Recensioni 179 indipendente tra loro. La pace di Parigi sottoscritta da Francia, Spagna e Inghilterra sanciva l’acquisizione inglese della Nuova Francia, della Florida spagnola e il controllo di gran parte del subcontinente indiano; la Francia, pur mantenendo la Martinica e la Guadalupa, perse praticamente tutto il suo impero coloniale, mentre la Spagna, che in realtà visse un solo anno di guerra, subì gravi perdite che a malapena venivano ripagate dall’aver potuto conservare Cuba e le Filippine. La pace di Hubertusburg, frattanto stipulata tra Prussia e Austria, in buona sostanza manteneva lo status quo ante bellum e sanciva il rafforzamento della posizione della Prussia sullo scacchiere europeo. Un indiscusso merito dell’opera di Marian Füssel è quello di essere andata oltre gli eventi per analizzare, negli ultimi tre capitoli, le ripercussioni socio-politiche e culturali della guerra. In primo luogo, analizza l’influenza che la guerra dei Sette anni ebbe sull’opinione pubblica europea. Durante tutto il conflitto, infatti, la propaganda non cessò mai di lavorare: i vari protagonisti dello scontro cercarono di strumentalizzare il fattore religioso e si cominciò a diffondere un nazionalismo aggressivo; spesso, al centro del dibattito vi era l’indignazione per l’utilizzo in campo di indigeni brutali in America del Nord o per i soprusi delle truppe ai danni dei civili, soprattutto nei teatri bellici orientali dell’Impero germanico. Ma questo conflitto avrebbe fatto parlare di sé ancora a lungo, soprattutto per le sue conseguenze a breve e a lungo termine nella storia mondiale. Innanzitutto, alla guerra dei Sette anni sono collegate le due grandi rivoluzioni settecentesche, quella americana e quella francese; inoltre, dopo il 1763 acquisirono un ruolo predominante nel sistema mondo: l’espansione dell’imperialismo, l’idea di guerra di contenimento, un ruolo sempre crescente dell’artiglieria, la diffusione di una cultura “globale”, tutti fenomeni già presenti almeno in parte nella guerra dei Sette anni. A riprova di questa importanza, il conflitto, nei 250 anni che ci separano da esso, è stato ricordato attraverso l’arte e la letteratura: dai romanzi ai volumi illustrati, dai grandi dipinti di West, Menzel e Röcheling agli album di figurine, dalle pellicole naziste che strumentalizzavano la figura di Federico II all’Ultimo dei mohicani, la memoria della guerra dei Sette anni è giunta fino ai giorni nostri. Giuseppe Patisso ORIZZONTI MERIDIANI (a cura di), Briganti o emigranti. Sud e movimenti tra conricerca e studi subalterni, Verona, Ombre Corte, 2014. Il lavoro di ricerca collettiva svolto dalla rete di “Orizzonti meridiani” e condensato nei 17 saggi contenuti in Briganti o emigranti. Sud e movimenti tra conricerca e studi subalterni rappresenta un originale caleidoscopio puntato sul Mezzogiorno. Articolato come un puzzle, ma privo della completezza delle tessere, affronta vari argomenti la cui trama è costituita dalla natura della «questione meridionale» e dai problemi interpretativi che l’hanno caratterizzata. Lontano dal meridionalismo economicista e sviluppista, di cui questo lavoro vuole essere in qualche modo il contraltare, il testo adotta come strumenti prin- 180 Recensioni cipali le teorie gramsciane (rielaborate nella chiave dei «Subaltern Studies»), quelle saidiane e gli schemi interpretativi foucaultiani. Il volume si apre con le analisi di Petrusewicz e di Rossi che pongono preliminarmente alcuni fondamenti concettuali importanti per l’articolazione dell’intero libro, definendo la questione meridionale come espressione particolare della più generale contrapposizione tra Nord e Sud all’interno del contesto globale. Tale approccio è usato per “narrare”, attraverso l’opposizione geografica, le caratteristiche e le differenze nella natura e nei risultati dei processi di sviluppo. Se la «questione meridionale» nasce e si espande in conseguenza della traumatica annessione al contesto unitario italiano del Regno delle Due Sicilie, il linguaggio con cui essa viene espressa appartiene ad una vasta gamma di stereotipi settecenteschi che, muovendosi lungo la dicotomia Nord-Sud (ma anche Ovest-Est) continentali, definiscono una “mappa” dell’Europa in cui la parte Sud (ed Est) subisce un processo di “orientalizzazione”, in un percorso di allontanamento dai processi di sviluppo tipici del capitalismo avanzato. Attraverso vari passaggi, connessi alle vicissitudini politiche del Mezzogiorno, gli stereotipi si arricchiscono di nuove articolazioni fino ad arrivare agli anni della «guerra al brigantaggio», interpretato come una forma diffusa di resistenza nei confronti del nuovo status quo, insistendo sempre più sull’elemento razziale. Sulla ricostruzione storica e decostruzione concettuale delle stereotipizzazioni del Mezzogiorno si concentrano anche i testi di Curcio e Petrillo presenti nel libro. Il lavoro di Festa, invece, ripercorrendo l’intero arco della storia del Sud italiano, mette ben in evidenza la longue durée dello «stato d’eccezione» come dispositivo fondante del rapporto tra lo Stato unitario e il contesto meridionale, nonché le sue articolazioni ed evoluzioni nel corso del tempo. Nella riflessione di Mezzadra si punta a rileggere il «materialismo geografico» di Gramsci per impostare un nuovo discorso su “i Sud” in generale e per inquadrare la «questione meridionale» all’interno del sistema capitalistico globale. All’interno del libro ampio spazio trovano le ricerche sulle lotte e le «resistenze» in corso nel Mezzogiorno, quasi a voler dar voce alla condizione di subalternità meridionale come possibile agente della trasformazione che in qualche modo innerva tutto il Sud, al di là della retorica e delle analisi ufficiali. L’attenzione sui vari movimenti ed insorgenze serve a focalizzare lo sguardo sull’autodeterminazione dei luoghi e dei territori (e quindi di chi li abita) rispetto all’azione coercitiva esogena. Ciò, forse, con una eccessiva dose di fiducia nelle pratiche del comune, ma con un deciso riorientamento del pensiero politico a favore del luogo come insieme di relazioni e interazioni di tutti gli elementi che lo costituiscono a scapito della primazia del soggetto. Il tutto, a ben vedere, si pone in dissonanza con lo status quo; una dissonanza apparentemente traumatica, ma praticamente tesa alla costituzione di una diversa significazione e configurazione del senso del comune in funzione di un cambiamento di mentalità. Interessante ed ardita, poi, la lettura del fenomeno mafioso-criminale del Mezzogiorno approntata in alcuni testi (saggi del Csoa Tempo Rosso, di Pigna- Recensioni 181 taro e di Martinico) come elemento sociale funzionale all’accumulazione originaria e alla creazione di una moderna borghesia capitalistica. In un ciclo continuo, che parte ogni volta daccapo, il criminale però non riesce mai a superare la soglia e trasformarsi in vero e proprio “borghese”. Alla società meridionale è quindi impedita la trasformazione capitalistica piena, determinando la perpetuazione dello stato criminale originale di alcuni suoi segmenti. Probabilmente il merito principale dell’analisi è quello di porre nuove domande piuttosto che provare a rispondere a quelle consolidate circa la «questione meridionale», tentando di ridefinire lo schema interpretativo della stessa. Il libro vorrebbe essere, e per certi versi si propone, come un agile libretto d’istruzioni concettuale e progettuale per chi si approccia materialmente ad “agire” nel Mezzogiorno. L’effetto generale dell’opera è senza dubbio spiazzante rispetto ai soliti approcci sul Meridione. Utile contro la retorica ufficiale del discorso a media unificati sul Sud e come denuncia della profondissima crisi dell’ultimo decennio. Si può vedere in questo lavoro il tentativo di approntare un mutamento epistemologico nella lettura del Mezzogiorno basato, oltre che sugli strumenti già citati, anche su importanti opere che hanno tentato di cambiare i presupposti fondamentali delle analisi sul Meridione. Tra esse sicuramente il recente lavoro di P. MALANIMA, V. DANIELE, Il divario Nord-Sud in Italia 18612011, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011, ma anche quello più datato di L. FERRARI BRAVO, A. SERAFINI (a cura di), Stato e sottosviluppo. Il caso del Mezzogiorno italiano, Milano, Feltrinelli, 1972. Proprio per la vastità della visione proposta, si ha l’impressione di una certa frammentazione e di un disegno incompiuto. Il limite maggiore, da questo punto di vista, è quello di non aver approfondito maggiormente l’analisi dei meccanismi economici e politici che hanno determinato e consolidato la subalternità del Mezzogiorno. Il testo, complessivamente, subisce la continua sovrapposizione di elementi di analisi teorica e aspetti riconducibili alla pratica politica. Ad ogni modo e nonostante ciò, l’opera si connota come un utile strumento per ampliare eventualmente gli orizzonti di ricerca e gettare nuova luce su fenomeni non ancora adeguatamente analizzati. Ruggiero Tupputi F. CAMMARANO (a cura di), Abbasso la guerra! Neutralisti in piazza alla vigilia della prima guerra mondiale in Italia, Firenze, Le Monnier, 2015. «L’Italia, nella sua maggioranza, non voleva la guerra … Cos’è accaduto allora?». Si apre così, con questo interrogativo di Brunello Vigezzi che ne firma la prefazione, il volume curato da Fulvio Cammarano: uno dei più originali e innovativi apporti sulla Grande guerra apparsi in occasione delle celebrazioni del suo centenario, sia per la tematica proposta, sia per l’approccio metodologico seguito, sia per i risultati scientifici conseguiti. Mancava ad oggi, in effetti, una ricostruzione mirata e attenta alle pratiche del neutralismo in Italia, indagato in genere in rapporto a determinate parti del Paese