Terapia e profilassi antinfettiva
nel paziente oncologico
D. Amadori
Terapia e profilassi antinfettiva
nel paziente oncologico
D. Amadori
Divisione Oncologia Medica
Ospedale “G.B. Morgagni - L. Pierantoni”, Forlì
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Prefazione
Sono trascorsi esattamente 30 anni da
quando il Dr Gerald P. Bodey, oggi
Professore Emerito presso l’MD Anderson Cancer Center di Houston, riportava per la prima volta la correlazione quantitativa fra neutropenia e
rischio infettivo nel paziente oncologico. Da quel primo articolo, apparso
su Annals of Internal Medicine, si è accumulata una tale mole di lavori clinici e sperimentali che è oggi ben difficile, anche per il clinico più esperto,
districarsi in questo campo inesauribile e tuttavia in continua espansione. Ogni anno vengono pubblicate
centinaia di articoli sulle complicanze
infettive nel paziente oncologico e ciò
nondimeno sono rarissimi, per quanto ci è noto, i volumi espressamente
dedicati a questo argomento. Nella
maggior parte dei casi l’aggiornamento si basa su due opzioni: la consultazione di specifiche e brevi review su
singoli argomenti o la consultazione di
trattati di malattie infettive dove è
possibile trovare, a margine del singo-
lo capitolo e nella migliore delle ipotesi, il paragrafo dedicato al paziente
oncologico. Fra il 1990 ed i primi mesi
del 1997 sono stati pubblicati in lingua inglese solo cinque titoli dedicati
alle complicazioni infettive in soggetti immunocompromessi e solo due di
essi, uno curato da Glauser e l’altro
da Klasterky, sono espressamente dedicati alle complicanze infettive nel
paziente oncologico in chemioterapia.
E’ stato quindi per me un grande piacere accogliere l’invito del Gruppo
Editoriale Pharma Project a trattare
questo argomento in un’opera che,
anche se di dimensioni contenute, rappresenta la prima esposizione aggiornata in italiano di questo importante
aspetto della nostra pratica clinica.
Vorrei tuttavia informare subito il lettore di alcune “anomalie” che sembrano affliggere questo volume: in primo
luogo, non sono trattate in modo esaustivo tutte le infezioni potenzialmente riscontrabili nel paziente oncologico; la seconda caratteristica, del tutto
III
voluta, è costituita dalla suddivisione
atipica degli argomenti. Per quanto
riguarda il primo aspetto, riteniamo
quantomeno presuntuoso, specialmente per un singolo autore, trattare in dettaglio l’intero spettro delle
complicanze infettive in questa classe di pazienti, un terreno che richiede le più svariate competenze, dalla
dermatologia all’infettivologia, dalla neurologia alla diagnostica per
immagini. Per quanto riguarda la
suddivisione non convenzionale degli argomenti trattati, essa è direttamente correlata a questo primo
aspetto, nonchè agli obiettivi concordati con l’Editore. Non potendo
trattare in dettaglio tutte le manifestazioni infettive, ed avendo questo
volume come unica pretesa quella di
dimostrarsi un agile strumento di
consultazione, si è preferita la suddivisione delle infezioni per organo
interessato piuttosto che per singolo patogeno. Ciò ha consentito di fo-
calizzare la nostra attenzione solo su
talune complicanze infettive, quelle
più ricorrenti o più drammatiche o, in
alcuni casi, quelle più attuali. Restano escluse, per esempio, tutte le infezioni cutanee, che pure occupano
tanta parte della nostra attenzione
e delle nostre terapie, nonchè le infezioni sostenute da ceppi microbici
emergenti ma ancora, fortunatamente, di raro riscontro.
Alla luce di queste osservazioni il
volume sarà certamente ritenuto da
molti lettori incompleto e di ciò ci
scusiamo fin da ora; siamo tuttavia
convinti che una trattazione più
esaustiva avrebbe richiesto sforzi di
gran lunga maggiori, tempi più lunghi e sicuramente si sarebbe rivelata meno puntuale.
Uno dei nostri obiettivi era invece
quello di editare un volume aggiornato e, consultando la letteratura fino al
primo semestre del ‘97, crediamo di
essere riusciti nell’intento.
DINO AMADORI
Divisione di Oncologia Medica
Ospedale “Pierantoni”
Forlì
IV
Indice
Prefazione
Introduzione
1 Aspetti immunitari del paziente oncologico
III
1
5
2 L’ecosistema microbico nel paziente oncologico
15
3 Quadri clinici e schemi terapeutici
21
4 Terapia della neutropenia febbrile
57
5 Profilassi antinfettiva nel paziente a rischio di neutropenia febbrile 69
Indice analitico
79
NOTA:
La Medicina è una scienza in continuo divenire. L’autore, i curatori, e l’editore di questa
opera hanno posto ogni cura nel garantire la precisione dei dosaggi riportati, in accordo con
le conoscenze scientifiche e gli standard generalmente accettati dalla comunità scientifica al
momento della pubblicazione. Tuttavia i lettori dovranno sempre verificare le informazioni
specifiche che accompagnano ogni prodotto farmaceutico citato, per assicurarsi che non siano sopraggiunte nuove controindicazioni e che i dosaggi raccomandati siano quelli realmente
suggeriti dalle aziende produttrici, in modo particolare per i farmaci di recente introduzione
o raramente utilizzati.
Introduzione
Con l’introduzione di protocolli di polichemioterapia antiblastica sempre
più efficaci, l’aspettativa di vita dei
pazienti neoplastici è oggi considerevolmente migliorata. L’uso di regimi
sempre più aggressivi comporta tuttavia considerevole deficit midollare a
carico di una o più linee emopoietiche. Per consentire, quindi, la somministrazione delle dosi pianificate secondo scheduling ben precisi, il paziente neoplastico è sempre più spesso sottoposto a periodi di intenso e
protratto deficit immunitario. Ne consegue che le complicanze infettive costituiscono oggi una delle principali
cause di morbilità e mortalità in questa classe di soggetti. In molti studi
clinici è stato riportato che oltre il 60%
dei pazienti con neutropenia (neutrofili <500 cellule/µL) incorre in processi infettivi nel corso della neutropenia o nelle settimane immediatamente successive. Fortunatamente, la
maggior parte degli episodi può essere
oggi trattata con successo, grazie al-
l’introduzione di terapie antibiotiche
empiriche ad ampio spettro. Benchè
esistano diversi approcci terapeutici,
il valore della terapia empirica rimane
indiscutibile, in modo particolare durante le prime 72 ore dalla comparsa
della febbre. Nonostante l’ampia disponibilità di antibiotici, antifungini ed
antivirali, le continue mutazioni dell’ecosistema microbico rendono necessario il costante aggiornamento delle
strategie terapeutiche, sia per i rilevanti costi sanitari che in conseguenza
della crescente emergenza di ceppi
batterici multiresistenti. Il rilevante
significato della terapia antibiotica
empirica nel paziente con neutropenia febbrile è stato riconosciuto solo
all’inizio degli anni ‘60, allorchè la
maggiore conoscenza del sistema immunitario, nelle sue varie componenti, rese possibile correlare direttamente l’aumentata incidenza di specifiche
infezioni a specifici deficit immunitari. E’ infatti oggi ben noto che i differenti tipi di deficit immunitario in1
TERAPIA E PROFILASSI ANTINFETTIVA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO
fluenzano significativamente la natura, la frequenza e la gravità delle infezioni opportunistiche. Si è inoltre evidenziato che in questa classe di pazienti i segni tipici dell’infiammazione sono
generalmente ridotti e talvolta assenti, con la sola presenza di febbre di grado medio. L’assenza di edema, eritema ed essudato purulento hanno quindi costituito nel recente passato, insieme all’incapacità di identificazione
del patogeno in tempi rapidi, motivo
sufficiente a ritardare la terapia fino
alla positivizzazione dei reperti diagnostici. In conseguenza di tale approccio terapeutico, fino ai primi anni ‘70
la mortalità per sepsi nei pazienti oncologici raggiungeva valori allarmanti. Fortunatamente, verso la metà degli anni ‘70 sono divenuti disponibili
antibiotici altamente efficaci verso i
patogeni più pericolosi e frequentemente coinvolti nei processi infettivi.
Nei primi anni ‘80 sono state introdotte le cefalosporine di terza generazione, seguite da monolattamici, chinolonici e, poco più tardi, dai primi βlattamici di nuova concezione: i carbapenemici. La disponibilità di questi
farmaci, sia in monoterapia che in varie combinazioni, ha aumentato sensibilmente le possibilità di controllo
della neutropenia febbrile, consentendo inoltre un’applicazione più rigida
ed efficace dei protocolli pianificati.
Oggi la mortalità per setticemia e polmonite, i siti più frequenti di infezione in questa classe di pazienti, si aggira fra il 10% ed il 30% in funzione del
microrganismo coinvolto, del grado e
della durata della neutropenia. Nonostante questi successi, il paziente con
neutropenia febbrile va comunque
considerato un “soggetto ad imminente pericolo di vita”, costituendo ancora oggi una sfida terapeutica. Ciò è
correlato alle continue variazioni dell’ecosistema microbico, in conseguenza anche del vasto uso di antibiotici
ad ampio spettro in condizioni cliniche estranee alla granulocitopenia che
non sempre ne avrebbero giustificato
l’impiego. L’analisi delle variazioni microbiche, intervenute nel corso dell’ultimo decennio, non sembra lasciare
spazio a future stabilizzazioni; ulteriori variazioni nell’epidemiologia dei
“patterns” infettivi sono attese nei
prossimi anni. L’aumento dei trattamenti antiblastici in regime ambulatoriale, l’uso di cateteri permanenti
intravascolari e combinazioni immunosoppressive sempre più efficaci, oltre al crescente aumento del trapianto di midollo, altereranno sensibilmente la prevalenza di alcune specie microbiche rispetto ad altre. E’ anche
possibile prevedere fin da oggi un’aumentata incidenza di organismi multiresistenti, correlata all’uso massivo e
prolungato di terapie empiriche e profilattiche con antibatterici ad ampio
spettro: ne sono già ora un esempio le
emergenti infezioni fungine di vari
generi di Candida non-albicans rispetto al genere albicans, nettamente prevalente fino agli anni ‘80, o il riscontro sempre più frequente di stafilococ2
INTRODUZIONE
chi meticillina- e vancomicina-resistenti. L’insieme di queste osservazioni indica che particolare oculatezza andrà posta nella scelta del regime terapeutico più idoneo per quel determinato paziente, tenendo conto oltre che
della risposta clinica, anche dei costi
e dell’interferenza con l’ecosistema
stesso. Ciò è oggi possibile grazie al crescente numero di antibiotici disponibili, al loro spettro sempre più ampio
e, in alcuni casi, all’impiego efficace
della via orale per la profilassi a lungo
termine. Vi è tuttavia ancora un no-
tevole dibattito su quale sia la terapia
empirica ottimale, sulla sua corretta
durata e, soprattutto, sui vantaggi della
terapia combinata rispetto alla monoterapia. Benchè una notevole mole di
dati clinici abbia chiaramente dimostrato l’efficacia dei regimi combinati,
i più recenti antibiotici ed in modo
particolare alcune cefalosporine di
terza generazione ed i carbapenemici, si dimostrano molto promettenti
anche in monoterapia, nella gestione delle complicanze infettive del
paziente neutropenico.
3
1
Aspetti immunitari del paziente oncologico
Le complicanze infettive costituiscono ancora oggi la principale causa di
morte nel paziente oncologico, vanificando sovente i risultati sulla sopravvivenza ottenuti con l’introduzione di
regimi terapeutici più efficaci e mirati. Le infezioni costituiscono inoltre
un’importante causa di morbilità e,
non ultimo, contribuiscono ad incrementare significativamente i costi di
gestione di questa classe di pazienti.
L’aumentato rischio infettivo risulta
essere correlato, nel paziente oncologico, all’alterazione delle barriere fisiche e chimiche che, in condizioni di
normalità, rendono particolarmente
difficoltoso l’accesso dei microrganismi
all’ambiente interno, nonchè alle alterazioni dell’immunità umorale e cellulare (Tabella 1.1).
Nel paziente oncologico, soprattutto
nelle fasi avanzate e quando sottoposto a trattamenti citostatici intensivi,
si verificano importanti e durature alterazioni dei meccanismi protettivi nei
confronti delle infezioni. In molte neo-
plasie ematologiche inoltre, l’intera
produzione midollare può essere gravemente compromessa dalla malattia
di fondo, indipendentemente dai trattamenti farmacologici adottati. Nelle
pagine successive verranno riportate
le alterazioni immunitarie più frequentemente riscontrate nel paziente oncologico, o comunque quelle meglio
caratterizzate e più direttamente correlate alle complicanze infettive.
Neutropenia
Il deficit immunitario più frequentemente riscontrato nei pazienti oncologici è la neutropenia, definibile come
una conta assoluta dei neutrofili inferiore a 1000 cellule/µL. Questa condizione espone ad un aumentato rischio di infezioni, soprattutto batteriche e micotiche. Il rischio è tanto
maggiore quanto più la neutropenia è
grave e protratta nel tempo: si è osservato che, nel corso di un episodio di
neutropenia (300 cell/µL), circa il 40%
5
TERAPIA E PROFILASSI ANTINFETTIVA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO
Tabella 1.1. Difese antimicrobiche dell’organismo umano
Barriere fisiche
Barriere chimiche
febbre
clearance tracheobronchiale
epiteli cutanei e mucosi
peristalsi intestinale
drenaggi all’esterno
secrezioni mucose
secrezioni acide gastriche
enzimi proteolitici gastrici
secrezioni biliari
cerume
sudore
Immunità cellulare
Immunità umorale
monociti circolanti
fagociti tissutali
linfociti NK
network delle citochine
immunoglobuline circolanti
immunoglobuline locali (IgA)
complemento
dei pazienti sviluppa un’infezione clinica, tuttavia, se la neutropenia persiste per più di 12 settimane la frequenza sale al 100%(1). L’analisi seriale degli episodi infettivi in pazienti con neutropenia di vario grado ha permesso
di stabilire una correlazione fra conta
neutrofila e frequenza degli episodi
infettivi (Figura 1.1).
Ad una bassa conta dei neutrofili si
accompagna spesso febbre superiore ai 38°C, da cui la definizione di
neutropenia febbrile(2). La neutropenia può essere causata dalla neoplasia come tale, nel caso di tumori
ematologici o, molto più spesso, può
essere conseguenza dei regimi chemioterapici adottati. Nell’individuo
normale, i neutrofili svolgono un
ruolo cruciale nell’innesco della risposta immune ed infiammatoria e
quindi nel controllo delle infezioni,
sia liberando enzimi lisosomali e so-
stanze inibenti la crescita microbica, sia attivando i macrofagi e la fagocitosi.
La neutropenia si caratterizza per
una serie di deficit anche qualitativi (Tabella 1.2), la cui precisa identificazione comporta varie procedure analitiche (3).
La conta differenziale dei neutrofili
permette di valutare solo quantitativamente il deficit neutropenico. La
valutazione qualitativa si basa invece
sull’osservazione di dimensioni, forma
e struttura del nucleo in microscopia
ottica e sull’espressione di specifici
marcatori di membrana: CD11a,b,c e
CD18, rilevabili mediante immunofluorescenza ed analisi citofluorimetrica. Per “burst respiratorio” si intende
quella serie di reazioni enzimatiche
che, generando intermedi reattivi dell’ossigeno, svolgono un efficace ruolo
microbicida. Deficit della funzione gra6
CAPITOLO 1. ASPETTI IMMUNITARI DEL PAZIENTE ONCOLOGICO
Figura 1.1. Frequenza degli episodi infettivi in relazione alla conta dei neutrofili circolanti ricostruita sulla base dei dati riportati in vari trial clinici
60
Frequenza delle infezioni (%)
50
40
30
20
10
0
0
100 200
300 400
500 600 700 800
Neutrofili
nulocitaria causano una maggiore incidenza di infezioni batteriche e, se la
neutropenia si protrae per più di una
settimana, anche micotiche. Nel 5070% dei pazienti neutropenici con febbre, non è possibile identificare un
particolare organismo patogeno nè
l’organo sede di infezione: si parla
quindi di febbre di origine ignota (“fe-
900 1000
2000
3000
ver of unknown origin” - FUO). Nel
restante 30-50% dei casi, l’infezione
può essere invece documentata microbiologicamente. Nel corso degli anni
è stato possibile identificare situazioni
particolari che, più frequentemente di
altre, sembrano richiedere una particolare sorveglianza nel paziente neutropenico (Tabella 1.3).
Tabella 1.2. Valutazione quali-quantitativa del deficit neutrofilo
Saggi di primo livello
Saggi di secondo livello
Analisi morfologica
Valutazione dell’espressione di CD11 e CD18
Valutazione del “burst respiratorio”
test del nitroblu di tetrazolio
test citofluorimetrico
Tests di chemiotassi
finestra cutanea di Rebuck
chemiotassi in vitro
camera di Boyden
saggio in soft agar
“Burst respiratorio”
produzione di superossidi
chemoluminescenza
Attività antimicrobica in vitro
7
TERAPIA E PROFILASSI ANTINFETTIVA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO
Tabella 1.3. Situazioni cliniche ad elevato rischio nel paziente con deficit neutrofilo
Situazione
Patogeno
necrosi e follicolite cutanea
stafilococchi, Pseudomonas, miceti
cateteri intravascolari; puntura midollare stafilococchi meticillina-resistenti
stomatiti; ascessi dentari
anaerobi
ascessi perianali
anaerobi/aerobi Gram-positivi
ascessi retinici
miceti, stafilococchi, citomegalovirus
Queste situazioni richiedono una vigilanza particolare perchè il quadro
clinico non rispecchia la gravità della situazione, essendo spesso minimizzati i segni classici dell’infiammazione.
ne regolatoria e controllano le risposte immuni sia di tipo umorale (produzione di anticorpi da parte di linfociti B attivati) sia di tipo cellulare (attività litica dei linfociti T citotossici,
di cellule NK, reclutamento di monociti e macrofagi), importanti nel controllo delle infezioni.
I linfociti T producono inoltre una
serie di citochine, interleuchine, interferoni (IFN-α e -γ), fattori di necrosi tumorale (TNF-α e -β), che hanno effetti pleiotropici inquadrabili in
tre diverse categorie (Tabella 1.4):
• attività immunoregolatoria
• attività proinfiammatoria
• attività emopoietica.
Il deficit a carico dei linfociti T può
essere sia quantitativo che funzionale. Tra i saggi più importanti (Tabella
1.5) vi è ancora la conta differenziale:
in situazione normale i linfociti T rappresentano circa i 3/4 dei linfociti totali, ed una loro riduzione numerica
riduce sensibilmente l’intera popolazione linfocitaria(3). Il test cutaneo di
ipersensibilità ritardata costituisce una
procedura semplice e poco costosa per
stimare la funzionalità dei linfociti T
Deplezione dei linfociti T
Dopo la neutropenia, l’anomalia più
frequentemente osservata nei pazienti oncologici è il deficit dei linfociti T
con conseguente compromissione dell’immunità cellulo-mediata. Tale difetto può essere causato da trattamenti
con corticosteroidi e chemioterapici,
in particolare se vengono impiegati
agenti alchilanti quali ciclofosfamide
e cisplatino. Interessa soprattutto i
pazienti con malattia di Hodgkin, linfomi non-Hodgkin e leucemia a cellule capellute (HCL). I linfociti T costituiscono una popolazione cellulare
estremamente eterogenea: alcuni di
essi (linfociti T citotossici CD8+) hanno funzione effettrice e intervengono
direttamente nell’eliminazione delle
cellule infettate da virus; altri, come i
linfociti T helper CD4+ hanno funzio8