Islam e identità di genere

annuncio pubblicitario
STORIA
E IDENTITÀ
DI GENERE
IPERTESTO
Islam e identità
di genere
I diritti delle donne, l’islam e l’Occidente
IPERTESTO A
L’integralismo islamico (o islamismo) può essere considerato come la forma più acuta di
reazione alla dominazione coloniale europea. Per diversi decenni, gli intellettuali arabi che
si erano opposti all’imperialismo occidentale avevano fatto uso di ideologie nate in Europa: ad esempio, avevano utilizzato il linguaggio del nazionalismo, oppure quello del marxismo. Dopo il fallimento dei movimenti basati su queste ideologie d’importazione (che non
sono affatto riuscite a migliorare in modo significativo le condizioni di vita delle masse
dei Paesi musulmani), la leadership politica è passata ai movimenti integralisti, che hanno accompagnato, alla loro lotta politica contro l’imperialismo, il rifiuto di tutta la cultura e la mentalità dell’Occidente.
L’islamismo rifiuta senza mezzi termini gran parte della cultura occidentale. Anche se
la tecnologia (applicabile, in primo luogo,
all’ambito militare) viene guardata con
grande interesse, per il resto la mentalità
europea viene vista come il modo di pensare del nemico, di un Occidente satanico,
dominatore e ateo, che da un lato mantiene i Paesi musulmani in condizioni di
sottosviluppo economico, mentre dall’altro mette in dubbio e in ridicolo la rivelazione del profeta. Per questo motivo, tra gli elementi respinti dagli integralisti, si trovano anche valori e principi che, per la cultura occidentale, sono
fondamentali e irrinunciabili. Si pensi,
ad esempio, al principio dell’ugua-
Islam e identità di genere
1
glianza di tutti i cittadini di fronte allo
Stato, sancito da tutte le costituzioni
europee e da quella americana. In un
regime islamico, questo principio non ha senso: solo il musulmano può essere un cittadino a pieno titolo, mentre l’ateo dev’essere punito come negatore di Dio; al massimo, in condizione di sudditanza, possono essere tollerati gli ebrei e i cristiani. A maggior ragione, non possono essere esercitati diritti fondamentali come la libertà di parola e di stampa: chiunque critichi una legge dello Stato (che si ispira alla Legge coranica) è un nemico della Verità e di Dio.
Nel corso del Novecento, tuttavia, uno dei tratti più caratteristici della cultura occidentale è stata anche la cosiddetta emancipazione femminile, cioè la conquista, da parte delle donne, dei medesimi diritti posseduti tradizionalmente dai soli maschi. Ovviamente,
il primo diritto richiesto e, infine, faticosamente ottenuto, riguardava il suffragio elettorale, che rendeva le donne cittadine a pieno titolo degli stati democratici di cui facevano
parte. In secondo luogo, sia pure in tempi diversi, tutti i paesi occidentali hanno modificato il loro diritto di famiglia, in modo da eliminare anche in questo campo la tipica posizione di inferiorità delle donne.
Verso la fine del XX secolo, l’emancipazione femminile è diventata uno degli obiettivi perseguiti dalle stesse Nazioni Unite, che hanno organizzato varie conferenze internazionali (Città del Messico, 1975; Copenaghen, 1980; Nairobi, 1985; Pechino, 1995) fiF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Un manifesto
antiamericano davanti
all’ambasciata degli
Stati Uniti a Teheran
(Iran).
IPERTESTO
1
Riferimento
storiografico
pag. 7
UNITÀ XIII
➔Accuse di ipocrisia
all’Occidente
MEDIO ORIENTE E MONDO ISLAMICO
2
nalizzate a ribadire che le donne sono soggetti di diritti umani specifici, da promuovere e da tutelare.
I Paesi musulmani in cui sono andati al potere dei movimenti integralisti radicali, però,
hanno respinto questi principi, giudicandoli incompatibili con l’islam. In effetti, la tradizione musulmana considerava ovvia e indiscutibile la superiorità del maschio, sia in famiglia sia nella società; e il Corano stesso, da parte sua, sembrava sanzionare questa superiorità mediante l’accettazione della pratica della poligamia.
Senza dubbio, molte donne musulmane hanno accettato volontariamente di rimettersi il
velo, cioè di occupare un posto subordinato all’interno della famiglia e della società: per
esse (come per i loro mariti) quello era un modo di difendere la fede islamica dall’offensiva dell’ateismo e del materialismo occidentali, accusati tra l’altro di essere ipocriti, cioè
di celebrare a parole la dignità femminile, mentre nella realtà le donne, all’opposto, vengono spesso strumentalizzate e (si pensi alla pubblicità o ai programmi televisivi) degradate a semplice oggetto del desiderio sessuale maschile.
Pertanto, come il liberalismo e la democrazia, il principio dell’emancipazione femminile
(insieme a quello, equivalente, del potere di azione delle donne, o empowerment) è stato considerato un concetto straniero, tipico dell’Occidente e imposto al mondo islamico da quella cultura europea con cui gli integralisti non vogliono avere nulla a che fare. La situazione
che si è venuta a creare assomiglia in parte a quella di numerose terre europee (si pensi, soprattutto, alla Germania) che all’inizio dell’Ottocento rifiutavano ogni innovazione di origine francese, per il semplice fatto che era stata portata dagli eserciti rivoluzionari o dalle armate napoleoniche. Fra queste innovazioni figuravano anche, ad esempio, la chiusura dei ghetti e l’emancipazione degli ebrei: ieri come oggi, un processo di liberazione di un gruppo umano privo di diritti era guardato con ostilità e risentimento, nella misura in cui veniva vissuto come un’imposizione o come il frutto della conquista da parte di una potenza straniera.
Una famiglia islamica
in Afghanistan,
uno dei paesi in cui
l’emancipazione
femminile è stata
contrastata con maggior
determinazione.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
DOCUMENTI
“Né più né meno”, Periodico di Informazione e Aggiornamento della Commissione Nazionale
per la Parità e le Pari opportunità tra uomo e donna, n. 1-3, 1996,
p. 4, trad. it. G.F. RECH
Spiega l’espressione «potere di azione (empowerment )» delle donne.
Quale scopo si vuole raggiungere, nei campi della salute e dell’istruzione?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
3
Islam e identità di genere
1. Noi, Governi partecipanti alla quarta Conferenza mondiale sulle donne.
2. Riuniti qui a Pechino nel settembre del 1995, nel cinquantesimo anniversario della fondazione delle Nazioni Unite.
3. Determinati a far progredire gli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e pace per tutte le
donne, in qualsiasi luogo e nell’interesse dell’intera umanità.
4. Ascoltando la voce delle donne di tutto il mondo e riconoscendo la diversità loro, i loro
ruoli e le loro condizioni di vita, rendendo omaggio a quante hanno aperto la strada davanti
a noi e ispirati dalla speranza incarnata nelle giovani di tutto il mondo.
5. Constatiamo che la condizione delle donne ha compiuto significativi progressi in certi
settori importanti nel corso degli ultimi dieci anni, ma che tali progressi non sono stati uniformi
e che le disuguaglianze tra donne e uomini persistono e grandi ostacoli permangono, con
gravi conseguenze per il benessere di tutti gli esseri umani. […]
Siamo persuasi che:
13. Il rafforzamento del potere di azione (empowerment) delle donne e la loro piena partecipazione su basi paritarie a tutti i settori della vita sociale, inclusa la partecipazione ai processi decisionali e il loro accesso al potere, sono fondamentali per il raggiungimento dell’uguaglianza, dello sviluppo e della pace.
14. I diritti delle donne sono diritti fondamentali della persona.
15. Parità di diritti, di opportunità e di accesso alle risorse, uguale condivisione di responsabilità nella famiglia tra uomini e donne e una armoniosa collaborazione tra essi sono
essenziali per il benessere loro e delle loro famiglie così come per il consolidamento della
democrazia. […]
17. Il riconoscimento esplicito e la riaffermazione del diritto di tutte le donne a
controllare tutti gli aspetti della loro salute, in
particolare la propria fecondità, sono di primaria importanza per il rafforzamento del
loro potere di azione. […]
Siamo determinati a:
[…]
29. Prevenire ed eliminare tutte le forme
di violenza contro le donne e le bambine.
30. Assicurare pari accesso e uguale
trattamento a donne e uomini nell’istruzione
e nell’assistenza sanitaria, e migliorare la
salute sessuale e riproduttiva delle donne
così come la loro istruzione.
31. Promuovere e proteggere tutti i diritti fondamentali delle donne e delle bambine.
32. Raddoppiare gli sforzi per assicurare
l’uguale e pieno esercizio di tutti i diritti
umani e libertà fondamentali per tutte le
donne e le bambine che affrontano difficoltà
molteplici, per ciò che concerne la loro acquisizione di poteri e il loro progresso, a
causa di fattori quali la loro razza, età, lingua, etnia, cultura, religione, handicap, o perché
sono donne indigene.
IPERTESTO A
La Dichiarazione di Pechino fu approvata il 15 settembre 1995, al termine della quarta conferenza
internazionale promossa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
IPERTESTO
Dalla Dichiarazione di Pechino
Una donna medico
musulmana controlla
la pressione a un
paziente.
IPERTESTO
Integralismo islamico e diritti delle donne
UNITÀ XIII
➔Violenze
e diritti negati
MEDIO ORIENTE E MONDO ISLAMICO
4
Il caso limite del rifiuto della mentalità occidentale si è verificato in Afghanistan, dopo
la vittoria dei talebani, un movimento estremista che conquistò il potere dopo una lunga guerriglia nel novembre 1996. Sei giorni dopo l’occupazione di Kabul, la capitale dell’Afghanistan, i talebani istituirono uno speciale dipartimento di polizia, incaricato della repressione del vizio e della propagazione della virtù. Questa nuova autorità emanò subito un editto che iniziava con le seguenti parole: «Donne, dovete restare in casa. E se uscite, non dovete vestire abiti alla moda o essere truccate o apparire davanti agli uomini come
accadeva prima dell’islam». Nel concreto, si introduceva l’obbligatorietà del burqa, una
veste che copre integralmente la donna, dalla testa ai piedi, ed è dotata soltanto di una
piccola griglia davanti agli occhi. Inoltre, alle donne fu proibito di lavorare, andare a scuola, frequentare i bagni pubblici, lavare vestiti al fiume, camminare da sole, viaggiare se non
accompagnate da un maschio adulto della loro famiglia, calzare sandali che emettessero
suoni, essere assistite da un medico durante il parto. A livello penale, per le presunte adultere fu sancita la pena della lapidazione, mentre le prostitute furono fucilate negli stadi,
senza tener conto che, in molti casi, probabilmente si trattava di povere vedove che non
sapevano come sfamare i propri figli. La dura oppressione imposta alle donne dai talebani è finita con il crollo del loro potere, nel 2001, a seguito dell’attacco americano all’Afghanistan.
Il regime islamico fondato da Khomeini in Iran, invece, è tuttora in vigore, e anch’esso – sia pure in modo diverso, rispetto a quello dei talebani – viola in modo sistematico
i diritti delle donne e il loro potere d’azione nella società.
Fin dagli anni Sessanta, il clero sciita iraniano si era opposto in modo fermo e determinato ad alcune riforme introdotte dallo shah Muhammad Reza Pahlavi, che aveva limitato la tradizionale prassi del divorzio (decisamente squilibrata, a esclusivo vantaggio dell’uomo), ammesso le donne a una serie di professioni riservate fino ad allora soltanto ai
maschi, elevato l’età matrimoniale da 15 a 18 anni e legalizzato l’aborto. Nella sua difesa a oltranza della tradizione, Khomeini si spinse fino a dichiarare adultere tutte le donne che avessero divorziato secondo la nuova procedura e si fossero risposate.
Una donna afgana con
il burqa, che nasconde
integralmente il suo
aspetto fisico.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO A
Un gruppo di donne
in Iran.
5
Islam e identità di genere
Il paradossale effetto del femminismo di Stato promosso dal
governo, tuttavia, fu la massiccia partecipazione delle donne dei ceti medi urbani alle imponenti manifestazioni popolari che avrebbero provocato la caduta del regime imperiale. In effetti, le donne più intraprendenti,
colte, istruite e ben inserite nel mondo del lavoro, seguendo fino in fondo il modello occidentale che avevano adottato, non accettavano più la dittatura dello shah e chiedevano una maggiore libertà politica per
il Paese. Al posto della democrazia, tuttavia, subentrò
subito la repubblica islamica di Khomeini, che nei confronti delle donne assunse un atteggiamento ambivalente, cercando di mediare tra posizioni diverse. Attenuando in
parte la propria iniziale rigidità sulla questione dei diritti femminili, il capo spirituale dei musulmani persiani permise alle donne di accedere al voto e
di essere elette nel parlamento islamico previsto dalla nuova Costituzione. D’altra parte,
l’8 marzo 1979 – un mese dopo il trionfo della rivoluzione – un corteo di 100 000 persone, che protestavano contro l’islamizzazione della società iraniana, fu disperso con la
forza.
Agendo in tal modo, Khomeini si schierò al centro dello schieramento politico-religioso,
cercando di lottare su due fronti. Da una parte, l’anziano leader rifiutava l’atteggiamento più ottuso, ancora molto diffuso nelle campagne e nelle regioni più arretrate, secondo
cui la donna doveva vivere segregata in casa ed essere priva di qualsiasi autonomia e responsabilità: in fondo, un modello sociale non molto diverso da quello che avrebbero attuato i talebani in Afghanistan, negli anni Novanta. Nel medesimo tempo, Khomeini mostrava di respingere anche la concezione occidentale, cioè il femminismo che in passato era
stato promosso dallo shah e, a maggior ragione, la liberazione sessuale che, dagli anni Sessanta in poi, si era imposta in Europa e negli Stati Uniti sull’onda della contestazione giovanile o delle nuove tendenze musicali.
Pertanto, fu ripristinato il divorzio unilaterale come privilegio esclusivamente maschile,
mentre l’età minima per il matrimonio fu abbassata a 13 e in seguito a 9 anni. La donna iraniana, inoltre, non fu più libera di uscire o viaggiare senza l’autorizzazione del marito, aveva diritto a un’eredità dimezzata rispetto a un soggetto maschio, e non poteva iscriversi a facoltà universitarie come economia, diritto e ingegneria; negli studi superiori di
medicina, essa fu ammessa solo ai corsi di ostetricia e di ginecologia.
In tutti i luoghi pubblici, nei cinema e sui bus, uomini e donne furono rigorosamente separati; dagli anni Ottanta, nessuna attività sportiva maschile può essere seguita
da un pubblico femminile, mentre le giovani possono fare sport, solo se sono rigorosamente coperte come da prescrizione: di fatto, le donne iraniane possono praticare
solo gli scacchi, il tiro, l’equitazione e lo sci. Non a caso, il numero dei suicidi femminili è stato per anni in costante aumento.
Velate e mal velate in Iran
A partire dal 1981, il principale simbolo della nuova condizione in cui si trovarono a vivere milioni di iraniane fu il velo, che Khomeini impose come obbligo a tutte le donne in età fertile. Secondo la concezione del leader sciita persiano, esso era in grado di costruire ordine, di delimitare gli spazi e quindi di impedire che una sessualità troppo libera e anarchica degenerasse, provocando caos.
Le donne più colte ed emancipate, molte delle quali furono licenziate da posizioni
lavorative ritenute di competenza esclusivamente maschile, tentarono di opporsi all’impostazione khomeinista. Per esse, il velo divenne una prigione, il simbolo di una
sottomissione subita, di una nuova soggezione al maschio, imposta per legge dal nuovo governo. In un primo momento, queste donne dei ceti superiori tentarono di aggirare il nuovo obbligo con espedienti di vario genere, ad esempio lasciando fuori dal
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
➔Delimitare gli spazi
➔“Velo prigione”
IPERTESTO
UNITÀ XIII
MEDIO ORIENTE E MONDO ISLAMICO
6
Una manifestazione
di donne iraniane
a favore dell’ayatollah
Khomeini, fotografia
degli anni Settanta
del Novecento.
➔Calo della natalità
2
Riferimento
storiografico
pag. 8
velo qualche ricciolo, oppure ostentando
fazzoletti di colori sgargianti. Definite
sprezzantemente mal velate dai loro nemici, quelle donne cercarono di trasformare il velo in strumento di seduzione, e
quindi provarono a rovesciare il significato
stesso dello strumento imposto: da elemento finalizzato a neutralizzare il pericolo per l’ordine sociale rappresentato dalla presenza femminile, esso si trasformava in veicolo di messaggi sessuali, potenzialmente devastanti per la collettività.
Per i seguaci di Khomeini, si trattò di una
vera provocazione; per reprimere l’opposizione delle mal velate, il clero sciita emanò
una serie di precise norme relative al colore del velo, alla foggia del vestiario e delle
scarpe, al divieto di dipingere le unghie, far
uso di rossetti e abbellire il viso con trucchi di alcun genere.
Eppure, negli stessi anni, per molte iraniane
di basso ceto sociale il velo assunse una
funzione sociale diametralmente opposta,
in quanto divenne una specie di passaporto, cioè di lasciapassare che permise loro
di uscire di casa e trovare impiego extradomestico in una serie di attività legate all’educazione o alla sanità, che Khomeini riservò alle donne. La rivoluzione stessa, del
resto, creò numerose occasioni di socializzazione e di mobilitazione (adunanze di massa, manifestazioni, riunioni di indottrinamento ideologico ecc.), impensabili alla luce della mentalità patriarcale tradizionale. Nell’Iran khomeinista, insomma, si creò una situazione per certi versi simile a quella dell’Italia fascista e della Germania hitleriana: se l’ideologia al potere, da una parte, premeva
in direzione di una sostanziale sottomissione della donna all’uomo, dall’altra le esigenze del movimento politico dominante esigevano anche dal genere femminile un’adesione e una partecipazione attiva alla rivoluzione in atto, creando opportunità di aggregazione e di partecipazione inedite, che finirono per far apprezzare a molte giovani l’orientamento politico dominante, malgrado i diritti che, per altri versi, esso limitava o cancellava del tutto.
Inoltre, diversi altri segnali lasciano intendere che la situazione femminile iraniana è
fluida e in evoluzione. Il numero medio di figli per donna, ad esempio, è in continuo
calo: 6,4 nel 1986; 2,8 nel 1996; 2 nel 2006. Nel 2000, il 74% delle donne sposate
ammetteva di far ricorso a pratiche anticoncezionali; anzi, il 56% dichiarava di far uso
di contraccettivi non tradizionali, di ordine chimico o meccanico. La donna iraniana, pertanto, non si è affatto rassegnata all’idea di realizzarsi esclusivamente in un ruolo materno; del resto, malgrado le restrizioni imposte dal regime, il numero delle ragazze che proseguono gli studi fino ai corsi universitari è elevatissimo, al punto che,
dal 2002, si laureano più femmine che maschi. In tal modo, malgrado la nuova elasticità permessa dalla legge, l’età del matrimonio è slittata sempre più in avanti per la
maggior parte delle giovani donne: 19,7 anni nel 1976; 22 nel 1986; 24 nel 2006.
«Alla rivoluzione islamica – commenta Renzo Guolo, al termine di uno studio che tenta di superare i consueti luoghi comuni – le donne iraniane hanno fatto, dunque, corrispondere una propria rivoluzione personale, che ha profondamente trasformato, nonostante l’influenza dello Stato e della religione, la loro vita e la società».
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
Riferimenti storiografici
1
Il rifiuto dell’emancipazione femminile
nei movimenti islamici radicali
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
7
Una fotografia degli
anni Venti del
Novecento sicuramente
inusuale: una donna
egiziana pronuncia un
discorso pubblico
davanti a una piccola
folla di persone.
Islam e identità di genere
Se nell’homo occidentalis [nel giudizio
della maggior parte degli uomini e delle
donne europei, n.d.r.] l’adesione maschile al
credo islamico […] provoca irritazione,
quella delle donne provoca reazioni ancora
più passionali. E rafforza al di là di ogni limite
la propensione dell’Occidente – femminista, ma non solo – a ricorrere nell’analisi a
singolari scorciatoie. La prima di queste
consiste nel ridurre contro ogni evidenza
l’essenza della mobilitazione islamica ad
una mobilitazione contro le donne e a chiudere così l’intera dinamica di riposizionamento ideologico del Sud [il Sud del mondo,
che racchiude per la maggior parte paesi
poveri o comunque più arretrati rispetto al
Nord, industrializzato, che comprende l’Europa occidentale, gli USA, il Canada e il Giappone, n.d.r.] nel ghetto analitico di una misoginia, e anche, nelle posizioni meno sfumate, di un apartheid, eretti a principio esplicativo
centrale e assoluto. […]
Bisogna tuttavia riuscire a conciliare dati almeno all’apparenza contraddittori: da un lato
questa inevitabile reputazione dell’Islam (a fortiori dell’islamismo) [a maggior ragione, del cosiddetto fondamentalismo islamico o integralismo islamico, n.d.r.) che – soprattutto, ma non
soltanto in Occidente – lo rappresenta come grande limitatore di libertà femminili, dall’altro
il fatto che la mobilitazione islamica sembra coinvolgere oggi sia donne sia uomini senza che
la loro libertà d’azione possa essere seriamente e sistematicamente messa in discussione.
Come interpretare allora queste migliaia di donne [che aderiscono ai movimenti islamici radicali, n.d.r.]? Tali adesioni suggeriscono almeno l’idea che da una sponda all’altra del Mediterraneo le libertà femminili in generale, l’uso del velo in particolare, siano proprio oggetto
di percezioni almeno differenziate, e a volte anche radicalmente opposte. […]
Il paradosso della visione dell’Occidente femminista permane anche nel fatto che omette
[trascura, si rifiuta, n.d.r.] di accordare, a colei che vuole proteggere dagli abusi della dominazione maschile, il diritto di autodeterminarsi individuo pensante. Tutto in effetti porta a credere che, considerati globalmente i vari fattori, tra le principali motivazioni femminili all’entrata nell’islamismo ci siano le stesse motivazioni riscontrate… per gli uomini. La maggior
parte delle donne sembra proprio aderire al sistema di rappresentazione islamica per ragioni
banalmente identiche a quelle dei loro fratelli e mariti, senza aggiungervi necessariamente
valenze particolari legate alla loro condizione di donne. […]
Sicuramente lo statuto sociale della donna costituisce proprio uno di quei termini sui quali
l’irrompere dei referenti occidentali [l’impatto con la cultura occidentale e i suoi valori, n.d.r.] ha
turbato la dinamica dell’evoluzione normativa interna all’universo dell’Islam. Sicuramente la
reintroduzione letteralista e autoritaria dell’apparato normativo della cultura precoloniale porta o
porterà a rimettere in discussione, in tale campo più ancora che in altri, alcune modernizzazioni
tanto importanti quanto recenti, l’unico torto delle quali sta di fatto nell’essere state attuate nel
corso della fase imperialista dell’Occidente e sotto il manto del suo linguaggio.
Non ci si azzarderà dunque a negare che la donna possa essere a volte il bersaglio di
forme specifiche di violenza. Ma […] resta da chiedersi se le pratiche discriminatorie più em-
IPERTESTO A
Secondo il sociologo francese Fançois Burgat, l’adesione di molte persone, di entrambi i sessi, all’islamismo, è spontanea. I soggetti femminili hanno interiorizzato un modello di donna completamente differente da quello occidentale e sono fiere della loro alterità. Anche se a noi europei può sembrare strano, si tratta a volte di un percorso che – a suo modo – cerca di promuovere l’identità e l’autocoscienza delle donne stesse.
UNITÀ XIII
IPERTESTO
blematiche addebitate alla reislamizzazione non derivino
piuttosto, in gran parte, dalle sollecitazioni particolari che
oggi le società maghrebine [della regione nordafricana
comprendente Marocco, Algeria e Tunisia, n.d.r.] o arabe
subiscono, cioè della congiuntura sociostorica […] della
cultura musulmana [delle circostanze storiche e sociali in
cui oggi vive il mondo islamico, n.d.r.], molto più che dall’essenza di tale cultura. […]
C’è bisogno, perché il processo riformista riprenda il
suo corso, che la «cittadella Islam», come spiega Tariq alBishri [intellettuale egiziano vicino al movimento integralista dei Fratelli musulmani, n.d.r.], non si senta assediata. «Non si va avanti quando si è sulla difensiva. Non
si va avanti quando si difendono le proprie posizioni». […]
«Il pensiero islamico contemporaneo si sente minacciato»
sottolinea Tariq al-Bishri. «C’è la sensazione che la sua filosofia, le sue radici spirituali siano in pericolo. Quando ad
esso capita di dar prova di dogmatismo, dipende spesso
da questa specie di ossessione dello sradicamento. È un
atteggiamento di autodifesa. Ora, come si può andare
avanti quando tutte le energie sono mobilitate per la sola
difesa dello status quo e per il mantenimento delle proprie
posizioni? […] Se si sottovaluta tale dimensione, si ipoteca
l’esistenza di un dialogo fruttuoso tra razionalità occidentale e razionalità musulmana: il pensiero occidentale
si erge a modello e a esempio, il pensiero musulmano si
mette sulla difensiva e ignora tutto ciò da cui potrebbe ottenere vantaggi. Molti pensatori musulmani sono riformisti fino al momento in cui percepiscono l’esistenza di un
pericolo che minaccia le fondamenta del loro pensiero.
Precipitano allora nel conservatorismo».
MEDIO ORIENTE E MONDO ISLAMICO
8
F. BURGAT, Il fondamentalismo islamico. Algeria, Tunisia, Marocco,
Libia, SEI, Torino 1995, pp. 109-116, trad. it. I.A. SCARCIA
Due ragazze
musulmane in una
piscina pubblica a
Kuala Lumpur,
in Malesia.
Qual è, secondo Burgat, il paradosso della visione dell’Occidente femminista?
Che effetto provoca la percezione di essere sotto assedio?
2
Donne e regime islamico in Iran
L’atteggiamento verso le donne tenuto dalla Repubblica islamica iraniana, fondata da Khomeini nel
1979, fu per molti versi ambiguo. Da un lato, infatti, fu promossa la partecipazione femminile alla rivoluzione e al nuovo regime, mentre dall’altro veniva completamente respinto il modello di emancipazione
della donna tipico dell’Occidente. Il simbolo più evidente di tale rifiuto fu l’imposizione del velo (hejab)
in qualsiasi situazione pubblica.
L’islamizzazione forzata della società inizia con una massiccia campagna di epurazione
delle donne laiche, considerate, per il loro stile di vita, equivoche. I comitati di purificazione
(paskazi) guidati dagli islamisti concentrarono la loro attività sulla presenza femminile nell’amministrazione pubblica. La campagna di epurazione, allargata in seguito al settore privato, sfocia nel licenziamento di migliaia di donne che occupano posizioni dirigenti; altre, in
proporzioni analoghe, saranno ritenute non affidabili e indotte a chiedere il prepensionamento. Tra le epurate, quelle che mal sopporteranno l’idea di vivere in un regime autoritario-religioso, e potranno permetterselo, migreranno in Occidente; le altre dovranno velarsi.
È, dunque, alla copertura del corpo femminile che la Repubblica Islamica affida la separazione tra puro e impuro fuori dalla sfera familiare. Secondo tradizionalisti e islamisti, uniti
sulla questione dei costumi, il velo ristabilisce simbolicamente la separazione tra sessi che
caratterizza l’ordine islamico. Traccia il limite del lecito: una donna non velata può essere vista solo da uomini appartenenti alla famiglia con i quali i rapporti sessuali sono interdetti o
da bambini anziani. Imponendo il velo, che è diventato obbligatorio per le donne nel 1981,
lo Stato islamico si propone come custode dell’onore maschile e guardiano del pudore femminile. Secondo le indicazioni di Khomeini dovranno portare il velo le donne in età fertile;
quelle in menopausa sono esentate, con l’eccezione delle seyedeh, le discendenti dalla faF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Una deputata
del Partito riformista
iracheno fotografata
nel suo studio. Seppure
siano ancora poche
(così come sono poche
le donne che fanno
politica in certi Stati
occidentali) diverse
donne musulmane
stanno lottando per
entrare a far parte
attivamente della vita
politica nazionale
dei loro Paesi.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO A
9
Islam e identità di genere
miglia del Profeta, che cesseranno di indossarlo a sessant’anni. Naturalmente la semantica
del velo [il significato simbolico che il velo assume, n.d.r.] dipende dalla diversa identità, laica
o religiosa, dalle origini sociali, dall’età; dalle preferenze politiche delle donne che lo portano.
Per le islamiste il velo è, innanzitutto, un obbligo religioso, che rinvia alla costruzione di una
società fondata sulla purezza, assume un significato opposto a quello dell’oppressione femminile ed esprime il rifiuto dell’Occidente. Occidente interno, presente intimamente nei corpi
delle donne svelate mentre la donna autenticamente islamica rifiuta di farsi consumare dallo
sguardo degli uomini. Occidente esterno, come civilizzazione aliena ai principi dell’islam. […]
Per le donne dei ceti popolari di origine rurale o di recente urbanizzazione, il velo, indossato sin dalla pubertà, assume, invece, la funzione di un passaporto. Prima della rivoluzione, esse uscivano raramente di casa: per necessità domestiche o di lavoro, per rendere visita ai parenti, in occasione di qualche cerimonia. Ora escono spesso, anche da sole.
Il nuovo regime, infatti, consente loro un’insolita libertà di movimento. […] Ogni riunione o
cerimonia pubblica è occasione d’uscita. La politicizzazione delle relazioni sociali indotta dallo
Stato totale islamista rende improvvisamente legittime le relazioni con i non intimi, consentendo rapporti che la tradizione rigettava in precedenza in nome dell’onore familiare. Partecipazione che permette alle donne una certa autonomia dall’ordine patriarcale familiare e
l’accesso a uno spazio, quello della sfera pubblica, al quale, contrariamente alle donne dei
ceti medi urbani, non hanno mai avuto accesso in precedenza. Un mutamento non troppo
gradito ai maschi di famiglia, inibiti da una legittimità rivoluzionaria che consente alle donne
di sottrarsi al loro controllo. Opporsi alla partecipazione rivoluzionaria significherebbe, infatti,
incorrere nella disapprovazione del nuovo potere. È la stessa ideologia ufficiale della Re- Quali persone
possono vedere una
pubblica Islamica che consente a queste donne di usare l’hejab o il chador come un velodonna non velata?
passaporto, neutralizzando, preventivamente, la disapprovazione familiare e sociale.
Per quale motivo tale
Per le donne laiche e moderniste l’imposizione del velo, così come le misure che interdiconfidenza è
cono [proibiscono, n.d.r.] loro determinate professioni o studi, segna, invece, l’espulsione dallo
concessa loro, e non
spazio pubblico. Obbligate a coprirsi, lo faranno di malavoglia, cercando di sabotare, conad altri soggetti?
sciamente e inconsciamente, il significato religioso e politico attribuito alla misura dal nuovo
Quali
donne
regime. Tanto da venir definite bad hejab, mal velate. La soggettività femminile, infatti, non si
dovranno
portare
lascia ridurre facilmente dal nuovo dispotismo del puro. Le donne delle classi medie con buoni
il velo? Fino al
livelli d’istruzione, che prima della rivoluzione avevano accesso a una modernità che non riraggiungimento di
fiutavano, cercano di evadere con ogni mezzo dal velo prigione. Lasciando intravedere i caquale stadio della
pelli sotto il fazzoletto, o indossando hejab dai colori proibiti, integrato nella mise femminile in
loro vita di donne?
un sottile gioco di seduzione che contraddice la voluta funzione di neutralizzazione della sesTutti
i mutamenti
sualità e della sensualità, il velo viene desemantizzato [il significato del velo è totalmente rodella situazione
vesciato, perché esso è privato di qualsiasi valenza politica o religiosa, n.d.r.]. Le mal velate
femminile suscitati
sono protagoniste di un diffuso fenomeno di resistenza silenziosa alla morale di stato, tanto
dalla repubblica
da diventare oggetto di una dura repressione. Nello sguardo islamista l’ostinata provocazione
islamica sono
delle mal velate si trasforma in fitna, in seduzione che diventa sedizione, e minaccia, insieme,
risultati graditi
per la coesione della comunità maschile e dell’ordine rivoluzionario.
ai maschi iraniani?
R. GUOLO, Generazione del fronte e altri saggi sociologici sull’Iran, Guerini e Associati,
Spiega l’espressione
Milano 2008, pp. 53-55
«velo-passaporto».
Scarica