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atomo in “Enciclopedia dei ragazzi” – Treccani
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atomo
Enciclopedia dei ragazzi (2005)
di Lorenzo Foà
atomo
Il componente fondamentale della materia
La materia che forma il nostro Universo è costituita da un numero enorme di minuscoli corpi chiamati atomi. Rappresentano le unità più piccole
da cui dipendono tutte le caratteristiche degli elementi di cui sono fatti gli oggetti comuni, come l'idrogeno, il carbonio o il ferro. L'idea che la
materia sia fatta di atomi è molto antica, ma il primo modello di struttura atomica fu proposto solo alla fine del 19° secolo scorso da Rutherford.
Questo primo modello classico si mostrò ben presto incompleto. I problemi che esso ha posto hanno spinto a riesaminare il modo in cui la fisica
affronta il mondo microscopico. Da qui è nata una nuova teoria, la meccanica quantistica, che ha fatto piena luce sulla struttura dell'atomo.
Nel cuore della materia
Una delle maggiori aspirazioni dell'essere umano, sin dagli albori della civiltà, è stata quella di capire come è fatta la materia al suo interno,
stabilendo quali sono le unità fondamentali che la costituiscono. Già gli antichi filosofi greci immaginarono che un oggetto si potesse scomporre
in mattoncini piccolissimi e li chiamarono atomi, parola che significa "indivisibile". Oggi sappiamo che sono davvero gli atomi, grandi appena un
centomilionesimo di centimetro (10−8 cm), a formare la materia. E non sono affatto indivisibili, ma hanno una struttura interna, per quanto
semplice. Un atomo consiste di una piccolissima pallina, detta nucleo, con dimensioni centomila volte più piccole del diametro dell'atomo (10−13
cm), ma che contiene praticamente tutta la sua massa. Attorno al nucleo si muovono particelle leggerissime e, per quanto ne sappiamo,
puntiformi, dette elettroni, come rappresentato nella figura qui sotto. È sorprendente, ma un sasso, nonostante la sua durezza, è fatto
praticamente di puro vuoto e deve la sua rigidezza alle grandi forze che tengono uniti elettroni e nuclei.
Elettroni e protoni
Ad atomi neutri con diverso numero di elettroni corrispondono elementi diversi: per esempio l'idrogeno ne ha uno solo, mentre l'elio ne ha due, il
carbonio sei e l'uranio ben novantadue. Ogni elettrone ha una piccola carica elettrica, e, che per convenzione si assume negativa, cioè con il
segno meno (−e). La natura è fatta in modo che cariche dello stesso segno, per esempio quelle di due elettroni, si respingono mentre cariche di
segno opposto si attraggono. È questa la ragione che rende gli atomi stabili. All'interno del nucleo, infatti, si trovano particelle circa duemila volte
più pesanti dell'elettrone, i protoni, provvisti di una carica elettrica di segno +, o, come si dice, positiva. Ogni atomo contiene tanti elettroni quanti
sono i protoni dentro il suo nucleo. Queste particelle attirano e trattengono vicini a sé gli elettroni, come il Sole attira e trattiene attorno a sé i
pianeti. Anzi, gli elettroni cadrebbero sul nucleo come i pianeti cadrebbero sul Sole se non avessero un'accelerazione, e quindi non ci fosse una
forza, che li costringe a girare in tondo Uno dei misteri non ancora chiariti è perché la carica dell'elettrone e quella del protone abbiano lo stesso
valore, ma segno opposto. Grazie a questa caratteristica un atomo è elettricamente neutro, cioè ha carica totale uguale a zero.
Ci sono anche i neutroni
L'atomo più piccolo e semplice, l'idrogeno, è costituito da un protone al centro e da un elettrone che gli gira attorno. Ma sarebbe sbagliato
dedurne che il nucleo di un atomo di elio, l'elemento che lo segue per numero di elettroni, sia fatto solo di due protoni perché, in realtà, la sua
massa è circa quattro volte un atomo di idrogeno. Si è scoperto che nel nucleo esistono altre particelle, dette neutroni, che hanno una massa
appena superiore a quella dei protoni, ma non hanno carica elettrica. Il nucleo dell'elio contiene due protoni e due neutroni che stanno vicini tra
loro, come indicato nella figura della pagina precedente. Attorno a essi si muovono i due elettroni. In un atomo, il numero di protoni (e quindi
quello degli elettroni, se l'atomo è neutro) è detto numero atomico e si indica con la lettera Z, mentre il numero dei protoni sommato a quello dei
neutroni prende il nome di numero di massa. Per gli atomi più leggeri, il numero di neutroni è uguale a quello dei protoni. Ma al crescere del
numero atomico il numero dei neutroni aumenta più velocemente di quello dei protoni. Per esempio un atomo di piombo ha numero atomico 92
ma numero di massa di 207: nel piombo i protoni sono 92, mentre i neutroni sono 115.
Il modello classico dell'atomo
L'idea moderna di atomo è nata nell'Ottocento grazie allo studio delle reazioni chimiche tra elementi diversi. In questa epoca sono state
sperimentate reazioni per ottenere sostanze di uso comune, come il sale composto da cloro e sodio, oppure al contrario sono stati messi a
punto processi di separazione degli elementi, come l'elettrolisi dell'acqua, che ha permesso di scindere questo liquido in idrogeno e ossigeno, gli
elementi che lo formano.
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Il primo modello realistico per descrivere come è fatto un atomo fu proposto da Ernest Rutherford alla fine dell'Ottocento. Rutherford
paragonava un atomo, con il suo nucleo e gli elettroni che ruotano intorno, al Sistema Solare con il Sole al centro e i pianeti attorno. Questa
somiglianza tra due sistemi tanto diversi, uno grandissimo e l'altro minuscolo è certamente sorprendente e affascinante. Il modello di Rutherford
ha preso forza proprio dall'analogia con la struttura del Sistema Solare, anche se si è poi dimostrato che in realtà i due sistemi presentano
comportamenti diversi.
Somiglianze tra la struttura degli atomi e il sistema solare
Spesso capita di giocare facendo girare una pallina legata a un filo, tenendo in mano l'altro capo. Dopo un po' di tempo la pallina rallenta e si
ferma a causa della resistenza dell'aria. Immaginate di eliminare questo effetto, allora la pallina continuerebbe a girare per sempre. Per i fisici
questo significa che l'energia di rotazione della pallina si conserva. Avrete inoltre osservato che è necessario stringere forte il filo con le dita
perché questo faccia forza sulla pallina e la costringa a girare. Se allentate la presa, la pallina smette di girare e si allontana secondo una
direzione tangente rispetto alla traiettoria circolare precedente. Immaginate ora un pianeta che ruota attorno al Sole o un elettrone che ruota
attorno al nucleo. Il moto è analogo a quello della pallina ‒ la traiettoria è circolare ‒ , ma questa volta il filo non c'è. Esiste però una forza
capace di garantire lo stesso risultato: per il pianeta è la forza gravitazionale con cui la massa del Sole attira la massa del pianeta, mentre per
l'elettrone è la forza elettrica con cui la carica negativa dell'elettrone è attirata dalla carica positiva del nucleo.
Problemi del modello classico
L'analogia tra la forza gravitazionale e la forza elettrica è molto convincente perché le loro caratteristiche sono le stesse: per esempio tutte e
due queste forze si riducono a un quarto se si raddoppia la distanza tra Sole e pianeta o tra elettrone e nucleo. Inoltre, sia l'energia di rotazione
dell'elettrone sia quella del pianeta si conservano, cioè restano le stesse al passare del tempo.
Ma proprio qui nasce un problema nuovo, dovuto alla carica e alla massa piccolissima dell'elettrone. Una serie di esperimenti ha mostrato che
un elettrone libero nello spazio, se viene frenato o fatto viaggiare su una traiettoria curva, perde energia emettendo onde luminose, cosa che
non avviene nel caso dei pianeti. In base a questa legge gli elettroni che girano intorno al nucleo dovrebbero emettere onde luminose. Ma
poiché la luce è una forma di energia (è la luce del Sole che scalda il nostro pianeta), questa continua emissione di onde farebbe diminuire
l'energia degli elettroni, con il risultato che la loro orbita diverrebbe una spirale ed essi cadrebbero rapidamente sul nucleo. Invece questo non
avviene e gli atomi sono stabili da miliardi di anni.
Il modello di Bohr
Per risolvere il problema dell'assenza di radiazione, un primo passo fu fatto con il modello ideato da Niels Bohr
(http://www.treccani.it/enciclopedia/niels-bohr_(Enciclopedia_dei_ragazzi)/) attorno al 1913. Questa teoria fornisce una descrizione semplice di
come gli atomi emettono e assorbono onde luminose e predice molto bene quello che si osserva sperimentalmente, anche se si basa su ipotesi
apparentemente non giustificate. Bohr immaginò che tra tutte le infinite orbite che gli elettroni possono percorrere attorno al nucleo, con raggi
diversi e quindi con energie diverse, siano permesse solo quelle in cui l'energia dell'elettrone assume valori precisi. Queste orbite sono chiamate
stati quantici (quanti (http://www.treccani.it/enciclopedia/quanti_(Enciclopedia_dei_ragazzi)/)) nella figura in basso a sinistra sono indicate dai
corrispondenti valori dell'energia, che chiameremo E1, E2, E3, ... En. I salti di energia da un'orbita alla successiva dipendono da un numero
fisso, detto costante di Planck (http://www.treccani.it/enciclopedia/max-planck_(Enciclopedia_dei_ragazzi)/). Secondo l'ipotesi di Bohr un
elettrone che si trova su una di queste orbite non irraggia energia e può restarvi stabilmente.
Gli elettroni di un atomo hanno energie diverse
Gli elettroni non si dispongono tutti sullo stesso livello energetico. L'orbita più bassa, caratterizzata da minore energia, può ospitare fino a due
elettroni, quella immediatamente successiva otto e così via. Una volta riempita l'orbita con minore energia, si passa alla successiva fino a che
non sono stati sistemati tutti gli elettroni dell'atomo. Nel caso più semplice, quello del livello più basso o fondamentale, come abbiamo detto, ci
sono al massimo due elettroni e ruotano su sé stessi uno in senso orario e l'altro in senso antiorario. Infatti, possiamo pensare che gli elettroni si
comportino un po' come delle trottole. Per descrivere questo loro comportamento si usa lo spin, una proprietà che contraddistingue le particelle
nel mondo subatomico. Questa parola, non a caso, deriva dal verbo inglese to spin che significa "ruotare".
Gli atomi assorbono ed emettono luce
Tutti i sistemi fisici prediligono gli stati di minima energia. Così se un atomo ha un elettrone in un'orbita esterna di grande energia, che
chiameremo stato a, ma c'è un 'posto libero' in uno stato con energia minore che chiameremo stato b, l'elettrone passerà naturalmente da a a b.
Durante la transizione dall'uno all'altro l'elettrone libera l'energia in eccesso Ea−Eb irraggiandola sotto forma di onde
(http://www.treccani.it/enciclopedia/onde-e-oscillazioni_(Enciclopedia_dei_ragazzi)/) elettromagnetiche (cioè dello stesso tipo delle onde
luminose). Allo stesso modo, se un raggio di luce di energia E = Ea−Eb viene assorbito da un elettrone che si trova nell'orbita con bassa energia
Eb, questo passerà sull'orbita con più grande energia Ea.
Le radiazioni emesse durante il passaggio da un livello all'altro sono di energia fissa, definita dalle energie degli stati quantici di partenza e di
arrivo. Quindi un atomo normalmente non emette alcuna radiazione, ma se i suoi elettroni sono costretti a passare da un'orbita all'altra, questo
avverrà con l'assorbimento e la emissione di radiazioni (che possono essere invisibili o visibili, cioè luminose) di frequenza fissa, caratteristica
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degli stati di partenza e di arrivo. Questa descrizione corrisponde a ciò che si osserva durante gli esperimenti negli spettri atomici (spettroscopia
(http://www.treccani.it/enciclopedia/spettroscopia_(Enciclopedia_dei_ragazzi)/)) si individuano le linee corrispondenti alle transizioni degli
elettroni tra gli stati stazionari.
La spiegazione moderna
Il grande successo del modello di Bohr, con le sue 'strane' ipotesi che non si appoggiavano completamente alle leggi della fisica classica, rese
evidente la necessità di guardare con occhi diversi il comportamento di oggetti così piccoli e inafferrabili come gli elettroni. Da questi studi è
dipesa la formulazione della meccanica quantistica e la nascita della fisica moderna. È stato necessario riesaminare criticamente lo stesso
concetto di 'vedere' un oggetto.
Se esponiamo una palla a una sorgente di luce, per esempio il Sole, i raggi urtano la palla e ripartono in tutte le direzioni, cosicché alcuni di essi
riflessi raggiungono i nostri occhi. Questi trasmettono l'informazione al cervello che elabora l'immagine della palla. Supponiamo ora di voler
vedere un elettrone: inviamo un raggio di luce nella zona in cui si trova la particella e disponiamo un rivelatore di luce nelle vicinanze. Talvolta
un'onda luminosa urterà l'elettrone, sarà deviata e raggiungerà il rivelatore che trasmetterà l'informazione a un calcolatore il quale cercherà di
dirci dove si trovava l'elettrone. Queste due situazioni, simili all'apparenza, in realtà sono ben diverse, perché la luce
(http://www.treccani.it/enciclopedia/luce_(Enciclopedia_dei_ragazzi)/) è un'onda, caratterizzata da una sua lunghezza ben definita. La
lunghezza d'onda della luce visibile è infinitamente più piccola della palla ed è molto più grande dell'elettrone. Così la luce, nel suo rimbalzare
sul bersaglio, ci dà una descrizione accurata della posizione e della forma della palla, mentre nel caso dell'elettrone qualche volta ci rimbalza
sopra e qualche altra lo scavalca.
Inoltre, la massa della palla è tale che il suo stato, cioè il posto dove si trova, e la velocità a cui si muove non sono perturbati dall'arrivo dei
raggi. Nel caso dell'elettrone, a causa della piccolissima massa, il pur minimo urto con il raggio incidente ne cambia la velocità e la direzione.
Per questo effetto, quando si cerca di osservare la posizione di un elettrone, se ne modifica in maniera imprevedibile il moto e quindi non è
possibile sapere dove esso sarà un istante dopo. Il grande fisico tedesco Werner Heisenberg espresse questo fatto introducendo il cosiddetto
principio di indeterminazione, secondo il quale quanto più è piccola l'incertezza sulla posizione di un oggetto tanto maggiore è quella sulla
velocità e viceversa. Questo principio rappresenta un limite invalicabile imposto dalla natura sulla precisione con cui possiamo conoscere allo
stesso tempo la posizione e la velocità di un piccolo oggetto.
Dobbiamo quindi abbandonare l'idea di 'vedere' un elettrone, così come vediamo un oggetto macroscopico, e limitarci a dire qual è la probabilità
che esso si trovi in un certo punto in un dato istante.
La descrizione quantistica dell'atomo
Poiché non possiamo seguire l'elettrone nella sua orbita dobbiamo rinunciare a parlare di orbita, nel senso geometrico della parola, e dobbiamo
limitarci a parlare di una 'regione' entro la quale sappiamo che si trova l'elettrone, con probabilità diverse in punti diversi. Non potendo definire
un'orbita, non possiamo affermare che l'elettrone ruoti attorno al nucleo e non dobbiamo più fare i conti con la necessità della continua
emissione di onde luminose che avevamo ereditato dalla descrizione classica. Sono così giustificate le 'strane' ipotesi di Bohr, anche se, non
per questo, la descrizione fornita dalla meccanica quantistica diventa facilmente digeribile e intuitiva. Ma questo è il prezzo che si deve pagare
se si vuole parlare di un mondo così piccolo come un atomo e i suoi costituenti.
Da questa nuova descrizione dell'atomo e dalla teoria quantistica dipendono molte applicazioni che hanno cambiato la nostra vita di tutti i giorni.
Alcuni esempi sono i transistor e quindi tutta l'elettronica e gli odierni computer, i laser, la superconduttività con la prospettiva di trasporti a
bassissimo costo. In futuro potrebbero esistere anche computer quantistici e un sistema di crittografia (scrittura cifrata) completamente sicuro
per trasmettere il numero di una carta di credito senza rischiare di essere derubati.
Il nucleo e i suoi misteri
Se lo studio degli elettroni ha fatto nascere la moderna meccanica quantistica, lo studio del nucleo con i suoi misteri ha aperto la via alla ricerca
dei costituenti ultimi della materia e alla comprensione della struttura dell'Universo e della sua evoluzione. Già i protoni rappresentano infatti una
grande sorgente di domande. Per esempio, è strano che molte cariche positive, quelle dei protoni dentro un nucleo, accettino di essere
concentrate nel minimo spazio possibile, il volume del nucleo, a dispetto delle forze con cui le cariche dello stesso segno si respingono
tendendo ad allontanarsi l'una dall'altra. È necessaria una nuova forza che agisce tra protoni, tra protoni e neutroni, e tra neutroni, una forza
molto superiore a quella elettrica, ma il cui effetto è limitato a piccole distanze, la forza nucleare.
Un secondo problema è rappresentato dal fatto che i protoni, benché piccolissimi, hanno un diametro misurabile a differenza degli elettroni che
sono a tutti gli effetti puntiformi. Questa caratteristica ha spinto i fisici a metà del Novecento a cercare di spezzarli per vedere che cosa ci fosse
'dentro', scoprendo così che al loro interno ci sono i quark.
Gli isotopi
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Per ogni elemento esistono atomi con lo stesso numero atomico, ma con un numero di neutroni diverso, cioè con diverso numero di massa.
Sono gli isotopi, parola greca che significa "stesso luogo", perché appartengono tutti allo stesso elemento. Abbiamo detto che il nucleo
dell'atomo più leggero, l'idrogeno, è formato solo da un protone. Ma alcuni atomi di idrogeno hanno il nucleo formato da un protone e da un
neutrone: in questo caso l'idrogeno prende il nome di deuterio, mentre se vi sono due neutroni abbiamo il trizio. Deuterio e trizio sono isotopi
dell'idrogeno. In genere ciascun elemento è formato da più di un isotopo.
La scoperta degli elettroni
La scoperta degli elettroni seguì un percorso lento e tortuoso che raggiunse la conclusione con gli esperimenti realizzati con un tubo a raggi
catodici, identico in sostanza al tubo dei moderni televisori. Si mise in evidenza che i raggi che lo percorrevano venivano deviati da forze
elettriche e magnetiche ed erano quindi oggetti materiali, gli elettroni appunto. La scoperta infine venne assegnata a J. J. Thomson, ma fu
Robert Millikan nel 1909 a misurare per primo la carica dell'elettrone.
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