è pur vero che essa fu assunta quale base di ogni speculazione sulla natura del Cosmo e tale restò, incontrastata, sino alle soglie del XX Secolo - è altrettanto vero che essa è stata rimessa sotto discussione dalle conquiste della Fisica della seconda metà del XIX Secolo (l’Elettromagnetismo di James Clerk Maxwell 10) e dell’inizio del Secolo successivo (la Teoria della Relatività di Albert Einstein 11 per prima, e la Meccanica Quantistica 12 per seconda). E se nel 1623 Galileo scriveva ne “Il Saggiatore” che “l'Universo non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto […] in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche” 13 - a rimarcare come la Fisica dovesse assoggettarsi alla Geometria Euclidea, assumendo la struttura “rigida e assoluta” dello Spazio di Euclide come paradigma eterno e immutabile per la comprensione del 7 Se lo chiede in primis la Fisica, che dello Spazio e del Tempo si pone il problema dell’effettiva “misurabilità”, ma analogo e cogente problema investe anche la Matematica, che di essi si pone il problema di una rappresentazione rigorosa e anche coerente con l’esperienza quotidiana. 8 BARNES,, cit., Cap. 4 (“Gli Atomi”) 9 EUCLIDE, Gli Elementi di Euclide, a cura di A. Frajese e L. Maccioni, Torino 1970, UTET 10 11 J. C. MAXWELL, Trattato di Elettricità e Magnetismo, Torino 1973, UTET A. EINSTEIN, Zur Elektrodynamik bewegter Körper, Annalen der Physik, 1905 – tradotto in: The Collected Papers of A. Einstein, John Stachel Editor (1989), pp. 276-295; A. EINSTEIN, Die Grundlage der Allgemeinen Relativitätstheorie, Annalen der Physik, 49, 769-822 (1916) 12 D. BOHM, Quantum Theory, London 1989, Dover (ISBN 0-486-65969-0) 13 GALILEO GALILEI, Opere di Galileo Galilei, a cura di Francesco Brunetti, Torino 1964, UTET mondo (come è anche implicito nell’analisi di Barnes in questo volume 14 ) - è tuttavia doveroso ricordare che già dalla fine del XVII Secolo la Matematica si era invece posta in modo concreto il problema dell’esistenza di “Geometrie Non-Euclidee” 15. Dopo l’opera del matematico tedesco Karl Friedrich Gauss 16 fu l’opera di Bernhard Riemann 17 ad introdurre il lecito dubbio che la Geometria Euclidea possa essere una specie di “incidente di percorso” (in una visione in cui la Natura è dominata dalla Curvatura piuttosto che dalla Linearità 18). Con la sua profonda trattazione sulle basi “sensibili” della nuova Geometria Riemann gettava, in un sol colpo, sia le prime basi filosofiche della Relatività di Einstein, sia le basi implicite di quella che diverrà poi la Meccanica Quantistica (suggerendo che la Geometria dell’infinitamente piccolo possa essere ben diversa dalla Geometria “in grande” dello Spazio). E per meglio sostanziare la nostra critica è anche doveroso qui ricordare che la nuova Fisica aperta tra il 1905 e il 1916 dalla Teoria della Relatività einsteiniana ha profonde radici cartesiane 19; secondo Cartesio 20, infatti, lo Spazio si identifica con la Materia e il Moto è da considerarsi un attributo di questa. Ci preme sottolineare che, se queste considerazioni di carattere storico ed epistemologico potrebbero qui sembrare fuori luogo, esse torneranno invece utili più avanti quando affronteremo brevemente l’analisi contestuale dei Paradossi sullo Spazio e sul Movimento (Achille, la Freccia). Perché, allora, non riprendere il discorso sui fondamenti del pensiero di Zenone, rileggendoli però in chiave “non euclidea”…? Nella Geometria Euclidea il concetto “euclideo” di “punto” (privo di dimensione) si rivelò vincente sull’omologo concetto pitagorico (il “punto materiale”) 21. Seppur la Geometria Euclidea analizzi quindi un mondo “ideale” interpretato come “continuo”, il senso comune della nostra esperienza, la moderna strumentazione di calcolo fornita dagli elaboratori elettronici e le moderne conquiste della Fisica ci inducono tuttavia a rimeditare più a fondo sull'effettiva natura del mondo osservato e misurato, contrapponendo – in un certo senso – un “mondo ideale continuo” (pensato ma non misurato) a un “mondo percepito e osservato in modo discreto”. Portandoci ad affermare, in modo forse un 14 BARNES,, cit., Cap. 2 (“L’Infinito”) e Cap. 7 (“La Risoluzione”) 15 C.B. BOYER, Storia della Matematica, Milano 2000, Mondadori (ISBN 8804334312) 16 C.F. GAUSS, Disquisitiones Generales supra Superficies Curvas, 1827 17 B. RIEMANN, On the Hypotheses which lie at the Bases of Geometry, 1866, trad. inglese (dall’originale in lingua tedesca) in Nature, Vol.VIII, n. 183, 184 18 R. DOBLE, M. FRANCAVIGLIA, M.G. LORENZI, The Future of Futurism, in: „Generative Art Proceedings of GA2009, XII Generative Art Conference, Milano, 14-17 December 2009” (C. Soddu Ed.), Milano 2009, Domus Argenia Publisher (p. 61; articolo nel CD-Rom, pp. 377-385); M.G. LORENZI , M. FRANCAVIGLIA, Art & Mathematics: Motion and Fourth Dimension, the Revolution of XX Century, APLIMAT - Journal of Applied Mathematics, 1 (2), 97-108 (2008) – ISSN 1337-6365 19 M. FRANCAVIGLIA, M. PALESE, Geometria e Fisica da Descartes ad Einstein, in: “La Scienza e i Vortici del Dubbio” L. Conti & M. Mamone Capria eds., Napoli, 2000, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 179-191; M. FRANCAVIGLIA, M. PALESE, Il Ruolo della Geometria Non Euclidea nello Sviluppo delle Teorie Relativistiche della Gravitazione, in: “Un Grande Matematico dell’Ottocento, Onoranze a Eugenio Beltrami 1835-1900, Milano 14-15 Ottobre 2004”, Incontri di Studio 39, Milano, 2007, Ed. Univ. di Lettere, Economia e Diritto, Ist. Lombardo – Accademia di Scienze e Lettere, pp. 195-210 20 R. DESCARTES, in E. Lojacono (a c. di), Opere Scientifiche, il Discorso sul Metodo. DiottricaMeteore-Geometria, Torino, UTET 21 Secondo ipotesi coerenti con la visione “atomistica” di Democrito. po’ provocatorio, che non sia tanto il Discreto una buona approssimazione di una realtà continua, quanto piuttosto il Continuo come un’ottima strumentazione mentale e matematica atta a comprendere in modo più diretto una realtà più complessa e basata su sottili ed ancora sconosciuti rapporti tra quantità discrete e localizzate nel Tempo e nello Spazio. La Meccanica Quantistica predice, infatti, che al di sotto di una scala molto piccola (nota come “limite di Planck”) non abbia senso misurare con “precisione infinita”. Nella sua accezione più nota, il Principio di Indeterminazione di Heisenberg afferma, in sostanza, che l’errore compiuto nel misurare la posizione di una particella elementare e l’errore compiuto nel misurarne la velocità hanno un prodotto che non può scendere sotto un limite imposto dalla “Costante di Planck”. Se, quindi, si pensa di poter individuare con infinita precisione la posizione, si commette un errore infinito nel determinare la velocità (e viceversa). Il che costringe, spiegando le nostre motivazioni profonde per una rilettura di Zenone in “chiave quantistica”, a non poter affatto disgiungere l’analisi dei Paradossi sulla divisibilità dello Spazio (e del Tempo) dai Paradossi sul Movimento. Secondo la Meccanica Quantistica, in un senso opportuno, divisibilità in “quanti” e lettura della velocità (cioè del “Movimento”) sono, infatti, momenti che non possono essere slegati tra loro né dal punto di vista filosofico né, tantomeno, da quello fisico-osservativo e sperimentale. 3. I Paradossi di Zenone sulla Divisibilità dello Spazio e sul Movimento È ben noto che, attraverso i suoi paradossi, Zenone intendeva dimostrare sia le contraddizioni logiche della “infinita divisibilità dello Spazio” (risolte solo con l’Analisi Infinitesimale del XVII Secolo) sia le contraddizioni logiche insite nell’accettare la realtà del Movimento, rifiutando l'esperienza sensibile e affermando che: “la realtà è immobile”. Come già anticipato nell’Introduzione, differentemente da Barnes che (almeno implicitamente) sceglie di scindere l’analisi di queste due classi di paradossi in due momenti separati e separabili, cercheremo qui di evidenziare come essi possano essere riletti in termini di “teoria dei quanti” solamente coniugando l’analisi del Paradosso di Achille con quella del Paradosso della Freccia. Il primo paradosso che c’interessa è il “Paradosso di Achille e la Tartaruga”, che riassumeremo come segue: “Achille insegue la Tartaruga di Zenone, ma non la potrà mai raggiungere”. Infatti, se Achille e la Tartaruga occupano in un istante iniziale (convenzionalmente t=0) due posizioni distanti tra loro, cioè se Achille concede alla Tartaruga un “vantaggio” iniziale (che chiameremo d), nel tempo t1 in cui Achille si muove verso la Tartaruga, essa si sposterà in avanti di poco; e quando Achille arriverà, in un tempo t1, nella posizione in cui si trovava all’inizio la Tartaruga (a distanza d da Achille), Achille dovrà ancora muoversi in avanti. Impiegherà quindi un tempo t2 per raggiungere la nuova posizione occupata dalla Tartaruga, ma questa si sarà nuovamente spostata più avanti; Achille dovrà allora impiegare un tempo t3 per raggiungere la terza posizione raggiunta dalla Tartaruga, che nel frattempo si sarà ancora spostata in avanti. Questo processo, dice Zenone, si protrarrà all’infinito e, quindi, Achille non raggiungerà mai la Tartaruga. Zenone, ovviamente, ben sapeva che Achille avrebbe raggiunto la Tartaruga e utilizzava pertanto questo paradosso per sostenere l’inconsistenza dell’Infinito e l’impossibilità di perpetuare oltre ogni limite questo processo di continua divisione. Nella Matematica del Continuo (cfr. Barnes 22) il paradosso di Achille e della Tartaruga si risolve attraverso l’introduzione del concetto di “serie numerica” (convergente). Infatti, il tempo complessivo che serve ad 22 BARNES,, cit., Cap. 6 (“Addizioni Infinite”) Achille per raggiungere la Tartaruga è la somma degli infiniti tempi ti che servono ad Achille per spostarsi dalla i-esima posizione (occupata al tempo ti) a quella successiva (occupata al tempo ti+1). Nell’accezione moderna del termine, il calcolo di questa serie è assai semplice. Assumendo, infatti, che i moti avvengano uniformemente (cioè linearmente nel Tempo) e dette v e V le velocità della Tartaruga e di Achille (con l’intesa che risulti, ovviamente, V >v), mentre la Tartaruga in un tempo ti percorre uno spazio vti Achille percorrerà uno spazio Vti. Ma essendo d la distanza iniziale tra Achille e la Tartaruga, si ha ovviamente t1 = d/V e in questo tempo la Tartaruga si sposta di uno spazio d1 = dv/V. Achille dovrà quindi impiegare un tempo t2 = dv/V2 per raggiungere la nuova posizione della Tartaruga, che in questo tempo si sarà nuovamente spostata di uno spazio d2 = dv2/V2; e così via. Si riconosce allora che la successione dei tempi è data dalla formula ti = dvi-1/Vi e la successione degli spazi dalla formula di = dvi/Vi. Ciascun tempo ti è più piccolo del precedente (essendo V>v) e quindi i tempi tendono a diventare sempre più piccoli e infinitesimi; al tendere di i all’infinito essi tendono pertanto ad annullarsi. In termini continui la somma di tutti i tempi è data dalla “serie geometrica” convergente (cfr. anche Barnes 23) T = ti = dvi-1/Vi = 1/v dvi/Vi = d/v (v/V)i = d/v [v/(V – v)] = d/(V – v) (che, tra l’altro, divergerebbe a infinito se fosse v=V, suffragando l’evidente osservazione che se la Tartaruga corresse quanto Achille allora Achille non la raggiungerebbe mai…. Laddove il risultato negativo che si otterrebbe formalmente per v >V – ipotesi sotto la quale la serie in realtà non è sommabile - indica, invece, che per raggiungere una Tartaruga che corre più in fretta di Achille è necessario invertire la freccia del tempo ed avere, questa volta, una Tartaruga veloce che rincorre, all’incontrario, un Achille non più “piè veloce”….). A questo risultato si potrebbe ovviamente arrivare più direttamente impostando le equazioni che reggono il Moto uniforme. Infatti, nel tempo T cercato Achille percorre uno spazio incognito x = VT e la Tartaruga percorre lo stesso spazio x = d + vT. Dall’uguaglianza VT = d + vT segue allora il medesimo risultato. Ma è bene ricordare che al tempo di Zenone questo tipo di analisi era ben lontano dalle possibilità materiali di calcolo; ed è anche bene osservare che già l’uso di questo strumento invece di quello delle serie convergenti presuppone l’impossibilità – già vera a livello classico – del separare il problema della divisibilità dello Spazio dal problema del Movimento in esso, coerentemente con la visione “cartesiana” che non disgiunge il Movimento dalla nozione stessa di Spazio. Nel “Paradosso della Freccia”, invece, una Freccia che appare in Movimento è, in realtà, immobile: in ogni istante essa occuperà uno spazio uguale a quello della sua lunghezza; e poiché il tempo in cui la Freccia si muove è fatto di singoli istanti, essa – conclude Zenone - sarà immobile in ognuno di essi. Questo paradosso, in un certo senso opposto al precedente, richiede di accettare l'esistenza di punti e istanti indivisibili: il Movimento é impossibile perché dalla somma di istanti “immobili” non può risultare il Moto. L’argomento di Zenone si basa sull’interessante idea che un atto di Movimento possa essere descritto attraverso una successione infinita di atti “infinitesimi” di non-Movimento. A questo proposito vogliamo osservare che proprio dalla sua implicita critica e riassunzione in termini positivi nascerà nella Meccanica Classica 24 il “Principio di D’Alembert” (base della cosiddetta “Meccanica Analitica” 23 BARNES,, cit., Cap. 6 (“Addizioni Infinite”) 24 H. GOLDSTEIN, C. POOLE, J. SAFKO, Meccanica Classica, Bologna 2005, Zanichelli di Lagrange 25), che tende a interpretare il Movimento come una successione infinita (e non numerabile, perché “continua”) di posizioni di assoluto equilibrio tra le forze reali e le forze dinamiche (o “apparenti”). E, sempre a proposito del paradosso della Freccia, ci piace anche ricordare (con Bertrand Russell 26) che il meccanismo di visione su cui si basa il Cinema, crea un’immagine mentale del Movimento proprio sfruttando una successione di immagini ferme 27. 4. I “Paradosso di Zenone” in Chiave Quantistica sono Veramente Paradossi…? Come già abbiamo affermato, la Matematica e la Fisica del XX Secolo ci inducono tuttavia a ripensare all’eterna dicotomia tra Continuo e Discreto. Le teorie sul “Caos” e i “fenomeni irreversibili”, con il concetto di “Frattale” scaturitone successivamente 28 , ci suggeriscono di rinverdire qualche nostro antico e mai risolto dubbio. L’eterno problema dell’inconoscibilità “effettiva” di un Numero Reale non “razionale” appartiene a questa categoria di pensiero: ogni Numero Irrazionale ammette una definizione formale che pienamente lo definisce (per esempio, come “separatore di classi contigue di Numeri Razionali”), ma è anche altrettanto vero che la successione delle infinite cifre decimali (mai periodiche) di un Numero Irrazionale è imprevedibile e incalcolabile a priori. E, come già detto, anche la Meccanica Quantistica, con le sue sconvolgenti predizioni, ha posto il problema dell’effettiva possibilità di misurare ad libitum sotto qualunque soglia pensabile. Tutto ciò ripropone con forza al nostro pensiero una visione della Natura fatta di “quanti” piuttosto che una Natura infinitamente divisibile e continua. I “quanti” – parti non ulteriormente divisibili di Spazio e di Tempo – sono concettualmente analoghi agli Atomi di Democrito: quantità fisiche piccolissime, ma finite, sotto le quali non è più possibile misurare né Spazio né Tempo, né altre variabili. L’eterna dicotomia, quindi, si ripresenta tra commensurabilità e incommensurabilità…. Ed è proprio quest’ultima considerazione a portarci a concludere, un po’ provocatoriamente, che la Teoria dei Quanti insieme con l’impossibilità materiale di “misurare ad infinitesimo” (come suppongono invece Fisica e Geometria del Continuo) suggeriscono un altro modo di rispondere al sottile quesito posto dal paradosso di Achille e della Tartaruga. Se i “quanti temporali” (sotto i quali non si può suddividere ulteriormente il Tempo) che caratterizzano l’ipotetico Moto uniforme di un Achille veloce che cerca di raggiungere una Tartaruga più lenta sono tra di loro incommensurabili (ovvero non ammettono, nel mondo ideale del Continuo e dei Numeri Reali, un rapporto razionale) l’unica risposta possibile è che “Achille non raggiungerà mai la Tartaruga di Heisenberg: potrà solo, ad un certo punto della sua corsa fatta di piccoli salti quantistici, sorpassarla senza accorgersene”. Vi sarà cioè un istante in cui ancora Achille vede la Tartaruga davanti a sé e già pensa di poterla raggiungere; ma nell’istante quantizzato successivo, per forza unico ed esattamente calcolabile, egli sarà già oltre, l’avrà “sorpassata”…. e non la potrà più “vedere” se non inviando un segnale all’indietro nel Tempo (ovvero, rovesciando verso “il passato” i suoi sensori ed apparati di misura). 25 J.L. LAGRANGE, Mécanique Analitique, Paris 1811-1815, Ve. Courcier 26 RUSSEL 1975, 1980, cit. 27 DOBLE, FRANCAVIGLIA, LORENZI, cit; LORENZI, FRANCAVIGLIA, cit. 28 K.J. FALCONER, Fractal Geometry, New York 1990, John Wiley & Sons