Scheda decentramento narrativo: il velo (doc 28,5Kb)

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"EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA E ALLA SOLIDARIETA':
CULTURA DEI DIRITTI UMANI"
IL RUOLO DELL’EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO NELLA COSTRUZIONE DI UNA
SCUOLA PIÙ APERTA AL MONDO: CONCETTI, METODI ED ESPERIENZE
Costanza Ventura
Suggerimenti metodologico-didattici
Scheda: Decentramento narrativo
La “questione del velo” visto da Oriente
La globalizzazione della cultura del nostro tempo rispetta seriamente le diversità o le crea dove non
ci sono, inventa alterità false? Nel numero di ottobre 1992 della Rivista “Linea d’ombra” sono stati
pubblicati alcuni interventi molto interessanti, di giovani scritti asiatici intervenuti al Convegno
“Nord Sud Est Ovest” organizzato da “Linea d’ombra”, che mettono in luce la contraddittorietà che
esprime la “corsa” alla globalizzazione della cultura secondo i criteri occidentali. Riportiamo parte
dell’articolo intitolato Rendere possibili le differenze di Amitav Ghosh, scrittore nato nel 1957 a
Calcutta, specializzato ad Oxford in Sociologia e Antropologia.
“Linea d’ombra” ha già pubblicato sul n. 53 dell’ottobre 1990 un’intervista allo scrittore dal titolo:
Per una scrittura nonviolenta e sul n. 57 del febbraio 1991 un suo racconto intitolato Un egiziano a
Baghdad.
“Oggi in Egitto si vedono moltissime donne con il velo. All’improvviso il velo è diventato una
questione centrale, in Egitto come in Iran, un punto nodale per definire la differenza culturale. E
questo non perché gli Egiziani pensano che il velo sia necessariamente parte di una tradizione culturale;
infatti, il velo non fa parte della tradizione culturale egiziana. Il velo è diventato un terreno di scontro.
Terreno di scontro non tra la tradizione egiziana e il modernismo egiziano, bensì tra l’Occidente e
l’Egitto. O se preferite tra l’Occidente e il resto del mondo. Ciò che vi è di più triste in questa situazione
è che le principali vittime di questa battaglia culturale sono le donne, ed è stato così durante tutto il
secolo scorso. Nel XIX secolo non c’è stato movimento, movimento nazionalista, che non abbia fatto
delle donne le portatrici dell’autenticità. Intendo dire che le donne sono diventate simbolo di autenticità
e l’autenticità è stata imposta loro che lo volessero o meno. Ed è tuttora così.
Ci troviamo dunque di fronte ad una reciproca invenzione. Da un lato c’è un Occidente che professa
un’ideologia liberale lontanissima dalla realtà attuale dell’Occidente, come ben sappiamo. Sappiamo tutti
che l’ideologia liberale taglia corto, ad esempio con i Neri in America, gli Irlandesi nel Regno Unito e in
molte circostanze con le donne e spesso con i bambini. Dall’altro lato abbiamo un autenticità inventata
che distrugge di fatto tutto ciò che è autentico. Quel tipo di autenticità che dice che per una donna
egiziana è autentico indossare il velo è assolutamente non autentica, significa inventare un’autenticità
che non esisteva.
Ciò che mi sembra davvero deprimente o forse sarebbe meglio dire spaventoso, è il modo in cui
l’ideologia liberale invoca sé stessa in situazioni di guerra. Gli anni Ottanta sono stati caratterizzati da
una serie di guerre punitive. Cominciarono con la guerra delle Falklands, e la motivazione di tale guerra
fu per gli Inglesi quella di distruggere una dittatura. Si trattava di una dialettica tra tirannia e libertà: noi
sconfiggiamo la dittatura, noi portiamo la libertà.
Panama fu ancora un trionfo assoluto della visione naipauliana: noi sconfiggiamo la dittatura, al suo
posto portiamo la libertà. Poi naturalmente ci fu Grenada – tutto molto simile. E infine la guerra contro
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l’Iraq, La Guerra del Golfo. Se pensate agli innumerevoli discorsi che hanno accompagnato questa
guerra, si potrebbe dire che ci sono stati discorsi razionalisti – la questione del petrolio, la questione
degli armamenti, in ultima analisi una questione d’interessi – e discorsi sulla tirannia, la corruzione, la
perfidia nei rapporti tra i popoli arabi. Sull’altro piatto della bilancia, invece, c’era un miraggio di libertà:
il Quwait cominciò a rappresentare la libertà, il ritorno del sovrano del Quwait un simbolo di libertà
alquanto improbabile.
La retorica della libertà. Anche se potremmo dire che la libertà è il fardello retorico dell’ideologia
liberale rispetto all’Oriente, sappiamo che in realtà è un fardello assai più antico. Recentemente,
leggendo I Lusiadi di Camões, il poeta portoghese seicentesco, una cosa mi ha colpito profondamente.
Il re del Portogallo dice molto esplicitamente a Vasco de Gama : 2Devi andare al di la dell’Oceano per
portare la libertà, la liberazione dai Mori”. In un certo senso è una retorica che risale ancora più
indietro, all’epoca delle Crociate. E non credo di esagerare dicendo che quando l’Occidente parla di
libertà dovemmo tutti diffidare: qualcosa di terribile sta per accadere! Voglio limitarmi a due ultime
considerazioni. Niente di più che semplici considerazioni.
La prima: in quale misura è possibile fare in una pratica sociale accettabile la base di confronto tra
culture? Credo che sia un problema da affrontare. Come reagiremmo, rovesciando le parti, se l’Iraq
dicesse: “Dobbiamo invadere l’Occidente perché fa violenza ai bambini”, oppure dobbiamo invadere
l’Occidente perché in Olanda ci sono troppi divorzi?”. È un’ipotesi del tutto plausibile, quanto meno se
tenete conto del tipo di discorso che si fa da una parte, e il tipo di discorso che si fa dall’altra; per
quanto possa sembrarvi ridicolo, è proprio questo il tipo di discorso. E naturalmente, nella sostanza
non è una questione di liberismo, né di diritti,. In ultima analisi diventa un discorso di potere. Alla fine
chi ha più potere vince, sconfigge l’altro. È dunque evidente che questa questione non può essere
risolta. Ho l’impressione che ci troviamo davvero ad una svolta cruciale per quanto riguarda la cultura.
Oggi la cultura è una cultura globale proprio nel senso che è complice dell’invenzione delle differenze,
dell’invenzione dell’alterità mai esistente prima. In molti casi oggi quando cerchi di dare un volto
all’alterità, quando cerchi di capire l’intera questione dell’alterità quali esempi puoi citare? Ogni volta ti
ritrovi davanti a un’alterità nata dal contatto causato proprio dalla globalizzazione della cultura. Allora la
prima domanda che dovremmo porci è questa: nella situazione attuale quale alterità è possibile?
Ovviamente è l’unica domanda che dobbiamo porci.
È possibile oggi l’alterità? Me lo chiedo davvero. Temo, infatti, che non esista neppure la possibilità.
Ecco perché credo che siamo giunti globalmente ad una svolta cruciale nella cultura. È diventata troppo
importante. In un contesto globale dobbiamo smettere di porre la questione della differenza in termini
globali, perché più la mettiamo in questi termini più le questioni diventano distruttive. Il ché non può
che portare a un infinito regresso.
Dobbiamo piuttosto concentrarci – e so che è la cosa più noiosa che uno possa dire – su questioni
noiose, il che significa creare istituzioni che creino la possibilità di far sopravvivere le differenze,
affinché la differenza sia davvero possibile. “
(A. Ghosh, intervista a “Linea d’ombra”, n. 57, febbraio 1991, pp. 44-46)
Per la riflessione:
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La questione del velo è posta allo stesso modo in tutti i paesi musulmani?
Come reagiremmo noi se ci invadessero altri popoli, in nome della libertà, o se l’Iraq
dicesse: “Dobbiamo invadere l’Occedente perché fa violenza ai bambini? Che cosa
s’intende, dunque, per retorica della libertà? Perché quando l’Occidente parla di libertà
dovremmo tutti diffidare?
“Globalizzare la cultura. Questo termine a un significato positivo o negativo?
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