La condizione femminile nell`Islam

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Il Mondo arabo-islamico
lezione del 21 dicembre 2009
La condizione femminile nell’Islam
Una cosa di cui l’Occidente sa poco, e che gli imam conoscono molto bene, è che le donne di
certo non sono più rinchiuse degli harem e non sono nemmeno velate e silenziose
Fatema Mernissi
Il problema femminile attraversa tutta la società islamica ed esemplifica, come nessun altro, il tipo di
imperialismo culturale che essa ha subito. Avere chiari i termini della questione femminile significa
capire anche il significato dell’imposizione di modelli estranei a tutto un mondo e ad ogni settore della
vita sociale, economica e culturale di un paese. Occorre risalire alla seconda metà dell’Ottocento in cui
si registra una rinascita politica e culturale islamica. Il ritardo che tutta la società musulmana subisce a
causa dell’esperienza coloniale prima,imperialistica poi, si manifesta anche nella condizione
femminile.
Perfino nei paesi più evoluti la stessa legislazione non offre strumenti adeguati per rovesciare la
situazione della donna.
La poligamia è ufficialmente vietata soltanto in Tunisia. In Egitto o in Siria essa è scoraggiata anche
attraverso meccanismi giuridici, ma un eventuale matrimonio, da parte dell’uomo, è pur sempre
ammesso.
Il ripudio, previsto dal Corano, è ormai da molti decenni gradatamente trasformato in una forma di
divorzio e in alcuni casi alla donna è riconosciuto il diritto di divorziare. In Algeria,dove pure mancano
norme per stabilire per stabilire nell’ambito della famiglia e della società i diritti della donna, nelle
leggi che riguardano il lavoro, la previdenza, l’assistenza, è tenuta presente la necessità di favorire la
donna. In Turchia, dove la legge dello stato sostituisce ufficialmente quella religiosa, poligamia e
ripudio sono stati regolati fin dalla creazione della repubblica, nei primi anni venti del secolo scorso.
Non si può negare l’importanza di alcune decisioni, prese in campo giuridico, a favore della donna, a
tutela dei suoi diritti nel matrimonio ma tutto ciò non è volto a trasformare in senso profondo la
società islamica che continua a tenerla in disparte ed in condizione di dipendenza. Il problema
culturale della perdita di identità, dovuta ad una rapida e violenta occidentalizzazione dei costumi
delle classi dirigenti il costo della vita, l’abbandono delle campagne, l’impossibilità di inserirsi in
modo dignitoso nelle città, verso cui si affluisce in massa, l’emigrazione all’estero, sono fenomeni
che hanno sulla vita delle donne un peso ancora maggiore che non su quella degli uomini. La
possibilità di lavoro e quindi di emancipazione deve essere subordinata alla necessità di garantire
prima un’occupazione all’uomo, e poi, in secondo ordine, alla donna, che viene, anche nel caso trovi
lavoro, sottopagata. L’emigrazione rompe l’equilibrio famigliare tradizionale, anche se relegava la
donna in un ruolo subalterno, non la emarginava dal contesto sociale in cui la famiglia, e la donna in
essa, avevano un posto di rilievo. La modernizzazione, che significa poi sempre occidentalizzazione,
crea nuovi bisogni che non risolvono le fatiche tradizionali. La questione della maternità si presenta in
modo ancor più contraddittorio. Da un lato la donna sente l’esigenza di limitare le nascite ( l’islam non
vieta ufficialmente la contraccezione e ci sono circostanze in cui l’aborto è tollerato ) ma mancando
una volontà e una possibilità reale di modificare la situazione socio-economica di questi paesi, anche la
limitazione delle nascite viene vista con sospetto: una minaccia alla famiglia, unica aggregazione
sociale che sembra resistere alla decomposizione della società. Quindi una minaccia alla posizione
della donna, che tradizionalmente è sempre stata valutata in base alla sua fertilità. Avere meno figli
significa, per esempio, rischiare di più l’introduzione di una rivale. Se una donna deve sposarsi per
trovare una posizione dignitosa, che le consenta di sopravvivere, dato che la società le nega occasioni
di lavoro e inserimenti pari a quelli degli uomini, tutto quanto può garantire il matrimonio passa in
prima linea. E’ meglio, dunque, che una bambina impari, stando a casa, a fare la moglie e la madre,
piuttosto che vada a scuola, dove le insegnerebbero cose che nulla hanno a che fare con quello che sarà
il suo ruolo futuro. E così il cerchio della subordinazione femminile si chiude. Ciò malgrado, qualche
spiraglio si può aprire proprio grazie alla scolarizzazione di massa. Con l’indipendenza le donne hanno
conquistato ovunque il diritto di voto. Nei settori quali medicina e insegnamento la presenza
femminile si fa sentire. Sempre meno sono i matrimoni imposti dalle famiglie anche se fatica a farsi
strada l’idea di una libera scelta fuori da legami tradizionali e religiosi. Esiste una tradizione che non è
stata a favore della donna, nell’Islam come in tutte le religioni, nella società islamica come in tutte le
società a noi note. Paragoni con l’Occidente si possono fare soltanto per quanto concerne il passato,
cioè per le epoche in cui il mondo islamico aveva autonomia sufficiente per regolarsi come meglio
credeva. In questa prospettiva non c’è una particolare malevolenza nell’Islam per la donna. Il Corano
corregge molte situazioni a lei sfavorevoli e, se la definisce inferiore all’uomo, attribuisce pari dignità
alla donna come soggetto religioso e sancisce una serie di occasioni in cui la donna è responsabile e
libera della sue azioni. La donna può possedere beni, amministrarli, partecipare all’eredità famigliare.
L’applicazione della legge coranica si diversifica a seconda delle situazioni in cui viene a operare e
della classe sociale cui la donna appartiene. Le turche, per esempio, non si velano, d’altronde il Corano
non lo prevede, e quella del velo è una tradizione ereditata dalla classe urbana bizantina con cui i primi
conquistatori arabi vengono a trovarsi a contatto e di cui adottano costumi, come segno quasi di salto
sociale. Nelle campagne la donna non è messa da parte e interviene attivamente nell’economia
familiare. La poligamia ha un significato diverso presso le classi ricche e presso quelle povere. Nelle
prime garantisce con l’harem il prestigio dell’uomo, in quelle povere significa potenziamento della
forza lavoro. Nell’apparato del potere, non diversamente che da noi, molte donne, madri, mogli o figlie
di grandi personaggi hanno avuto un ruolo determinante, anche se indiretto, nella conduzione degli
affari pubblici. La cultura non è mai stata negata, in linea di principio alle donne. Non è raro sentire
parlare di donne che si occupano di affari, ed in particolare di commercio, cioè di una attività che
conferisce autorità e dignità, come lo studio delle scienze religiose. In altri termini, la condizione della
donna nel mondo islamico è, come altrove, determinata da ragioni che poco hanno a che fare con
l’ideologia e con la religione. L’una e l’altra vengono utilizzate contro la donna quando ciò serve a
mantenere una data situazione e a garantire l’egemonia maschile. Quando il potere degli uomini non è
in pericolo, la donna riesce a ritagliarsi spazi di attività. Le cose cambiano negativamente quando tutta
la società islamica entra in crisi, cioè quando non solo la decadenza ma l’intervento coloniale fanno
sentire il loro peso.
La questione femminile nasce insieme alla questione nazionale e al fondamentalismo.
Ripresa dell’Islàm in favore di un nazionalismo che ha come scopo la rinascita dei popoli musulmani.
Islàm come tradizione e come valore di distinzione da un Occidente oppressore. Il fondamentalismo e
la questione femminile nascono nello stesso periodo in Egitto e non hanno mai smesso di esistere
fianco a fianco. Hanno approfittato dell’istruzione moderna statale e gratuita per prendere coscienza.
Ma se i fondamentalisti ( uomini provenienti dalle campagne appartenenti alle classi più basse )
agiscono con la complicità dello Stato, le donne lottano da sole senza protezione nemmeno da parte del
Divino perché i fondamentalisti rivendicano l’esclusiva di poter parlare in nome di Dio. Ora in nome
della lotta nazionale, ora in nome della ricostruzione nazionale ora per la necessità di aggregare tutte
le componenti sociali, ora con la pretesa di un ritorno allo spirito islamico ( il tutto naturalmente in
funzione dell’indipendenza dalla soggezione esterna ) è sempre alle donne che si chiedono i sacrifici
maggiori ed è la situazione femminile quella che continua a essere più drammatica. Ciò a cui
assistiamo oggi è la rivendicazione da parte delle donne del loro diritto a Dio e alla tradizione storica.
L’apertura delle università ha dato alle donne la possibilità di dedicarsi alla ricerca e alla scrittura
semplice e diretta di ciò che va male e ciò che bisogna cambiare.
Gli harem ormai esistono solo nelle cartoline o nei palazzi di quei pochi emiri che hanno
abbastanza soldi per ricreare una versione dozzinale di quelli della Baghdad dell’Età d’oro
Fatema Mernissi
Ma vediamo quali sono i gioghi che ancora attanagliano le donne musulmane coscienti che la loro
completa emancipazione sarà il futuro del mondo arabo e dell’Islàm libero e integro come lo volle il
Profeta Muhammad.
Diritto di famiglia nell’Islàm
Matrimonio
Nella famiglia pre-islamica di tipo patriarcale la donna era un oggetto venduto al marito dal padre. Le
donne potevano essere uccise,la poligamia era senza limiti così come la prostituzione. In caso di morte
del marito la moglie veniva ereditata dai figli. Il Corano rappresenta una vera rivoluzione: critica
l’uccisione delle donne ( 6,58; 17,31-33 ), rivaluta la donna sul piano religioso ( 16,97; 33,32 ).
Conferisce alla donna sotto tutti i profili sostanziale parità di dignità rispetto all’uomo. Nella Shari’a
(la legge religiosa islamica ) il matrimonio diventa contrattuale con il consenso delle parti. La donna
manifesta il suo consenso attraverso un tutore matrimoniale musulmano che può essere il padre, un
parente prossimo maschio o un giudice ( wali ). Esiste tuttavia il matrimonio imposto ( gabr ), il padre
cioè può decidere del matrimonio della figlia a sua discrezione. Questo potere inizialmente era senza
limiti ma nel corso del tempo i giuristi introdussero una serie di limitazioni. Il principio del gabr è
stato abolito nel codice marocchino, come pure in quello tunisino e algerino, dove tuttavia si prevede
che il padre possa costringere la figlia al matrimonio quando si tema una cattiva condotta da parte
della ragazza.
Dote
‫مهر‬
Il mahr nel mondo pre-islamico era il prezzo che il marito pagava al padre. Nella shari’a la dote è una
somma che viene versata dal marito alla donna. E’ l’elemento essenziale perché costituisce il
patrimonio di cui la donna può liberamente godere nel corso del matrimonio. Senza dote il matrimonio
è viziato in origine.
Contratto
‫نكاح‬
Il matrimonio non ha carattere sacramentale ( anche se talvolta è accompagnato da un rito religioso
nella moschea ) ma è una pubblica dichiarazione preparata da due notai ( ‘adul ) e firmata dai due
sposi in presenza di due testimoni, in forza della quale l’uomo s’impegna a corrispondere una dote alla
donna e a provvedere al suo mantenimento, con la contropartita di poter avere con lei, lecitamente,
rapporti intimi. Nel contratto gli sposi possono inserire le clausole che desiderano applicare (
monogamia, paese di residenza, rispetto religioso ).
Rapporti matrimoniali
All’interno del matrimonio la donna è soggetta alla direzione del marito. Il marito ha potere
correzionale, ha diritto di decidere se e quali persone la moglie frequenterà al di fuori dei parenti
stretti ( Corano 4,34; 2,228; 2,223 ). L’unica vera autonomia della donna è l’autonomia patrimoniale.
Ossia la donna può gestire il suo patrimonio personale. Il codice marocchino dichiara che i diritti della
sposa nei confronti del marito sono: il suo mantenimento, il diritto all’uguaglianza di trattamento con
le altre spose, il diritto ad essere autorizzata a rendere visita ai suoi genitori e riceverla, la libertà di
disporre dei propri beni. I doveri del marito sono: mantenere la moglie o le mogli, consumare il
matrimonio, coabitazione. Manca un obbligo di fedeltà in senso stretto, nel codice marocchino infatti si
dice che il marito ha diritto alla fedeltà ma tace sul suo obbligo di fedeltà.
Poligamia
Con il limite delle 4 mogli ( Corano 4,3 ) è prevista in tutti i codici salvo Turchia e Tunisia. La poligamia
coranica è un rimedio alla poligamia selvaggia pre-islamica. La limita a 4 mogli che devono essere
trattate in modo uguale. La prima moglie può stabilire nel contratto matrimoniale che non accetta altre
mogli. La poligamia è comunque in declino nell’islam ( meno del 10% ).
Ripudio
‫طالق‬
E’ previsto in quasi tutti i codici dei paesi islamici ad eccezione dell’Algeria e della Tunisia. La facoltà di
sciogliere il matrimonio è sempre solo del marito.
Divorzio giudiziale
Il ripudio previsto dal Corano se non abolito è trasformato in una forma di divorzio e in alcuni casi alla
donna è riconosciuto il diritto di divorziare. Nel codice algerino il ripudio è abolito, si parla di divorzio
giudiziale consensuale o per iniziativa del marito. Nel codice tunisino il ripudio è abolito e per quanto
riguarda il divorzio vi è uguaglianza fra uomo e donna. Tuttavia se vi sono dei figli, la madre deve
avere l’autorizzazione del marito o del giudice per potersi risposare.
Rapporti genitori-figli
Il capo e responsabile ultimo dell’educazione dei figli è il padre. Esiste una ripartizione dei compiti
educativi. Alla madre spetta la cura del bambino fino ai cinque/sei anni. Tale custodia è
esclusivamente domestica. La madre non è padrona di istruirlo come vuole, di farlo viaggiare
liberamente e non può portarlo lontano dal padre. Al padre spetta la tutela che consiste nel sorvegliare
l’istruzione del bambino. La tutela finisce con la pubertà per il maschio fino al matrimonio consumato
per le ragazze. Il tutore deve essere musulmano. Nel diritto musulmano classico la posizione del padre
era un potere assoluto nei confronti dei figli, man mano questa situazione è andata modificandosi e si
sono riconosciuti alcuni diritti in più alla madre pur restando un potere maschile dominante.
Successione
La caratteristica principale è che esistono due assi ereditari, uno maschile e uno femminile, con
privilegio della linea maschile. Il maschio eredita il doppio della femmina
Analizzando la situazione vediamo che, anche se a passi lenti, la situazione giuridica delle donne
islamiche e la loro presenza nell’ambito della società è andata aumentando. Con differenze notevoli da
un paese islamico ad un altro, la donna ha acquistato pari dignità con l’uomo e ha raggiunto posizioni
insperate fino a pochi anni fa. Donne deputato, ministri, giudici, avvocati, imprenditrici, piloti di aereo,
attività che erano esclusivamente maschili si sono svelate alle donne che pur nella loro condizione di
inferiorità sociale lottano per ottenere il pieno riconoscimento della persona umana-donna. Molto
però rimane ancora da fare.
Marocco
Prendiamo come esempio il Marocco che nel febbraio del 2004 ha approvato il nuovo Codice di
Famiglia. Due ordini indicatori sono particolarmente preoccupanti: quelli riguardanti l’istruzione e
quelli riguardanti la sanità.
Istruzione
Il tasso più sconcertante è l’analfabetismo: nel 2001 esso era il 62,8% sul totale della popolazione
femminile sopra i 15 anni e l’82% nelle aree rurali. Nella popolazione giovanile ( 15-24 ) anni si
registra una più diffusa alfabetizzazione ma il tasso di analfabetismo è comunque molto elevato 41,3%.
Salute riproduttiva
La mortalità materna è molto elevata:228 decessi su 100.000 parti ( in città 125, in campagna 307 ). Le
donne assistite durante il parto sono solo il 39% , dato che nelle campagne scende al 19,3%
Per quanto riguarda il mondo del lavoro le donne sono la fascia di popolazione più toccata dalla
povertà, spesso esse sono dipendenti economicamente dal marito. L’ingresso della popolazione
femminile sul mercato del lavoro ha comunque subito un incremento negli ultimi anni anche grazie
all’aumento della scolarizzazione femminile. Alcuni settori hanno conosciuto una netta
femminizzazione, in particolare l’insegnamento, il settore sanitario e la pubblica amministrazione. La
popolazione attiva sul totale della popolazione femminile nel 1999 era del 29,5% e nel 2001 ha
raggiunto il 41,6% Negli ultimi anni tuttavia, tale tendenza ha subito un rallentamento a causa
dell’aumento della disoccupazione. Va detto che il dato non considera il settore informale: si stima che
in Marocco il solo lavoro domestico impieghi un numero di donne pari a quelle impiegate nel settore
formale, senza considerare la partecipazione delle donne rurali ai lavori agricoli. I limiti
dell’inserimento delle donne nel settore lavorativo appaiono evidenti nella disparità retributiva tra
uomini e donne ( la metà rispetto all’uomo ).
Egitto
Nel 2000 nasce il Consiglio delle donne creato dalla moglie del presidente Moubarak , che si preoccupa
di intervenire per la restrizione della poligamia e dell’infibulazione. ( pratica per altro non
contemplata nel Corano ).Benché dal 1995 il governo egiziano stia promovendo campagne di
sensibilizzazione contro la pratica dell’infibulazione sulla pratica della poligamia il movimento è
dovuto arretrare davanti agli imam di al-Azhar. Un mondo in continuo movimento quello delle donne
islamiche che dopo gli anni euforici dell’indipendenza degli stati arabi e con questa la modernizzazione
che le ha viste partecipi dei movimenti di liberazione ( Palestina, Algeria, Iran ) e dei movimenti
femministi. Con l’attivista egiziana Huda Sharawi che metteva alla base del suo credo il rispetto per
l’individuo la coscienza femminile delle donne arabe è cresciuta recuperando quell’identità della
donna islamica che il potere maschile aveva tolto loro. Proprio il Corano nella sua integrità, libero dalle
interpretazioni che il potere maschile ha dato della parola di Dio, offre alle donne del Profeta la via
della emancipazione nella tradizione islamica. Di femminismo all’occidentale le donne musulmane non
vogliono sentir parlare. Non c’è nulla da inventare, la donna islamica ha i mezzi se usati correttamente
per emergere in una società che in fondo le chiede aiuto. E’ dalle donne islamiche dalla educazione che
loro sapranno dare ai loro figli che nascerà una nuova società islamica non dagli estremismi maschili
che strumentalizzano la religione per i loro fini politici folli. Donne come l’egiziana Nawal Saadawi
che per prima ha aperto la discussione fra gli arabi sulle relazioni di autorità e sulla sessualità come
campo privilegiato della violenza. Fatema Mernissi sociologa marocchina che con i suoi libri ha
contribuito all’indagine della società islamica e all’analisi dei mezzi con cui le donne arabe-islamiche
possono partecipare alla storia dei loro paesi. Khalida Messaoudi attivista politica algerina.
Insegnante universitaria e scrittrice è stata una delle protagoniste della rivolta algerina degli anni
novanta contro l’integralismo islamico che iniziava a rivelarsi in tutta la sua ferocia rivolgendosi
proprio contro i pacifici musulmani d’Algeria. Assia Djebar , Malia Mokkadem, Joumana Haddad,
Aliya Mamdouh, scrittrici algerine, libanesi ,irachene che liberano la loro voce senza paure. Nacera
Benali giornalista algerina corrispondente dall’Italia. Shirin Ebadi iraniana, premio nobel per la pace
2003. A loro dobbiamo l’onestà nel raccontare e l’obbiettività nell’analizzare la società islamica che ha
caratteristiche proprie da un paese all’altro e entro i confini, da regione a regione. L’eguaglianza nel
mondo islamico fra uomini e donne si può realizzare attraverso la rilettura dell’Islàm e un ritorno al
pensiero del Profeta. Una delle particolarità dell’Islàm è la sua apertura e la possibilità di adattarsi alla
vita sociale e alle esigenze del presente. Le società musulmane di fronte alle crisi e ai cambiamenti
sociali devono fare lo sforzo ( igtihad ) necessario e rivedere i dogmi elaborati nei secoli passati dalle
scuole di diritto musulmano al fine di adattarli al presente. Bisogna separare la religione dalla gestione
delle società uscire dalla confusione tra le nozioni di identità e cittadinanza. Inoltre è necessario che gli
Stati musulmani adempiano agli impegni presi nell’aderire al sistema delle Nazioni Unite e adottare il
principio di uguaglianza tra i sessi che non è altro che una parte indivisibile del principio generale dei
diritti umani. E allora l’higiab, il velo ( non prescritto dal Corano ) non sarà più così importante, non
sarà più il simbolo dell’oppressione femminile islamica ma tornerà ad essere una tradizione semita
anteriore all’Islàm. Basta con le immagini delle donne islamiche velate che pure esistono ma solo in
quanto vittime di regimi maschilisti barbari e violenti. Il velo femminile nelle sue diverse
manifestazioni non sarà né imposto né proibito visto che entrambi i comportamenti sarebbero subiti
dalle donne. Visto che il Corano in proposito non si pronuncia, alle donne libertà di scelta a seconda del
luogo in cui vivono, della società in cui operano, della loro tradizione e della loro sensibilità. Esiste un
Islàm ( moderato, laico ) che non ha bisogno del velo per preservare la dignità femminile e che si
scandalizza di fronte all’Islàm-politico riemerso dopo la rivoluzione iraniana del 1978 con tutta la sua
violenza convinto che l’esercizio del potere non potesse prescindere dalla prassi dell’Islam. La guerra
civile libanese, la visita del presidente egiziano Sadat in Israele, la guerra tra Iran e Iraq, la crisi
Algerina faranno dell’Islàm una ideologia politica che non ha nulla a che vedere con il messaggio
coranico. Uomini come Dalil Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi, Soheib Bencheikh,
gran Mufti di Marsiglia, Monsignor Henri Teissier, arcivescovo di Algeri, Tahar Ben Jelloun scrittore
marocchino, ed altri intellettuali musulmani e non, lavorano per un Islàm del dialogo con la stessa
onestà con cui lavorano le donne, fiduciosi in un futuro di collaborazione e di convivenza civile.
Velo
‫حجاب‬
NellaSura XXXIII, versetto 59, leggiamo
“ O profeta! Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro
mantelli; questo sarà più atto a distinguerle dalle altre e a che non vengano offese.”
Un versetto che ha un intento quasi familiare. In seguito però leggiamo
” e dì alle credenti che abbassino gli sguardi, custodiscano le loro vergogne e non mostrino
troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo e non
mostrino le loro parti belle altro che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli,
o ai figli dei loro mariti, o ai loro fratelli, o ai figli dei loro fratelli o ai figli delle loro sorelle, o alle
loro donne, o alle loro schiave, o ai loro servi maschi privi di genitali, o ai fanciulli che non
notano le nudità delle donne” (XXIV,31 sura della Luce)
Questi versetti istituzionalizzano il velo nell’Islam ma per molto tempo rimasero lettera morta
visto che si era più preoccupati dell’organizzazione politica e sociale della umma islamica
piuttosto che alla divisione dei ruoli fra uomini e donne. Al tempo dei governanti Fatimidi del
Cairo le borghesi iniziarono a velarsi, dapprima senza dubbio per civetteria. Fu da quel
momento che indossare il velo diventò comune tuttavia le regioni dell’Islàm classico come
l’Andalusia non sembrarono preoccuparsi della questione. Con due teologi rigoristi come Ibn
Taymyya (1263-1328) e Ibn Al-Wahab(1703-1792) che auspicavano un ritorno ai fondamenti
dell’Islàm, vennero riattualizzati tutti gli elementi che facevano parte dell’identità visiva dei
credenti, uomini e donne. Oggi possiamo dire che il velo sia nato tra il tredicesimo e il
quattordicesimo secolo ma in entrambe i casi con la legittimazione del moralista dottrinario e
quella del predicatore religioso. Grazie all’affermazione dell’Islàm in nuove regioni che non
erano in precedenza musulmane e all’estrema politicizzazione di questa religione, oggi il velo
è diventato un segno di ostentata adesione all’Islàm più intransigente, un sego religioso che
veicola intorno a se ideologia più o meno restrittive. La prima di queste è l’affermazione senza
equivoci dei segni della fede rispetto ad un universo politico neutro, laico. La seconda è
un’ideologia di riconquista delle terre musulmane attraverso la re islamizzazione dei popoli
che, nella storia, erano già stati convertiti dalla predicazione di Muhammad.
In molti stati il velo non è più un obbligo legale.
Sono numerose le ragazze che in Egitto, in Turchia o in Algeria si sono sbarazzate del velo.
Quest’ultimo, soprattutto a partire dagli anni 80, è tornato però ad essere diffuso. In paesi
come Arabia Saudita, Oman, Emirati Arabi, Qatar, Kuwait le donne continuano a portare
spesso un velo che lascia scoperti solo gli occhi - niqab . In Turchia dopo la dissoluzione
dell’impero ottomano, i turchi hanno vissuto nello Stato laico fondato da Mustafa Kemal
Ataturk che nella sua campagna di modernizzazione del paese esortò le donne all’abbandono
del velo. Il partito di stampo islamico Akp guidato dall’attuale primo ministro Erdogan per il
momento non ha sollevato la questione. Il velo, tuttavia è ancora usato nella società turca,
soprattutto nelle regioni dell’Anatolia dove le donne tengono il capo coperto con una sciarpa o
uno scialle e al passaggio di un uomo, ne usano un lembo per coprirsi il volto. In Egitto il
governo è impegnato in una campagna di laicizzazione del paese. Nel tentativo di allontanare
il pericolo integralista che minerebbe la stabilità interna, le autorità si sono dette contrarie a
mostrare in televisione il velo islamico. Nelle città egiziane è frequente vedere donne senza
velo, quelle che lo usano indossano la tarha, un velo sottile, bianco o nero, usati per coprire i
capelli. In qualche caso si usa anche il niqab.Nella repubblica islamica dell’Iran è diffuso il
chador, un mantello nero, lungo fino ai piedi ma che lascia ben visibile il volto. Durante il
regime dello scià l’obbligo di indossarlo fu abolito ma fu reintrodotto dall’ayatollah Khomeini.
In lingua persiana chador significa casa, domicilio, difesa contro estranei. Dal 1983 le donne
sono obbligate a portare il chador o comunque a coprirsi la testa nei luoghi pubblici e sul
lavoro. In Afghanistan il velo non era obbligatorio ai tempi dello scià Zahir e venne abolito
dopo l’occupazione sovietica degli anni 70. Oggi però il velo, nella variante del burqa, è
profondamente radicato nella cultura afgana. Anche prima dell’avvento al potere dei talebani
nel 1996 le donne erano prigioniere della veste che le copre completamente. Dopo la caduta
del regime talebano il burqa continua ad essere diffuso malgrado che le donne afgane,
soprattutto in città, comincino a girare con il volto scoperto. In Marocco, paese islamico
moderato, le donne usano un foulard che nasconde i capelli. L’uso dell’hijab è in aumento e si
accompagna a un rinnovato fervore religioso sull’onda del dinamismo dei movimenti
integralisti. Soprattutto nel sud e nelle campagne si usa anche la jallaba, una sorta di tunica
con cappuccio legato sotto il mento e stretto intorno ai capelli. Un pezzo di stoffa jar può
coprire il volto, lasciando visibili solo gli occhi. In Arabia Saudita vige una rigida applicazione
del diritto islamico. Le donne saudite sono obbligate a indossare un mantello nero e il veloabaya- quando escono di casa per proteggere la propria modestia. Si tratta di una tunica che
copre le donne da capo a piedi, fino alle caviglie, lasciando scoperti solo gli occhi. In Qatar le
donne indossano il velo, mettendolo dai sette anni, e dal periodo dell’adolescenza coprono il
loro corpo interamente con la darraa un lungo vestito nero. Indossano inoltre una maschera
nera chiamata battoulah, che copre tutta la faccia tranne occhi, naso e bocca.
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