Spesa e sviluppo: verso un’analisi di efficacia della spesa pubblica Francesco PIGLIARU I dati che vengono presentati oggi rappresentano un importante passo in avanti in generale e per ricercatori che lavorano sui problemi della convergenza economica regionale in particolare. Mi è stato chiesto di dare un breve contributo alla discussione sulla valutazione dell’efficacia della spesa pubblica dal punto di vista dello sviluppo regionale. Nel farlo, farò riferimento all’analisi macroeconomica della convergenza per due motivi: primo, perché è il mio ambito di ricerca; secondo, perché ottenere un’accelerazione del tasso di crescita del Mezzogiorno tale da determinare una diminuzione del gap con il Centro-Nord e con la media europea è un obiettivo esplicitamente dichiarato in numerosi documenti del DPS e del Ministero dell’Economia. In altre parole, alla convergenza è affidato, in qualche misura, il ruolo di giudice (macroeconomico) di ultima istanza dell’efficacia della spesa pubblica. Nel mio intervento toccherò tre punti: 1. L’importanza di questi dati per l’analisi tradizionale di convergenza. 2. La necessità di essere cauti nell’uso dell’analisi di convergenza aggregata come strumento per valutare l’efficacia della spesa. 3. Un esempio di valutazione dell’efficacia degli investimenti infrastrutturali suggerito dalle cautele di cui al punto 2. Punto 1. L’importanza dei dati che ho ricevuto in questi giorni può essere meglio valutata se si fa qualche passo indietro per ricordare – solo per un attimo – lo stato della ricerca di non molti anni fa in tema di convergenza regionale in Italia. Cito un articolo del 199537 – uno dei primi sull’argomento – in cui si applicava il metodo della Extreme Bound Analysis (EBA) per valutare la robustezza delle correlazioni individuate dalle regressioni cross-section allora in voga (il periodo di analisi era il 1970-89). La grande ricchezza di dati già allora disponibile si traduceva in una imbarazzante povertà per quel che riguardava il settore pubblico. La variabile disponibile era la “spesa consolidata dello Stato in rapporto al PIL”, oppure “Consumi della P.A. in rapporto al PIL”, in cui non erano ovviamente incluse le spese in conto capitale. In quell’analisi, solo tre variabili superarono il test di “robustezza” statistica basata sul metodo EBA: • • • La quota manifatturiera nel Pil (+) Un indice infrastrutturale (+) I consumi P.A. (-) La robustezza della relazione negativa tra Consumi P.A. e crescita fu ritenuta particolarmente interessante, trovò conferme in numerosi lavori successivi, pose importanti interrogativi a cui la limitatezza dei dati allora disponibili non consentì di rispondere in modo adeguato. Di fronte a quei risultati, l’unica conclusione che apparve legittima fu quella pessimista che enfatizza il ruolo distorsivo dell’intervento pubblico – un ruolo ben spiegato da Baumol38 e dalla letteratura che sottolinea come l’opportunità di rent-seeking assorbe in attività improduttive 37 R.Paci e F. Pigliaru (1995), Differenziali di crescita nelle regioni italiane: un'analisi cross-section, Rivista di Politica Economica, LXXXV, pp. 3-34. 38 W.J. Baumol, Entrepreneurship: productive, unproductive, and distructive, Journal of Political Economy, 1990, vol. 98. 81 Spesa e sviluppo: verso un’analisi di efficacia della spesa pubblica FRANCESCO PIGLIARU parte della limitata dotazione di capacità imprenditoriale presente nel territorio, con pessimi risultati per le prospettive di crescita. Questa conclusione sul ruolo della spesa pubblica è quasi sicuramente troppo pessimista. I dati di cui oggi disponiamo sono importanti perché ci permetteranno di distinguere ciò che crea danni da ciò che può agevolare lo sviluppo. I vantaggi sono evidenti: • • • Primo, i nuovi dati distinguono con chiarezza tra spesa corrente e spesa in conto capitale. Secondo, aprono la scatola nera della spesa in conto capitale, innanzitutto distinguendo tra “investimenti in infrastrutture materiali e immateriali” e spesa per “trasferimenti”. Questo è un punto cruciale per capire quale grado di “neutralità” è ottimale per favorire uno sviluppo duraturo. Terzo, consentono di valutare singole, disaggregate allocazioni settoriali sia della spesa in conto capitale nel suo complesso, che della componente investimenti. Che questo tipo di analisi sia importante per il nostro campo di indagine, è evidente non appena si dà un’occhiata alle differenze tra le macro aree proprio nella composizione della spesa di investimento. Tra le cose evidentemente importanti che sono subito rivelate dai nuovi dati, mi limito a citare le seguenti: • • • Il fatto che la spesa nel Sud sia sbilanciata a favore dei trasferimenti, per esempio, fornisce una interessante ipotesi la cui capacità esplicativa potrà essere valutata con cura. Il fatto che il Sud spenda meno in infrastrutture materiali e immateriali è certamente un dato importante e preoccupante. Non solo. All’interno della spesa per infrastrutture, la spesa meridionale mostra una chiara debolezza relativa in voci che si riferiscono a infrastrutture immateriali in cui il gap con il Centro Nord è presumibilmente particolarmente alto (Sicurezza, Istruzione, Formazione, R&S, Cultura, Sanità). E’ probabile che questi dati rivelino componenti importanti di una spiegazione, tuttora carente, dell’ampiezza e della persistenza dei differenziali regionali di sviluppo. Punto 2. Le nostre analisi tradizionali di convergenza saranno dunque molto migliori grazie a questi dati. Ora passiamo al secondo argomento: l’analisi della convergenza ci può aiutare a valutare l’efficacia della spesa? Se sì, in che modo? Qui le cose non sono semplici come possono sembrare a prima vista. Non possiamo aspettarci che la relazione tra spesa e convergenza sia lineare. Due esempi. Un incremento della spesa può generare, per ovvi motivi, convergenza nel breve periodo. Se un obiettivo è passare in pochi anni dal 39% al 45% della spesa complessiva allocata al Sud, l’eventuale convergenza che accompagnerà questa azione è un risultato meccanico, non un indice di efficacia. Secondo. Nella situazione attuale di alcune regioni meridionali, ridurre al spesa per trasferimenti a favore di quella per infrastrutture materiali e immateriali potrebbe, in qualche caso, determinare persino divergenza – ma ciò non dovrebbe essere letto come un segnale di inefficacia dell’azione adottata. Per esempio, la politica adottata potrebbe determinare la chiusura di aziende assistite ad alta produttività, che non hanno ragione di esistere al di là dell’essere, appunto, assistite. Nella trasformazione strutturale da aziende assistite a aziende che, anche per merito di una migliorata infrastrutturazione, sfruttano in modo adeguato vantaggi comparati reali, niente garantisce che i differenziali regionali diminuiscano. Nonostante ciò, politiche di questo tipo potrebbero (dovrebbero) essere legittimamente giudicate positive. 82 Spesa e sviluppo: verso un’analisi di efficacia della spesa pubblica Se qualcuno pensa che questi casi riguardino solo il breve o medio periodo, rischia di sbagliare. Se infatti ha ragione quella parte della New Economic Geography che si occupa di agglomerazione e crescita,39 le cose starebbero più o meno così. In assenza di interventi distorsivi, ogni area dovrebbe specializzarsi sulla base dei propri vantaggi comparati, con il settore ad alto valore aggiunto che tende ad agglomerarsi nel core, e a emigrare dalla periferia. In questo processo, la periferia perde staticamente ma guadagna dinamicamente: infatti, l’agglomerazione nel core accelera il progresso tecnologico applicato a beni che verranno consumati anche in periferia. La conseguenza è che chi vive in periferia potrebbe star meglio anche in presenza di un gap che è (necessariamente) aumentato. Una politica corretta non contrasta la tendenza all’agglomerazione, benché ad essa possano accompagnarsi incrementi nei gap. Valutare l’efficacia della spesa sulla base della dinamica della convergenza aggregata può dunque condurre a conclusioni sbagliate. Punto 3. Detto delle cautele nell’usare come riferimento ultimo la convergenza aggregata, metodi meno generici di valutazione macroeconomica possono essere comunque individuati. Un esempio è fornito da un recente articolo40 sulle regioni spagnole. Gli autori di questo lavoro impiegano una tecnica che permette di valutare l’impatto diretto e indiretto di una politica di investimenti pubblici sulla convergenza aggregata L’approccio adottato parte dalla seguente premessa metodologica: per essere efficace nel favorire sviluppo duraturo, una politica di investimenti pubblici non deve avere solo effetti diretti nei settori immediatamente coinvolti dall’azione pubblica (settore pubblico, edilizia, energia), ma deve avere un effetto indiretto e positivo nel settore privato che non è immediatamente coinvolto nell’investimento (manifattura e servizi privati). Questo approccio supera le obiezioni di cui sopra. Nel riconoscere l’importanza della struttura produttiva nella determinazione della performance regionale, qui si sposta correttamente l’enfasi dall’analisi aggregata a quella settoriale. Dal punto di vista dell’analisi della convergenza regionale, questo spostamento di enfasi ha chiare implicazioni per la valutazione della spesa. Per fare un solo esempio, possiamo classificare come buona politica infrastrutturale, un intervento che generi convergenza della produttività intra-settoriale in attività che, primo, non sono coinvolte direttamente dalla spesa pubblica in questione e, secondo, in cui la regione in questione abbia riconosciuti vantaggi comparati. (Per la cronaca, in Spagna gli effetti indiretti sono risultati nulli o molto deboli.) Una buona politica infrastrutturale dovrebbe infatti facilitare il riconoscimento e lo sfruttamento efficiente di vantaggi comparati localmente determinati. Se riesce a fare questo, deve essere giudicata positivamente. Se poi lo sfruttamento efficiente dei vantaggi comparati (che, diversamente dalla capacità di sfruttarli, in generale non dipendono dalla policy) permette o meno di diminuire il gap di reddito o di produttività ereditato dal passato, è un argomento in se molto importante ma di secondaria (in senso stretto) importanza nella valutazione di efficacia. 39 Si veda il recente, ottimo libro di R. Baldwin et al. (2003), Economic Geography and Public Policy, Princeton: Princeton University Press, e in particolare il capitolo 7. 40 R. Marimon e T. Garcia-Milà, Regional integration and public investiment in Spain, in: J.Adams e F. Pigliaru (a cura di), Economic Growth and Change, Elgar, 1999. 83