Terapia e profilassi antinfettiva nel paziente oncologico D. Amadori Terapia e profilassi antinfettiva nel paziente oncologico D. Amadori Divisione Oncologia Medica Ospedale “G.B. Morgagni - L. Pierantoni”, Forlì Copyright ©1997 by Pharma Project Group S.r.l. Via Carcano, 40 - 21047 Saronno (VA) Realizzazione editoriale: Pharma Project Group Edizioni Scientifiche - Via Carcano, 40 - 21047 Saronno (VA) Stampa: Centro Grafico Linate I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. Prefazione Sono trascorsi esattamente 30 anni da quando il Dr Gerald P. Bodey, oggi Professore Emerito presso l’MD Anderson Cancer Center di Houston, riportava per la prima volta la correlazione quantitativa fra neutropenia e rischio infettivo nel paziente oncologico. Da quel primo articolo, apparso su Annals of Internal Medicine, si è accumulata una tale mole di lavori clinici e sperimentali che è oggi ben difficile, anche per il clinico più esperto, districarsi in questo campo inesauribile e tuttavia in continua espansione. Ogni anno vengono pubblicate centinaia di articoli sulle complicanze infettive nel paziente oncologico e ciò nondimeno sono rarissimi, per quanto ci è noto, i volumi espressamente dedicati a questo argomento. Nella maggior parte dei casi l’aggiornamento si basa su due opzioni: la consultazione di specifiche e brevi review su singoli argomenti o la consultazione di trattati di malattie infettive dove è possibile trovare, a margine del singo- lo capitolo e nella migliore delle ipotesi, il paragrafo dedicato al paziente oncologico. Fra il 1990 ed i primi mesi del 1997 sono stati pubblicati in lingua inglese solo cinque titoli dedicati alle complicazioni infettive in soggetti immunocompromessi e solo due di essi, uno curato da Glauser e l’altro da Klasterky, sono espressamente dedicati alle complicanze infettive nel paziente oncologico in chemioterapia. E’ stato quindi per me un grande piacere accogliere l’invito del Gruppo Editoriale Pharma Project a trattare questo argomento in un’opera che, anche se di dimensioni contenute, rappresenta la prima esposizione aggiornata in italiano di questo importante aspetto della nostra pratica clinica. Vorrei tuttavia informare subito il lettore di alcune “anomalie” che sembrano affliggere questo volume: in primo luogo, non sono trattate in modo esaustivo tutte le infezioni potenzialmente riscontrabili nel paziente oncologico; la seconda caratteristica, del tutto III voluta, è costituita dalla suddivisione atipica degli argomenti. Per quanto riguarda il primo aspetto, riteniamo quantomeno presuntuoso, specialmente per un singolo autore, trattare in dettaglio l’intero spettro delle complicanze infettive in questa classe di pazienti, un terreno che richiede le più svariate competenze, dalla dermatologia all’infettivologia, dalla neurologia alla diagnostica per immagini. Per quanto riguarda la suddivisione non convenzionale degli argomenti trattati, essa è direttamente correlata a questo primo aspetto, nonchè agli obiettivi concordati con l’Editore. Non potendo trattare in dettaglio tutte le manifestazioni infettive, ed avendo questo volume come unica pretesa quella di dimostrarsi un agile strumento di consultazione, si è preferita la suddivisione delle infezioni per organo interessato piuttosto che per singolo patogeno. Ciò ha consentito di fo- calizzare la nostra attenzione solo su talune complicanze infettive, quelle più ricorrenti o più drammatiche o, in alcuni casi, quelle più attuali. Restano escluse, per esempio, tutte le infezioni cutanee, che pure occupano tanta parte della nostra attenzione e delle nostre terapie, nonchè le infezioni sostenute da ceppi microbici emergenti ma ancora, fortunatamente, di raro riscontro. Alla luce di queste osservazioni il volume sarà certamente ritenuto da molti lettori incompleto e di ciò ci scusiamo fin da ora; siamo tuttavia convinti che una trattazione più esaustiva avrebbe richiesto sforzi di gran lunga maggiori, tempi più lunghi e sicuramente si sarebbe rivelata meno puntuale. Uno dei nostri obiettivi era invece quello di editare un volume aggiornato e, consultando la letteratura fino al primo semestre del ‘97, crediamo di essere riusciti nell’intento. DINO AMADORI Divisione di Oncologia Medica Ospedale “Pierantoni” Forlì IV Indice Prefazione Introduzione 1 Aspetti immunitari del paziente oncologico III 1 5 2 L’ecosistema microbico nel paziente oncologico 15 3 Quadri clinici e schemi terapeutici 21 4 Terapia della neutropenia febbrile 57 5 Profilassi antinfettiva nel paziente a rischio di neutropenia febbrile 69 Indice analitico 79 NOTA: La Medicina è una scienza in continuo divenire. L’autore, i curatori, e l’editore di questa opera hanno posto ogni cura nel garantire la precisione dei dosaggi riportati, in accordo con le conoscenze scientifiche e gli standard generalmente accettati dalla comunità scientifica al momento della pubblicazione. Tuttavia i lettori dovranno sempre verificare le informazioni specifiche che accompagnano ogni prodotto farmaceutico citato, per assicurarsi che non siano sopraggiunte nuove controindicazioni e che i dosaggi raccomandati siano quelli realmente suggeriti dalle aziende produttrici, in modo particolare per i farmaci di recente introduzione o raramente utilizzati. Introduzione Con l’introduzione di protocolli di polichemioterapia antiblastica sempre più efficaci, l’aspettativa di vita dei pazienti neoplastici è oggi considerevolmente migliorata. L’uso di regimi sempre più aggressivi comporta tuttavia considerevole deficit midollare a carico di una o più linee emopoietiche. Per consentire, quindi, la somministrazione delle dosi pianificate secondo scheduling ben precisi, il paziente neoplastico è sempre più spesso sottoposto a periodi di intenso e protratto deficit immunitario. Ne consegue che le complicanze infettive costituiscono oggi una delle principali cause di morbilità e mortalità in questa classe di soggetti. In molti studi clinici è stato riportato che oltre il 60% dei pazienti con neutropenia (neutrofili <500 cellule/µL) incorre in processi infettivi nel corso della neutropenia o nelle settimane immediatamente successive. Fortunatamente, la maggior parte degli episodi può essere oggi trattata con successo, grazie al- l’introduzione di terapie antibiotiche empiriche ad ampio spettro. Benchè esistano diversi approcci terapeutici, il valore della terapia empirica rimane indiscutibile, in modo particolare durante le prime 72 ore dalla comparsa della febbre. Nonostante l’ampia disponibilità di antibiotici, antifungini ed antivirali, le continue mutazioni dell’ecosistema microbico rendono necessario il costante aggiornamento delle strategie terapeutiche, sia per i rilevanti costi sanitari che in conseguenza della crescente emergenza di ceppi batterici multiresistenti. Il rilevante significato della terapia antibiotica empirica nel paziente con neutropenia febbrile è stato riconosciuto solo all’inizio degli anni ‘60, allorchè la maggiore conoscenza del sistema immunitario, nelle sue varie componenti, rese possibile correlare direttamente l’aumentata incidenza di specifiche infezioni a specifici deficit immunitari. E’ infatti oggi ben noto che i differenti tipi di deficit immunitario in1 TERAPIA E PROFILASSI ANTINFETTIVA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO fluenzano significativamente la natura, la frequenza e la gravità delle infezioni opportunistiche. Si è inoltre evidenziato che in questa classe di pazienti i segni tipici dell’infiammazione sono generalmente ridotti e talvolta assenti, con la sola presenza di febbre di grado medio. L’assenza di edema, eritema ed essudato purulento hanno quindi costituito nel recente passato, insieme all’incapacità di identificazione del patogeno in tempi rapidi, motivo sufficiente a ritardare la terapia fino alla positivizzazione dei reperti diagnostici. In conseguenza di tale approccio terapeutico, fino ai primi anni ‘70 la mortalità per sepsi nei pazienti oncologici raggiungeva valori allarmanti. Fortunatamente, verso la metà degli anni ‘70 sono divenuti disponibili antibiotici altamente efficaci verso i patogeni più pericolosi e frequentemente coinvolti nei processi infettivi. Nei primi anni ‘80 sono state introdotte le cefalosporine di terza generazione, seguite da monolattamici, chinolonici e, poco più tardi, dai primi βlattamici di nuova concezione: i carbapenemici. La disponibilità di questi farmaci, sia in monoterapia che in varie combinazioni, ha aumentato sensibilmente le possibilità di controllo della neutropenia febbrile, consentendo inoltre un’applicazione più rigida ed efficace dei protocolli pianificati. Oggi la mortalità per setticemia e polmonite, i siti più frequenti di infezione in questa classe di pazienti, si aggira fra il 10% ed il 30% in funzione del microrganismo coinvolto, del grado e della durata della neutropenia. Nonostante questi successi, il paziente con neutropenia febbrile va comunque considerato un “soggetto ad imminente pericolo di vita”, costituendo ancora oggi una sfida terapeutica. Ciò è correlato alle continue variazioni dell’ecosistema microbico, in conseguenza anche del vasto uso di antibiotici ad ampio spettro in condizioni cliniche estranee alla granulocitopenia che non sempre ne avrebbero giustificato l’impiego. L’analisi delle variazioni microbiche, intervenute nel corso dell’ultimo decennio, non sembra lasciare spazio a future stabilizzazioni; ulteriori variazioni nell’epidemiologia dei “patterns” infettivi sono attese nei prossimi anni. L’aumento dei trattamenti antiblastici in regime ambulatoriale, l’uso di cateteri permanenti intravascolari e combinazioni immunosoppressive sempre più efficaci, oltre al crescente aumento del trapianto di midollo, altereranno sensibilmente la prevalenza di alcune specie microbiche rispetto ad altre. E’ anche possibile prevedere fin da oggi un’aumentata incidenza di organismi multiresistenti, correlata all’uso massivo e prolungato di terapie empiriche e profilattiche con antibatterici ad ampio spettro: ne sono già ora un esempio le emergenti infezioni fungine di vari generi di Candida non-albicans rispetto al genere albicans, nettamente prevalente fino agli anni ‘80, o il riscontro sempre più frequente di stafilococ2 INTRODUZIONE chi meticillina- e vancomicina-resistenti. L’insieme di queste osservazioni indica che particolare oculatezza andrà posta nella scelta del regime terapeutico più idoneo per quel determinato paziente, tenendo conto oltre che della risposta clinica, anche dei costi e dell’interferenza con l’ecosistema stesso. Ciò è oggi possibile grazie al crescente numero di antibiotici disponibili, al loro spettro sempre più ampio e, in alcuni casi, all’impiego efficace della via orale per la profilassi a lungo termine. Vi è tuttavia ancora un no- tevole dibattito su quale sia la terapia empirica ottimale, sulla sua corretta durata e, soprattutto, sui vantaggi della terapia combinata rispetto alla monoterapia. Benchè una notevole mole di dati clinici abbia chiaramente dimostrato l’efficacia dei regimi combinati, i più recenti antibiotici ed in modo particolare alcune cefalosporine di terza generazione ed i carbapenemici, si dimostrano molto promettenti anche in monoterapia, nella gestione delle complicanze infettive del paziente neutropenico. 3 1 Aspetti immunitari del paziente oncologico Le complicanze infettive costituiscono ancora oggi la principale causa di morte nel paziente oncologico, vanificando sovente i risultati sulla sopravvivenza ottenuti con l’introduzione di regimi terapeutici più efficaci e mirati. Le infezioni costituiscono inoltre un’importante causa di morbilità e, non ultimo, contribuiscono ad incrementare significativamente i costi di gestione di questa classe di pazienti. L’aumentato rischio infettivo risulta essere correlato, nel paziente oncologico, all’alterazione delle barriere fisiche e chimiche che, in condizioni di normalità, rendono particolarmente difficoltoso l’accesso dei microrganismi all’ambiente interno, nonchè alle alterazioni dell’immunità umorale e cellulare (Tabella 1.1). Nel paziente oncologico, soprattutto nelle fasi avanzate e quando sottoposto a trattamenti citostatici intensivi, si verificano importanti e durature alterazioni dei meccanismi protettivi nei confronti delle infezioni. In molte neo- plasie ematologiche inoltre, l’intera produzione midollare può essere gravemente compromessa dalla malattia di fondo, indipendentemente dai trattamenti farmacologici adottati. Nelle pagine successive verranno riportate le alterazioni immunitarie più frequentemente riscontrate nel paziente oncologico, o comunque quelle meglio caratterizzate e più direttamente correlate alle complicanze infettive. Neutropenia Il deficit immunitario più frequentemente riscontrato nei pazienti oncologici è la neutropenia, definibile come una conta assoluta dei neutrofili inferiore a 1000 cellule/µL. Questa condizione espone ad un aumentato rischio di infezioni, soprattutto batteriche e micotiche. Il rischio è tanto maggiore quanto più la neutropenia è grave e protratta nel tempo: si è osservato che, nel corso di un episodio di neutropenia (300 cell/µL), circa il 40% 5 TERAPIA E PROFILASSI ANTINFETTIVA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO Tabella 1.1. Difese antimicrobiche dell’organismo umano Barriere fisiche Barriere chimiche febbre clearance tracheobronchiale epiteli cutanei e mucosi peristalsi intestinale drenaggi all’esterno secrezioni mucose secrezioni acide gastriche enzimi proteolitici gastrici secrezioni biliari cerume sudore Immunità cellulare Immunità umorale monociti circolanti fagociti tissutali linfociti NK network delle citochine immunoglobuline circolanti immunoglobuline locali (IgA) complemento dei pazienti sviluppa un’infezione clinica, tuttavia, se la neutropenia persiste per più di 12 settimane la frequenza sale al 100%(1). L’analisi seriale degli episodi infettivi in pazienti con neutropenia di vario grado ha permesso di stabilire una correlazione fra conta neutrofila e frequenza degli episodi infettivi (Figura 1.1). Ad una bassa conta dei neutrofili si accompagna spesso febbre superiore ai 38°C, da cui la definizione di neutropenia febbrile(2). La neutropenia può essere causata dalla neoplasia come tale, nel caso di tumori ematologici o, molto più spesso, può essere conseguenza dei regimi chemioterapici adottati. Nell’individuo normale, i neutrofili svolgono un ruolo cruciale nell’innesco della risposta immune ed infiammatoria e quindi nel controllo delle infezioni, sia liberando enzimi lisosomali e so- stanze inibenti la crescita microbica, sia attivando i macrofagi e la fagocitosi. La neutropenia si caratterizza per una serie di deficit anche qualitativi (Tabella 1.2), la cui precisa identificazione comporta varie procedure analitiche (3). La conta differenziale dei neutrofili permette di valutare solo quantitativamente il deficit neutropenico. La valutazione qualitativa si basa invece sull’osservazione di dimensioni, forma e struttura del nucleo in microscopia ottica e sull’espressione di specifici marcatori di membrana: CD11a,b,c e CD18, rilevabili mediante immunofluorescenza ed analisi citofluorimetrica. Per “burst respiratorio” si intende quella serie di reazioni enzimatiche che, generando intermedi reattivi dell’ossigeno, svolgono un efficace ruolo microbicida. Deficit della funzione gra6 CAPITOLO 1. ASPETTI IMMUNITARI DEL PAZIENTE ONCOLOGICO Figura 1.1. Frequenza degli episodi infettivi in relazione alla conta dei neutrofili circolanti ricostruita sulla base dei dati riportati in vari trial clinici 60 Frequenza delle infezioni (%) 50 40 30 20 10 0 0 100 200 300 400 500 600 700 800 Neutrofili nulocitaria causano una maggiore incidenza di infezioni batteriche e, se la neutropenia si protrae per più di una settimana, anche micotiche. Nel 5070% dei pazienti neutropenici con febbre, non è possibile identificare un particolare organismo patogeno nè l’organo sede di infezione: si parla quindi di febbre di origine ignota (“fe- 900 1000 2000 3000 ver of unknown origin” - FUO). Nel restante 30-50% dei casi, l’infezione può essere invece documentata microbiologicamente. Nel corso degli anni è stato possibile identificare situazioni particolari che, più frequentemente di altre, sembrano richiedere una particolare sorveglianza nel paziente neutropenico (Tabella 1.3). Tabella 1.2. Valutazione quali-quantitativa del deficit neutrofilo Saggi di primo livello Saggi di secondo livello Analisi morfologica Valutazione dell’espressione di CD11 e CD18 Valutazione del “burst respiratorio” test del nitroblu di tetrazolio test citofluorimetrico Tests di chemiotassi finestra cutanea di Rebuck chemiotassi in vitro camera di Boyden saggio in soft agar “Burst respiratorio” produzione di superossidi chemoluminescenza Attività antimicrobica in vitro 7 TERAPIA E PROFILASSI ANTINFETTIVA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO Tabella 1.3. Situazioni cliniche ad elevato rischio nel paziente con deficit neutrofilo Situazione Patogeno necrosi e follicolite cutanea stafilococchi, Pseudomonas, miceti cateteri intravascolari; puntura midollare stafilococchi meticillina-resistenti stomatiti; ascessi dentari anaerobi ascessi perianali anaerobi/aerobi Gram-positivi ascessi retinici miceti, stafilococchi, citomegalovirus Queste situazioni richiedono una vigilanza particolare perchè il quadro clinico non rispecchia la gravità della situazione, essendo spesso minimizzati i segni classici dell’infiammazione. ne regolatoria e controllano le risposte immuni sia di tipo umorale (produzione di anticorpi da parte di linfociti B attivati) sia di tipo cellulare (attività litica dei linfociti T citotossici, di cellule NK, reclutamento di monociti e macrofagi), importanti nel controllo delle infezioni. I linfociti T producono inoltre una serie di citochine, interleuchine, interferoni (IFN-α e -γ), fattori di necrosi tumorale (TNF-α e -β), che hanno effetti pleiotropici inquadrabili in tre diverse categorie (Tabella 1.4): • attività immunoregolatoria • attività proinfiammatoria • attività emopoietica. Il deficit a carico dei linfociti T può essere sia quantitativo che funzionale. Tra i saggi più importanti (Tabella 1.5) vi è ancora la conta differenziale: in situazione normale i linfociti T rappresentano circa i 3/4 dei linfociti totali, ed una loro riduzione numerica riduce sensibilmente l’intera popolazione linfocitaria(3). Il test cutaneo di ipersensibilità ritardata costituisce una procedura semplice e poco costosa per stimare la funzionalità dei linfociti T Deplezione dei linfociti T Dopo la neutropenia, l’anomalia più frequentemente osservata nei pazienti oncologici è il deficit dei linfociti T con conseguente compromissione dell’immunità cellulo-mediata. Tale difetto può essere causato da trattamenti con corticosteroidi e chemioterapici, in particolare se vengono impiegati agenti alchilanti quali ciclofosfamide e cisplatino. Interessa soprattutto i pazienti con malattia di Hodgkin, linfomi non-Hodgkin e leucemia a cellule capellute (HCL). I linfociti T costituiscono una popolazione cellulare estremamente eterogenea: alcuni di essi (linfociti T citotossici CD8+) hanno funzione effettrice e intervengono direttamente nell’eliminazione delle cellule infettate da virus; altri, come i linfociti T helper CD4+ hanno funzio8