HABERLE SUL DIRITTO 30 PUNTI DI RIFLESSIONE
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Muoviamo dal fatto che tanto una carta costituzionale (per esempio, la Costituzione italiana) quanto il sistema del diritto
fondamentale, cioè la Dichiarazione dei diritti del ... , quanto
anche l'insieme non scritto dei diritti e delle credenze giuridiche traducibili in leggi, proprie di un grande sistema culturale,
sono un risultato, cioè un prodotto storico di una cultura mediata socialmente, a partire dalla realtà dei bisogni d'ordine
materiale e culturale. In questo senso, il ricorso ad una teoria
dei valori non è rilevante se con esso si intende dire che, anche
all'interno del loro percorso storico, si può parlare di valori
in cui poter credere ed a cui poter appellarsi, mentre è fuorviante e falso se ad una teoria di valori si vuole assegnare un
valore fondante, assoluto, meta-storico, che sottrae i principi
etico-morali ad ogni mutamento o evoluzione.
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Qual'è allora il rapporto possibile tra costituzione, carta dei
diritti fondamentali e insieme non scritto di questi diritti? La
costituzione è una carta storicamente datata, un insieme oggettivo di norme, che ha un riferimento, sia alla carta dei diritti
fondamentali, sia all'insieme non scritto di quei diritti. La
durata storica della carta costituzionale è più breve di quella
dei diritti fondamentali. C'è un rapporto tra il loro essere
storico e il "dover essere" implicito nell'insieme non scritto
dei diritti, intendendo con quel "dover essere" il carattere
ipotetico, di utopia, di idealità e di progettualità costituzionale immanente nei diritti non scritti.
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In questo senso, di un appello alla teoria dei valori, non si può
essere d'accordo con le tesi di P. Häberle, secondo cui la costituzione avrebbe immanenti i valori e quei limiti che sono conformi all'essenza del diritto fondamentale (le clausole costituzionali hanno carattere dichiarativo e rinviano infatti ai valori
del diritto fondamentale; valori, che collocano questo diritto
nel sistema dei valori costituzionali). Infatti, se così fosse,
il diritto fondamentale, in quanto insieme di valori, sarebbe
dato, assolutamente e metastoricamente, come dichiarazione del
sistema eterno dei suoi valori. In questo stesso senso, le clausole non possono assumere carattere dichiarativo puro: non sono
infatti dichiarazioni effettive di un implicito valore unico ed
eterno.
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Qual'è allora il rapporto fra diritto fondamentale e le clausole
costituzionali? E quale è il carattere di quelle clausole?
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Quella che viene tradotta come "garanzia del contenuto
essenziale" (Wesengehaltgarantie), non è solo l'intangibilità
della dignità dell'uomo, ma, in Häberle, è garanzia di una
"ponderazione" relativa a ciascun diritto, fra gli interessi in
gioco, e dalla quale "risulti" il contenuto essenziale: questo è
dunque determinato attraverso il "bilanciamento" degli interessi:
cosa questa che viene da alcuni considerata come un processo di
svuotamento del diritto. Come arginarlo?
Il diritto fondamentale è, per H., una sfera assolutamente tutelata (e in questo H. è vicino alle teorie assolute del contenuto
essenziale); la costituzione, che ha immanenti i valori (e i
limiti) del diritto fondamentale, ne è la sua tutela: la normatività della costituzione è legata alla "normalità" delle sue
norme, cioè alla capacità di effettivo operare estesamente, nella
sfera sociale.
Quindi il diritto fondamentale non è, per H., né un istituto
giuridico astratto, né un concreto diritto soggettivo, del singolo: il fatto si muta in norma e la quantità (l'estensione) in
qualità (intensione): questo è l'elemento qualificante
dell'"essenza" della libertà come istituto.
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Il problema della "garanzia" del diritto fondamentale, per me,
non può essere risolto nel bilanciamento degli interessi (cioè
non nella mediazione). Può consistere tale garanzia nella funzione stessa di tale diritto, cioè nella fatto di essere la tutela
(e dunque la garanzia) delle libertà e dell'uguaglianza di tutti?
O si tratta di una petizione di principio o, addirittura, di un
circolo? La funzione di garantismo attivo delle libertà positive
può essere per il diritto fondamentale anche la sua garanzia?
Occorre cercare la sua garanzia in una normatività socialmente
estesa? E che altro è il garantismo attivo se non (una volta
oggettivato in una costituzione) questa normatività socialmente
estesa? Così non c'è svuotamento del diritto, come in H., in una
politica di "mediazione". Al contrario, è la funzione garantistica (cioè di garanzia e di tutela) di libertà e uguaglianza che dà
ad esso garanzia di validità (normatività). Insomma: la garanzia
di libertà uguale è garanzia di normatività, di operatività
diffusa nella sfera sociale. Non è la norma che qualifica la
libertà in quanto Istituto, ma è la libertà (non una libertà
qualsiasi, ma quella positiva, attivamente garantita) che dà
garanzia di norma e quindi di Istituzione.
7
Perché in H. la ponderazione dei beni (Güterabwägung) è "criterio-guida" nella determinazione del contenuto essenziale? Critico
del diritto positivo, H. cerca un criterio sociologico, ma lo
trova, non nel bisogno fondamentale di libertà positiva (il più
esteso socialmente), ma nel gioco politico dei diversi interessi
e nella mediazione democratica di essi.
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Io credo che il bilanciamento fra beni diversi e interessi
costituzionali diversi (credo, cioè, che la ponderazione-Abwägung
fra di essi - con possibile sacrificio di alcuni - e la compensazione-Ausgleich fra di essi) è conseguente alla funzione di
tutela di libertà positiva propria del diritto fondamentale, e
non, al contrario, fondamento della "garantibilità" di tale
diritto fondamentale. In altre parole, i "criteri-guida" nella
determinazione del contenuto essenziale sono dettati dallo stesso
garantismo attivo di una libertà positiva (e dalla prassi sociale
e politica che lo pone in atto). Solo così il diritto fondamentale (e i limiti che esso pone) è effettivamente inerente ai contenuti.
Le condizioni di delimitazione delle libertà e le tecniche interpretative - richiamate dal contenuto essenziale e fondate sui
requisiti di proporzionalità (Verhältnismäßigkeit), di ragionevolezza (Zumutbarkeit), di non-eccessività (Uebermaßverbot) e di
necessità (Erförderlichkeit) del limite - sono dettate dal diritto fondamentale, cioè sono generate dall'esigenza (intrinseca a
tale diritto), di garantismo attivo della libertà positiva.
Insomma: c'è un progetto generale che definisce i contenuti; non
sono i contenuti in sé a definire il diritto fondamentale.
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H. incentra i contorni della concezione dei diritti fondamentali
su: processualità, apertura alla società civile (Offenheit) e
sfera pubblica (Oeffentlichkeit). La pluralizzazione dell'interesse pubblico e del bene comune (Gemeinwohl) si realizza con il
loro trasferimento dentro la Costituzione, che è costituita da
principi corrispondenti all'equilibrio delle forze e delle articolazioni sociali. E poiché apertura alla società civile (Offenheit) e sfera pubblica (Oeffentlichkeit) sono strettamente legati
fra loro, ne risulta che la concretizzazione dell'interesse
pubblico e del bene comune (Gemeinwohl) è solo un aspetto
dell'interpretazione della Costituzione. Le libertà fondamentali
non sono un limite negativo delle competenze della sfera pubblica, come era nello stato di diritto, ma sono parte integrante di
tale sfera.
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A mio parere questa impostazione non va in ciò: che, se per
"sfera pubblica" intendiamo la sfera delle istituzioni, la sfera
pubblica deve essere intesa come emanazione della società civile,
in una processualità che pur coinvolge "sistemicamente" entrambe.
La pluralizzazione e la concretizzazione dell'interesse pubblico
e del bene comune sono risultato di un garantismo attivo in cui
l'interesse pubblico è una conseguenza del bene comune: non è la
sfera dei diritti fondamentali che si apre alla società civile,
ma è questa società civile che "costituisce" i suoi diritti
fondamentali e "genera" con ciò una sfera pubblica (istituzionale).
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Per H. il bene comune sembra dunque non essere inteso come il
limite dei diritti fondamentali nella giurisprudenza costituzionale: il bene comune è infatti "embricato" alla Costituzione; ciò
lo si vedrebbe nel fatto che i richiami a "motivazione", "ragionevolezza", "non-arbitrarietà", "proporzionalità" sono indici
della "costituzionalizzazione" del "bene comune" (per cui esso è
interpretato come "interno" all'essenza dei diritti fondamentali).
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Secondo me, da ciò risulta che una Costituzione storicamente data
viene a porsi come quadro delle condizioni da stabilire e da
imporre al bene comune, che viene determinato da essa.
Dev'essere il contrario: il bene comune si definisce nel quadro
di diritti fondamentali, solo storicamente definiti, che una
Costituzione "oggettiva" in un dato momento storico. Solo in
questa forma di rapporto fra diritti fondamentali e Costituzioni
si può dire che queste ultime non devono e non possono imporre
condizioni (p. es. storicamente superate), al bene comune.
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Per H. l'indirizzamento del bene comune verso la libertà è in sé
carico di opposizione: tentare il superamento dell'opposizione
rende più complesso il bilanciamento fra interessi in gioco (sia
perché la ponderazione è l'unica via per risolvere conflitti, sia
perché la ponderazione si configura come compensazione (Ausgleich).
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Per me: la questione degli interessi in gioco, che impongono un
bilanciamento, dev'essere vista nel quadro di un processo di
conquista del garantismo attivo, che deve anche spostare il piano
e il genere di interessi in gioco. Intanto l'"opposizione" tra
bene comune e libertà esiste essenzialmente come opposizione
interna ad una società, la cui dinamica socio-economica si configura come conflittualità di libertà individuali. La libertà
individuale è certo limitata da una libertà "sociale", netro cui
si dovrebbe configurare un bene comune, sia pure storicamente
definito e in evoluzione.
Insomma: più che di "bilanciare" interessi, si dovrebbe trattare
di dare a tutti pari opportunità reali.
Quindi se di bilanciamento parliamo, questo non è cercato tra
interessi individuali dei singoli, ma tra interessi, uguali per
tutti, di un certo tipo e di un certo altro tipo. La ponderazione
quindi tocca l'ordine dei bisogni, uguali per tutti, e non l'ordine degli individui (con i loro bisogni da compensare, di fronte
ad altri individui con gli stessi bisogni, ma distribuiti in
quantità minore). E' la diversità dei bisogni che deve essere
ponderata, in modo che tutti abbiano soddisfatta tutta la gamma
dei bisogni; non la quantità di uno stesso bisogno (ma non tutti
i bisogni) distribuita diversamente su individui diversi.
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In H. i diritti fondamentali ampliano il raggio operativo in
quanto sono parte della Costituzione (normative Grundordnung).
Per me il problema va rovesciato:
C. Schmitt demarca nettamente fra "diritti" di libertà (cioè,
diritti pre- e sovra-strutturali del singolo, esistenti, non in
virtù di leggi, ma come margine, incontrollato per principio,
della libertà individuale) e "garanzie" istituzionali (cioè il
riconoscimento costituzionale di istituzioni, che vengono così
protette, per non essere rimosse; le garanzie istituzionali,
cioè, sono legate allo scopo dell'impedimento degli abusi del
legislatore).
H. contesta questa demarcazione-dissidio schmittiana fra sfera di
libertà (potenzialmente illimitata) e istituzioni (giuridicosociali), delimitabili, anche se protette costituzionalmente.
Per me non c'è una demarcazione-conflitto e la prima genera i
secondi; la sfera di libertà non è illimitata potenzialmente, ma
già posta implicitamente come sistema di libertà positive in un
sistema potenziale di garantismo attivo, ancora non istituzionalizzato.
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H. (a differenza di Schmitt) vede un problema di equilibriointreccio fra libertà (in quanto esigenze individuali, che pongono diritti di libertà) e diritto (in quanto sistema di esigenze
della comunità nel campo delle libertà fondamentali, che pongono
problemi di garanzie istituzionali) e formula un'ipotesi ricostruttiva di istituzionalizzazione delle libertà fondamentali
(cioè, non solo clausole di intangibilità e di protezione - come
in Schmitt?).
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Secondo me, 'istituzionalizzazione costituzionale del diritto
fondamentale (della libertà fondamentale) non ha a monte libertà
"come esigenze individuali", ma libertà fondamentali già poste
come esigenze sociali, cioè come relazioni di esigenze individuali L'esigenza di libertà vuol essere concreta e perciò già relazionata all'altro e rispetto all'altro. La libertà è già relazione (sia nelle libertà negative che in quelle positive). Esigenze
puramente individuali di libertà sono astratte, come la libertà
kantiana (ma vedere!).
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Sia per H. che per Schmitt, fra libertà fondamentali e garanzie
istituzionali che presiedono la Costituzione, punto focale è la
protezione delle libertà fondamentali dagli attacchi del legislatore. Ma per Schmitt il fulcro è la "separatezza" della libertà
illimitata, mentre per H. il fulcro è il "nucleo di valore" in
cui ogni diritto fondamentale è inserito e a cui il legislatore
deve "conformarsi" e che deve "attuare". Per Schmitt la libertà
illimitata richiede la protezione, proprio perché illimitata. Per H.
la libertà illimitata richiede la protezione perché richiama un
nucleo di valore in cui il diritto fondamentale si inserisce.
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Per me, la "protezione", cioè il garantismo attivo e passivo, è
la molla della costituzionalizzazione del diritto fondamentale ed
è la molla della sua continua rielaborazione.
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Secondo Roman Schnur, l'istituzione è "in contrasto con" e "altra
rispetto a" gli individui; e la garanzia istituzionale nasce come
protezione dell'istituzione; non degli individui. Anzi, un ordinamento su basi individualistiche è una minaccia per le istituzioni: proteggere le istituzioni significa negare l'idea classica
di libertà.
Qui il problema è il rapporto istituzione-libertàfondamentali: un
rapporto, che sembra essere conflittuale. L'idea di H. è che la
libertà individuale è mera astrazione se non viene configurata
nel contesto di un ruolo sociale e della istituzione in cui essa
può svilupparsi. Quindi c'è una concezione istituzionale delle
libertà fondamentali: queste ultime soddisfano il bisogno di
sicurezza dell'uomo "situé", quando esse sono collegate
all'osservazione di norme (libertà come compito) e si attuano
all'interno di istituzioni (con acquiescenza dello status quo).
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Io direi (ma occorre verificare quanto detto prima sulla nonrelazionalità delle libertà in H., che qui sopra non sembra
confermabile) che la conflittualità libertà fondamentaliistituzioni non sta in una qualche ragione che derivi dalle
"proprietà" dell'una o dell'altra: le istituzioni vengono istituite proprio per attuare libertà; ma queste si configurano
storicamente con tempi e modi diversi da quelle; di qui la conflittualità, che non inerisce alla libertà in sé o all'istituzione in sé, ma al fatto che esse si configurano diversamente nel
tempo e che allora non sono adeguate le une alle altre. Le libertà fondamentali si concretizzano (come un bisogno si concretizza)
all'interno di istituzioni e di ruoli, ma non si esauriscono in
esse e nei ruoli sociali: la libertà non si istituzionalizza mai
interamente, perché si articola ed evolve anche indipendentemente
dall'istituzione in cui pur vive e si salda: si modifica in un
contesto più ampio (culturale, sociale, storico); la libertà non
si esaurusce nell'istituzione perché non finisce nell'acquiescenza, perché non è soltanto osservazione delle norme e dei limiti
reciproci, perché può mettere in discussione proprio queste norme
e questi limiti.
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C'è una funzione unificante della Costituzione nelle democrazie
pluralistiche, ma non fondata su base giusnaturalistica, come nel
costituzionalismo liberale dell'800. Allora come può essa avere
funzione unificante? La sfera pubblica è "processualità", diventa
"law in action", ha un ruolo fondativo di consenso, nella misura
in cui si atteggia a processo pubblico che si attua attraverso
molteplici apparati. La sfera pubblica sfuffe alla "cristallizzazione" delle norme e degli assiomi glisnaturalistici. Il pluralismo è una realtà mai pienamente compiuta, ma è anche una "chance
offerta alla Costituzione" ed è un "compito da svolgere".
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Per me la Costituzione non può mai chiudere e cristallizzare la
libertà fondamentale, cioè il diritto fondamentale nel suo divenire storico. E questa libertà fondamentale (che nella sua articolazione storica rende pluralistico il tessuto sociale) è la
"realtà" che non può cristallizzarsi interamente nelle norme
costituzionali; è la "materia" su cui si costituisce la Costituzione, che per questo dev'essere essa stessa in fieri. Oggetto (o
compito) della Costituzione è di adeguarsi al pluralismo sociale.
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La teoria costituzionale di H. sta fra idea popperiana di società
aperta e l'utopia di Bloch del "Prinzip Hoffnung". H. è contro la
tesi che la normatività della costituzione sarebbe garantita da
una rete di riserve di legge che operino come barriera esterna
delle libertà (cioè un insieme di restrizioni delle libertà come
limiti esterni alla sfera privata individuale). Quindi il legislatore del diritto fondamentale deve solo "conformare" (e quindi
delimitare) le libertà fondamentali col "bilanciamento" degli
interessi. La normatività costituzionale è più garantita da
questa riserva generale di conformazione dei singoli diritti.
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I complessi normativi non sono realtà statiche, ma processuali,
per H. Qui H. è vicino al paradigma smendiano (di Smend), di una
Costituzione come processo dinamico di integrazione del pluralismo sociale in unità politica. La capacità fondativa del consenso
della costituzione è legata alle risposte del tessuto sociale
(Costituzione delle democrazie pluralistiche intesa come norma e
compito).
Non sono d'accordo su questo: la dinamica sociale non dice niente. Occorre un progetto scientifico che vada verso l'estensione
delle garanzie.
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L neutralità di H. fra tradizione liberale e pluralismo positivista è diversa da quella di Kelsen (compromesso fondato su procedure) e da quello di Luhmann (funzionalistico, che fa corrispondere la figura dei diritti alle esigenze della società più differenziata funzionalmente: più alta elasticità adattativa del
diritto come struttura ddella società; quindi Luhmann è contro il
presupposto del bilanciamento dei beni perché esso include i
diritti in un quadro di composizione materiale degli interessi e
di reciprocità di situazioni e quindi sottrae le questioni strutturali all'attenzione e alla problematizzazione.
H. si distacca da Luhmann: il significato attribuito da H. al
ruolo dello Stato trascende il funzionalismo, ma è connesso
all'idea del mutarsi del fatto in norma: la giuridicità è inseparabile da un processo di organizzazione della libertà.
Secondo H. il pluralismo possibilista è fondato sull'idea di una
Costituzione "neutrale" rispetto alle possibilità di sviluppo
delle diverse Weltanschauungen, ma non rispetto a contenuti di
valore. Quindi c'è una separazione da Kelsen e da Luhmann, dato
l'orientamento di H. ai valori sociali e all'armonizzazione
dell'ordinamento giuridico alle idee dominanti in un dato contesto sociale.
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H. riferisce le libertà fondamentali al processo di integrazione
comunitaria. Come si alloca questo riferimento rispetto al punto
di vista del garantismo, che assume il solo punto di vista esterno, al fine della legittimazione/delegittimazione etico-politica
del diritto (e dello Stato)?
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In H. c'è forse sottovalutazione dell'aspetto individuale delle
libertà fondamentali? In H. c'è lo sforzo di sottrarre l'interpretazione del significato delle libertà fondamentali a una
filosofia segnata dalla completa interiorizzazione del problema
della libertà.
Se intesa come liberazione della volontà da una realtà vincolante, la libertà diventa libertà da e non libertà con, cioè nel
legame del reciproco riconoscimento dell'altro, cioè non libertà
nella sfera comunicativa.
Secondo Rudolf Smend e H. c'è l'idea della libertà costituzionale
come fondamento "civile" dello Stato e vocazione "morale" del
cittadino.
Secondo H., lo Stato è il luogo di mediazione tra autorità e
libertà; è lo strumento di difesa della libertà. Viceversa: la
società è il luogo di realizzazione della libertà: società, come
momento progettuale dell'emancipazione e dell'espressione di
nuove forme di libertà.
Ma H. è più vicino all'idea di libertà da realizzare nell'ambito
delle istituzioni; ma nella sfera sociale vede il luogo dell'innovazione, la dimensione comunicativa e processuale.
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Questo, per H., è lo specifico del costituzionalismo attuale,
capace di "surrogare" l'impianto "universalistico" del giusnaturalismo.
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In H. c'è il tema del rapporto libertà-responsabilità e il tema
dell'"ampliamento delle libertà fondamentali" alla salvaguardia
della libertà delle generazioni future. H. si colloca tra "società aperta" di Popper, "principio speranza" di Ernst Bloch e
"principio responsabilità" di Hans Jonas.