L`esercizio della sessualità nella tradizione islamica

annuncio pubblicitario
Bartolomeo Pirone
L’esercizio della sessualità nella tradizione islamica
This article shows that in the Islamic tradition sexual activity comes accepted from the faith
and religion as sacred. Anyway sex is not conceived as the mere search of pleasure, but as
a means to «propagate life, multiply the existence». Nevertheless, sexual pleasure –as an
immense anecdotal on Muhammad shows– is not at all condemned, but accepted inside
marriage. Moreover this kind of union cannot be considered as a lower form of religious
engagement than a life of chastity.
Nel Corano è detto: «In verità la Religione, presso Dio è l’Islàm»1 e un altro passo
amplif ica e precisa: «Oggi v’ho reso perfetta la vostra religione, e ho compiuto su voi
i Miei favori, e M’è piaciuto darvi per religione l’Islàm»2. Questo vuol dire che ogni
atto di devozione e di conformazione dell’uomo al dettato divino è essenzialmente
un atto religioso, voluto in forza della religione, attuato per la religione, considerato
quale propizia occasione di meritare o di usufruire di un ‘favore divino’. Sì, perché
ancora nel Corano è scritto: «E chiunque desideri una religione diversa dall’Islàm,
non gli sarà accettata da Dio, ed egli nell’altra vita sarà fra i perdenti»3. Si noti che
l’Isl≈m assume qui la sua dimensione universale e totalizzante della religiosità del
credente e ha già una sua proiezione nel mondo che verrà, dove materia attuale di
giudizio è unicamente ciò che si sarà fatto. L’indissolubile rapporto tra la fede e le
opere, sorrette dalla intenzione di agire nello spirito della Legge, è inequivocabile.
Ogni atto umano, nell’alveo della fede condivisa, non può non essere che riverbero
della fede stessa. Ora, nell’Isl≈m, la fede per eccellenza è la religione che lo fa e lo
rende tale. L’Isl≈m si attua e diviene nell’agire conformemente alla shar≤‘ah. Persino
tale disposizione è considerata un ‘favore’ da parte di Dio, come è scritto: «Perché
colui che Dio vuole guidare al Bene, gli apre il petto a che si dia tutto a Lui»4.
Ma prima ancora di addentrarci nella trattazione dello specif ico oggetto del nostro
intervento, concedetemi di spendere una mezza considerazione su cosa pensa il Corano del sesso degli angeli. Se tutta la trattazione sugli angeli ci fa capire che sono stati
creati da luce e perciò per la luce vivono, giacché la rivelazione di cui sono portatori
altro non è che uno sprazzo dell’incommensurabile luce che è Dio, non si indulge
nemmeno troppo alla polemica scatenata sul loro sesso: son maschi e femmine o solo
1
Sura III, 19. Per le citazioni coraniche rimandiamo a A. BAUSANI, Il Corano, Sansoni,
F irenze 1978.
2
Sura V, 3.
3
Sura III, 85.
4
Sura VI, 125. In sura LXI, 7 è altresì ribadito che non vi è persona più iniqua di chi è
chiamato «a darsi a Lui» e inventa invece menzogne contro Dio. Non si può rif iutare la fede
dopo «essersi dati a Dio», come è detto in sura IX, 74. Le voci verbali di queste citazioni sono
espresse con il termine isl≈m.
22
Religioni e Società, 59, 2007, pp. 22-43, ISSN 1722-4705
© 2007 F irenze University Press
maschi? In sura XVII, 40 Dio nega decisamente che si sarebbe preso delle f iglie tra
gli angeli, come fa del resto in sura XXXVII, 149-150, ribadito in sura XLIII, 19: «E
degli angeli, servi del Misericordioso, han fatto delle femmine: eran dunque presenti
alla lor creazione? La loro testimonianza sarà scritta e ne sarà chiesto loro conto».
È dunque in una cornice di religiosità e, quindi, di sacralità che cercheremo di
illustrare i diversi ambiti all’interno dei quali l’esercizio del sesso si conf igura come
atto dovuto in forza di una religione e di una fede che sono il volto dell’Isl≈m. Illustreremo, cioè, quei punti cardine che sorreggono l’atto sessuale in sé, tralasciando
inevitabilmente problematiche che su di esso o da esso derivano, quali la contraccezione e il controllo demograf ico, l’aborto, la procreazione assistita e la mutilazione
genitale femminile nei suoi diversi aspetti e aree geograf iche5.
Non toccheremo nemmeno lo spinoso problema dell’emancipazione della donna,
del suo diritto all’eredità, della sua capacità di assolvere un compito amministrativo,
del suo diritto a una elezione passiva, visto che le compete quella attiva; di una sua
eventuale piena libertà di usare e f inalizzare il proprio corpo; dell’aborto e degli
anticoncezionali; della sua libertà di scegliere dove, come e con chi vivere o, in breve, sulla cosiddetta uguaglianza dei sessi. A meno che non ci sia l’occasione di una
concreta allusione all’esercizio del sesso in quanto tale. E non parleremo nemmeno
dell’uso di prostituire le schiave, per scongiurare il quale lo stesso Profeta avrebbe
poi sollecitato i suoi credenti a sposare schiave virtuose o donne libere avute in sorte
dopo la spartizione di un bottino di guerra6. Non parleremo nemmeno della poligamia,
5
Indicativi a tal proposito sono i volumi: M. MAZZETTI, Senza le ali. Mutilazioni genitali
femminili, Franco Angeli, Milano 2000; E. DORKENOO, S. ELWORTHY, Mutilazioni genitali
femminili. Proposte per un cambiamento, AIDOS, Roma 1995.
6
MuΔammad stesso sposò Ǧuwayriyyah Bint al-H
· ≈rith, di origine aristocratica, dopo
averla affrancata e S·afiyyah, di origine ebraica, che pure sposò dopo averla affrancata in seguito
alla battaglia, vinta, contro gli ebrei di Khaybar. Sulle nozze con Ǧuwayriyyah Bint al-H
· ≈rith,
cfr. SA‘D (IBN), al-T
· abaq≈t al-Kubrà, Dar S·≈dir, Beirut s.d., vol. 8, pp. 116-120. Su quelle con
S·afiyyah vedi ivi, pp. 120-129. Il caso di quest’ultima fu particolarmente impressionante, perché andò contro le aspettative della gente, la quale pensava che ne avrebbe fatto una umm
walad, ossia una schiava con cui avere ufficialmente rapporti sessuali e i cui figli sarebbero stati
considerati liberi, piuttosto che una moglie a pieno titolo, coprendola di un velo. La consuetudine di avere figli dalle schiave era sfruttata per averne figli da vendere a loro volta come schiavi.
Una testimonianza fatta risalire a Ibn H
· aǧar dichiara esplicitamente: «‘Abd All≈h Ibn Ubayy
picchiava Musaykah per obbligarla a darsi a lui, nella speranza di ingravidarla e disporre poi del
bambino schiavo che sarebbe nato da tale unione». Riportato in F. MERNISSI, Donne del Profeta.
La condizione femminile nell’Islam, ECIG, Genova 1997, p. 212. Di tutt’altro tenore fu invece
l’universo erotico dei califfi incentrato attorno alle figure di avvenenti schiave che concorsero a
una diversa tipologia di harem tradizionale. Qui il concubinaggio assunse forme parossistiche
di esercizio del sesso, tanto da far passare in secondo ordine il pur lodevole ruolo delle donne
libere ma forse più rispettose della sacralità del matrimonio. Non è facile dimenticare ciò che è
stato raccontato di schiave procaci e libidinose o di schiavi ed eunuchi dall’incantevole voce che
godettero delle attenzioni sessuali dei loro califfi. La funzione del canto come preludio e preparazione all’orgia sessuale è sin troppo nota per alcune tra le più celebrate schiave del tempo.
La concubina diventa la vera e propria merce dell’esercizio sessuale, mentre la libera continua
ad essere la gelosa custode della casa e della prole. La vita cortigiana sviluppò un amore fugace,
23
non del divorzio, non delle mogli del Profeta, tutte forme e scelte di vita in cui l’erotismo è stimolo a monte, ma non diretto. Ci contenteremo di alcune considerazioni
nella misura in cui esse concorrono a una maggiore comprensione e circoscrizione
dell’esercizio della sessualità in sé 7.
L’importanza dell’esercizio della sessualità è ben def inita da un detto fatto risalire ad
‘Amr Ibn al-‘‰∞ e riportato da al-Qur¤ub≤, che così recita: «La prima cosa che Dio ha
creato nell’uomo è stato il sesso, dopodiché gli disse: “Ecco un deposito che ti aff ido,
fanne uso unicamente secondo la verità. Se ne avrai cura, avrà cura di te”»8. La cura
del sesso si manifesta in una duplice maniera: con la pulizia e l’igiene del corpo9 e con
la purezza dell’anima, della mente e del cuore contro ogni tentativo diabolico di compromettere lo strutturale equilibrio garantito dalla piena osservanza delle disposizioni
coraniche. Adombra altresì lo spartiacque tra il castigo, dovuto a chi lo esercita in
maniera illecita, e la ricompensa a chi invece ne fa lecito uso nel matrimonio10. Nel-
sensuale, materialmente erotico e licenzioso, in contrasto con l’amore della tradizionale società
beduina o legata ai primordi dell’Isl≈m che aveva già messo un certo ordine nell’erotismo dell’età preislamica. Le prestazioni della cantante o della concubina declassavano a mercimonio la
fisicità del sesso in baccanali notturni, allietati non rare volte da presenza di efebi ed eunuchi;
davano luogo alla libera promiscuità e frequentazione di donne in ambienti non consoni a una
donna libera, segregata e nascosta dal velo della tradizione. E però, data la condizione di schiava
della cantante, la fornicazione che con essa si consumava assumeva una sorta di liceità ispirata a
sura IV, 3, dove si permette di avere rapporti con le proprie ancelle o schiave. C’è comunque da
rilevare che il Corano stesso stigmatizza il meretricio (bigh≈’) imposto alle ancelle, nonostante
esse vogliano conservarsi caste, per abbondare negli agi della vita terrena (cfr. sura XXIV, 33).
Qui l’espressione in aradna taΔa∞∞unan ci riporta alla radice della stessa voce verbale usata per
indicare la scelta di castità assoluta fatta da Maria. La diversa forma, comunque, prospetta piani
di valutazioni differenti e propri. Del meretricio MuΔammad stigmatizzava ben sei conseguenze in questa come nell’altra vita, vale a dire: disistima, vita breve, miseria perenne, collera di
Dio, nefasto giudizio finale e condanna al fuoco eterno.
7
La mancata elaborazione di principi fondamentali, capaci di illuminare le circostanze e
risolverle alla loro luce e applicazione, attraversata in tutto il tessuto espositivo del Corano
da ripensamenti e riconsiderazioni, f inì con il dar luogo ad una strutturale ambiguità di cui si
servì, e si serve ancora oggi, la pletora di interpreti a senso unico del testo sacro. Se è vero che
c’è un abisso tra l’era preislamica e il periodo della predicazione di MuΔammad, è altrettanto
innegabile che c’è sempre stata una notevole differenza tra il modo in cui il Profeta stesso
presentava e interpretava il Corano e come lungo i secoli esso è stato presentato e interpretato
a diversi livelli e in diversi paesi.
8
Riportato in A. BOUHDIBA, La sexualité en islam, Presses Universitaires de France, Paris
1979, p. 77.
9
Notevoli sono i preparativi alle nozze, tra i quali compare l’abitudine di farsi togliere
i peli del corpo e il crine pubico per presentarsi belli ai rispettivi partner. La conoscenza del
corpo nelle sue funzioni f isiologiche, formalizzato nell’ambito della purità rituale per un corretto assolvimento anche in funzione dell’esercizio del sesso, trova qualche suo riscontro, pur
se sporadico, in [AL-]QULAYN≥, Il libro dell’impurità femminile, Aquilegia, Milano 2002.
10
A proposito del matrimonio così soleva dire il Profeta: «Sposarsi fa parte della mia sunna, e chi è contro la mia sunna è contro di me». Ciò ha senz’altro contribuito a ritenere «la famiglia di istituzione divina e il matrimonio […] la sola forma legittima di unione tra i sessi». Il
24
l’esercizio del sesso l’uomo sa, conosce perfettamente qual è l’oggetto a ciò deputato.
Così recita sura XXIV, 31: «Di’ alle credenti […] che non mostrino le loro parti belle
che ai loro mariti»11. Per questo l’esercizio della sessualità è strutturalmente un esercizio
a due, una sorta di contratto consensuale, un esercizio di coppia, un essere per l’altro
ciò che costui è per noi: «Esse sono una veste per voi e voi una veste per loro», come
recita sura II, 18712. O come recita sura XXX, 21: «E uno dei Suoi Segni è che Egli
v’ha create da voi stessi delle spose, acciocché riposiate con loro, e ha posto fra di voi
compassione ed amore. E certo in questo v’ha un Segno per gente che sa meditare». In
quanto ‘segno’ la copulazione è perciò una legge universale, espressione di un ordine
cosmico nel reciproco esercizio della propria individuante e diversa sessualità. Sotto
tale profilo, come vedremo in seguito, non sono ammesse forme alternative. L’esercizio
del sesso non è quindi omologabile a momenti di piacere e di lussuria, di godimento13
e di libido, se non nella misura in cui queste cose si sprigionino dall’esercizio stesso
di un sesso destinato a comprendere nel proprio ‘segno’, o nella propria orma, o nella
propria aratura, o nel proprio solco, la dimensione f isica del partner. Copulazione
matrimonio è in effetti visto, dal diritto islamico, come un vero e proprio dovere, da parte di
chi sia in grado di provvedere alla prole, di pagare il dono nuziale alla donna e ha forti timori
di non controllare la propria incontinenza se dovesse essergli impedito o dovesse rinunciarvi.
Anche a tal proposito ci sono Δad≤th che concorrono a sostenere tale presa di posizione, come
quello in cui il Profeta ebbe a dire: «Coloro che non sono sposati sono della peggiore specie
e quanti muoiono non sposati sono della più ignobile», o un altro in cui asseriva: «L’uomo
benestante che non prende moglie non appartiene a me». Riportati in D. ATIGHETCHI, Islam,
musulmani e bioetica, Armando, Roma 2002, p. 99.
11
Belle soprattutto in considerazione dell’uso di eliminare i peli del pube mediante la
rasatura o l’applicazione di paste collose che poi si strappavano con tutti i peli. Tale rasatura,
soprattutto alla vigilia delle nozze, avveniva non rare volte nei cosiddetti bagni delle ragazze,
con un particolare rituale.
12
Pur trattandosi di due diversi ambiti, è interessante notare come nell’Isl≈m il modo
di vestirsi, abbigliarsi e abbellirsi, curare il proprio corpo, tatuarsi e depilarsi è strettamente
legato al sesso e alla funzione che esso svolge. In effetti la simbologia del velo è nella sua essenzialità un segno della dicotomia sessuale, è il modo per indicare che molte parti del corpo
della donna sono da tenere nascoste, mentre non è del pari per quanto concerne l’uomo. Ci
sarebbe molto da dire su come il sesso maschile diventa oggetto di ammirazione e di palpeggiamento in non poche circostanze della vita familiare, soprattutto quando si fa il bagno al
bambino. Sul concetto di nudità fonte di sguardi cfr. BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit.,
pp. 49-55. Sull’argomento generale di sesso e società nell’Isl≈m cfr. B.F. MUSALLAM, Sex and
Society in Islam, Cambridge University Press, Cambridge 1989.
13
Ci sarebbe da dire a tal proposito che esiste un ambito di esercizio del sesso nel quale il
puro e semplice godimento dei sensi sembra farla da padrone, senza poterlo giustif icare alla
luce dei nessun principio etico e, a maggior ragione, religioso. Alludiamo al matrimonio di
godimento, mut‘ah, stipulato arbitrariamente dal maschio per la durata di un determinato
tempo che potrebbe coprire la prima ora di godimento ed essere rescisso immediatamente
dopo o anche dopo più lungo tempo, che crea tristi e doloranti spose assoldate d’una notte o
di anni, alle quali accostarsi al solo f ine di appagare il proprio piacere senza subire l’onta della
fornicazione o dell’adulterio. Disconosciuto dalla comunità sciita, tale matrimonio di piacere
o temporaneo è per lo più tollerato dai sunniti.
25
e amore f isico sono pertanto fondamento essenziale per la perpetuazione della vita.
Ma c’è perf ino chi afferma che nell’Isl≈m la sessualità ha una missione sacra, vale a
dire «propagare la vita, moltiplicare l’esistenza»14, concorrere all’ordine universale nel
modo voluto da Dio, attraverso la procreazione. In questa sua f inalità esplicita altresì
il suo ruolo di veicolo alla complementarietà dei due sessi. In nessun altro modo l’uomo e la donna entrano in armonia se non per il tramite dello scambio reciproco della
propria sessualità. Non sarà forse stato a causa di questa strutturale sacralità dell’atto
sessuale in sé che nella descrizione del paradiso si parla di una sorta di orgasmo o
piacere inf inito con donne dai visi bianchi, verdi, gialli e rossi e i cui corpi sono fatti
di zafferano, muschio, ambra e canfora e dai capelli di seta? Se il paradiso è il luogo
della riconciliazione dell’uomo con la natura, va da sé che l’esercizio della sessualità
si esplicherà in una natura completamente riportata nei limiti da Dio previsti. Non ci
sarà più alcuna possibilità di trovare o volere un piacere al di là di quanto Dio mette
a disposizione dei suoi eletti. La sessualità sarà l’immagine di un ordine perfetto in
un festino dei sensi. Si trascende, in poche parole, quella soglia di piacere temporale
sulla quale il Corano depone la donna con le parole: «Fu reso adorno agli occhi degli
uomini l’amor dei piaceri, come le donne», per proiettare il tutto in una «mèta buona»
che è presso Dio15. Dobbiamo molto verosimilmente ritenere che l’elaborazione di
tutto ciò che gravita attorno all’esercizio della sessualità ha un suo primo fondamento
in alcuni dettami coranici e una sua susseguente fondatezza su quel principio generale
dell’ortoprassi islamica che recita: «Ciò che ai musulmani è parso buono (Δasan) è
buono anche al cospetto di Dio»16.
Il concetto di una sessualità repressiva non appartiene allo spirito dell’Isl≈m. Per
tale ragione non è affatto ammissibile reprimere l’esercizio del sesso per il tramite
di una castrazione o di una scelta di castità volontaria. Anche per questo il divorzio
è sempre stato considerato dal Profeta la cosa lecita più odiosa al cospetto di Dio.
Amplif icazione di questa sostanziale sessualità positiva in sé, e magari stornata su
altri sentieri devianti, si fa specchio Le Mille e una Notte considerata, a buon diritto, come una sorta di «enciclopedia sessuologica ante litteram dove niente manca:
prostituzione, poligamia, pederastia, pedof ilia, saff ismo, amore di gruppo, incesto,
masochismo, sadismo, zoof ilia, necrof ilia, impotenza, frigidità, voyerismo, narcisismo, e chi ne ha più ne metta»17.
Nell’Isl≈m il f iglio naturale diviene oggetto di disprezzo, frutto di peccato e di
infedeltà al codice dell’unione matrimoniale, in quanto la madre viene additata come
violatrice della legge musulmana, che non ammette e non giustif ica, sotto nessun
pretesto, che un atto sessuale procreante venga consumato al di fuori della cornice
del matrimonio. Perché il matrimonio, come diceva Ibn ‘Abb≈s, «è la perfezione della
14
MUSALLAM, Sex and Society in Islam, cit., p. 22.
Cfr. sura III, 14.
16
Riportato in ATIGHETCHI, Islam, musulmani e bioetica, cit., p. 9.
17
BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., p. 167. Per i rimedi contro insuff icienti prestazioni sessuali o sulle diverse tipologia di glossario concernenti il sesso stesso, vedi pure pp. 171193. Sulla pedof ilia in particolare, cfr. A.A. CASTRO, La sexualidad en la España musulmana,
Cabra (Cordova) 1985, pp. 45-47.
15
26
devozione»18. Del resto il Corano è estremamente esplicito a tal proposito e dichiara
lecito solo l’esercizio sessuale con le proprie mogli e le schiave-concubine. Per tale
ragione si riveste di sacralità, rappresenta un momento di rapporto creaturale con la
volontà divina che santif ica l’atto in sé, lo fa ritenere buono, e non fa ritenere buono
il contrario, ossia il luogo e il momento in cui l’atto carnale, nik≈Δ, si consuma nella
fornicazione o nella prostituzione19. Davanti a donne appese per i capezzoli e ad
altre appese per i piedi, capovolte, chiedendo chi esse fossero, MuΔammad si sentì
rispondere dall’angelo Gabriele: «Sono donne che hanno praticato la prostituzione,
che hanno ucciso i loro f igli e partorito al di fuori del matrimonio!»20. Alla luce del
dettato coranico la dottrina giuridica islamica non poteva non ritenere che l’esercizio
della sessualità è da considerarsi lecito esclusivamente tra coniugi o partner contemplati dalla rivelazione coranica.
L’Islam considera inscindibile dal padre naturale ogni nuovo nato; la paternità certa,
esercitata e fruita nella sacralità del talamo, è fondamento e garanzia della prole vista
come dono del Misericordioso, benedetto come amore e tenerezza tra i coniugi. Un
principio di strettissima applicazione, soprattutto per arginare e debellare la licenziosità
e la promiscuità sessuali dell’Arabia preislamica. Un principio così tanto assolutizzato da indurre a nutrire diff idenza nei confronti dello stato celibatario, imposto o
liberamente scelto, comunque negativo e causa di tentazioni incontrastabili, fonte di
inquietudine, siccità di vero amore, povertà esistenziale perché dissociativa, dirompente
e dissacrante quanto al naturale essere con l’altro e gli altri in seno alla comunità o
ummah. Il celibato è perciò visto come una sorta di scelta contro natura, un porsi fuori
la ummah, una emarginazione che sradica dal comune sentire e agire della comunità
musulmana. È altresì una mutilazione dello spirito. In tal senso sono illuminanti le
parole di sintesi con cui Abdelwahab Bouhdiba puntualizza la quintessenza del sesso:
«La sessualità è a volta a volta assimilata ad una preghiera, ad un’elemosina, a un mar-
18
Sarebbe certo interessante studiare se questo presupposto abbia o meno inf luito sull’elaborazione del concetto di matrimonio come profonda esperienza di unione mistica tra
due anime. ‘‰’ishah sarebbe stata più tardi considerata «amante dell’amato di Dio» e «moglie del Profeta sulla terra e nel paradiso». Riportato in MERNISSI, Donne del Profeta, cit., p.
63. A p. 87 ha pure «amante dell’amante di Dio». Ad ogni modo per tutto ciò che concorre
idealmente alla preparazione di questa scelta, cfr. A.H.M. AL-GHAZ‰L≥, Le intime relazioni e
preparazione al matrimonio, a cura di A. Pellitteri, Edizioni della Battaglia, Palermo 1995
19
Non per nulla il Corano stesso def inisce ‘turpitudine’ la fornicazione alla quale si vorrebbe abbandonare la moglie di Putifarre e dalla quale si tiene ben lontano il giovane Giuseppe, come in sura XII, 24. Notevole era altresì nel XIII secolo vedere dappertutto donne «che
vendevano la turpitudine in pieno giorno agli uomini». BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit.,
p. 231.
20
L’allusione al fatto di avere f iglio al di fuori del matrimonio torna a tutto vantaggio della
comune considerazione che l’uomo aveva della donna come genitrice di rampolli e, quindi,
destinata alla riproduzione. Averroè stigmatizza questa mentalità come una delle cause che
concorrono alla decadenza dello Stato, in quanto il fatto di somigliare la donna ad una pianta
che solo deve riprodursi, impedisce di scoprire le altre sue potenzialità e attività, e conclude:
«Il fatto che in questi Stati siano un peso per i maschi è una delle cause della povertà di questi
Stati». E. HELLER, H. MOSBAHI, Dietro il velo. Amore e sessualità nella cultura araba, Laterza,
Roma-Bari 1996, p. 101.
27
tirio, a un atto di pietà, a un miracolo rinnovato della profezia, a una pref igurazione
delle delizie celesti. Essa è testimone di un disegno divino, esprime il volere di Dio.
Abbandonarsi ad essa con gioia è manifestare in modo reale la propria riconoscenza
a Dio autore del miracolo che continua a sgorgare dalla vita che si rinnova»21.
Cosa si avrebbe quindi quando venisse a mancare questo concorrere al miracolo della vita o al trasmettere un senso di acquiescenza giuridica ad un rapporto sessuale?
1. Fornicazione
In senso stretto denota qualsiasi atto sessuale consumato al di fuori del matrimonio,
frammentato in svariate forme di seduzione22 e tecniche erotiche23, sì da coinvolgere
21
BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., p. 122.
La seduzione trovava un sua dimensione soddisfacente nel preambolo dell’esercizio
della sessualità, in quello spazio, cioè, in cui ingigantisce la frenesia del piacere che si abbandona al gioco, più solitamente conosciuto come la dimensione del divertimento che, partendo dal fascino irresistibile dell’esteriore avvenenza, palpeggia poi ogni angolo del corpo
alla ricerca del vero e proprio piacere. È quello che con insolita immagine di un’eccitazione
collettiva, porta la moglie di Putifarre e le altre donne che con lei si invaghiscono di Giuseppe, a tagliuzzarsi le dita e a sospirare. Cfr. sura XII, 50. Contro i pericoli della seduzione, il
Corano e la tradizione islamica insistono sulla frequentazione della propria o delle proprie
mogli che sono tenute, a loro volte, a soddisfare le richieste del marito anche per evitare che si
abbandoni alla fornicazione. L’assolvimento di questi atti è facilitato e appianato anche dalla
considerazione che la sessualità in sé non è espressione della tirannia del male, ma momento
di gioia e di gratitudine per ciò che esso rappresenta. La connotazione del male e la conseguente signoria del Maligno emergono esclusivamente quando la sessualità si fa insaziabile, si
appropriano di corpi non consentiti, si stendono su letti che non appartengono. Stranamente
la responsabilità di simili devianze è di solito ascritta alla donna in quanto tale. Viene addirittura additata come il diavolo e la sua f igura viene in tal modo demonizzata da far dire ad
al-Ghaz≈l≤: «In esse ogni sciagura ha seme e mai vi troverai la fedeltà». Riportato in HELLER,
MOSBAHI, Dietro il velo, cit., p. 99. Ma siamo ben lontani dallo spirito di tenerezza e di compiacimento che pervade un Δad≤th del Profeta in cui la donna è tra le cose a lui più care: «Tre
cose del vostro mondo mi sono state care: le donne, i profumi e la preghiera, che è la pupilla
dei miei occhi». BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., p. 113. Tra l’uso lecito dell’esercizio
della sessualità, è da vedersi sostanzialmente ogni iniziativa che tenda ad un godimento reciproco delle parti, preparando il momento culminante con giochi amorosi, lentamente. Per un
più adeguato quadro sull’etica della sessualità in ambienti musulmani, cfr. G.H. BOUSQUET,
L’Ethique sexuelle de l’Isl≈m, Maisonneuve et Larose, Paris 1966.
23
Di notevole importanza è a tal proposito l’opera dell’erudito andaluso Hazm (Ibn) il cui
Collare della colomba è un vero e proprio trattato sull’amore e sugli amanti. Alle più svariate
tecniche amorose e ad un’accurata rassegna degli afrodisiaci, tra cui di non minore importanza
era anche l’assuefazione al vino e alla droga, dedica un capitolo su droghe, profumi, unguenti,
ricette cosmetiche e nutritive, amuleti ed espedienti vari per stimolare, intensificare e aumentare
il piacere dell’orgasmo e del coito. Cfr. CASTRO, La sexualidad en la España musulmana, cit.,
pp. 77-80. Vedi pure pp. 93-94. La stessa circoncisione rientra sotto un certo aspetto in questo ambito, in quanto concorrerebbe ad una più efficiente prestazione sessuale aumentando il
godimento tanto nell’uomo quanto nella donna per la minore stimolazione subita dal glande
circonciso. Un suo ulteriore vantaggio si ha nel prevenire stimolazioni all’onanismo o alla masturbazione evitando l’accumulo della materia sebacea secreta dalla mucosa che avvolge la base
del glande. Una trattazione dell’argomento concernente il coito interrotto e le valutazioni che le
22
28
un po’ tutti i sensi, come in un Δad≤th che recita: «La fornicazione dell’occhio è lo
sguardo24, quella della lingua è la parola, della mano il contatto mentre la fornicazione del piede è imboccare la via della concupiscenza». Si ha motivo di pensare
che il Profeta ritenesse la fornicazione come qualcosa di altamente disgregante se,
subito dopo aver accolto la resa dei meccani nell’anno 8 dell’egira, indusse Hind
Bint ‘Utbah, indomita e accanita persecutrice di musulmani, a prestare giuramento
di «non commettere adulterio»25. Del resto si tratta di una serie di considerazioni
che sgorgano dal concetto stesso di verginità26, considerato dai musulmani elemento
essenziale della vita erotica, e altamente raccomandata dal Profeta.
Così recita un versetto del Corano: «Le vostre donne sono come un campo per
voi: venite dunque al vostro campo a vostro piacere, ma premettete qualche atto
pio, utile a voi, e temete Iddio, e sappiate che lo incontrerete: danne lieta novella ai
credenti»27. Ma è con altra immagine pure scritto: «V’è permesso, nelle notti del mese
del digiuno, d’accostarvi alle vostre donne: esse sono una veste per voi e voi una veste
per loro […], praticatele, ma cercate ciò che Dio vi ha permesso»28.
L’immagine del campo è rituale e nello stesso tempo determina il percorso dell’atto
sessuale. Come campo da arare è il grembo della stessa donna che viene assegnato
all’uomo dalla parola di Dio, come riconosce al-Ghaz≈l≤29, come già si prega accingendosi al lavoro, così si prega nell’atto di consumare la notte dell’amplesso, invocando
diverse scuole danno circa la liceità o meno del fenomeno all’interno delle tradizioni islamiche,
vale la pena vedere ATIGHETCHI, Islam, musulmani e bioetica, cit., pp. 52-65, dove emerge che
in sostanza il coito interrotto è una pratica permessa ma biasimevole, non sempre idoneo ad
allontanare o scongiurare la nascita di un nuovo figlio, perché se Dio volesse lo farebbe nascere
addirittura da una roccia. Lo si praticava soprattutto con le schiave, per evitare che cadendo
incinta potesse generare un figlio e rendersi invendibile e affrancata alla morte del padrone; per
salvaguardare la salute e la bellezza di una donna contro eventuali danni derivanti da una gravidanza e da un parto pericolosi e, infine, per evitare una figliolanza numerosa in casi di ristrettezze economiche e finanziarie. Così giustificava il coito interrotto al-Ghaz≈l≤ (cfr. ivi, p. 55).
24
Non siamo molto lontani dal passo evangelico: «Chiunque guardi una donna […] ha già
commesso con lei fornicazione». Da notare che il termine usato in tutto il Δad≤th è zin≈ e che
sotto tale termine verrà poi considerato, ad Isl≈m codif icato, ogni forma di libero amore e di
illecito esercizio della sessualità.
25
Fu giocando su questa pratica che la profetessa Musaylimah si attirò le benevolenze
della sua gente dispensandola dalla preghiera e dichiarando leciti la fornicazione e il vino.
26
Paradossalmente strano è come proprio tale concetto abbia contribuito alla diffusione della circoncisione della donna in ambiente arabo, dove, a dire della scrittrice Naw≈l al-Sa‘d≈w≤, le
non infibulate o non escisse non meritavano tante attenzioni da parte dei maschi quanto quelle
escisse. Per le motivazioni psicologiche, culturali, sociali e religiose che sarebbero alla base di
questa odiosa prassi, cfr. ATIGHETCHI, Islam, musulmani e bioetica, cit., pp. 219-230.
27
Sura II, 223.
28
Sura II, 187. Non si riesce proprio a comprendere come si sia poi attribuito al Profeta
un Δad≤th tramandato da Abπ Hurayrah che dice: «Il Profeta ha detto che se un cane, un
asino e una donna passano davanti al credente, ne interrompono la preghiera, perché si frappongono tra lui e la qiblah». Contraria a questa sorta di «essenza inquinante del femminile»,
fa sentire la sua voce MERNISSI, Donne del Profeta, cit., p.85.
29
Al-Ghaz≈l≤ è una fonte preziosissima per la tematica sul matrimonio, al quale dedica un
intero trattato nella sua poderosa opera IΔy≈’ ‘ulπm al-d≤n.
29
la grandezza di Dio e la sua unicità, cercando in lui rifugio contro il diavolo. Ma già
come l’aratro solca la terra penetrandola e preparandola alla semina, così il sesso
maschile fa proprio quello della donna, lo solca, lo fende e lo penetra, inseminandolo.
Come l’aratro penetra nei nascosti tesori del suolo, che sono grazie della Provvidenza
in attesa di arricchire la dimensione umana, così l’atto sessuale è penetrazione nella
sacralità del corpo, dove il piacere e il conseguente eventuale concepimento sono grazie
per l’arricchimento dello spirito. Una sessualità, quindi, preordinata a penetrare nelle
forze oscure del sacro in una sua forma di perfetto ordine. Non è forse dovuta a ciò la
pressante raccomandazione del Profeta a sposare giovani vergini, la cui def lorazione
nella prima notte di nozze ripropone la lacerazione di un suolo sacralizzato da un
destino che gli impone di aprirsi nuovamente per il dono dei frutti?
Da notare che il termine arabo per ‘campo’ è qui Δarth, vale a dire un terreno arato
o da arare, con le stesse radicali di miΔr≈th, che sta per ‘aratro’. L’immagine è antichissima. Ne diamo alcuni esempi tratti dalle tradizioni ugaritica, biblica e greca.
Tra i miti del matrimonio ha un suo signif icato particolare quello ugaritico celebrato tra il dio lunare Jrh e la dea Nikkal-e-Ib, f iglia di H rhb, dio dell’estate. Dopo
˘
l’annuncio di una futura ˘maternità e le proposte di matrimonio,
si viene alla trattativa
per il prezzo, durante la quale è tra l’altro detto:
Or tu l’acquisterai da suo padre,
per mille sicli d’argento
e diecimila d’oro.
Egli invia gemme di lapislazuli.
Farò del suo campo una vigna,
del campo del suo diletto un frutteto.
Nella tradizione greca simili immagini sono molto ricorrenti. Nell’Antigone Imene
dice: «La sposa di tuo f iglio ucciderai?», a cui Creonte risponde: «Altri solchi ci son
e arar si possono»; e ancora: «Ma chi semina disutili f igli». Nell’Edipo re il Coro
si esprime così: «Ma come mai poterono / solchi paterni reggere / taciti te, sino a
questo punto?»; il secondo Nunzio: «e poi dove trovare quella moglie non-moglie,
quel materno solco, duplice, di lui»; oppure Edipo dice: «dal solco arato donde un
giorno nacqui anch’io»; e ancora: «arò il solco materno dove fu seminato lui stesso
e germogliò». Nell’Elettra è Clitemnestra a dire: «Non aveva sofferto, seminandola,
pene simili a quelle della madre?». Nelle Trachinie troviamo queste parole di Deianira: «E f igli n’ebbi; ma li vide ei poco, / quasi bifolco che un remoto campo / abbia
comprato, e solo quando semina / lo vede e quando miete, e non più mai». Tacendo
i numerosi passi in cui la f igliolanza è detta seme e seminagione e germoglio e spiga,
come ricorre anche in Eschilo, ne I Persiani, dove Dario canta:
Mucchi di morti indicheranno muti
agli occhi dei mortali, anche alla terza
generazione che semineranno,
che chi muore non deve andare oltre
col suo pensiero a tutto ciò che muore.
La colpa cresce ed ha per frutto spiga
di pena e il suo raccolto è tutto lagrime.
Ma la rassegna può continuare. Il Coro ne I Sette a Tebe: «seminato il solco
intangibile / della madre, dov’era cresciuto, / germinava una stirpe sanguigna»; Le
30
Supplici: «La molta messe d’una madre sacra / sia salva dai talami dell’uomo, / dalle
nozze che domano»; Apollo ne Le Eumenidi: «Generatore è chi getta il seme, e la
madre è come ospite ad ospite, che raccoglie e custodisce il germoglio».
Analogamente in Euripide. Giocasta ne Le Fenicie: «Signore di Tebe dai bei cavalli,
a dispetto dei numi non seminare un solco di f iglioli […] Lui però s’abbandonò al
piacere, e nell’ebbrezza cadde, gettando nel mio ventre un seme»; e ancora Oreste: «Il
padre mi generò, mi partorì tua f iglia: un campo che accoglie seme altrui»; Le Baccanti:
«Io, Cadmo il grande, che la stirpe tebana seminai, mietendo poi quella splendida
messe»; Medea: «sposando una regina e seminando fratelli ai miei f igli?»; ancora in
Medea il Coro: «Ora dunque dirò che, fra gli uomini, chi / non sa nulla di f igli, chi
non seminò, / di gran lunga supera chi generò, per felicità»; il Coro in Ippolito: «O
pel duce d’Atene, il re / che t’è sposo, un pascolo c’è / nella casa furtivo, che al tuo
letto fa torto?»; il Nunzio in Gli Eraclidi: «O voi d’Atene […] o voi che seminate i
campi d’Argo […] stornate l’onta dalla vostra patria»; lo Spettro in Ecuba: «mi mise
in salvo qui, da Polimèstore, un ospite che semina una splendida terra»; inf ine Ecuba
in Le Troiane: «L’uccise lei / chi il seme gettò di cinquanta f iglioli, / il re Priamo, e
me sventurata portò / all’approdo di questa rovina».
Che donna sia veste per l’uomo e viceversa30, esprime forse lo stesso simbolismo
che si trova negli apocrif i giudaici a proposito dell’immagine corpo = veste? In tal
caso sarebbe evidenziato il reciproco possesso dei corpi nell’atto sessuale legale, in
quanto la veste diverrebbe espressione di una dignità cultuale, di un atto consumato
dentro e non fuori un precetto. Tale sacralità non può essere compromessa da una falsa
30
Ci sembra di scorgervi un superamento dell’unilateralità in forza della quale in era preislamica si ereditavano dal padre altresì le sue donne in forza della dote pagata dal defunto. Il
diritto di fatto su una vedova che non fosse la propria madre, si esternava e consumava coprendola con il proprio abito. Era comunque un’usanza alquanto diffusa anche quella di stendere a
terra il proprio mantello e farvi sedere sopra una persona che si intendeva proteggere e rispettare, come capitò al Profeta, dopo la battaglia di H
· unayn avvenuta l’8 dell’egira, allorché invitò
Osma, sorella di latte di H
· al≤mah, sua nutrice, a prendere posto sul mantello che aveva steso a
terra per lei. In un’ottica di più profondo spessore si potrebbe altresì ritenere che il ricorso al
mantello o alla veste o addirittura ad un velo o sciarpa con cui coprire la nudità creaturale ed
esistenziale della donna lasciata alla mercé della libido covata o improvvisa di libertini tendesse
a portar fuori la donna da questa situazione di indifesa o di merce lasciata alla mercé altrui.
Ma di una veste lo sposo è anche sollecitato a coprire la propria donna nel momento dell’amplesso sessuale o dell’emissione del seme, così come già faceva il suo Profeta. Il possesso della
carne della donna potrebbe qui indicare la protezione del suo spirito, l’affermazione della sua
dignità di membro effettivo di una nuova comunità fondata sui vincoli della fede e dell’etica,
in un auspicato riconoscimento di pari e uguaglianza tra i sessi. Molti dei comportamenti del
Profeta, in aperto contrasto con la condotta dei suoi contribuli o membri di altre tribù, potrebbero essere letti in questa sua tenace volontà di sovvertire gli schemi etici della sessualità
del suo tempo. Non c’è nulla di quelle atipiche forme di matrimonio o, meglio, di commercio
carnale in cui una sola donna si dava a dieci o più uomini e li richiamava in seguito per dire di
essere rimasta incinta, di dichiarare uno di loro padre del frutto del concepimento o di lasciare
tale dichiarazione a fisionomisti in grado di scorgere un qualche tratto di somiglianza. I panni
o segnali lasciati presso l’uscio delle case di tali donne, molto più somiglianti a prostiboli che a
dimore, non avevano nulla degli appartamenti che il Profeta fece approntare per le sue mogli,
demarcando la linea di confine della loro inviolabilità.
31
accusa di fornicazione. A tal proposito il califfo ‘Umar fece f lagellare Abπ Bakrah,
colui al quale risale il celebre Δad≤th «Mai conoscerà la prosperità il popolo che aff ida
i suoi interessi ad una donna» ( .‫) ﺓﺃﺭﻡﺇ ﻡﻩﺭْﻡﺃ ﺍﻭّﻝﻭ ﻡﻭﻕ ﺡﻝﻑﻱ ﻡﻝ‬, per avere falsamente
accusato di adulterio o fornicazione, considerato atto sessuale illecito, al-Mugh≤rah
Ibn Shu‘bah. Infatti non risultarono credibili i quattro testimoni che per legge avrebbero dovuto affermare di aver assistito con i propri occhi e contemporaneamente
alla consumazione dell’adulterio o della fornicazione da parte di al-Mugh≤rah Ibn
Shu‘bah31. Il carattere sacro e religioso che il matrimonio conferisce all’esercizio del
sesso è di certo alluso nel versetto 53 di sura XXXIII, dove si parla della discesa di
un «velo», Δiǧ≈b, a dividere e separare l’intimità della camera nuziale e a demarcare
lo stato di purità sia in chi vi si apparta sia in chi se ne tiene lontano perché non motivato da giusta causa. Sulla camera nuziale preparata dallo sposo per la sposa insiste
molto la letteratura arabo-cristiana, soprattutto là dove si vuole accentuare che essa
è preparata per la vergine che si è conservata tale per il proprio sposo. Nulla vieta
di considerare il contesto della discesa del velo come una risonanza di tale elemento
letterario, a sua volta allegorico della purità tanto rituale quanto creaturale di coloro che si appartano nella intimità del talamo. Pur rivestendo, tuttavia, la suddetta
connotazione sacrale, indice di assoluta assenza di spazio in quanto categoria dello
spirito, l’istituzione del Δiǧ≈b è vista da qualcuno come una scissione dello spazio
musulmano32. Il luogo dell’esercizio del sesso si restringe in una separazione, perde
ogni riferimento alla non-spazialità del luogo di preghiera, superato dall’asserzione
del Profeta là dove dichiarò che tutto lo spazio possibile è moschea per la preghiera.
E tuttavia stupisce, non trovandone una plausibile ragione all’interno delle tradizioni
secolari e religiose dell’Arabia, come il Profeta abbia potuto calare sulle sue spose una
sorta di inviolabilità e inaccostabilità post mortem suam, dichiarandole non sposabili
da qualsiasi musulmano, mai, giacché ciò avrebbe costituito una cosa obbrobriosa
al cospetto di Dio33. La consumazione del matrimonio lasciò cadere come un velo a
separare i loro corpi da altri corpi che il suo. Ritmato da siffatto approccio, l’istituto
matrimoniale riceveva un impulso di cosa fuori dal comune, che avrebbe f inito con
31
Su un aspetto di misoginia ricorrente e falsamente attribuita al Profeta circolavano diversi
Δad≤th, tra cui: «La sventura si trova in tre cose: nella casa, nella donna e nel cavallo»; oppure:
«Le donne sono la causa di turbamento più nefasta che io abbia lasciato all’uomo». E ancora:
«Ho dato un’occhiata al paradiso, e ho trovato che la maggioranza della sua popolazione è costituita da poveri. Ho dato un’occhiata all’inferno, e ho notato che le donne ne costituiscono la
maggioranza». Taluni riferivano che il Profeta avesse asserito che in ogni donna si cela una traditrice. Cfr. MERNISSI, Donne del Profeta, cit., pp. 90-91, 132. Con il Corano l’adultero e l’adultera vengono puniti con cento colpi di frusta ciascuno. Cfr. sura XXIV, 2. In alcune tradizioni
si tramanda che il Profeta dispose di permettere ad una donna incinta, in seguito ad adulterio o
fornicazione consenziente, di portare a termine la gravidanza e lo svezzamento e poi punirla.
32
Cfr. MERNISSI, Donne del Profeta, cit., p. 108.
33
La tradizione è unanime nel riferire, tuttavia, che una sola di esse andò sposa ad un altro
uomo dopo la morte del Profeta. Forse si trattò di Qila Bint al-Ash‘ath e comunque venne
ripudiata prima ancora che venisse rivelato il versetto in questione, quando MuΔammad offrì
alle sue spose di restare con lui o di lasciarlo. È per questo chiamato il versetto della scelta,
≈yat al-takhy≤r. Cfr. AL-T·ABAR≥, Ǧ≈mi ‘al-bay≈n ‘an ta’w≤l ≈yy al-qur’≈n, D≈ral-f ikr, Beirut
1995, vol. 9, p. 190.
32
il tracciare la linea di separazione tra la virtù e il vizio, tra il lecito e l’illecito, tra il
consentito e il vietato. Il diritto ad arare un campo proprio, scongiurava il biasimo
per la lacerazione del velo di conf ine. Non a caso in anatomia l’imene è chiamato
Δiǧ≈b al-bukπriyyah, ovvero velo della verginità. Possiamo perciò ritenere che nel
possesso che MuΔammad ebbe dei corpi delle sue spose e nella quiete ch’egli trasse
fruendo la loro femminilità nell’intimità e nel buio, al di là della linea d’ombra d’un
velo o di una cortina di tessuto, le levò al ruolo di «madri dei credenti», associandole,
in certo modo, a una sua mai confessata paternità spirituale sugli spiriti dei musulmani.
Continuiamo a stupirci che si parli di madri dei credenti, di fratellanza tra i credenti
e mai si parli invece di un padre sotto alcun aspetto.
Ciò ci fa meglio capire perché MuΔammad fosse impaziente, stando al racconto
di al-T·abar≤, di trovarsi a tu per tu con la nuova sposa Zaynab Ibn ǦaΔsh. Tale tensione e attesa è più indice della sua inclinazione verso le donne piuttosto che di una
sua strutturale misoginia34 in cui vorrebbero farci credere alcuni Δad≤th tramandati
da Abπ Hurayrah. La sua preferenza per donne avvenenti è testimoniata indirettamente dalle fonti. Di Zaynab si diceva che fosse oltremodo bella e che MuΔammad
la trovò «al centro dell’appartamento, seduta, a capo scoperto»35; ‘‰’ishah era tenera
34
Di una misoginia vera e propria si renderanno invece fautori e teorici alcuni compilatori di spuri f lorilegi sulle sane tradizioni e costumi dell’Isl≈m, dove si sconsiglia alle donne
di uscire di casa, di cogliere i benefici di una vita consumata tra le pareti domestiche, di non
frequentare gli uomini, e dove si indica come procedere all’escissione della clitoride, come
attuarne la circoncisione, come sia lecito al marito picchiare la moglie. Cfr. MERNISSI, Donne
del Profeta, cit., p. 114. Schiaffeggiare la propria moglie era anche debolezza del califfo ‘Umar.
Ma del resto è il Corano stesso che ne parla, in sura delle donne, 34, pur se alcuni ritengono
che tale disposizione sia dovuta ad un cedimento di fronte ai più ligi alle usanze preislamiche,
oltremodo preoccupati degli effetti disgreganti di una piena concessione di libertà alle donne.
La stessa Mernissi ritiene che il versetto suddetto «fu estorto da Omar […] perché il Profeta
legittimasse il diritto di picchiare le donne» (ivi, p. 179) e alcuni passi del trattato sul matrimonio di al-Ghaz≈l≤. E comunque, stando alla testimonianza di Ibn Sa‘d, a picchiare le donne
sarebbero stati sempre i musulmani peggiori. Viene pure da chiedersi se è poi tanto vero che la
misoginia musulmana trovi un suo radicato presupposto nell’assoluto diniego che Dio non ha
né compagne né attributi femminili, come ritengono invece HELLER, MOSBAHI, Dietro il velo,
cit., p. 21. Ciò li induce a ritenere, altresì, come faranno non pochi in seguito, tra cui la stessa
Fatima Mernissi, che la sottomissione ad un’unica divinità maschile segna la sottomissione sessuale del genere femminile a quello maschile, a tutto discapito dei tentativi fatti da MuΔammad
per restituire alla donna il suo pieno ruolo di persona libera e autodeterminantesi.
35
Questa attrazione f isica verso la leggiadria e la sensualità del corpo di Zaynab gli costò il
malcontento di buona parte della popolazione di Medina, che mal sopportò tale matrimonio
con la moglie del suo f iglio adottivo Zayd Ibn H
· ≈rithah, anche se l’adozione non è considerata oggi come una vera e propria istituzione che dà luogo a veri e propri vincoli di parentela.
Al tempo della Ǧ≈hiliyyah essa rappresentava comunque un vero vincolo parentale e il matrimonio in questione venne vissuto dalla gente di Medina come una relazione incestuosa. Ma è
pur vero che, come dirà più tardi al-Ghaz≈l≤, la sensualità e le conseguenti forme di seduzione possono essere placate solo con un retto esercizio del sesso nell’ambito del matrimonio.
Come fece appunto MuΔammad in tal caso e come egli prescrisse poi alla la sua comunità
aff inché si liberasse dell’antica prassi preislamica. Non più sesso alla luce del sole, ma dominio della sensualità per il tramite della legge, perché non prenda il sopravvento la corruzione
33
e fanciulla, e il Profeta amava chiamarla, vezzeggiandola, con l’espressione «la mia
piccola rossa», al-Δumayyirah; Umm Salmah era ritenuta donna d’una bellezza fuori
del comune. Le amava tanto, le sue donne, che nelle sue spedizioni si faceva sempre
accompagnare da una o da alcune di loro, per averle e goderne.
A questa leggiadria oltremodo apprezzata s’aggiungevano vezzi d’adescamento
pari alla coscienza della propria avvenenza, quali abiti succinti e trasparenti, ostentazione delle proprie grazie e parti di forte richiamo erotico. Così si vuole che recitasse
un Δad≤th: «Chiunque contempli le forme di una donna e spinga lo sguardo attraverso
i suoi abiti f ino al punto di riuscire a distinguere la forma delle ossa, non sentirà mai
il profumo del paradiso».
2. Prostituzione
Per quanto riguarda la prostituzione, era parecchio diffusa al tempo preislamico,
ed era esercitata per lo più da schiave o donne straniere, che non di rado gestivano una
qualche sorta di prostibolo, come si racconta di Zulma passata nei proverbi come la
mezzana senza uguali. Le dimore delle prostitute venivano indicate da una bandiera
rossa issata davanti alla tenda, al tempo dei califf i ‘abb≈sidi, quando ogni città aveva
la sua casa di piacere, si trovavano di solito nei pressi delle tombe dei santoni, delle
moschee o di kh≈n, come nella Andalusia musulmana degli Almoravidi. Era un istituto tollerato dalla società, nonostante la fornicazione fosse ritenuta, come abbiamo
più volte accennato, una trasgressione grave e ignominiosa36. Di piena tolleranza o
istituzionalizzazione è altresì espressione il fatto che le donne di piacere f inirono con
il versare una stabilita tassa o imposta all’erario pubblico. L’espressione d≈r al-khar≈ǧ
sembra proprio coniata per designare le dimore delle prostitute legalizzate, soggette
a tassa sul mestiere esercitato. Ciò conferiva alla prostituta uno status personale, la
scelta di una professione grazie alla quale circoscriveva e limitava, per così dire, la
zona viziosa d’un esercizio del sesso al di là del limite stabilito dalla legge e dalla consuetudine. E f iniva con il divenire essa stessa una consuetudine! Una certa letteratura,
si pensi alla Trilogia di Naǧ≤b MaΔfπz·, ci mostra come si ricorre alle prostitute per
iniziare all’esercizio della sessualità soggetti inibiti.
L’atto sessuale è forse da considerarsi, alla stregua delle mestruazioni37, fonte
di impurità? Nella tradizione islamica ci sono due posizioni. Una prima è legata a
e la scostumatezza. La sessualità è in sé lecita, perché è tra le cose che Dio ha dichiarato tali,
come in sura V, 87, ma non può trascendere nella sregolatezza, perché la natura della legge e
del giusto ordine delle cose è nel «non passare la misura, ché Dio non ama i trasgressori».
36
La frequenza di tale prassi pone oggi il serio problema di riguardarsi da rapporti sessuali
indiscriminati tra categorie ad alto rischio al f ine di prevenire l’AIDS o altre gravi infezioni
all’apparato genitale. La materia del ricorso agli anticoncezionali, come Dettol, Condom o
altre misure di prevenzione, sono tuttora oggetto di discussione e di analisi da parte di non
pochi organismi e commissioni costituiti ad hoc.
37
Il Profeta insisteva che tale stato impediva unicamente di copulare con le proprie donne
piuttosto che frequentarle durante il giorno e la notte, trattenersi con esse in conversazione o a
tavola mangiando e bevendo e dividere con esse il letto. Ciò che impedisce di conferire ai due
momenti, all’esercizio del sesso e allo stato di mestruo, una loro totale normalità è piuttosto il
fatto della loro straordinarietà sanguinolenta, che ne fa due manifestazioni di un impenetrabile
34
un Δad≤th tramandato da Abπ Hurayrah nel quale affermava che il Profeta soleva
sostenere che chi all’alba viene sorpreso ǧanban, ossia impuro, per aver consumato
l’atto sessuale, «non può digiunare» se non dopo essersi purif icato38. Una seconda
tradizione, tramandata su autorità di ‘‰’ishah e di Umm Salmah, entrambe spose
del Profeta, vuole invece che il Profeta passasse la notte ǧanban e la mattina digiunasse senza aver compiuto alcun atto di purif icazione. Non può di per sé rendere
‘impuri’ perché è come tale voluto da Dio e dalla natura. Intrinsecamente buono,
esso è invece raccomandato, non viene demonizzato, è indicato come salutare. AlGhaz≈l≤ raccomandava ai musulmani «di unirsi sessualmente alle proprie mogli il più
frequentemente possibile». Diceva ancora: «L’uomo che ama può esaudire il proprio
desiderio soltanto con la donna amata». Ciò implica altresì la reciproca disponibilità
a soddisfare di volta in volta gli appetiti sessuali del partner.
Solo chi pratica la prostituzione è come se adorasse un idolo, dissacrasse la propria
sottomissione a un Dio uno e assoluto, rendendosi impuro. La condivisione di una
stessa fede, infatti, abbatte le distinzioni di sesso, come dichiara esplicitamente sura
XXIV, e inculca una costante attenzione sull’esercizio della sessualità in ogni sfera
di un condiviso percorso. Si raccomanda di fatto ai credenti: «Custodiscano le loro
vergogne»39. Il ricorso al verbo Δafaz·a è in rotta con quanto si pensava a proposito
di erotismo, amore e sessualità nel mondo preislamico, dove l’assenza di un’etica
comportamentale universale, nel reciproco rispetto dei ruoli e delle mansioni, faceva mancare l’immagine di un’idealità. Con questo suo intervento all’imperativo
etico, il Profeta esortava invece ad adottare un principio costante di sorveglianza
sul proprio sesso, al f ine di domare e disciplinare la libido e ricondurla, così, sotto
il controllo di una Legge al di sopra della voluttà e del capriccio. In non pochi passi
coranici troviamo allusioni a comportamenti denigratori nei confronti delle spose
del Profeta da individui «dai cuori malati», espressione che al-T·abar≤ interpreta come
«coloro che hanno rapporti turbati con le loro donne», o, come altrove, «coloro che
soffrono di un desiderio incontrollabile di fornicare e della passione di dedicarsi ad
atti illeciti»40. Era indubbiamente soddisfacimento della libido l’usanza preislamica
di sposare per piacere e ripudiare per altro piacere, senza attenersi ad un codice che
salvaguardasse i diritti della parte ritenuta, per un inestricabile nodo di usanze e
mistero di sacralità creaturale. Un sangue che fuoriesce preparando un ricettacolo a una vita
e una eiaculazione che dà inizio ad essa. Non sono eventi di routine, lo stesso modo di essere
vissuti e osservati nel timore e nel tremore imprimono un contegno di pudicizia che spesso si
consuma nel silenzio e nel buio. Era forse in sintonia con siffatta emotività sacrale, da vivere
e da sostenere, che il Profeta non rare volte recitasse il Corano con la testa poggiata sul ginocchio di una delle sue mogli che aveva le mestruazioni, come ci ha tramandato un’altra sua sposa
di nome Umm Maymπnah? Da Ibn Sa‘d sappiamo altresì che quando pregava nella moschea
di Medina, la giovane sposa ‘‰’ishah gli lavava i capelli pur essendo in stato mestruale. Non si
tratta tuttavia di una questione di natura religiosa o morale, ma solo igienica.
38
Di uguale tenore è un Δad≤th tramandato su autorità di Umm H
· ab≤bah, altra sposa del
Profeta, la quale sosteneva che MuΔammad soleva recitare la preghiera del mattino con gli
stessi abiti che indossava quando giaceva con lei.
39
Sura XXIV, 30-31. Vedi pure il commento di AL-T·ABAR≥, Ǧ≈mi ‘ al-bay≈n ‘an ta’w≤l ≈yy
al-qur’≈n, cit., vol. 10, pp. 145-166.
40
AL-T
· ABAR≥, Ǧ≈mi ‘ al-bay≈n ‘an ta’w≤l ≈yy al-qur’≈n, cit., vol. 12, pp. 4-5.
35
tradizioni, inferiore e del tutto sottomessa. Un ulteriore esercizio del sesso da parte
di quest’ultima, poteva avvenire solo se il marito che la ripudiava le concedeva di
passare ad altre nozze dietro il versamento di una somma di danaro. Una donna
divenuta bottino di guerra in seguito ad una ghazwah, poteva anche servire come
oggetto di esercizio della sessualità nell’ambito di un matrimonio e di un concubinato. Non erano rari i casi in cui un tutore impediva ad una giovane orfana di passare
a nozze per non perdere non solo la sua parte di eredità ma altresì l’opportunità di
prof ittare di lei e sposarla lui stesso, soprattutto se avvenente e facoltosa. I diritti
delle orfane vengono perciò elencati in non pochi passi coranici. Come madri, spose
e f iglie, alle donne del Corano sono riconosciuti specif ici doveri e diritti nelle loro
rispettive dignità di persone. Non di un totale e pieno equalitarismo qui si tratta, è
vero, ma è pur innegabile che il salto di qualità dall’era preislamica è di alto spessore
religioso e giuridico. Il principio del bene e del male irrompe e irrora un terreno di
nuovi orizzonti, di macerazione di antichi e radicati abusi sessuali in nome dei quali
si limitavano le libertà e si amplif icavano le restrizioni.
Non annullamento della funzione, quindi, ma disciplinato esercizio, calato nella
volontà di costruire un nuovo ordine sociale, all’interno del quale l’unicità dell’appello, rivolto tanto al credente quanto alla credente, def inisse una pari dignità all’interno
dell’istituto matrimoniale. Il summenzionato passo coranico è esplicito: «Di’ ai credenti
che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne; questo sarà, per loro, cosa
più pura, ché Dio ha contezza di quel ch’essi fanno. E di’ alle credenti che abbassino
gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle,
eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo e non mostrino troppo le
loro parti belle oltre che ai loro mariti». Di donne buone o pie che custodiscono i loro
genitali o parti nascoste, ġayb, parlano altresì sure IV, 34 e XXXIII, 35; mentre di fedeli
che custodiscono i propri genitali ricorre ricorso altresì in sure XXIII, 5; XXXIII, 35
e LXX, 29. L’uso di questo verbo, che incanala l’esercizio della sessualità nell’alveo di
un sano controllo della libido41 senza affatto annullarlo o scoraggiarlo o considerarlo
inferiore alla scelta di una vita di assoluta castità e astinenza sessuale, è sintomatico anche
per comprendere quello che il Corano dice della castità di Maria, madre di Gesù. Il verbo
utilizzato per indicare e inculcare la sua totale purezza in un assoluto non-esercizio del
sesso, è aΔ∞ana, come compare infatti in sure XXI, 91 e LXVI, 1242.
3. Sodomia
L’esegesi del passo coranico in cui si afferma che le mogli sono per i musulmani
un campo d’aratura, è stato da non pochi preso a pretesto di un consentito ricorso
41
Interessanti sono in questo ambito altri due simboli sotto cui è vista la donna-sposa, vale
a dire alimento e mezzo per mantenere puro il cuore. Così, pur di fronteggiare l’insorgere di
irresistibili stimoli sessuali alla vista di una donna estranea, il Profeta stesso raccomandava ai
suoi credenti di soddisfarli immediatamente con le proprie mogli.
42
In molti altri passi compaiono derivazioni di questa voce verbale, ma in un senso passivo, dove la libera scelta di rinuncia all’esercizio della sessualità è del tutto assente, trattandosi
di donne che tale esercizio possono e debbono esercitare esclusivamente ed unicamente con il
proprio marito, non dandosi al libertinaggio e prendendosi degli amanti. Cfr. sura IV, 24-25;
V, 5; XXIV, 4, 33.
36
alla sodomia, per il tramite dell’esercizio della sessualità a danno della donna sotto
due diversi aspetti:
1) imposizione di posizioni sessuali;
2) consumazione del coito43 dietro violenza.
Sarebbe, per costoro, la naturale conseguenza dell’affermazione «Andate nel
vostro campo come volete». E, di fatto, al tempo preislamico era alquanto diffusa
la consuetudine, nella città della Mecca, di godere delle proprie mogli davanti e «di
dietro», f≤ adb≈rihinna44, o in altre parti del corpo, tanto che nella casistica si ritiene
43
Era considerato il culmine del soddisfacimento sessuale, come si racconta a proposito
di ‘Umar, ma veniva sconsigliato in tre notti del mese, vale a dire la prima, quella centrale e
l’ultima, giacché è in queste notti che i diavoli si accoppiano tra di loro ed è sempre in queste
tre notti che il diavolo è presente all’accoppiamento. Riportato in HELLER, MOSBAHI, Dietro il
velo, cit., p. 121. Del resto l’emissione dello sperma a coito raggiunto, pur se di per sé genera
una conseguente impurità rituale, non scalf isce minimamente la congruità con la legge dell’esercizio sessuale in sé. Per tale motivo dopo ogni atto sessuale si è tenuti all’abluzione maggiore, o ghusl. Da ciò è facilmente comprensibile che coito è ben altra cosa che il nik≈Δ, vale a
dire l’atto che, esercitandosi nell’ambito della legge e della sottomissione alle disposizioni di
Dio, imprime sacralità alla sessualità, rendendola lecita. Il coito sta invece a signif icare il raggiungimento del piacere in sé, conseguente all’intenzione del nik≈Δ. Ha quindi delle qualità
positive intrinseche, sulle quali vedasi CASTRO, La sexualidad en la España musulmana, cit.,
pp. 103-111, dove si passano in rassegna le diverse posizioni da assumere nell’esercizio della
sessualità. D’altro canto, però, un coito interrotto, in uso nell’età preislamica ma fortemente
ripreso dal Profeta, fa sì che un atto di fornicazione, non seguito da emissione di sperma nella
vagina, non costituisca impurità in sé e, quindi, non c’è bisogno di purif icarsi o effettuare un
ghusl. Non è questo il luogo di affrontare tutta la casistica della purità o impurità rituale. Basti
sapere che nell’Isl≈m ogni purità perduta dà adito a una purità ritrovata. Cfr. BOUHDIBA, La
sexualité en islam, cit., pp. 59-74. Si tenga pure presente che l’esercizio sessuale con una donna
in istato mestruale è solitamente disapprovato e si sconsiglia fortemente, in ambiente sciita, di
sodomizzare una donna in detto stato, come asseriva il grande ayatollah Khumayni. Per le tematiche non tanto di ordine religioso, erotico, medico, igienico o terapeutico, ma soprattutto
«la f isiologia dell’organo copulativo maschile e le terapie adatte ai suoi mali, con indicazione
di medicamenti afrodisiaci». Cfr. G. CELENTANO, Due scritti medici di al-Kind≤, in Supplemento n. 18 di «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli», 39 (1979), n. 1, pp. 11-36.
44
Il Profeta raccomandava continuamente a «non montare come bestie» le donne. HELLER, MOSBAHI, Dietro il velo, cit., p. 157. E tuttavia a p. 161 si insiste su altre testimonianze
a favore o contro tale uso e si puntualizza che il Profeta giudicava proibito il rapporto anale
in sé. Vedi pure CASTRO, La sexualidad en la España musulmana, cit., pp. 66-67, dove allude
altresì ad alcune malattie veneree derivanti da tale pratica e che un poeta della corte andalusa
def iniva un atto «contro natura». Tale era senza dubbio considerato il rapporto con animali
o bestie, soprattutto in quelle forme di vita in cui si attendeva all’allevamento di animali per
lunghi periodi fuori casa e, quindi, lontano dalle proprie donne. La valutazione morale di
questa aberrazione è oltremodo chiara ed è in linea con la tradizione musulmana che ritiene
il coito impuro, insieme con l’onanismo ordinario o orale, «una pratica fomentata dal demonio allo scopo di opporsi alla legge universale e santa della procreazione» (ivi, p. 88). Il coito
sodomitico con gli uomini o gli animali è rigorosamente vietato. A fronte di questa decisiva
condanna, sembra ci siano casi in cui la fornicazione con animali è permessa in presenza di
particolari malattie dell’apparato genitale e solo in funzione di una precisa terapia. Lo stesso
dicasi del coito raggiunto con schiave negre.
37
di non dover procedere all’abluzione maggiore nel caso di una donna che compia
l’accoppiamento in una parte del corpo diversa dall’organo sessuale, e ciò malgrado
lo sperma le penetri nella vagina. In questi casi l’abluzione, nella simbologia lustrale
dell’acqua, adombra una sorta di restituzione al sacro di parti del corpo che nel loro
esercizio sprigionano elementi terrif icanti, insoliti, di grande turbamento, quali il
sangue, lo sperma e il lancinante dolore dell’orgasmo.
Si deve proprio dedurre che MuΔammad conferisse autorità legislativa e sacrale
ad un atto eterosessuale già invalso e che, comunque, giocava a tutto vantaggio della
libido del maschio, senza concedere al partner una libertà di scelta o di consenso?
Dall’analisi degli asb≈b al-nuzπl, ossia delle motivazioni che sono a monte dei versetti
rivelati, sappiamo che a lagnarsi di una simile condotta sessuale da parte dei maschi fu
una donna di Medina, città distante un trecento chilometri dalla Mecca e, quindi, forse
non adusa a recepire comportamenti sessuali eccentrici e stravaganti. Ma potremmo
anche supporre che l’assenza di una cultura alle cui radici stava l’immagine simbolica
del campo da arare, abbia di per sé favorito una ridda di interpretazioni fantasiose e
non rare volte forzate a fare del sacro la legittimazione di un vero e proprio abuso
della sessualità. Ci conforta, a tal proposito, il fatto che al-T·abar≤ stesso non dà tanta
importanza al come ci si posizioni nell’esercizio copulante quanto al fatto che il
sesso penetri effettivamente, aprendo il solco, là dove deporre il seme f inalizzato alla
procreazione45. Non può sfuggire che la stessa immagine del campo da arare è di per
45
Bisogna comunque considerare che nell’Isl≈m l’esercizio della sessualità nel matrimonio non è intrinsecamente f inalizzato alla procreazione, per cui il matrimonio stesso è visto
come una misura per legalizzare questo stesso esercizio della sessualità nel suo porsi come
momento di puro soddisfacimento e piacere, alla luce di norme, suggerimenti e raccomandazioni esposte nel testo sacro e ulteriormente illuminate dalla condotta del Profeta e dai
suoi personali pronunciamenti. Uno di questi recitava appunto: «Quando marito e moglie si
guardano a vicenda, anche Dio li guarda pieno di compassione. Se il marito prende la mano
della moglie, i loro peccati cadono di tra le mani. Quand’egli giace con lei, gli angeli li circondano dalla terra allo zenit. La voluttà e il piacere hanno la bellezza delle montagne e quando
la sposa è incinta, ha qual sua retribuzione quella che deriva a chi digiuni, preghi o si dia allo
studio della sunna». E ancora: «Chi di voi si può sposare, si sposi. Così proteggerà meglio i
propri occhi dagli sguardi disonesti, e il corpo dalle scostumatezze. Chi si sposa ha garantito
metà della salvezza della propria anima; per quanto riguarda l’altra metà, non ha che da osservare il comandamento di Dio». Da qui anche la necessità di concorrere a rendere operante
la fertilità e ad intervenire con mezzi opportuni e consentiti dalla legge là dove una qualche
malattia o disfunzione dovessero compromettere e impedire la facoltà procreativa, perché
l’infertilità è da sempre considerata, in ambiente orientale, come un velo di umiliazione e
di sprezzo per la donna che ne è affetta. La tendenza ad una visione pro-popolazionista del
matrimonio attraverso l’esercizio totale e frequente della sessualità sembra sorretta altresì da
esplicite dichiarazioni coraniche, in particolar modo là dove si esorta a considerare i f igli una
benedizione di Dio e quel già citato versetto in cui il musulmano è sollecitato a considerare
la donna come un campo da arare quanto più a ciò induca la ricerca del piacere buono e sano
in sé attraverso il godimento sessuale. Cfr. pure Cfr. BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., pp.
110, 113. L’ambito dell’esercizio della sessualità è qui chiaramente tracciato. Andare oltre il
‘solco’, il limite che la natura stessa segna e aff ida ad ognuno, signif ica andare in un altro campo, arare il solco di un altro. E cosa fa Ibl≤s se non spingere ad andare oltre il limite, al di là del
solco, oltrepassare la propria donna per appropriarsi di un altro campo? Va forse in tal caso
38
sé simbolo di vita e di fertilità in ogni sua dimensione e parte. In non poche culture
l’impiccagione del reo avveniva in un campo perché questo ne recepisse la violenta
eiaculazione in seguito alla contrazione dei muscoli.
Questa assunzione di responsabilità giudicante, espressa formalmente nella condivisione personale del grande esegeta, fa salva la f inalità del sesso, e condanna, nel
contempo, quelle forme di rapporti carnali che non avvengano secondo la natura
insita nel loro porsi e nella loro f inalità procreante, almeno come intenzione. Si è
dell’avviso, nell’Isl≈m, che nell’esercizio del sesso godimento e responsabilità sono
estensivi l’uno dell’altro, perché l’amore musulmano è un volersi bene senza peccato,
è la legge della vita, e un amore realizzato nella gioia, è un modo di ringraziare Dio
per i benef ici che prodiga46. Laddove questa intenzione e f inalità vengono a mancare,
la donna potrebbe ribellarsi al marito, rif iutarsi alle sue voglie, negarsi alla sua prepotenza, odiare di giacere con lui nel suo letto. Fatima Mernissi ritiene che il commento
di al-T·abar≤ al versetto 34 della sura delle Donne di cui abbiamo testé parlato, ci fa
capire, tra l’altro, che il nushπz ch’esse oppongono ai loro mariti è il rif iuto formale di
soggiacere alla loro libido sessuale imposta con la violenza in nome della sottomissione
e dell’obbedienza47. Ma non siamo dello stesso avviso. Perché, altrimenti, lo stesso
versetto recita che se le donne obbediscono non si cerchino pretesti per picchiarle?
Bisogna proprio ammettere che MuΔammad stesso condividesse un eventuale uso
della violenza nella consumazione dell’atto sessuale con la propria sposa? E però una
tradizione è del tutto chiara: «Il Profeta non percosse mai di propria mano né una
delle sue mogli, né uno schiavo, né alcun altro»48.
4. L’omosessualità
Ciò che di essa si evidenzia è il suo carattere di atto immondo, che sporca il corpo
e deturpa l’anima, è la turpitudine delle turpitudini. Le dichiarazioni di questi nostri
giorni sul world pride festival previsto a Gerusalemme per la settimana dal 18 al 28
osservato e pensato il punto in cui la intemperante libido della donna sovverte i valori e fa sì
che il solco o il campo si dichiari di un altro, sconvolgendo il naturale rapporto o relazione
tra il campo e chi ne è il padrone? Questa donna-serpente non è la donna del Corano ma solo
quella di una tradizione a forti tinte oscurantiste e misogine.
46
Cfr. BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., p. 115. In quest’ottica i giochi d’amore sono
tollerati in quanto tali e tollerati sono altresì, quindi, il coito interrotto e l’uso dei preservativi,
essendo la f inalità dell’esercizio sessuale attività libera compiuta nella gioia e nell’abbandono,
dato che il fondamento della sessualità è il puro e semplice «essere con l’altro».
47
Cfr. MERNISSI, Donne del Profeta, cit., p. 181. Su una tematica generale dell’amore nella
società musulmana nei suoi diversi aspetti si sofferma ‘Umar Riªà KaΔΔ≈lah nel suo libro alH
· ubb, Beirut 1987. È una panoramica sull’amore nella sua dimensione etica, sociale, religiosa
e f ilosof ica, nelle sue disparate manifestazioni di pura e semplice sessualità e in alcune sue
manifestazioni di amore platonico o casto. Più articolato e incentrato sull’esercizio del sesso
in sé e in alcune sue degenerazioni soprattutto nell’ambito dell’omosessualità, è MUH· AMMAD
ǦAL‰L KISHIK, Khaw≈¤ir muslim f≤ al-mas’alah al-ǧinsiyyah, Maktabat al-tur≈th al-islam≤, il
Cairo 1992.
48
SA‘D (IBN), al-T
· abaq≈t al-Kubrà, cit., vol. 8, pp. 104-105, dedicate all’oggetto di discussione.
39
agosto registra la presa di posizione dei musulmani dell’influente sufi Abd al-Aziz
al-Bukhari che così si è espresso: «Non possiamo permettere a nessuno di venire a
Gerusalemme e insozzare la città santa»49. Omosessualità è quindi sinonimo di sozzura. Già il Corano la taccia come opera di ribellione. Dice infatti sura XXVI, 165:
«V’accosterete voi ai maschi di fra le creature? E abbandonerete le spose che per voi
ha creato il Signore? Siete un popolo ribelle». Del resto anche la sunnah non è avara
di testimonianze, come quella secondo la quale il Profeta avrebbe detto: «Imparate da
me! Dio ha stabilito una norma per le donne: alla vergine che pecca con un’altra vergine
sarà comminata una frustata e il conf ino di un anno; alla non vergine che pecca con
una vergine saranno invece somministrate cento frustate e la lapidazione!» Va da sé
che l’omosessualità femminile si consumava nelle segretezze degli Δar≤m, soprattutto
quando il califfo non era in grado di frequentare tutte le donne di cui disponeva50. Ma
molto più chiaro e senza mezze misure è il Corano quando stigmatizza la sodomia con
le parole: «E Lot, quando disse al suo popolo: “Compirete forse voi questa turpitudine,
tale che mai nessuno la commise prima di voi al mondo?”»51. Il tempo e il luogo non ci
permettono di illustrare le tipologie e le cause di tali deviazioni o inclinazioni, per cui
si ha una omosessualità genuina, essenziale, idiopatica, endogena e costituzionale52.
Di orge con pederasti non sono avare le cronache53. Di amore omosessuale sono
indicatori i versi: «Prenditi ragazzi più che puoi / L’amore per le donne è mollezza
/ Il tergo ti promette visibilio / che te ne farai d’un ventre molle?» Il coito con un
uomo castrato rende obbligatoria l’abluzione maggiore in ognuna delle parti54. Si
49
Parlando di un amico che si era abbandonato alla sodomia, Ibn H
· azm rileva che egli
«dette al demonio il potere sull’anima sua, si disonorò dopo aver vestito l’abito degli asceti, e
si mise in mano al diavolo che lo ingannò perf idamente e gli fece amare il male e la sciagura».
Riportato in HELLER, MOSBAHI, Dietro il velo, cit., p. 202. «Corruzione pestilenziale» è altresì
def inito l’abuso sessuale su giovinetti che dovrebbero invece solo servire: «E trascorreran fra
loro giovani eterni che al vederli diresti son perle disperse». Sura LXXVI, 19.
50
Per i complessi intrecci e viluppi che scaturiscono dall’esercizio del sesso nel variegato
universo emotivo e sensuale dell’harem suggeriamo di leggere l’altra opera della Mernissi più
volte ristampata anche in Italia come F. MERNISSI, L’Harem e l’Occidente, Giunti, F irenze
2004. La stessa dimensione, come retaggio conf iccato nelle carni delle donne d’oggi in diversi
paesi arabi, sembra f luire come linfa nelle diverse storie delle donne narrate da ASSIA DJEBAR
in Donne d’Algeri nei loro appartamenti, Giunti, F irenze 2000. Più aperto sull’impari lotta
della donna contro le rivendicazioni di un sesso indisciplinato e voglioso del maschio è invece
il libro di J.P. SASSON, Schiave, Sperling, Milano 2003.
51
Sura VII, 80. Dal versetto seguente si evince che l’allusione è alla pratica di avvicinarsi
per libidine agli uomini anziché alle donne. Nell’ottica islamica la sodomia praticata dalle
donne è ancora più raccapricciante e turpe! Il castigo che Dio fa piovere sui sodomiti è in
sura XI, 82 ma il grande giurista Malik indica per i sodomiti la pena della lapidazione. La
tradizione vuole che il secondo califfo li facesse bruciare. Cfr. CASTRO, La sexualidad en la
España musulmana, cit., p. 34.
52
A tal proposito rimandiamo ivi, pp. 34-41.
53
Sui pederasti circolava un Δad≤th in cui si evidenziava che ce ne sono di tre specie, ossia
«coloro che guardano, coloro che palpano e coloro che consumano l’atto criminale».
54
Il coito anale, molto diffuso in epoca omayyade soprattutto in Andalusia, resta una delle
pratiche ancora oggi duramente riprese.
40
fa obbligo di un’abluzione maggiore anche a chi penetra un vero ermafrodita55. La
puntualizzazione di ‘vero ermafrodita’ vuole qui escludere ogni altra forma di pseudoermafroditismo femminile o di ambiguità genitale, come fu quello, ad esempio, della
donna amata dalla celebre eterosessuale Wall≈dah. La sodomia era in effetti molto
diffusa nell’Andalusia musulmana nei diversi livelli del sociale, favorita da cantanti
e cantatrici omosessuali ed effeminati.
Onorate androgine, ghul≈miyy≈t, si muovevano attorno al califfo al-Am≤n per
allietarne l’omof ilia, acconciate a mo’ di giovinetti dalla vita sottile, oggetti di piacere
per un sodomita e un donnaiolo56, maledette alla stessa stregua degli effeminati57. La
loro funzione, come accentua Abπ Nuw≈s, il poeta bisessuale, era quella di servire
ad un duplice amore. Si amava in esse la donna e l’uomo. Ciò, naturalmente, non
comportava nessuna allusione all’amore lesbico in sé, che pure dovette essere diffuso
in particolar modo alla corte ‘abb≈side, dove il grosso numero di schiave e concubine58
non poteva di certo essere soddisfatto da un califfo e dove le concubine stesse non
rare volte ricorrevano agli eunuchi, castrati o ancora con genitali, per soddisfare la
loro sessualità59! Ma dove tale amore potesse insorgere, erano invece i bagni pubblici
femminili, dove l’esibizione e la contemplazione delle parti nude, come attestano non
poche narrazioni delle Mille e una notte, sconvolgevano e scatenavano riposte attese
di libidine60. La frequentazione dei bagni pubblici costitutiva altresì per la donna la
55
Sull’ambiguità della sua sessualità, con le conseguenti problematiche del suo esercizio,
cfr. BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., pp. 54-57.
56
Cfr. R. DOZY, Supplément aux dictionnaires arabes, Librairie du Liban, Beirut 1968,
vol. 2, p. 225.
57
Cfr. BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., p. 54.
58
Di certo interessante e polivalente era l’universo delle concubine, che nell’Isl≈m hanno
sempre occupato un posto non trascurabile in quelle che sono le diverse maniere di esercitare
la sessualità soprattutto in ambiti e con prestazioni esotiche più stimolanti e diverse da quelle
abitudinarie. A tal proposito suggeriamo di leggere cfr. BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit.,
pp. 131-133 e, specialmente, pp. 173-175. Si tenga pure presente che per la circoncisione di
un adulto si raccomandava di comparsi una concubina a cui demandare tale compito, perché
solo lei poteva vedere e palpare il sesso del suo signore. L’atto di guardarsi i sessi durante
l’amplesso era di fatto riprovevole per i pii musulmani.
59
Per un quadro complessivo sulla f igura dell’eunuco nell’Isl≈m e le problematiche sessuali legate alla sua presenza e funzione nella società islamica, cfr. CASTRO, La sexualidad en
la España musulmana, cit., pp. 51-56. Per i diversi tipi di eunuchi, gli effetti della castrazione,
il desiderio e pratiche sessuali e il matrimonio tra gli eunuchi, vedi pure A.L. CROUTIER,
Harem. Il mondo dietro il velo, Milano 1989, pp. 125-140. Studio articolato ed esauriente
è altresì quello di E. MARMON, Eunuchs & Sacred Boundaries in Islamic Societies, Oxford
University Press, NewYork-Oxford 1995.
60
Sui bagni pubblici come arena di erotismo e di preparazione all’esperienza amorosa, cfr.
BOUHDIBA, La sexualité en islam, cit., pp. 197-213; T. BEN JELLOUN, L’hammam, Einaudi, Torino 2005; A. BRUE, Cattedrali del corpo, alla ricerca del perfetto bagno turco, Feltrinelli Traveller, Milano 2005. Per un quadro d’insieme e ottimi riferimenti bibliograf ici sull’argomento
e sulla problematica concernente la donna nella società musulmana e come soggetto-oggetto
di sessualità, cfr. anche B. SCARCIA AMORETTI, Un altro medioevo. Il quotidiano nell’Islam,
Laterza, Bari 2001, pp. 27-64, 167-177.
41
possibilità di rompere l’isolamento, la segregazione e la monotonia di una vita in cui
il marito si rendeva sempre più assente per darsi alle concubine, brune o di carnato
bianco, magre o grasse, con seni piccoli e turgidi o prosperosi, comunque tutte creative
nell’esercizio di una sessualità capace di soddisfare ogni capriccio del maschio.
A un esercizio del sesso con soggetti diversi da quelli consentiti dalla Legge, è
altresì accostabile, come funzione e ricerca di piacere edonistico, la masturbazione,
sulla quale la tradizione islamica ha una sua particolare visione, inserita anch’essa,
quasi come corollario, nella sessualità come atto ed esercizio.
5. Masturbazione
Costituisce in effetti una anomalia di esercizio del sesso nella misura in cui si
consuma da sola, non si avvale dall’altro, non supera il sentimento di solitudine in
quello di collettività, si pone al di fuori della coppia o della diade primordiale, celebrata in sura VII, 189 dove è detto: «Egli è Colui che v’ha creato da una sola persona
e ne trasse la sua compagna perché abitasse con lei, e quand’egli l’ebbe coperta essa
portò un peso leggero col quale poteva anche camminare, ma quando il fardello si
fu fatto pesante essi così invocarono Dio loro Signore. “Se Tu ci dai un f iglio buono,
noi Ti saremo riconoscenti!”». In effetti la masturbazione concorre all’esercizio
del sesso nella misura in cui consente un piacere voluto dal corpo quanto alla sua
costituzione. Non è una prassi, ma un caso, una sorta di patologia dell’individualità
scelta come sistema di vita, ben differente, quindi, da quella forma di masturbazione
mirata a raccogliere un seme utile alla fecondazione in vitro, che la Legge islamica
non considera contraria all’etica della famiglia. Come argine contro la masturbazione,
il Profeta suggeriva di far ricorso al digiuno e non pochi giuristi la ritenevano lecita
per chi si trovasse in viaggio, in prigione, in servizio militare o fosse, in un modo o
nell’altro, privo di un legittimo partner61.
6. Scambio di donne
Qualche episodio accaduto al Profeta in persona lo confermerebbe, stando a
quanto riporta al-N≤s≈bπr≤ nel suo commento alla seconda parte del versetto del
Δiǧ≈b, dove narra di un tale, e precisamente ‘Uyaynah Ibn H
· a∞n che, dopo aver visto
‘‰’ishah durante una visita al Profeta, gli propose di dargliela in moglie in cambio
della sua. Il rif iuto che MuΔammad oppose appellandosi al fatto che «Allah proibiva
simili pratiche ai musulmani» ci riporta a quella soglia di divario tra la consuetudine
preislamica e la contrastante normativa dettata dal Corano. Al-Bukh≈r≤ sostiene
che al tempo preislamico era invalsa la consuetudine di prestare la propria moglie
ad un uomo rinomato per il suo coraggio, valentia e ardimento al f ine di avere un
f iglio adorno delle sue stesse qualità o virtù. Donne lungo le strade delle carovane e
inservienti di templi attendevano di unirsi ad uomini occasionali nei quali avessero
notato alcunché di singolare che altri uomini non avevano; povere si concedevano a
ricchi in tempi di siccità o di grama e donne insoddisfatte sceglievano letti non pro61
Per la casistica di questo comportamento, cfr. ATIGHETCHI, Islam, musulmani e bioetica,
cit., pp. 104-105.
42
pri per soddisfare la loro libido62. Non ci si scambiava donne anche al tempo degli
‘Abb≈sidi, quando «Gli uomini si offrivano gli uni agli altri delle ǧ≈riyah persiane,
romane, turche…?»63 Si elude, cioè, l’esercizio del sesso in un ambito lecito a tutto
vantaggio dell’indisciplinato soddisfacimento di un moto libidinoso64.
62
Proiettato in questa dimensione è anche l’episodio della moglie di Putifarre che, insoddisfatta del marito, punta l’appagamento della sua libido sul giovane Giuseppe, la cui storia è
considerata tra le più belle (cfr. sura XII) e tra quelle in cui l’erotismo è più f inemente e magistralmente analizzato. Per l’arte erotica in sé, il modo di posizionarsi nell’accoppiamento,
per la ricchezza di lessico relativo ai due sessi, cfr. HELLER, MOSBAHI, Dietro il velo, cit., pp.
162-174.
63
ZAYD‰N URǦ≥, T≈r≤kh al-tamaddun al-isl≈m≤, vol. 5, p. 76. Interessante, pur se breve,
l’insieme di considerazioni che a tal proposito avanza R. EL KHAYAT, La donna nel mondo
arabo, Jaca Book, Milano 2002, pp. 56-63.
64
Ma di uno scambio di donne proibito al Profeta parla a sua volta sura XXXIII, 52.
43
Scarica