L’insieme dei concetti e dei termini utilizzati nell’insegnamento scolastico per far riferimento agli oggetti che ricadono nell’ambito di studio della morfologia può essere considerato una “morfologia ingenua”, nel senso in cui Graffi (1994, pp. 25-33), ispirandosi a concetti sviluppati nell’ambito della matematica e della fisica, parla di una “sintassi ingenua”, che comprende l’uso intuitivo di nozioni che fanno riferimento a oggetti che cadono nell’ambito di indagine della sintassi (ad esempio, “frase”) e la formulazione di descrizioni non fondate su principi espliciti. Anche noi dovremo passare, nel corso dei diversi capitoli di questo libro, dalla presentazione di una morfologia ingenua a quella dei principi fondamentali del livello di analisi morfologica delle lingue. ex nota 6 cap 2 SBAGLIATA Questa è la definizione di paradigma oggi corrente negli studi di morfologia. La parola paradigma circola però anche con un altro significato, soprattutto in opere dedicate alla descrizione delle lingue classiche: in questa tradizione di studi, si indica a volte con paradigma un insieme di forme di un lessema, che nella pratica didattica tradizionale venivano fatte memorizzare agli studenti in modo che sulla base di esse potessero ricostruire le corrispondenti forme di altri lessemi. Ora, nel caso del nome latino i paradigmi da memorizzare contenevano tutte le forme flesse (ad esempio, rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosā, rosae, rosārum, rosīs, rosās, rosae, rosīs); nel caso dei verbi, invece, nella pratica didattica si faceva memorizzare solo un insieme di cinque forme (ad esempio, amō, amās, amāvi, amātum, amāre, o ferō, fers, tuli, lātum, ferre), dalle quali era possibile dedurre a che coniugazione appartenesse il verbo e quale fosse l’aspetto delle sue forme flesse. Dunque nel caso dei nomi la parola paradigma era usata in modo abbastanza coincidente con l’uso moderno, mentre nel caso dei verbi era usata non in riferimento a tutto l’insieme delle forme flesse, ma solo a un piccolo sottogruppo. Da questo uso del termine paradigma nella tradizione grammaticale grecolatina si è sviluppata anche l’accezione non tecnica del termine, che ha il senso di “modello” (come nell’espressione paradigma di virtù): infatti i paradigmi nominali e verbali studiati a memoria dovevano servire da modello per la generazione delle forme flesse di tutti gli altri lessemi della stessa categoria e della stessa classe di flessione. grado e perifrastiche Gli esempi considerati ci permettono di osservare anche un’altra differenza tra nomi e aggettivi in italiano. Nell’analisi grammaticale di bello, abbiamo indicato questa forma come “aggettivo di grado positivo”. Per gli aggettivi sono infatti tradizionalmente riconosciute forme flesse di grado positvo, come bello, e di grado superlativo, come bellissimo. nota morfoma morta: Luschützky (2000, p. 452) osserva che il termine morfema presenta una “malformazione congenita”, in quanto le regole del greco richiederebbero la forma morfoma: infatti i nomi in -ma sono deverbali, e il verbo è morphóō, non *morphéō (cfr. anche metamorfosi, non *metamorfesi). Per un’osservazione simile, cfr. già Aronoff, 1994, p. 175, nota 29. Vedremo in seguito (cfr. cap. 8) che nella morfologia contemporanea è utilizzato anche il termine morfoma, in un senso molto diverso da morfema. Come osserva Matthews, 1992, p. 158, le regole morfofonemiche “are not Chomsky’s main concern” In questo capitolo esporremo abbastanza in dettaglio le caratteristiche di un modello di morfologia a entità e disposizioni, mentre in un capitolo successivo XREF esamineremo i principali problemi che in esso si pongono e le soluzioni che ad essi possono essere date nell’ambito del modello stesso. È bene innanzitutto chiarire preliminarmente una cosa: il modello a entità e disposizioni non è identificabile con le proposte di un singolo autore, né di una singola scuola o di una singola epoca della storia del pensiero linguistico. È un modello ancora oggi presentato nella maggior parte dei manuali introduttivi di linguistica1, e le cui caratteristiche possono essere individuate anche in diverse correnti del pensiero grammaticale tradizionale, un modello che si è formato nel corso di decenni, se non di secoli. Nell’esposizione che segue, per non appesantire eccessivamente la trattazione con elementi di ricostruzione storica, faremo riferimento solo agli autori più noti il cui pensiero può essere inquadrato in questo modello. La prassi di utilizzare la parola morfema per riferirsi non a un segno bifacciale, ma anche alla sola faccia del significato di questo segno, ha avuto conseguenze importanti nella forma di modelli di grammatica del periodo postbloomfieldiano, sui quali torneremo. EPQuesto tipo di modello è quello che si è affermato ed è stato adottato nella linguistica nordamericana a partire almeno dagli anni ’50 del ventesimo secolo e fino agli anni ’70. 5.10 Il modello a entità e processi Nei paragrafi precedenti abbiamo visto alcuni casi che presentano delle difficoltà se li si vuole analizzare in base a un modello ad entità e disposizioni. Abbiamo già anticipato che molti fenomeni sono meglio inquadrabili in un modello a parole e paradigmi, che illustreremo nel capitolo XX. Un altro modello possibile, che è stato adottato in una lunga stagione della storia della linguistica, e che informa ancora oggi il modo di analizzare i dati adottato da molti studiosi, è un modello detto ad entità e processi. Questo tipo di modello rappresenta un po’ un modello di transizione fra modelli a entità e disposizioni e modelli a parole e paradigmi.2 In un modello a entità e processi, è possibile spiegare in modo molto naturale alcuni fatti che in un modello a entità e disposizioni possono essere solo constatati, ma non spiegati. Ad esempio, la distribuzione dei tre allomorfi //, //, // del morfema di “plurale” nei nomi inglesi, in un modello a entità e disposizioni può essere praticamente solo constatata: si constata che un morfema con il significato di plurale è rappresentato in contesti diversi da tre diversi allomorfi, in distribuzione complementare. Vediamo invece come questa distribuzione è analizzata in un modello a entità e processi. In questo tipo di modello, si parte dall’ipotesi che un morfema abbia una forma basilare, detta forma sottostante o soggiacente (in inglese, underlying representation): a questa forma di base possono applicarsi, in determinati contesti, diversi processi fonologici, che ne trasformano il significante. Ad esempio, si può ipotizzare che il morfema di plurale dell’inglese abbia come forma sottostante //, e che // subisca un processo di desonorizzazione se preceduto da una consonante sorda, e che nel contesto costituito da un morfo lessicale terminante in sibilante seguito da // si applichi un processo di epentesi di // al confine tra i due morfi. I due processi invocati per rendere conto della distribuzione di //, //, // sono fonologicamente motivati: si ha assimilazione di sonorità tra due consonanti contigue, e si ha epentesi vocalica per riparare una sequenza di due sibilanti, fonotatticamente non ben formata in inglese. Il modello a entità e processi non risolve però tutti i problemi presentati nel capitolo precedente. Ad esempio, il problema rappresentato dall’esistenza di un allomorfo -en per il plurale dei nomi in inglese, un allomorfo che ha una distribuzione limitata alla parola oxen, ma che occorre in un contesto fonologico nel quale potrebbe occorrere //, può essere risolto soddisfacentemente solo in un modello a parole e paradigmi. In un modello a entità e disposizioni, nulla potrebbe prevenire la 1 Si vedano su questo le osservazioni di Matthews, 1992, pp. 169-172). Robins (1959, p. 118) osserva che anche in un modello a parole e paradigmi è possibile fare riferimento a “processi” per descrivere un fenomeno; quindi un modello a entità e processi è più vicino a un modello a parole e paradigmi di quanto lo sia un modello a entità e disposizioni. 2 formazione di un plurale *oxes //, dato che // è l’allomorfo che normalmente appare dopo sibilanti. Però un modello a entità e processi risolve bene alcuni dei problemi difficili da risolvere in un modello a entità e disposizioni, in particolare i problemi presentati dai cosiddetti morfi sostitutivi e sottrattivi. Un caso come feet può essere analizzato come risultato di un processo fonologico (di anteriorizzazione della vocale) applicato all’entità foot, senza bisogno di postulare morfi discontinui, infissi, ecc. Ancor più soddisfacente è l’analisi in termini di entità e processi delle coppie di aggettivi maschili e femminili francesi visti in (28): si può partire dall’ipotesi che la forma femminile coincida con la forma sottostante del morfo lessicale, e che la maschile derivi da essa tramite un processo di troncamento della consonante finale. Un modello a entità e processi fondamentalmente permette di render conto di una gran quantità dei fenomeni di allomorfia tramite l’assunzione che diversi allomorfi vengano formati tramite l’applicazione a una forma soggiacente (un allomorfo base) di processi la cui motivazione è essenzialmente fonologica. Il modello a entità e disposizioni ha avuto grandissimo successo nella linguistica del ventesimo secolo: è stato sviluppato soprattutto negli anni ’40 e ’50 da studiosi appartenenti alla scuola dello strutturalismo nordamericano, fondata da Leonard Bloomfield (1887-1949), ed è il modello comunemente presentato nei manuali introduttivi di linguistica. Nei prossimi capitoli, quindi, lo presenteremo nel dettaglio. Anticipiamo però che questo modello, come vedremo, presenta dei limiti, e che molti studiosi specialisti di morfologia recentemente si sono pronunciati in favore di un ritorno all’adozione di un modello a parole e paradigmi per spiegare la natura delle relazioni tra le diverse forme flesse di uno stesso lessema. 3 go to the beach Considerando questo aspetto dell’obbligatorietà dell’uso di certe forme flesse (e trascurando, come vedremo, l’altro senso in cui si può parlare di obbligatorietà dell’espressione di certe categorie, cioè il caso in cui una certa categoria sia inerentemente espressa da un certo lessema o da una certa forma), alcuni autori (in particolare, Anderson 1982) hanno sostenuto che le forme flesse dei lessemi servono ad esprimere valori grammaticali che hanno rilevanza per la sintassi: «Inflectional morphology is what is relevant to the syntax» (Anderson 1982, p. 587). rendendo almeno parzialmente inadeguata la definizione di flessione proposta da Anderson e citata sopra cosiddetti strutturali, come ad esempio il nominativo e l’accusativo, che, nelle lingue che li possiedono, Alcuni influenti modelli correnti di teoria sintattica adottano una versione forte della split morphology, proponendo che tutta l’informazione flessiva, sia inerente che contestuale, sia associata a un lessema tramite regole sintattiche, e che le forme flesse si formino quindi in sintassi, secondo principi analoghi a quelli della formazione di sintagmi. Una versione pura di un modello che prevede la generazione sintattica delle forme flesse è difficilmente sostenibile. Un simile modello non permetterebbe di render conto di gran parte dei fenomeni passati in rassegna in questo capitolo (ad esempio, morfi che portano amalgamata 3 E dunque «morphologists could safely go to the beach», come osserva Anderson 1982, p. 571. informazione generata, dal punto di vista sintattico, sotto nodi diversi) nonché di altri fenomeni relativi all’ordine di morfi flessivi attestati nelle lingue È evidente che l’esistenza di amalgami costituisce un problema per modelli che vogliano generare le forme flesse dei lessemi in sintassi: come determinare, infatti, in quale momento della derivazione sintattica (quello nel quale si assegnano i tratti di numero o quello nel quale si assegna il caso) inserire il morfo che amalgama insieme queste due informazioni? I casi di amalgama latino appena visti amalgamano inoltre valori di due categorie che hanno un diverso status in rapporto ai lessemi di categoria nome: il numero è una categoria di tipo inerente, mentre il caso è una categoria di tipo contestuale. Questo tipo di amalgami rappresentano quindi un problema anche per versioni deboli di una teoria split morphology, in quanto non presentano una separazione tra entità portatrici di valori inerenti e entità portatrici di valori contestuali.4 ANDARE vado ANDARE vai v(a(d))-5 va andiamo andate vanno and-a- Innanzitutto, spieghiamo perché abbiamo usato la formula “stringa di fonemi” per denominare i due diversi rappresentanti di ciascun verbo, e non il termine “allomorfo”. In fondo, ciascuna coppia di stringhe che rappresenta uno stesso lessema verbale ha uno stesso significato lessicale, e i due membri della coppia occorrono in distribuzione complementare, quindi si potrebbe pensare che si tratti di allomorfi paradigmaticamente condizionati. I motivi per cui preferiamo non chiamare “allomorfi” questi rappresentanti del lessema verbale sono vari. Il principale è che alcune di queste stringhe possono essere analizzate come composte da più di un morfo: ad esempio, finisc- contiene sicuramente un elemento -scesco esco esci esci esce esce usciamo usciamo uscite uscite escono escono USCIRE siedo esco siedi esci siede esce sediamo usciamo sedete uscite siedono escono FINIRE finisco finisci finisce finiamo finite finiscono USCIRE USCIRE SEDERE FINIRE finisc- fin-i- USCIRE esc- usc-i- Inoltre, esiste un’altra accezione tradizionale della parola tema in relazione alla morfologia verbale italiana (e anche alla morfologia verbale di altre lingue, quali il latino e il greco, quando se ne discute in lingua italiana): si parla a volte di entità quali tema del presente, tema del perfetto, ecc., implicando che tutte le forme flesse contenute nelle celle di un paradigma che hanno in comune un certo valore della categoria di tempo, per esempio “presente”, siano formate sulla base dello stesso tema. Qui vediamo esattamente il contrario; se chiamassimo queste entità tema, dovremmo dire che un verbo come DOLERE ha quattro “temi del presente”, il che non corrisponde all’uso comune e 4 In altre lingue, per esempio in turco, i valori di numero e di caso sono rappresentati da morfi distinti. Ma un modello deve render conto di tutte le lingue esistenti, non solo di alcune. 5 Il verbo ANDARE presenta un’ulteriore suddivisione all’interno della stem1; per ragioni di spazio non affronteremo qui questo problema; per il ragionamento condotto nel testo, quello che conta è confrontare la distribuzione di una stem di ANDARE che comincia con /v/ con quella della stem che comincia con /and/. neppure allo spirito con il quale sono state coniate formule quali “tema del presente”: queste formule, nel contesto della grammatica tradizionale, sono utilizzate per riferirsi a forme