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2.4 - Le categorie del mercato del lavoro
Il mercato del lavoro
Il mercato del lavoro è quel contesto ideale all'interno del quale avviene la
compravendita di una merce sui generis, che è appunto la forza lavoro. E' un mercato
particolare in cui la merce trattata non può essere fisicamente divisa dal suo
proprietario. Becattini: “strana merce, che ha un'opinione di sé che può essere diversa
da quella degli altri”.
Dunque, l'applicazione automatica del concetto di mercato al mercato del lavoro è
alquanto inappropriata:
 Il fatto che la merce non sia separabile dal proprietario implica che la relazione
sociale tra le parti non si esaurisce al momento dello scambio.
 La forza lavoro, al contrario delle altre merci, non nasce per essere scambiata.
La capacità lavorativa diventa merce solo quando, con la rivoluzione industriale,
vengono travolte le strutture produttive tradizionali e si anche anche il processo
di reificazione della forza lavoro.
 Infine, la forza lavoro, differentemente dalle altri merci, è capace di contrattare
il proprio prezzo. Non a caso, R. Solow definisce il mercato del lavoro come
“una istituzione sociale”, poiché la particolare merce che si tratta si organizza e
crea sue rappresentante.
Oggetto della contrattazione del mercato del lavoro è il valore della prestazione
lavorativa, il salario; ma non si contratta solo quello, ma anche le condizioni di lavoro.
L'intera legislazione sul lavoro, il riconoscimento dei sindacati, la legislazione
welfaristica e le politiche sociali incidono in modo significativo sul mercato del lavoro,
riducendo il libero gioco della domanda e dell'offerta e quindi negando la sua totale
mercificazione.
Con la “grande trasformazione”, processo che ha portato al riconoscimento dei diritti
sociali ed umani dei lavoratori, si è affermato il principio che le regole della società
non sono quelle dei puri rapporti di forza economici e del mercato; in questo senso, il
mercato del lavoro è un mercato molto particolare, che riflette aspetti e tendenze
generali della società. Tradizioni, valori e rapporti tra le classi all'interno di una società
ne influenzeranno la composizione e le dinamiche principali.
Componenti e dinamiche del mercato del lavoro
Le categorie principali del mercato del lavoro sono:
 forze di lavoro o popolazione attiva;
 occupazione;
 disoccupazione;
 tasso di occupazione (occupazione / popolazione);
 tasso di disoccupazione (disoccupazione / popolazione attiva);
 tasso di attività (popolazione attiva / popolazione).
Popolazione non attiva (studenti, pensionati, casalinghe)
Dal mercato del lavoro sono escluse le persone ritenute prive di capacità lavorativa –
bambini ed anziani, che rientrano nella popolazione non attiva. Ma non è affatto ovvia
la definizione dell'età giunto alla quale bisogna ritenere un individuo pronto a lavorare
o privo di capacità lavorative. Bisogna infatti basarsi su criteri non fisiologici ma
sociali.
L'età pensionabile varia nei contesti e in generale negli ultimi 50 anni ha subito
riduzioni, mentre adesso tende ad aumentare.
Per quanto riguarda i giovani, l'età di ingresso nella vita lavorativa è venuta
spostandosi in avanti nel corso del XX secolo; prima la presenza in fabbrica dei
bambini era piuttosto frequente. Poi, con la scolarizzazione di massa e l'obbligo
scolastico, l'età di ingresso ufficiale nel mondo del lavoro è diventa maggiore.
Una componente numerosa è costituita dalle casalinghe, che, pur lavorando, secondo
una definizione larga del termine “lavoro”, non rientrano nella categoria degli
“occupati”. In questo caso la partecipazione o meno al mercato del lavoro è frutto di
una scelta personale (anche se spesso forzata).
Studenti, pensionati, casalinghe sono i tre gruppi principali che compongono la
popolazione non attiva. Ad essi vanno aggiunti militari, clero e benestanti.
Popolazione attiva
Occupati e disoccupati costituiscono la popolazione attiva. Essa comprende coloro che
agiscono effettivamente nel mercato del lavoro, sia che abbiano un'occupazione sia
che la stiano cercando. L'incidenza percentuale della popolazione attiva sulla
popolazione totale si chiama tasso di attività.
Il tasso di disoccupazione si calcola come incidenza percentuale dei disoccupati sulla
popolazione attiva. Lo scoraggiamento risude sia l'entità della popolazione attiva sia
l'entità della disoccupazione. Dunque, la disoccupazione può diminuire anche in
situazioni di calo dell'occupazione, nella misura in cui questa diminuzione si riflette in
un aumento della popolazione non attiva e dunque in un calo di quella attiva.
Il tasso di occupazione si misura come quoziente tra il numero delle persone occupate
e la popolazione totale o quella in età da lavoro. Questo permette di avere
un'indicazione dell'incidenza di quelli che lavorano, e che quindi producono un reddito
da lavoro, su quelli che comunque consumano: quante bocche deve sfamare un
singolo lavoratore.
Il termine disoccupato si riferisce solitamente a quelle persone in età da lavoro che
sono prive di un'occupazione retribuita, che la cercano attivamente e sono disposte ad
accettarle a determinate condizioni. In particolare, per la definizione dell'International
Labour Office, il termine disoccupazione comprende tutte le persone oltre una certa
età che nel periodo di riferimento erano:
 senza lavoro (non occupati alle dipendenze e non occupati in proprio);
 disponibili al lavoro allo stato attuale (alle dipendenze o all'autoimpiego);
 alla ricerca di un lavoro (cioè che avevano fatto azioni di ricerca attiva).
La seconda delle condizioni è quella che crea maggiori complicazioni. Riguarda la
disponibilità effettiva al lavoro, cioè a quali condizioni si è disposti ad accettare un
determinato lavoro che risulti disponibili; si tratta di condizioni salariali ma anche
relative alla qualità del lavoro. Esse quindi non possono essere uguali dappertutto,
poiché derivano dalle condizioni di sviluppo economico e civile di un determinato
contesto. Più ricco e socialmente sviluppato sarà il contesto sociale in cui vivono le
persone, maggiore sarà la soglia al di sotto del quale il lavoro non sarà accettato. Si
tratta dunque di una disponibilità ad accettare un lavoro a condizioni salariali
storicamente determinate.
Allo stesso modo, occupato sarà colui che ha un lavoro di mercato, ovvero che lavora
in cambio di un reddito monetario, sia che venda direttamente il prodotto del proprio
lavoro sia che venda la sua capacità lavorativa.
Strutturazione e segmentazione del mercato del lavoro
La strutturazione del mercato del lavoro si è sviluppata con diverse modalità
differenziate a seconda della specificità dei contesti nazionali. Le teorie del dualismo e
della segmentazione costituiscono un valido punto di partenza per la comprensione.
La teoria dualistica del mercato del lavoro nasce negli USA, e evidenzia come, per
motivi da individuare nell'economia e nella società americana, una parte significativa
dei lavoratori finisce per restare esclusa dalle conquiste relative alle condizioni e alla
stabilità del lavoro prodotte dal modello fordista. All'origine del dualismo ci sarebbe un
compromesso tra i lavoratori delle grandi imprese a carattere monopolistico con
elevata produttività e i loro datori di lavoro. Questi ultimi si mostrano disponibili a
fornire miglioramenti sul piano del salario e della sicurezza occupazionale a patto che i
miglioramenti risultino privilegio esclusivo dei lavoratori di questa componente del
mercato del lavoro, il “mercato del lavoro primario”. Nel mercato del lavoro secondario
– quello delle piccole imprese, spesso a conduzione familiare – domina la precarietà, i
salari sono bassi e le garanzie sindacali modeste o inesistenti. Il fatto che qui si
concentrino poi donne, immigrati e membri di minoranze etniche riflette a livello di
mercato del lavoro le forme di discriminazione esistenti nella società.
Le teorie della segmentazione partono da simili assunti, ma con un accento diverso.
Nella versione formulata da Edwards, si parte dall'ipotesi che i mercati del lavoro siano
divisi in tre diverse aree, i cui lavoratori non competono tra di loro.
I due segmenti primari sono:
 il più alto, che riguarda i lavori molto professionalizzati e specializzati;
 il secondo, che coinvolge l'occupazione qualificata di massa ad alta produttività
nelle grandi industrie.
Essi sono caratterizzata da una concorrenza esclusivamente interna all'azienda, da un
alto grado di stabilità occupazionale e da crescente impermeabilità rispetto alla
concorrenza. Un'eventuale abbondante offerta di lavoro non porterebbe a indebolire le
condizioni di lavoro e di reddito di tutti i lavoratori, ma incrementerebbe le differenze
tra le condizioni dei lavoratori del segmenti primari e quelli della fascia secondaria, che
ne subiscono gli effetti.
Soggetti con caratteristiche di formazione e aspettative sociali tipiche dei segmenti
primari (outsiders) non riescono facilmente a scalzare o indebolire la posizione di
coloro che già appartengono a tali segmenti primari (insiders), né sono disposti a ad
accettare lavori nella fascia secondaria. Così, se possono permetterselo, restano
disoccupati a lungo anche quando vi sono opportunità di lavoro nella fascia
secondaria.
Sulla fascia secondaria c'è concorrenza solamente tra quella larga parte dell'offerta di
lavoro che non può aspirare ai segmenti primari.
Le radice della segmentazione stanno nel fatto che le grandi imprese tendono a
privilegiare la continuità occupazionale piuttosto che la ricerca di lavoratori meno
costosi ma dei quali non si conosce affidabilità ed esperienza – la competizione si
sposta dunque all'interno dell'azienda e si crea un segmento lavorativo protetto.
Oggi i meccanismi di segmentazione e dualismo, tipici della fase fordista, tramontano
perché vengono meno alcune caratteristiche essenziali di questi sistemi, in particolare
la solidità e la forza contrattuale dei lavoratori compresi nei segmenti primari del
mercato del lavoro. E' proprio a partire da queste tendenze che Claus Offe ha
segnalato una sorta di destrutturazione del mercato del lavoro rispetto alla fase
fordista.
Il lavoro flessibile è un lavoro caratterizzato da condizioni che si adattano meglio alle
esigenze di un ciclo economico attanagliato dalle tensioni contrapposte della
competizione globale e della iperterziarizzazione. Ha un impatto ambiguo sulla
segmentazione di mercato: viene praticata al fine di spostare forme lavorative dai
segmenti primari verso l'area secondaria, ma sconvolge l'intero impianto di
strutturazione dei mercato del lavoro verso forme di frammentazione sempre più
difficili da controllare.
Salario e costo del lavoro
Il salario o paga è ciò che il lavoratore ottiene in cambio della sua prestazione
lavorativa. Foa: “quando il lavoratore è autonomo, la remunerazione non si può
chiamare paga”. Dunque, il salario è oggi la retribuzione di un parte, seppur
maggioritaria, dei lavoratori.
Una tematica di rilievo è rappresentata dalla determinazione del salario, ovvero del
prezzo della prestazione lavorativa. In Marx e nell'economia classica, il slario è dato
dal livello di sussistenza dei lavoratori, storicamente determinato. Secondo l'economia
convenzionale, esso è determinato dalla produttività del lavoro e dal libero gioco della
domanda e dell'offerta.
Un'altra questione importante riguarda i differenziali salariali, ovvero le differenze nel
livello di retribuzione salariale. Nell'economia convenzionale, per esempio nella teoria
del capitale umano, si tende a ritenere che queste differenze siano frutto della diversa
qualificazione dei lavoratori e di conseguenze della diversa produttività. Ma
differenziali si registrano anche tra lavoratori che svolgono il medesimo lavoro.
Maurice Dobb dimostra nei suoi studi comparativi sui salari che a condizionare in
maniera determinante il livello salariale è la forza organizzativa dei lavoratori, ed in
particolare “il diverso grado di libertà goduto dal lavoratore”.