Cod. 11-09-JAN-2008-IT-2537-B Autorizzazione Steering Committee AIFA in data 14-11-2008 Data deposito AIFA 20-11-2008 Merck Sharp & Dohme (Italia) S.p.A. Via G. Fabbroni, 6 00191 Roma www.univadis.it [email protected] Collana Editoriale AMD Aggiornamenti 2008 Direttore Scientifico: Carlo B. Giorda Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Carlo B. Giorda, Marta Letizia Hribal, Edoardo Mannucci, Carla Origlia, Salvatore Piro, Francesco Purrello, Giorgio Sesti Collana Editoriale AMD Aggiornamenti 2008 Direttore Scientifico: Carlo B. Giorda Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Carlo B. Giorda, Marta Letizia Hribal, Edoardo Mannucci, Carla Origlia, Salvatore Piro, Francesco Purrello, Giorgio Sesti © Copyright 2008 by Pacini Editore S.p.A. – Pisa Realizzazione editoriale e progetto grafico Via A. Gherardesca 56121 Ospedaletto (Pisa) www.pacinieditore.it [email protected] Fotolito e Stampa Industrie Grafiche Pacini Servizio scientifico offerto alla Classe Medica da Merck Sharp & Dohme (Italia) S.p.A. Questa pubblicazione riflette i punti di vista e le esperienze degli autori e non necessariamente quelli della Merck Sharp & Dohme (Italia) S.p.A. Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice. Edizione fuori commercio. Omaggio per i Signori Medici. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org Indice Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni M.L. Hribal, G. Sesti ................................................................................................ pag. 7 Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2 S. Piro, F. Purrello . .................................................................................................. » 19 Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici E. Mannucci ........................................................................................................... » 31 Domande e risposte sulle incretine (dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico) C. Origlia, C.B. Giorda............................................................................................... » 45 Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni Marta Letizia Hribal, Giorgio Sesti Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università “Magna Græcia” di Catanzaro Introduzione Il diabete di tipo 2 è la malattia metabolica più diffusa nel mondo e la sua prevalenza è in continua crescita in particolare nei Paesi in via di sviluppo quali la Cina e l’India. Sebbene le cause del diabete di tipo 2 siano ignote, è ampiamente dimostrato che fattori genetici interagiscono con fattori ambientali per lo sviluppo della malattia. L’aumentata prevalenza del diabete mellito di tipo 2 è in larga parte imputabile all’incremento dell’obesità e alla concomitante riduzione dell’attività fisica. Oltre l’80% dei soggetti diabetici di tipo 2 è in sovrappeso e l’obesità e la sedentarietà sono i principali fattori di rischio. Alla patogenesi del diabete di tipo 2 concorrono sia una ridotta sensibilità all’azione insulinica da parte dei tessuti periferici (fegato, muscolo scheletrico e tessuto adiposo), sia difetti della secrezione insulinica da parte della β-cellula pancreatica che non è in grado di compensare per la ridotta azione dell’ormone. Quale dei due difetti sia primitivo e quale sia secondario è tuttora oggetto di dibattito. Le β-cellule pancreatiche, in condizioni normali, rappresentano il 50-80% delle cellule endocrine presenti nelle isole di Langerhans e garantiscono un continuo e rapido adattamento della secrezione insulinica alle esigenze metaboliche dell’organismo, nonché ai perennemente mutevoli equilibri tra numerosi ormoni e neurotrasmettitori. La presenza di una forte componente genetica nell’eziopatogenesi del diabete di tipo 2 è suggerita dalla forte aggregazione familiare della malattia, dall’elevata prevalenza in determinate popolazioni e dall’elevata concordanza di malattia in gemelli monozigoti 1 2. L’analisi della genetica del diabete di tipo 2 è, tuttavia, complicata dal fatto che il diabete di tipo 2 è una malattia poligenica (occorrono due o più geni per causare la malattia), eterogenea (non tutti gli affetti sono portatori delle stesse mutazioni), con trasmissione di tipo non Mendeliana. Fattori ambientali quali l’incremento ponderale, la dieta, l’attività fisica, l’età, interagiscono con la predisposizione genetica per determinare l’insorgenza della malattia. Studi longitudinali su popolazioni ad alto rischio di sviluppo della malattia, quali gli Indiani Pima del Nord America 3, le popolazioni della Micronesia 4 o i familiari di pazienti affetti da diabete di tipo 2 5, hanno dimostrato come l’insulino-resistenza sia un evento precoce nello sviluppo del diabete che precede di diversi anni l’esordio della intolleranza glicidica. Inizialmente, le beta-cellule pancreatiche possono compensare per l’insulino-resistenza aumentando la loro massa o l’attività secretoria. Tuttavia, quando la compensazione non è più adeguata, compare l’iperglicemia. L’ordine di comparsa dei due difetti può essere invertito in alcuni gruppi di pazienti con diabete di tipo 2, quali ad esempio i pazienti affetti da MODY (maturity-onset diabetes of the young), in cui sono presenti mutazioni di geni coinvolti nella funzione della β-cellula pancreatica, o i pazienti affetti da LADA (latent autoimmune diabetes in adults), in cui sono presenti anticorpi diretti contro antigeni della β-cellula pancreatica. Diverse evidenze indicano che sia l’insulino-resistenza sia l’insulino-deficienza siano geneticamente determinate. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico M.L. Hribal, G. Sesti Questa tradizionale descrizione della patogenesi del diabete di tipo 2 pone l’accento sul ruolo predominante delle alterazioni di secrezione e di azione insulinica a livello dei tessuti periferici 6 7. Questo modello appare adeguato a spiegare le componenti in gioco durante la condizione di digiuno quando i livelli glicemici sono principalmente determinati dalle concentrazioni basali di insulina e dalla sensibilità epatica all’insulina 8 10. Durante il digiuno, il glucosio circolante è utilizzato prevalentemente da tessuti, quali il cervello attraverso meccanismi non-insulino-dipendenti, e le basse concentrazioni di insulina sono sufficienti per stimolare il trasporto di glucosio negli altri tessuti periferici, quali il cuore, il muscolo scheletrico, il fegato e il tessuto adiposo 11. Un modesto incremento dei livelli di insulina è in grado di sopprimere la mobilizzazione degli acidi grassi dal tessuto adiposo e di aumentare così la sensibilità epatica all’insulina. Inoltre, le più elevate concentrazioni di insulina nel circolo portale aumentano la risposta epatica all’azione dell’insulina rispetto al muscolo scheletrico 12 13. La modulazione della secrezione insulinica durante la condizione di digiuno è così essenzialmente rivolta a regolare il rilascio adiposo di acidi grassi e la produzione epatica di glucosio (Fig. 1). Regolazione della glicemia post-prandiale: ruolo delle incretine I meccanismi che regolano l’omeostasi glicidica durante il periodo post-prandiale sono più complessi 14 15. Un pasto ordinario contiene 50-100 g di carboidrati e diversi fattori contribuiscono Figura 1. Rappresentazione schematica delle conseguenze della ridotta azione insulinica a livello dei tessuti periferici in condizioni di insulino-resistenza. Una ridotta azione insulinica risulta in un’alterata utilizzazione degli acidi grassi a livello epatico muscolare e del tessuto adiposo, in un alterato metabolismo del glucosio a livello muscolare ed epatico e in un’aumentata lipolisi a livello del tessuto adiposo. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni a evitare un esagerato incremento della glicemia post-prandiale. Una rapida e sostenuta secrezione di insulina durante e dopo il pasto è necessaria per limitare l’innalzamento della glicemia post-prandiale. Un altro ormone che contribuisce alla regolazione dell’omeostasi glicidica nel periodo post-prandiale è il glucagone. L’assunzione orale di glucosio induce una riduzione dei livelli di glucagone che agendo in modo coordinato con l’incremento dei livelli di insulina determina una riduzione della produzione epatica di glucosio 14 15. La risposta secretoria insulinica è solo in parte dipendente dall’incremento dei livelli glicemici. Già nel 1940, era stata ipotizzato un ruolo per i fattori intestinali nel controllo della glicemia post-prandiale 16. Questa ipotesi ha trovato conferma in studi condotti 25 anni dopo quando è diventato disponibile il dosaggio radioimmunologico dell’insulina 17-19. Il concetto di “incretine” nasce dall’osservazione che una determinata quantità di glucosio ingerita per via orale provoca un incremento di secrezione insulinica maggiore rispetto a quella indotta dalla stessa quantità di glucosio somministrata per via endovenosa suggerendo così la partecipazione di un “fattore intestinale” potenziante la secrezione insulinica 20 (Fig. 2). Le principali incretine secrete dopo pasto sono il glucagon-like peptide 1 (GLP-1) e il glucose-dependent insulinotropic polypeptide (GIP) 21 22. Il GLP-1 è un ormone polipeptidico sintetizzato prevalentemente dalle cellule enteroendocrine L localizzate nel tratto distale dell’ileo e nel colon, mentre il GIP è sintetizzato dalle cellule K localizzate nel duodeno e nelle anse prossimali del digiuno (Fig. 3). La secrezione del GLP-1 è regolata attraverso una combinazione di fattori stimolatori di origine neurale ed endocrina a cui si aggiunge uno stimolo per contatto diretto dei nutrienti con le cellule entero-endocrine Figura 2. La secrezione insulinica in risposta a carico di glucosio è maggiore quando tale carico è effettuato per via orale rispetto a quando è effettuato per via endovenosa. Il grafico sulla sinistra mostra come i livelli di glicemia nel plasma in seguito a carico di glucosio effettuato per via orale (linea blu) o per via endovenosa (linea rossa) aumentino in modo assolutamente sovrapponibile; al contrario il grafico sulla destra mostra come le concentrazioni plasmatiche di C-peptide siano significativamente più alte a tutti i tempi esaminati se il carico avviene per via orale (linea blu) rispetto a quando il glucosio viene iniettato endovena (linea rossa). La differenza tra le due curve, evidenziata dall’area tratteggiata, viene attribuita all’effetto delle incretine (da Nauck et al., 1986, mod.) 23. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico M.L. Hribal, G. Sesti Figura 3. Rappresentazione schematica delle localizzazione delle cellule responsabili della produzione del GLP-1 e del GIP e dei tessuti nei quali è presente il recettore per le due incretine. Il GLP-1 è sintetizzato prevalentemente dalle cellule entero-endocrine L localizzate nel tratto distale dell’ileo e nel colon, mentre il GIP è sintetizzato dalle cellule K localizzate nel duodeno e nelle anse prossimali del digiuno. I recettori per il GIP e il GLP-1 sono presenti in diversi tessuti quali il pancreas (GLP-1 e GIP), il cervello (GLP-1 e GIP), il duodeno (GIP), i reni (GLP-1), il fegato (GLP-1), i polmoni (GLP-1), lo stomaco (GIP), il tessuto adiposo (GIP), il muscolo scheletrico (GLP-1), il cuore (GIP e GLP-1), la ghiandola surrenalica (GLP-1), la ghiandola pituitaria (GLP-1). L. Il rilascio del GIP è prevalentemente stimolato dai grassi contenuti negli alimenti. GIP e GLP-1 potenziano la secrezione insulinica glucosio-dipendente da parte della� β-������������������������ cellula pancreatica. ���Il GLP-1 riduce anche la secrezione di glucagone da parte delle α-cellule pancreatiche (Tab. I). I recettori per il GIP e il GLP-1 sono presenti in diversi tessuti quali il pancreas, il cervello, il duodeno, i reni, il fegato, i polmoni, i vasi, il cuore e lo stomaco (Fig. 3). Studi su animali knockout per i geni codificanti per i recettori per GIP o GLP-1 hanno dimostrato che l’abrogazione del recettore delle due incretine causa un’alterata tolleranza glicidica 24 25. In aggiunta agli effetti stimolatori della secrezione insulinica e agli effetti inibitori sulla secrezione di glucagone, studi sperimentali in vitro e in vivo hanno evidenziato che il GLP-1 svolge altre importanti azioni sulla funzione della β-cellula pancreatica, tra cui un aumento della massa e della proliferazione delle β-cellule, una riduzione dell’apoptosi (definita anche morte cellulare programmata) e un aumento del differenziamento della β-cellula pancreatica da precursori 26 27 (Fig. 4). Il GLP-1 ha anche effetti “extrapancreatici” che sono potenzialmente importanti per le applicazioni terapeutiche dell’ormone. Infatti, il GLP-1 inibisce lo svuotamento gastrico, la secrezione acida gastrica e l’assunzione di cibo 34-36 (Tab. I). Uno svuotamento gastrico più lento (con conseguente ritardo nell’assorbimento dei carboidrati) e un aumento del senso di sazietà sono effetti positivi nel trattamento di pazienti con diabete di tipo 2 che spesso sono in sovrappeso e presentano picchi iperglicemici postprandiali che ostacolano il raggiungimento di un controllo metabolico ottimale. 10 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni Figura 4. Rappresentazione schematica degli effetti delle incretine sulla massa β-cellulare. La massa β-cellulare è regolata da un equilibrio tra meccanismi che ne promuovono l’aumento, quali l’ipertrofia della singola β-cellula, la formazione di nuove β-cellule e la replicazione delle β-cellule pre-esistenti e fenomeni che ne causano la riduzione, quali la morte per apoptosi. Le incretine da un lato favoriscono la replicazione, la formazione di nuove β-cellule e l’ipertrofia β-cellulare e dall’altro inibiscono l’apoptosi determinando nel complesso un aumento della massa β-cellulare. Alterazioni funzionali delle ß-cellule pancreatiche nel diabete di tipo 2 Il comportamento della secrezione insulinica da parte delle β-cellule pancreatiche nel corso della storia naturale del diabete di tipo 2 è variabile, con livelli di insulina circolante che, in termini assoluti, possono essere aumentati, normali, o ridotti, ma che, relativamente alle concentrazioni plasmatiche di glucosio, sono insufficienti a garantire una normale omeostasi metabolica. Il difetto funzionale più precoce delle β-cellule pancreatiche osservato nel diabete di tipo 2 è la progressiva riduzione, fino alla scomparsa, della prima fase della secrezione insulinica, cui, nel tempo, si aggiunge un difetto anche a carico della seconda fase del rilascio dell’ormone 5 28 29. Di particolare rilievo è il fatto che la secrezione di insulina in risposta a Tabella I. Effetti fisiologici del GLP-1 e del GIP. Effetti comuni al GLP-1 e al GIP Effetti peculiari del GLP-1 ‚ Glicemia · Senso di sazietà · Secrezione insulinica glucosio-dipendente ‚ Assunzione di cibo ���������������������� -cellule pancreatiche · Massa delle� ß��������������������� ‚ Peso corporeo ���������������������� -cellule pancreatiche ‚ Apoptosi delle ß��������������������� ‚ Secrezione di glucagone ���������� -cellule · Differenziamento delle ß��������� ‚ Secrezione gastrica ‚ Svuotamento gastrico ‚ Estrazione epatica dell’insulina · Utilizzazione periferica di glucosio · Biosintesi dell’insulina Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 11 M.L. Hribal, G. Sesti stimoli diversi dal glucosio (ad esempio arginina e sulfaniluree) risulta sostanzialmente conservata anche dopo vari anni dalla diagnosi, a dimostrazione che nelle β-cellule pancreatiche dei pazienti diabetici tipo 2 i granuli secretori che contengono l’ormone sono processati regolarmente e sono pronti a essere rilasciati dalla cellula, ma il glucosio non riesce a far giungere l’appropriato segnale. Dal punto di vista dinamico, oltre alle alterazioni a carico della prima fase della secrezione insulinica, nel diabete di tipo 2 sono presenti difetti della normale pulsatilità del rilascio dell’ormone. Accanto alle alterazioni funzionali, diverse evidenze suggeriscono che le isole di Langerhans nei pazienti diabetici tipo 2 mostrino un decremento del contenuto insulinico e dei granuli in cui è conservato l’ormone, una marcata riduzione della massa β-cellulare, e un aumento della quantità delle α-cellule 30-33. Inoltre, è stato riportato che isole di Langerhans nei pazienti con diabete di tipo 2 mostrano uno spiccato aumento dei depositi di sostanza amiloide 33, i cui depositi si formano, per motivi non del tutto noti, allorquando l’amilina, proteina secreta dalla β-cellula insieme all’insulina, da solubile diviene insolubile, formando strutture complesse, che presentano caratteristiche di tossicità per la β-cellula. Tuttavia, è opportuno sottolineare che le alterazioni morfo-strutturali riportate non sono da sole sufficienti a causare il marcato deficit di secrezione osservato nel diabete di tipo 2, ma verosimilmente contribuiscono a rendere più evidente il danno β-cellulare. Infatti, come dimostrato in vari modelli sperimentali e clinici, l’iperglicemia si manifesta solo quando la riduzione della massa β-cellulare è consistentemente maggiore del 50%. Alterazioni funzionali delle incretine nel diabete di tipo 2 Come sopra descritto, il controllo del processo che coinvolge il rilascio di incretine, la secrezione insulinica, l’inibizione della secrezione di glucagone e lo svuotamento gastrico è complesso e richiede l’integrazione e il coordinamento di diversi componenti. Molti di tali componenti della risposta al pasto sono alterati in soggetti con alterata tolleranza glicidica (impaired glucose tolerance, IGT) o con diabete di tipo 2. In aggiunta ai difetti di secrezione riportati nel precedente paragrafo, nei soggetti diabetici di tipo 2 sono ridotte sia la secrezione insulinica glucosio-indotta 37 38, sia il potenziamento della secrezione insulinica da parte delle incretine 20. Nei diabetici di tipo 2 la secrezione di glucagone è tipicamente elevata durante il digiuno, non è soppressa durante un carico orale di glucosio ed è aumentata più del normale dopo un pasto misto 14 15 39 40. I livelli di glucagone basali sono aumentati nei soggetti con IGT e la soppressione durante carico di glucosio è alterata, determinando un incremento dei livelli circolanti di glucagone 41 42. L’uptake del glucosio da parte del fegato è generalmente ridotto e la soppressione epatica di glucosio è marcatamente ridotta 43-45. I soggetti con diabete di tipo 2 hanno una ridotta secrezione di GLP-1 in risposta a un pasto 46 47 (Fig. 5) e presentano un ridotto “effetto incretinico” rispetto ai soggetti non diabetici, ovvero esibiscono una differenza tra le curve di insulinemia dopo ingestione di glucosio o dopo somministrazione endovenosa di glucosio meno marcata rispetto ai soggetti con normale tolleranza glicidica, e queste alterazioni contribuiscono indubbiamente alla ridotta secrezione insulinica e all’aumentata secrezione di glucagone 20 46 (Fig. 6). Il ridotto “effetto incretinico” osservato nei soggetti con diabete di tipo 2 sembrerebbe dovuto soprattutto alla perdita quasi completa degli effetti insulinotropici del GIP, mentre la secrezione di GIP sarebbe pressoché normale 47-49; anche se negli studi, ormai un po’ datati, in cui sono stati riportati tali osservazioni era stato utilizzato un sistema di dosaggio del GIP che misurava l’immunoreattività totale, mentre, poiché il GIP, 12 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni Figura 5. La secrezione di GLP-1 in risposta a un pasto è ridotta in soggetti con diabete di tipo 2. Livelli di GLP-1 plasmatico in soggetti con diabete di tipo 2 (linea blu), soggetti con alterata tolleranza glicidica (IGT, linea viola) e soggetti di controllo (linea rossa) in risposta a un pasto. La secrezione di GLP-1 è significativamente ridotta nei soggetti diabetici rispetto ai controlli (p <0,05 a 60, 72, 84, 96, 120, 132, 144 minuti dopo il pasto), i soggetti con IGT presentano ridotti livelli di GLP-1 ai medesimi punti, ma tale riduzione non raggiunge la significatività (da Toft-Nielsen et al., 2001, mod.) 46. Figura 6. L’effetto delle incretine è ridotto in soggetti con diabete di tipo 2. Il grafico a sinistra mostra i livelli plasmatici di insulina dopo carico orale (linea rossa) o iniezione endovena (linea blu) di glucosio; analogamente a quanto mostrato in Figura 1, la differenza tra le due curve (area tratteggiata) viene attribuita all’effetto delle incretine. Nel grafico sulla destra si può osservare come tale area tratteggiata sia significativamente ridotta nei soggetti con diabete di tipo 2 che presentano inoltre una risposta alterata sia al carico orale (linea rossa), sia all’iniezione endovena (linea blu) di glucosio (da Nauck et al, 1986, mod.) 20. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 13 M.L. Hribal, G. Sesti al pari del GLP-1, è rapidamente degradato dall’enzima dipeptidil-peptidasi IV (DPP-4), è possibile che i livelli di ormone attivo circolante siano in effetti ridotti. Il meccanismo della ridotta responsività al GIP non è ancora noto ma potrebbe coinvolgere una down-regulation dell’espressione dei recettori per il GIP o una desensibilizzazione del recettore all’azione del GIP. Una riduzione dei livelli di GLP-1, ma non di GIP, in risposta al carico di glucosio è stata anche osservata in soggetti con IGT 50 (Fig. 7). I difetti di secrezione del GLP-1 osservati nel diabete di tipo 2 sembrano essere secondari piuttosto che primari in quanto sia i familiari di 1° grado di soggetti diabetici di tipo 2 51, sia donne con precedente diabete gestazionale 52 hanno livelli plasmatici di GLP-1 simili ai soggetti di controllo. Inoltre, è stato riportato che, in gemelli monozigoti discordanti per l’insorgenza di diabete di tipo 2, solo il gemello affetto mostra un difetto di secrezione del GLP-1 53. In contrasto a quanto osservato con il GIP, il GLP-1 mantiene i suoi effetti insulinotropici nei soggetti con diabete di tipo 2 48 e invero la somministrazione di GLP-1 per infusione continua si è dimostrata in grado di aumentare la secrezione insulinica e di normalizzare sia la glicemia a digiuno, sia quella post-prandiale in soggetti affetti da diabete tipo 2 che presentavano un fallimento secondario al trattamento con sulfanilurea 49 54 55. È tuttavia importante notare che dagli studi dose-risposta appare evidente che l’effetto di potenziamento della secrezione insulinica da parte del GLP-1 nei soggetti diabetici di tipo 2 risulta ridotta a circa il 20% dell’effetto osservabile nei soggetti non diabetici 55. Questa osservazione è estremamente rilevante ai fini della determinazione delle dosi di analoghi del GLP-1 da usare in terapia. Si ritiene che il GLP-1 eserciti i suoi effetti anti-diabetici attraverso diversi meccanismi. Il primo di questi è ovviamente il ripristino della secrezione di insulina glucosio-dipendente 56 57. Un altro importante fattore è l’inibizione della secrezione di glucagone Figura 7. Livelli plasmatici di GLP-1 e GIP durante curva da carico orale di glucosio in parenti di primo grado di soggetti diabetici. Livelli di GLP-1 (grafico di sinistra) e di GIP (grafico di destra) durante una curva da carico orale di glucosio in 278 soggetti, parenti di primo grado di pazienti diabetici, partecipanti allo studio EUGENE2. I livelli di GLP-1 sono significativamente ridotti nei soggetti con alterata glicemia a digiuno (IFG, quadrati), nei soggetti con alterata tolleranza glicidica (IGT, triangoli) e nei soggetti che presentano entrambe le alterazioni (IFG/IGT, rombi), rispetto ai soggetti con normale tolleranza al glucosio (NGT, cerchi) (da Laakso et al., 2008, mod.) 50. * p < 0,05 rispetto agli NGT. 14 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni anch’essa glucosio-dipendente. Infatti, durante l’infusione endovenosa di GLP-1 a soggetti con diabete di tipo 2, la secrezione di glucagone è soppressa quando i livelli glicemici sono ancora elevati, ma non appena rientrano nel range di normalità la secrezione di glucagone ritorna ai livelli basali 58. L’inibizione dello svuotamento gastrico ha un ruolo significativo in particolare nel limitare le escursioni glicemiche post-prandiali 59, mentre la riduzione dello stimolo dell’appetito contribuisce al calo ponderale osservato durante l’infusione cronica 56 60. La conferma delle potenzialità del GLP-1 per uso terapeutico è stato ottenuta in uno studio in cui esso è stato somministrato in infusione continua sottocutanea tramite microinfusore per 6 settimane 56. Al termine del periodo di infusione i pazienti in trattamento attivo mostravano una diminuzione sia della glicemia a digiuno, sia di quella post-prandiale associata a una riduzione dell’1,3% dell’emoglobina glicosilata (HbA1c). Inoltre, i soggetti in trattamento attivo avevano una riduzione degli acidi grassi liberi, un miglioramento della sensibilità insulinica e un calo ponderale di 1,9 kg rispetto all’inizio del trattamento 56. In ultimo, è interessante osservare che la trascrizione del gene codificante per GLP-1, oltre che per glucagone e altri piccoli peptidi correlati, è regolata da un fattore di trascrizione chiamato TCF7L2, le cui varianti geniche sono risultate, in diversi recenti studi, associate a diabete di tipo 2 61. È stato quindi ipotizzato che il GLP-1 possa essere il mediatore funzionale dell’azione del TCF7L2 sulla patogenesi del diabete di tipo 2 e sono stati condotti studi volti a determinare se esistesse una correlazione tra le varianti geniche di TCF7L2 e i livelli di espressione o l’efficacia di questa incretina 62 63. Un primo studio ha mostrato una riduzione del 20% dell’effetto incretinico nei portatori delle varianti associate ad aumentato rischio con alterata tolleranza glicidica o diabete di tipo 2 62, mentre un altro studio ha dimostrato che l’efficacia del GLP-1 nell’indurre secrezione insulinica era ridotta nei portatori dell’allele di rischio 63. Ulteriori studi saranno necessari per confermare tali correlazioni e chiarire i meccanismi molecolari alla base dell’aumentato rischio associato alle varianti geniche di TCF7L2. Conclusioni Dalla scoperta che il tratto intestinale produce ormoni di grande importanza per il metabolismo dei carboidrati e il mantenimento della omeostasi glicidica sono derivate nuove conoscenze nell’ambito della fisiopatologia del diabete di tipo 2. Accanto al classico modello fisiopatologico che si fonda sul difetto di azione insulinica (insulino-resistenza) associato a deficit relativo di secrezione insulinica da parte delle β-cellule pancreatiche, oggi il quadro della fisiopatologia del diabete di tipo 2 si è arricchito di nuovi attori: le incretine. Il GLP-1 è risultato particolarmente interessante per la sua capacità di stimolare la secrezione di insulina glucosio-dipendente, di inibire la secrezione di glucagone, di rallentare lo svuotamento gastrico, di indurre sazietà e perdita di peso. La maggiore limitazione all’utilizzo terapeutico del GLP-1 è rappresentata dalla sua breve emivita, meno di 2 minuti 64. L’ormone una volta in circolo è rapidamente degradato dall’enzima dipeptidil-peptidasi IV (DPP-4) nella sua porzione N-terminale in seguito alla rimozione di due aminoacidi.������������������������������������ Per ����������������������������������� ovviare a questo inconveniente sono stati presi in considerazione due approcci: 1) lo sviluppo di analoghi del GLP-1 umano che fossero resistenti all’azione dell’enzima DDP-4, sì da prolungare l’effetto di stimolo sul recettore del GLP-1; 2) l’uso di inibitori selettivi per l’enzima DPP-4 in grado di prevenire la degradazione del GLP-1 endogeno aumentandone così i livelli circolanti.����������������� Di queste nuove classi di farmaci antidiabetici si tratterà nei capitoli successivi. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 15 M.L. Hribal, G. Sesti Bibliografia Warram, JH , Rich SS, Kolewski AS. 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In particolare, il bilancio tra i livelli plasmatici di insulina e glucagone riveste certamente un ruolo importante per la corretta regolazione dei livelli glicemici. L’azione di questi due ormoni a livello dei tessuti bersaglio regola il corretto utilizzo e il metabolismo non solo del glucosio ma anche degli altri nutrienti. Se per anni la beta-cellula pancreatica ha ricoperto un ruolo di protagonista per la comprensione dei meccanismi patogenetici di questa patologia, oggi è necessario esaminare più attentamente il ruolo dell’alfa-cellula e degli altri ormoni prodotti dall’isola pancreatica, poiché la loro azione a livello di fegato, muscolo e tessuto adiposo, potrebbe spiegare meglio alcuni aspetti ancora poco noti di questa condizione patologica. Isola pancreatica L’isola pancreatica è un organo centrale per la comprensione della patogenesi del diabete mellito. All’interno del pancreas esocrino dell’uomo sono presenti circa due milioni di isole, che rappresentano ognuna un organo endocrino-indipendente, capace di riversare il prodotto della secrezione direttamente nel circolo generale. Le cellule che compongono l’isola pancreatica sono le alfa, le beta, le delta e le PP. Ogni famiglia cellulare produce un ormone diverso. Per anni solo le beta-cellule e l’ormone da queste prodotto, l’insulina, sono state al centro dell’attenzione per la comprensione della fisiologia e della fisiopatologia del diabete. Tuttavia, all’interno dell’isola, oltre alle beta-cellule che costituiscono la quota più rappresentata (circa il 60-70% nell’uomo), sono presenti anche le alfa-cellule (circa il 25% della quota totale) che producono glucagone, le cellule delta (circa il 10% del totale) che producono somatostatina, e le cellule PP (meno dell’1%) che producono polipeptide pancreatico. Benché l’esistenza di un ormone con caratteristiche opposte all’insulina fosse stata ipotizzata nel 1921, epoca in cui Banting e Best eseguivano i loro primi esperimenti su cani resi diabetici, solo nel 1948 Sutherland e Duve rilevarono che all’interno delle isole pancreatiche erano presenti le alfa-cellule in grado di produrre glucacone, un ormone capace di indurre iperglicemia. Era quindi già noto il fatto che questo organo a componente mista, l’isola pancreatica, fosse deputato non solo alla produzione di insulina, ma che anche gli altri componenti in qualche modo fossero indispensabili per la normale omeostasi glicemica. Nel 1975, Unger e Orci, per primi, sostennero l’esistenza dell’ipotesi bi-ormonale, secondo la quale le alfacellule e le beta-cellule, tramite la loro interazione sinergica, influenzano e regolano i normali livelli di glucosio nel sangue. Questa affascinate ipotesi negli anni successivi è stata in parte trascurata; solo con l’avvento delle incretine nella pratica clinica anche le alfa-cellule hanno Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 19 S. Piro, F. Purrello A B C Figura 1. Organizzazione anatomica dell’isola pancreatica. L’isola pancreatica è composta da differenti popolazioni cellulari. La distribuzione delle diverse tipologie cellulari varia da specie a specie. Nei roditori le beta-cellule sono presenti al centro dell’isola e le alfa-cellule prevalentemente in periferia; nell’uomo le alfa e le beta-cellule sono distribuite senza un ordine preciso (pannello A). Questa differente distribuzione potrebbe determinare una differente tipologia di comunicazione tra cellula e cellula. Se nei roditori è possibile ipotizzare una comunicazione di tipo esclusivamente endocrino (pannello B), nell’uomo oltre al controllo endocrino esiste sicuramente un controllo di tipo paracrino (pannello C). 20 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2 cominciato a rivestire un ruolo importante nella comprensione dei meccanismi biologici che regolano il diabete. Nelle varie specie animali le quattro popolazioni cellulari sono egualmente rappresentate, anche se la distribuzione anatomica all’interno dell’isola pancreatica risente di alcune differenze. Se nelle isole dei roditori è possibile riconoscere un core centrale di beta-cellule e un mantello periferico di cellule non beta, nell’uomo le cellule, alfa, beta, delta e PP sono allineate lungo i vasi sanguigni senza un preciso ordine (Fig. 1). Questa differente distribuzione potrebbe essere responsabile di un differente comportamento endocrino di questo organo; infatti, se nei roditori è possibile immaginare un effetto endocrino tra le cellule beta e le non beta, nell’uomo, oltre all’effetto endocrino mediato dal flusso ematico, potrebbero esistere anche effetti paracrini o merocrini che renderebbero il sistema più complesso. Negli ultimi anni, inoltre, è stato evidenziato come le interazioni cellula-cellula all’interno dell’isola rivestano un ruolo importante per la secrezione totale dei polipeptidi provenienti dall’isola, e studi praticati in isole intere, o in isole disperse in singole cellule, mostrano pattern secretori differenti, in particolare se si considera la secrezione di glucagone. Nella normale fisiologia la secrezione di glucagone rappresenta il più importante evento che si verifica in corso di ipoglicemia. Livelli troppo bassi di glucosio infatti potrebbero rappresentare un pericolo per il sistema nervoso, poiché il cervello non è in grado di sintetizzare glucosio, né di depositarlo in grandi quantità, per questo in condizioni fisiologiche l’azione delle alfa-cellule si oppone a questa condizione. Quando i livelli di insulina determinano repentini abbassamenti della glicemia nel circolo sistemico, il glucagone e l’epinefrina vengono stimolati e la loro secrezione crea un nuovo equilibrio della glicemia. Il glucagone determina a livello epatico glicogenolisi e gluconeogenesi; l’epinefrina aumenta il rilascio epatico di glucosio e rallenta l’utilizzazione dello stesso da parte del muscolo e del tessuto adiposo. Meccanismi di secrezione È noto che la secrezione insulinica rappresenta un fenomeno dinamico; la secrezione dell’ormone avviene in maniera pulsatile e multifasica. Continuamente la beta-cellula produce insulina con variazioni minime e continuative che si potenziano in risposta a un pasto. Studi in vitro, ma anche in vivo con l’utilizzo di carico endovena di glucosio, hanno mostrato la presenza di almeno due fasi della secrezione: la prima fase, o fase acuta che avviene nei primi 5-10 minuti dallo stimolo acuto, e la seconda fase o fase tardiva più prolungata nel tempo. Alcuni studi hanno evidenziato anche una terza fase della secrezione insulinica, che compare dopo 3-4 ore di stimolazione con glucosio, e che consiste in una riduzione della capacità secretoria di oltre il 50% rispetto ai valori massimali (desensibilizzazione o refrattarietà). Questa cinetica della secrezione, presente in soggetti normali, risulta alterata nel diabete mellito. Negli ultimi anni è emerso che la fase precoce è di fondamentale importanza per la normale omeostasi glicidica, e le sue alterazioni sono tipicamente associate al diabete mellito di tipo 2, o comunque a condizioni di alterata tolleranza glicidica. Tuttavia, i meccanismi che regolano queste fasi della secrezione insulinica sono ancora poco definiti. Molte sono le ipotesi che si susseguono, anche se non esiste una spiegazione univoca che possa permettere di interpretare tali fenomeni. I meccanismi che regolano la secrezione insulinica sono molteplici e ognuno dei punti del processo sembra un possibile nodo chiave. Da quando la beta-cellula entra in contatto con il glucosio, o con altri stimolanti, viene attivata una serie di vie metaboliche che esitano nell’esocitosi del granulo secretorio. Se si considera il glucosio, lo stimolante fisiologico, dall’interazione di questo Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 21 S. Piro, F. Purrello con il suo trasportatore, il GLUT-2, si attivano alcune tappe enzimatiche regolate dalla glucochinasi o dall’esochinasi, che tramite il metabolismo non ossidativo, conducono al mitocondrio. Qui, tramite il metabolismo ossidativo viene prodotto ATP; il rapporto ATP/ADP determina la chiusura dei canali del potassio ATP-dipendenti, l’attivazione dei canali per il calcio e, infine, l’esocitosi del granulo secretorio (Fig. 2). Il pool di granuli secretori presenti in ogni singola beta-cellula non sembra essere un fattore limitante. Infatti, ogni beta-cellula possiede un numero di granuli che difficilmente può esaurire. Tuttavia, non tutti i granuli presenti in una beta-cellula potrebbero essere rilasciati allo stesso momento. È necessario prima un processo di maturazione che sembra essere indispensabile per il processo di esocitosi. Sono stati identificati almeno tre pool differenti di granuli all’interno di ogni beta-cellula: un pool stabile che rappresenta il comparto maggiore con oltre l’80% dei granuli; un pool di granuli ancorati e un pool di granuli rapidamente rilasciabili, che rispetto a quelli ancorati ha subito un passaggio ulteriore di capacitazione che lo rende in grado di fondersi con la membrana plasmatica e di rilasciare il contenuto ormonale all’esterno (Fig. 3). Il processo di capacitazione dei granuli è complesso e le vie non sono del tutto note. Esistono tuttavia evidenze a supporto di alterazioni a tali livelli; sono infatti note mutazioni a carico di proteine e molecole di ancoraggio che renderebbero meno efficaci i processi di fusione del granulo alla membrana e quindi di rilascio dell’insulina. Differenze e analogie tra alfa e beta-cellule Per quanto riguarda le alfa-cellule, sembra che anche questa popolazione condivida alcuni apparati tipici della beta-cellula. Alcuni di questi sembrano essere quasi sovrapponibili, altri hanno peculiarità tipiche di questo sistema cellulare. Esperimenti di patch-clamp in alfa-cellule isolate di varie specie animali hanno mostrato come, a differenza delle beta-cellule, le alfa-cellule mostrino un potenziale di membrana spontaneo. Questa attività elettrica spontanea è stata anche dimostrata in alfa-cellule presenti sulla superficie di isole di topo ancora intatte. Sulla superficie cellulare delle alfa-cellule sono stati riscontrati differenti canali ionici in grado di influenzare l’attività elettrica di queste cellule. Esistono almeno quattro differenti tipi di canali per il potassio, almeno quattro tipologie di canali per il calcio voltaggio-dipendenti, canali per il sodio, per il cloro e per alcuni neurotrasmettitori quali il GABA. Sembra tuttavia che il comportamento di questi canali sia differente se studiato in alfa-cellule isolate o all’interno di un’isola pancreatica. Per quanto riguarda i canali per il potassio ATP-dipendenti, essi sembrano condividere numerose peculiarità funzionali con le beta-cellule, ma anche con molti altri tessuti dell’organismo. Tuttavia, seppure non sembri esistere una differenza in termini di densità per unità di superficie tra beta e alfa-cellule, il loro comportamento risulta essere diverso. Nelle alfa-cellule, i canali per il potassio ATP-dipendenti sembrano essere molto più sensibili all’ATP. Questa differente sensibilità indica che sono necessarie concentrazioni di ATP molto basse per attivare la chiusura di questi canali, rispetto alle beta-cellule, e per determinare desensibilizzazione e quindi secrezione. Beta-cellule La beta-cellula pancreatica rappresenta il tipo cellulare maggiormente presente all’interno dell’isola pancreatica. Nell’uomo su circa due milioni di isole pancreatiche di Langerhans, l’80% della massa totale è rappresentato da beta-cellule. 22 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2 Figura 2. Rappresentazione del processo di secrezione insulinica. La beta-cellula, dopo l’esposizione al glucosio, avvia una serie di processi che esitano nella secrezione dei granuli di insulina. Le beta-cellule pancreatiche rilasciano insulina in risposta a vari stimoli fisiologici o farmacologici, allo scopo di mantenere i livelli di glucosio nel sangue entro un range di normalità necessario per la sopravvivenza dell’organismo. L’ormone prodotto dalle beta-cellule pancreatiche è l’insulina, peptide costituito da due catene aminoacidiche di 21 e 30 aminoacidi, rispettivamente chiamate A e B. Queste due proteine sono legate tra loro da due ponti di solfuro che conferiscono la struttura terziaria della proteina. L’insulina viene prodotta all’interno della beta-cellula come precursore immaturo. Prima del rilascio in circolo subisce almeno due processi di clivaggio passando attraverso il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi. Una volta rilasciata in circolo, la sua emivita plasmatica sarà di circa 6 minuti, poi verrà degradata ed eliminata a livello epatico, renale e in quota minore anche da altri tessuti per opera di insulinasi. A livello dei tessuti bersaglio, si lega a specifici recettori, composti da due subunità (alfa e beta), appartenenti alla famiglia dei recettori peptidici di membrana. È noto tuttavia che l’insulina esplica anche effetti di tipo mitogenico e proliferativo tramite l’interazione con recettori non specifici, quali il recettore per l’IGF-1, l’IGF-2 e altri ancora. Come già citato, l’insulina dopo la sintesi e le prime modificazioni conformazionali, viene immagazzinata dentro specifici granuli secretori. All’interno dei granuli si trova prevalentemente insulina matura e C-peptide o peptide di connessione, derivante dal clivaggio della pro-insulina. Questo peptide verrà rilasciato poi in circolo in quantità equimolari con l’insulina. All’interno del granulo inoltre sono presenti zinco, calcio, magnesio, nonché altri ioni, volti a mantenere un pH ottimale; è noto infatti che uno dei processi di liberazione dell’insulina è rappresentato dall’acidificazione del contenuto del granulo a opera di alcuni canali esclusivi della membrana Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 23 S. Piro, F. Purrello del granulo stesso. Mutazioni a livello di queste pompe determinano l’impossibilità del rilascio dell’ormone, anche in condizioni di perfetta maturazione del granulo. I granuli secretori, infatti, come prima rilevato, costituiscono un pool di riserva dell’ormone. Difficilmente il loro contenuto rappresenta un fattore limitante per la secrezione insulinica. Una beta-cellula non più in grado di rispondere a stimoli fisiologici ha ancora un numero di granuli consistenti. Tuttavia non è sufficiente la presenza di granuli all’interno della cellula perché possa avvenire la secrezione. Dei tre differenti pool di granuli identificati all’interno della beta-cellula, il pool stabile seppur cospicuo necessita di processi di preparazione e migrazione attraverso il citoscheletro prima di essere pronto per il rilascio. Questo processo avviene mediante la partecipazione di proteine contrattili, actina, miosina microtubuli, che determinano migrazione dal centro della cellula verso la regione più prossima alla membrana cellulare. Dopo questo processo di migrazione, i granuli si spostano verso la periferia e danno inizio a dei processi di ancoraggio alla membrana. Qui tramite proteine specifiche (complesso SNARE) si verifica una serie di processi di ancoraggio finemente regolato (Fig. 4). Ogni proteina di ancoraggio viene sintetizzata da specifici geni; mutazioni a tali livelli determinano alterazioni del processo. I granuli presenti a questo livello vengono identificati come pool dei granuli ancorati. Da questo punto in poi tuttavia, l’acidificazione del contenuto del granulo, l’ingresso del calcio tramite specifici canali, l’interazioni proteina-proteina tra granulo e membrana cellulare determineranno la fusione completa e infine il rilascio del contenuto all’esterno. Come si evince da quanto fin qui descritto, dalla sintesi dell’ormone al suo rilascio Figura 3. Distribuzione intracellulare dei granuli di insulina nella beta-cellula. Ogni beta-cellula pancreatica possiede circa 10.000 granuli secretori. Questi granuli prima dell’esocitosi necessitano di una serie di processi maturativi. All’interno di ogni beta-cellula è possibile riconoscere tre differenti gruppi di granuli: granuli di riserva o pool statico; granuli ancorati; granuli maturi (readily releasable pool, RRP). 24 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2 sono necessari molti passaggi e tappe, ognuno dei quali può fermare il processo di maturazione, rendendo inefficace la presenza del granulo. Il processo di esocitosi di un granulo maturo, pronto per la liberazione, necessita di stimoli provenienti dalla cellula. La beta-cellula con apparato di secrezione funzionante si prepara alla secrezione tramite processi metabolici ed elettrici complessi. I fenomeni metabolici ed elettrici risentono quindi dell’ambiente extracellulare e dei livelli di stimoli fisiologici o farmacologici. Considerando il glucosio, lo stimolante fisiologico, questo tramite le tappe metaboliche intracellulari condiziona la secrezione tramite il suo metabolismo intracellulare. Dopo il trasporto a opera del GLUT-2, e l’azione dell’enzima glucochinasi, il glucosio viene avviato ai processi metabolici di tipo anaerobico che determinano formazione di piruvato. In questa fase il GLUT e la glucochinasi rappresentano una prima fase limitante. Solo il glucosio trasformato in glucosio-6-fosfato procede verso le fasi successive del metabolismo. Alterazioni di GLUT-2 o malfunzionamento della glucochinasi bloccherebbero il processo già all’inizio. Il GLUT-2 e la glucochinasi rappresentano la prima unità glucosensoria. Con la formazione del piruvato è possibile accedere al mitocondrio. All’interno di questo organo, indispensabile per la beta-cellula, si avvia il metabolismo ossidativo del glucosio che esita nella formazione di ATP tramite l’utilizzo dei complessi della catena respiratoria mitocondriale. I complessi proteici della catena respiratoria mitocondriale svolgono un ruolo importante per la beta-cellula e un loro alterato funzionamento potrebbe bloccare gran parte della secrezione insulinica. Tramite l’azione coordinata dei complessi, si attiva un passaggio di elettroni e di protoni che portano alla formazione di ATP partendo da ADP. Il normale utilizzo produce ATP che servirà per le fasi successive della secrezione insulinica; condizioni di iperimpegno della catena determinano produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) che danneggiano le membrane mitocondriali e inducono segnali apoptotici per la cellula. Normalmente infatti la beta-cellula ha basso potere antiossidante. In caso di maggiore produzione di radicali liberi, una quota di questi non viene contrastata dall’apparato di eliminazione e ne risulta quindi un maggiore danno alle membrane. La perossidazione delle membrane mitocondriali è alla base dell’avvio di segnali (rilascio del citocromo c, permeabilizzazione della membrana mitocondriale a opera di specifiche proteine) che attivano l’apoptosi. A supporto di tali condizioni di iperlavoro la beta-cellula può utilizzare maggiormente alcuni sistemi di sicurezza, per esempio le proteine disaccoppianti (UCP), in questo caso la UCP-2, che dissipando energia sotto forma di calore, permettono di far fronte al fenomeno. Tuttavia questa via alternativa condiziona la produzione di ATP e quindi la secrezione insulinica. Questi processi avvengono per esempio in caso di esposizione cronica a iperglicemia o ad acidi grassi liberi. Dalla produzione di ATP, o meglio dall’aumento dei livelli intracellulari del rapporto ATP/ADP, vengono influenzati i canali del potassio ATP-dipendenti. L’aumento del rapporto ATP/ADP determina chiusura di questi canali con conseguente variazione del potenziale di membrana tramite l’apertura dei canali per il calcio. I canali del calcio, localizzati sulla membrana plasmatica, al momento della depolarizzazione modificano la loro conformazione spaziale, aprendosi. Il passaggio del calcio costituisce il secondo messaggero capace di accoppiare i segnali elettrici a quelli chimici. L’aumento delle concentrazioni intracellulari di calcio determina esocitosi dei granuli secretori. Va precisato che molti farmaci usati per la terapia del diabete agiscono proprio a questo livello. A livello dei canali per il potassio ATP-dipendente si trovano alcune subunità in grado di legare in maniera più o meno stabile molte sulfaniluree, determinando depolarizzazione della membrana beta-cellulare in maniera più o meno indipendente dai livelli di glucosio. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 25 S. Piro, F. Purrello Alfa-cellule La popolazione alfa-cellulare all’interno dell’isola pancreatica rappresenta circa il 20% della quota cellulare totale. Le alfa-cellule producono glucagone, un peptide di 29 aminoacidi, prodotto come pro-glucagone e processato successivamente in ormone attivo prima della secrezione finale. Fino al 1955 l’esistenza di questo secondo ormone prodotto dall’isola pancreatica era stata solamente ipotizzata in seguito agli effetti iperglicemizzanti ottenuti in studi effettuati tramite la somministrazione di estratti pancreatici, in particolare da Kimball e Murlin. Questi autori ipotizzavano la presenza di un ormone distinto dall’insulina, in seguito chiamato glucagone, che determinasse iperglicemia transitoria dopo la somministrazione di estratti di insulina. Nel 1957 Straub per primo purificò e ottenne la sequenza di questo ormone, e descrisse la capacità di ripristinare l’effetto ipoglicemizzante ottenuto con l’insulina. Tuttavia a causa delle difficoltà di misurazione e dell’instabilità della molecola, le acquisizioni sono venute più avanti nel tempo, dopo l’avvento delle metodiche di dosaggio RIA. Nel corso degli anni è stato riscontrato che gli stimoli che inducono ipoglicemia sono in grado di stimolare la secrezione di glucagone e, inoltre, che quando i livelli di glicemia aumentano, la secrezione di glucagone si riduce. Oggi sono noti gli stimoli in grado di indurre secrezione di glucagone e le sostanze in grado di inibirne la produzione. Tra questi il glucosio riveste un ruolo importante: l’iperglicemia inibisce la secrezione, l’ipoglicemia la stimola. Tra gli stimolanti vanno citati gli aminoacidi, il piruvato, i polipepdidi gastroin- Figura 4. Rappresentazione schematica di un granulo maturo ancorato alla membrana. Il processo di ancoraggio richiede la presenza di proteine (complesso SNARE); mutazioni a questo livello possono bloccare l’esocitosi del granulo. 26 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2 testinali (GIP, VIP, CCK) e in particolare le catecolamine e tutto quello che riguarda la risposta a stimoli da stress; sembrano invece avere un ruolo inibente la secrezione gli acidi grassi liberi, i corpi chetonici, l’insulina, la somatostatina, il GLP-1 (glucagon-like peptide-1). Tuttavia tutti questi fattori mostrano effetti diversi o addirittura opposti quando presenti in condizioni particolari. Per esempio è stato rilevato che il glucosio inibisce la secrezione di glucagone, quando però alfa-cellule dissociate dall’isola intera vengono esposte a elevati livelli di glucosio sembrano potenziare la loro capacità secretoria. Sembra quindi che, anche per le alfa-cellule, così come per le beta, il ruolo endocrino dell’isola pancreatica e delle altre popolazioni cellulari presenti al livello dell’organo possa condizionare il risultato finale di tutta la popolazione cellulare che la compone. Le alfa-cellule sembrano possedere molti dei sistemi e degli apparati tipici delle beta-cellule. Se si analizza il processo embriogenetico che porta alla produzione delle alfa e delle beta-cellule, queste due distinte popolazioni sembrano condividere fasi differenziative comuni. Addirittura, nelle fasi precoci di differenziazione alcune cellule possono coesprimere glucagone e insulina nello stesso momento. È probabile che per questo motivo l’apparato funzionale delle alfa-cellule ricalchi in molti punti quello delle beta-cellule. Le alfa-cellule mature presentano canali di membrana simili alle beta-cellule, e più importante ancora sembra essere la presenza di un apparato di granuli molto simile alle beta-cellule. Sulla superficie della alfa-cellule sono presenti almeno quattro differenti tipologie di canali per il potassio, almeno quattro differenti tipologie di canali per il calcio e inoltre canali per il GABA, per il sodio e per il cloro. Non molto è noto sulla peculiarità di questi canali e soprattutto sulla loro interazione. Tuttavia vi sono evidenze che almeno per alcuni tipi di canali per il potassio, questi siano molto più sensibili ai livelli di ATP intracellulare. Rispetto a quanto è noto per le betacellule, nelle alfa sembra essere necessario molto meno ATP per attivare i canali del potassio ATP-sensibili. Inoltre anche la loro sensibilità si esaurirebbe con molta più velocità rispetto alle beta-cellule. Questa differenza pare essere confermata dal differente potenziale di membrana che nelle beta-cellule è -40 mV, mentre nelle alfa-cellule il potenziale di attivazione registrato si colloca intorno a -60 mV. Probabilmente l’azione coordinata dei molti canali presenti sulla superficie rendono più o meno polarizzate le rispettive membrane. Per il resto le due popolazioni cellulari condividono in maniera sorprendente molti aspetti del processo secretorio. Anche per le alfa-cellule l’influsso di calcio, spostando il potenziale da -60 a -30 mV determina secrezione di glucagone. Rivedendo l’organizzazione della beta-cellula, emerge come anche le alfa possiedono un’unità glucosensoria composta da GLUT e glucochinasi; tuttavia il trasportatore qui presente è l’isoforma 1. Il GLUT-1 a bassa capacità di trasporto rispetto al 2, e in assoluto poco presente sulla membrana rispetto al corrispettivo sulla beta-cellula, determina un più basso trasporto del glucosio all’interno della cellula. Questo suggerisce che il trasporto del glucosio per l’alfa-cellula non deve essere uno step limitante per la funzione. Il metabolismo del glucosio sembra essere solamente il 20-40% rispetto alla beta-cellula, e di conseguenza la generazione di ATP risulta inferiore. Tuttavia come già detto, i canali per il potassio al contrario risultano molto più sensibili alle perturbazioni dei livelli di ATP. Va precisato inoltre che probabilmente il piruvato che origina dal metabolismo muscolare durante l’esercizio fisico potrebbe contribuire all’aumento della quota metabolica che arriva al mitocondrio per essere scissa dalla catena respiratoria generando ATP. Ricordiamo, infatti, che il piruvato sembra stimolare la secrezione di glucagone, mentre non ha alcun effetto sulla secrezione di insulina. Come per le beta-cellule, anche per le alfa il contenuto di calcio intracellulare sembra essere indispensabile per l’esocitosi dei granuli. Nelle alfa-cellule, dopo la depolarizzazione della membrana il calcio entra rapidamente attraverso canali specifici. I canali per il calcio identificati per l’esocitosi sembrano essere almeno di due tipi; il tipo N, più importante per la secrezione basale o tonica dell’ormone e il Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 27 S. Piro, F. Purrello tipo L assieme al tipo N per le secrezioni acute. Quando questi canali si chiudono, l’esocitosi si blocca. Inoltre pare che un ruolo importante per l’esocitosi rivestano i livelli di AMPc; questo nucleotide non potenzia la secrezione, ma sembra che velocizzi la mobilizzazione dei granuli, dal comparto del pool stabile alla membrana. Tuttavia è stato visto come durante la mobilizzazione dal comparto centrale alla periferia da parte dell’AMPc, i granuli non si spostano casualmente verso la membrana, ma seguono un preciso percorso che li porta in prossimità dei canali del calcio di tipo L. Si potrebbe quindi ipotizzare che i granuli, sinora descritti come dispersi in pool stabile e in pool localizzati in prossimità della membrana, possano essere divisi in granuli posti vicino ai canali del calcio di tipo L (secrezione acuta) e granuli presenti in vicinanza dei canali per il calcio di tipo N (secrezione tonica). Da quanto qui esposto è quindi possibile immaginare anche un effetto sulle alfa-cellule di alcuni farmaci capaci di stimolare la secrezione insulinica. È noto infatti che la tolbutamide e la glibenclamide, tramite l’interazione con i canali del potassio ATP-dipendenti, sono in grado di stimolare la secrezione di glucagone almeno nelle alfa-cellule isolate. Questo naturalmente può apparire paradossale, tuttavia esistono dati a conferma di questa ipotesi, seppur non tutti univoci. Di certo, anche per questo aspetto, non si può non tenere in considerazione il ruolo dell’isola pancreatica e delle azioni endocrine o paracrine del complesso apparato cellulare; il risultato finale sicuramente risulta da tutte le interazioni cellulari dell’isola e dal prodotto dei vari ormoni che stimolano o inibiscono le cellule vicine. Conclusioni L’iperglicemia nel diabete mellito di tipo 2 è quindi la risultante di un complesso algoritmo che si snoda tra l’insulino-resistenza da una parte e il prodotto della secrezione pancreatica dall’altra. Alla luce di quanto fin qui esposto si ritiene che la sola secrezione insulinica non possa spiegare il delicato meccanismo. È noto infatti che nei pazienti con diabete si riscontra di norma, oltre che una riduzione della secrezione insulinica, un aumento dei livelli di glucagone circolante. Il glucagone ha un ruolo importante nell’iperglicemia a digiuno. L’iperglucagonemia, attivando a livello epatico gluconeogenesi e glicogenolisi, aumenta l’output epatico di glucosio e alimenta lo stato iperglicemico. Inoltre, molte delle alterazioni metaboliche di questi pazienti, quali iperglicemia cronica e ipernefemia, potrebbero potenziare e alimentare questa alterazione. Rispetto all’azione dell’isola pancreatica, probabilmente non è più possibile immaginare un ruolo esclusivo delle sole beta-cellule. È noto infatti che la secrezione di insulina influenza ed è influenzata dai livelli di glucagone, ma sicuramente anche dai livelli di somatostatina e di altri peptidi pancreatici. Per questo certamente vale la pena di riconsiderare l’ipotesi di Unger e Orci sul ruolo bi-ormonale dell’isola, magari inserendo anche il ruolo della somatostatina o del PP. Si potrebbe quindi immaginare un’ipotesi pluri-ormonale dell’isola, soprattutto alla luce delle nuove acquisizioni per la terapia del diabete mellito tipo 2. Il GLP-1 e il GIP (glucose-dependent insulinotropic polypeptide), infatti, due ormoni gastrointestinali, modulano e potenziano la secrezione dell’isola pancreatica. Il GLP-1 migliora la secrezione di insulina nell’uomo; dalla letteratura emergono anche dati a favore di un miglior il trofismo delle beta-cellule. Questo effetto positivo è noto anche sul versante dell’alfa-cellula. Infatti da dati clinici è noto che il GLP-1 riduce la secrezione di glucagone in presenza di elevati livelli di glicemia; l’exenatide, analogo del GLP-1 è in grado di potenziare la secrezione di glucagone per livelli di glicemia bassi, quando cioè è necessario che la glicemia aumenti. Queste molecole, note con il nome di incretine, potrebbero farci comprendere meglio queste delicate interazioni e potrebbero rappresentare il codice per decifrare il delicato equilibrio di interazioni presenti all’interno di un’isola pancreatica. 28 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2 Bibliografia di riferimento Abdul-Ghani M, DeFronzo RA. Fasting hyperglycemia impairs glucose-but not insulin-mediated suppression of glucagon secretion. J Clin Endocrinol Metab 2007;92:1778-84. Antinozzi PA, Ishihara H, Newgard CB, Wollheim CB. Mitochondrial metabolism sets the maximal limit of fuelstimulated insulin secretion in a model pancreatic beta cell: a survey of four fuel secretagogues. J Biol Chem 20025;277:11746-55. Barg S, Eliasson L, Renström E, Rorsman P. A subset of 50 secretory granules in close contact with L-type Ca2+ channels accounts for first-phase insulin secretion in mouse beta-cells. 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Potenziando l’attività di questo asse, infatti, si può ottenere una stimolazione della secrezione insulinica e un potenziamento della secrezione di glucagone, capaci a loro volta di ridurre la glicemia. Inoltre, essendo le incretine attive sulle isole pancreatiche esclusivamente in condizioni di elevato glucosio ambientale, la stimolazione di questo asse risulta essere capace di ridurre la glicemia soltanto quando questa è aumentata, con rischio basso o nullo di ipoglicemia. Il glucagon-like peptide-1 (GLP-1) umano è sicuramente efficace nella riduzione dell’iperglicemia nel diabete mellito di tipo 2 1. In vivo, però, questo ormone viene rapidamente degradato, principalmente a opera della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4), che elimina un dipeptide N-terminale trasformando la forma attiva del GLP-1 (il GLP-1[7-36]amide) nel suo metabolita inattivo GLP-1[9-36]amide. Per questo motivo, l’emivita del GLP-1 nell’uomo, dopo iniezione endovenosa o sottocutanea, è di pochi minuti 2. Analoghe considerazioni valgono per l’altra principale incretina, il glucose-dependent insulinotropic polypeptide (GIP), che peraltro, nell’uomo, sembra avere un ruolo meno importante rispetto al GLP-1 nella stimolazione della secrezione insulinica in fase post-prandiale. Non potendo utilizzare il GLP-1 come tale, la ricerca farmacologica ha sviluppato due diverse strategie di intervento sull’asse delle incretine, ambedue applicabili nella pratica clinica: l’identificazione di agonisti del recettore del GLP-1 resistenti alla DPP-4 (i cosiddetti incretino-mimetici), e quindi dotati di più lunga emivita, oppure la messa a punto di inibitori della DPP-4, che prolunghino l’emivita (e quindi aumentino le concentrazioni circolanti) del GLP-1 e del GIP endogeni. I due approcci sono concettualmente assai diversi tra loro e conducono a risultati clinici ampiamente differenziati. Infatti, con gli incretino-mimetici si ottiene una stimolazione, ampiamente sovra fisiologica, del recettore del GLP-1, senza intervenire sul GIP o su altri sistemi endocrini; al contrario, gli inibitori della DPP-4 determinano un incremento moderato delle concentrazioni circolanti sia di GLP-1 sia di GIP, più evidente nelle fasi post-prandiali, sfruttando la secrezione endogena di questi ormoni. Queste differenze rendono conto delle differenze nel profilo clinico d’azione, che saranno trattate in seguito. Inoltre, mentre gli incretino-mimetici sono peptidi di discrete dimensioni, che necessitano di somministrazione per via parenterale (sottocutanea), gli inibitori della DPP-4 sono molecole di dimensioni assai minori, adatte alla somministrazione per via orale. In questo capitolo, descriveremo sinteticamente i farmaci attualmente disponibili e le principali molecole in sviluppo per ciascuna delle due classi di farmaci, riportando le evidenze più importanti risultanti dai trial clinici sinora svolti. Gli incretino-mimetici: exenatide I farmaci incretino-mimetici sono agonisti del recettore per il GLP-1. La stimolazione del recettore determina, nell’uomo, la stimolazione della secrezione insulinica indotta dal glucosio; inoltre, essa potenzia la soppressione della secrezione di glucagone determinata dal pasto. Queste due Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 31 E. Mannucci azioni si traducono in una riduzione della glicemia. Inoltre, grazie a un’azione diretta centrale (ipotalamica) e al rallentamento dello svuotamento gastrico, gli agonisti recettoriali del GLP-1 inibiscono l’appetito, determinando, nei trattamento protratti, calo ponderale; la perdita di peso, verosimilmente, contribuisce in maniera rilevante al miglioramento del compenso metabolico a lungo termine nei pazienti diabetici di tipo 2 in eccesso ponderale. Inoltre, il rallentamento dello svuotamento gastrico e il conseguente ritardo nell’assorbimento dei nutrienti potrebbero contribuire alla riduzione dell’iperglicemia in fase post-prandiale (Fig. 1). L’unico agonista recettoriale del GLP-1 attualmente in commercio è exenatide (exendin-4; Fig. 2). Si tratta di un peptide presente (con funzioni ancora non perfettamente note) nella saliva di un rettile del deserto dell’Arizona, che può essere ottenuto, a scopo commerciale, per via biosintetica, con la tecnica del DNA ricombinante. Questa molecola presenta un certo grado di omologia con il GLP-1 umano e risulta essere un agonista potente e selettivo del recettore del GLP-1. Inoltre, exenatide è resistente all’azione della DPP-4 e ha quindi un’emivita sufficientemente lunga da poter essere impiegata nel trattamento del diabete di tipo 2. Se ne raccomanda l’uso, a dosi di 5-10 µg, due volte al giorno, prima dei pasti principali; la via di somministrazione è sottocutanea, con appositi iniettori a penna preriempiti simili a quelli utilizzati per l’insulina. Nell’uomo, la somministrazione di exenatide a dosi terapeutiche determina un significativo incremento della secrezione insulinica in risposta a un carico orale di glucosio o a un pasto misto. Inoltre, il farmaco potenzia la soppressione della secrezione di glucagone indotta dall’assunzione di cibo, contribuendo anche per questa via al miglioramento della glicemia. è interessante notare che sia l’effetto sulla secrezione di insulina, sia su quella di glucagone, si attenuano sino a Figura 1. Meccanismo d’azione degli incretino-mimetici. 32 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici Figura 2. Struttura chimica di exenatide, confrontata con GLP-1. La freccia indica il sito di azione della DPP-4 (da Drucker e Nauck, 2006, mod.) 4. scomparire quando la glicemia è ai limiti inferiori della norma; ciò significa che il farmaco è in grado di ridurre la glicemia quando è elevata, ma che presenta un rischio assai basso di indurre ipoglicemia, almeno quando non viene somministrato in combinazione con altri farmaci che sono in grado di indurre ipoglicemia (come le sulfaniluree). Studi su isole pancreatiche e umane in vitro e studi in vivo su modelli animali hanno mostrato inoltre che exenatide, analogamente al GLP-1 nativo, stimola la formazione di nuove beta-cellule e ha un’azione anti-apoptotica; ciò suggerisce che, nella terapia a lungo termine, il farmaco potrebbe prevenire il declino della massa e della funzione beta-cellulare nel corso degli anni, che è caratteristico del diabete di tipo 2. Peraltro, di questa azione non si hanno ancora conferme sperimentali in vivo nell’uomo. La durata dei trial controllati sinora condotti (vedi oltre) non permette infatti di trarre conclusioni sulla presunta maggior tenuta nel tempo dell’azione terapeutica di exenatide rispetto ad altri trattamenti farmacologici per il diabete di tipo 2. Sebbene il farmaco possa essere efficace, almeno teoricamente, anche in monoterapia, i trial clinici su questa molecola sono stati effettuati in maniera pressoché esclusiva in combinazione con altre molecole (Tab. I). Nei pazienti inadeguatamente controllati con la metformina, con un tiazolidinedione o con una sulfanilurea, l’aggiunta di exenatide determina una riduzione assai significativa dell’emoglobina glicata rispetto al placebo. In coloro che non sono sufficientemente controllati da una combinazione di due farmaci orali (metformina e sulfaniluree, oppure metformina e tiazolidinedioni, o tiazolidinedioni e sulfaniluree), l’aggiunta di exenatide non soltanto è più efficace del placebo, ma mostra addirittura un effetto sull’emoglobina glicata simile all’insulina. Infatti, in pazienti che falliscono alla combinazione di metformina e sulfaniluree, exenatide ha un effetto sul controllo metabolico non dissimile da quello dell’aggiunta di insulina glargine serale, oppure di due somministrazioni giornaliere di insulina premiscelata 3 4. La riduzione dell’emoglobina glicata che si osserva durante il trattamento con exenatide è attribuibile al miglioramento della glicemia sia a digiuno sia post-prandiale; comunque, appare indubbio che exenatide mostra un’efficacia particolarmente evidente nella riduzione delle escursioni glicemiche post-prandiali. A questo riguardo occorre ricordare che, quando il farmaco viene somministrato prima di colazione e prima di cena, come nella maggior parte dei trial, si ottiene una normalizzazione della glicemia dopo colazione e dopo cena, ma non di quella dopo pranzo 5. Ciò significa che l’emivita di exenatide, che è di circa 30-60 minuti, è insufficiente a garantire un’adeguata copertura per le 12 ore successive. Infatti, la scheda tecnica suggerisce Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 33 E. Mannucci Tabella I. Studi clinici con exenatide. Principali studi clinici pubblicati, di durata superiore a 12 settimane, con exenatide 5-10 µg due volte al giorno (esclusi gli studi con formulazione LAR). Viene riportata la differenza tra i gruppi di trattamento nei valori di emoglobina glicata a termine dello studio. Studio Durata (sett.) Confronto con Combinazione con N. pazienti Differenza HbA1c (%) DeFronzo et al., 2005 30 Zinman et al., 2007 16 Placebo Metformina 336 -0,7* Placebo Glitazoni (± metformina) 233 -1,0* Buse et al., 2004 30 Kendall et al., 2005 30 Placebo Sulfaniluree 277 -0,8* Placebo Sulfaniluree + metformina 733 -0,8* Davis et al., 2007 16 Insulina Sulfaniluree/metformina 49 +0,2 Barnett et al., 2007 16 Insulina Sulfaniluree/metformina 263 0,0 Nauck et al., 2007 52 Insulina Sulfaniluree + metformina 501 +0,1 Heine et al., 2005 26 Insulina Sulfaniluree + metformina 549 +0,1 * Differenze statisticamente significative. di somministrare il farmaco prima dei due pasti principali (che in Italia sono spesso il pranzo e la cena) e non ogni 12 ore. All’ottima efficacia di exenatide si associa un profilo di tollerabilità complessivamente favorevole. I principali effetti collaterali sono rappresentati da nausea, vomito e più raramente diarrea. Sebbene la nausea compaia in una proporzione piuttosto elevata di pazienti (fino a un terzo del totale), nella maggior parte dei casi questo effetto collaterale è lieve e transitorio e non necessita di sospensione del trattamento 3. Proprio per ridurre l’incidenza e la gravità della nausea, si raccomanda di iniziare il trattamento con 5 µg due volte al giorno, e di aumentare a 10 µg, se tollerati, dopo quattro settimane. Non sono noti altri effetti collaterali rilevanti di exenatide. In particolare, è necessario puntualizzare che questo farmaco, somministrato in monoterapia o in combinazione con soli farmaci insulino-sensibilizzanti, non sembra in grado di provocare ipoglicemia, mentre, come è ovvio, esso aumenta l’incidenza di ipoglicemia quando viene utilizzato in combinazione con farmaci stimolatori della secrezione di insulina, come le sulfaniluree. Un effetto assai interessante di exenatide, che può avere valenze terapeutiche in molti pazienti diabetici, è quello sul peso corporeo. Exenatide, anche in assenza di nausea, determina una riduzione dell’assunzione di cibo senza modificare il dispendio energetico e provoca quindi un apprezzabile calo ponderale 3. Questo effetto sembra particolarmente evidente quando exenatide viene utilizzata in associazione alla metformina, suggerendo una possibile interazione favorevole tra i due farmaci 6. Un aspetto assai interessante riguarda l’andamento nel tempo dell’effetto ponderale: le estensioni in aperto degli studi clinici in doppio cieco mostrano che, proseguendo la terapia, la riduzione del peso procede senza apparente effetto “plateau” fino a 3 anni di trattamento 7. Sembra, quindi, che exenatide, contrariamente agli altri farmaci che riducono il peso corporeo, non induca tolleranza ai propri effetti ponderali, almeno a medio termine. Questo fenomeno indica che la classe degli incretino-mimetici potrebbe, in futuro, diventare un’interessante opzione terapeutica per l’obesità, anche non associata a diabete; per il momento, comunque, l’unica indicazione di exenatide è il trattamento del diabete di tipo 2. Exenatide mostra anche effetti tendenzialmente favorevoli su altri parametri di rischio cardiovascolare. Alcune di queste azioni, come la riduzione della trigliceridemia 7, sono verosimil34 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici mente dovute al miglioramento del controllo glicemico e alla riduzione del peso; al contrario, la tendenziale riduzione della pressione arteriosa, che si manifesta a breve distanza dall’inizio del trattamento, quando ancora il calo ponderale non è apprezzabile, è probabilmente dovuta a un’azione diretta del farmaco sulle resistenze periferiche 6 8. In modelli in vitro, exenatide si è anche mostrata capace di ridurre il danno miocardico indotto dall’ischemia 9, analogamente a quanto osservato nell’uomo con il GLP-1 nativo 6. L’insieme di questi dati indica che exenatide potrebbe avere un effetto favorevole sul rischio cardiovascolare anche indipendentemente dalla riduzione della glicemia 6 8 10; naturalmente, su questo punto è inevitabile la massima cautela e sarà necessario attendere i risultati di trial clinici di maggiori dimensioni e di più lunga durata prima di trarre alcuna conclusione definitiva. In base alle attuali indicazioni, exenatide può essere impiegata nel fallimento alla terapia con metformina, sulfanilurea o entrambe. Nei pazienti che non raggiungono un adeguato controllo con una combinazione di metformina e sulfaniluree, exenatide rappresenta un’interessante alternativa all’insulina o ai tiazolidinedioni. Rispetto all’insulina, exenatide risulta capace di produrre una analoga riduzione dell’emoglobina glicata con minor rischio di ipoglicemia e riducendo il peso corporeo; rispetto ai tiazolidinedioni, con una simile efficacia ipoglicemizzante, exenatide non provoca ritenzione idrica e induce dimagrimento, anziché aumento ponderale. Un’ulteriore occasione di impiego per exenatide è rappresentata dal fallimento alla monoterapia con metformina; in questo caso, le alternative sono rappresentate da sulfaniluree, glinidi, tiazolidinedioni o inibitori della DPP-4. Rispetto alle sulfaniluree, exenatide ha simile efficacia sull’emoglobina glicata, con effetto maggiore sull’iperglicemia post-prandiale; non determina ipoglicemie, riduce il peso anziché aumentarlo e ha, probabilmente, un profilo di azione più favorevole sul piano cardiovascolare. Per i tiazolidinedioni, valgono le considerazioni sopra riportate, mentre per il confronto con gli inibitori della DPP-4 si rimanda ai paragrafi successivi. Vantaggi e svantaggi di exenatide rispetto ai principali farmaci alternativi sono riportati nella Tabella II. Gli incretino-mimetici: oltre l’exenatide Exenatide, pur essendo resistente all’azione della DPP-4 rispetto al GLP-1 umano, ha comunque un’emivita relativamente limitata, nell’ordine di 30-60 minuti. Somministrando il farmaco poco prima di un pasto principale, ciò è sufficiente a garantire una buona copertura nella fase postprandiale, ma non a fornire un effetto costante nel corso della giornata con due sole somministrazioni giornaliere. La ricerca farmacologica si è quindi indirizzata a identificare formulazioni di incretino-mimetici dotate di maggior durata d’azione. Due sono le possibili strategie: sviluppare agonisti del recettore del GLP-1 alternativi all’exenatide, e dotati di una cinetica più favorevole, oppure ricercare formulazioni di exenatide ad assorbimento protratto. Liraglutide La ricerca di altri agonisti recettoriali del GLP-1 ha condotto all’identificazione della liraglutide, che è ormai nelle fasi conclusive del suo sviluppo clinico e che sarà presto disponibile in commercio. Liraglutide è una molecola sintetica, che non esiste in natura; si tratta di un peptide con un elevato grado di omologia con il GLP-1 umano (Fig. 3). Essendo assai più vicina all’ormone naturale dell’uomo rispetto all’exenatide, liraglutide risulta meno immunogena e non sembra indurre la sintesi di anticorpi, neppure dopo somministrazione protratta 11. La principale differenza, rispetto all’exenatide, è però rappresentata dalla cinetica più favorevole: grazie a una emivita di 10-14 ore dopo somministrazione sottocutanea nell’uomo, liraglutide Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 35 E. Mannucci Tabella II. Confronto tra exenatide e possibili farmaci alternativi. In associazione a metformina e sulfaniluree, nel fallimento alla terapia combinata Farmaco alternativo Vantaggio exenatide Vantaggio alternativo Equivalenza Insulina Glicemia post-prandiale* Peso corporeo Non ipoglicemie Glicemia a digiuno* Costo Efficacia su HbA1c Via di somministrazione Tiazolidinedioni Glicemia post-prandiale Peso corporeo Non ritenzione idrica Via di somministrazione Effetto su insulino-resistenza Efficacia su HbA1c * Rispetto a analogo lento o NPH serale. In associazione a metformina, nel fallimento alla monoterapia Farmaco alternativo Vantaggio exenatide Vantaggio alternativo Equivalenza Sulfaniluree Glicemia post-prandiale Peso corporeo Non ipoglicemie Profilo cardiovascolare Glicemia a digiuno Via di somministrazione Costo Efficacia su HbA1c Glinidi Peso corporeo Non ipoglicemie Profilo cardiovascolare Via di somministrazione Costo Efficacia su HbA1c Tiazolidinedioni Glicemia post-prandiale Peso corporeo Non ritenzione idrica Via di somministrazione Effetto su insulino-resistenza Efficacia su HbA1c Acarbose Peso corporeo Rimborsabilità Via di somministrazione Costo Efficacia su HbA1c Inibitori DPP-4 Peso corporeo Via di somministrazione Tollerabilità gastrica Costo Efficacia su HbA1c * Rispetto ad analogo lento o NPH serale. Figura 3. Struttura chimica di liraglutide, confrontata con GLP-1. La freccia indica il sito di azione della DPP-4 (da Drucker e Nauck, 2006, mod.) 4. 36 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici è adatta alla monosomministrazione giornaliera. Alcuni dei primi trial condotti con liraglutide sono stati effettuati con dosaggi (0,6-1,2 mg/die) sottomassimali; negli studi più recenti, con dosi adeguate (1,2-1,9 mg/die) l’efficacia della liraglutide appare almeno pari a quella dell’exenatide 12, pur in assenza di studi diretti di confronto. Anche il profilo di tollerabilità è sovrapponibile all’exenatide, così come l’effetto sul peso corporeo 11 12. Sebbene la prima indicazione prevista per la liraglutide sia il diabete mellito di tipo 2, è in corso un programma di sviluppo clinico volto a ottenere anche l’indicazione per il trattamento dell’obesità non complicata da diabete. Exenatide Long-Acting Release (LAR) La formulazione long-acting release (LAR) di exenatide consente un assorbimento assai rallentato del farmaco dopo iniezione sottocutanea, tanto da consentire la somministrazione una volta alla settimana. Rispetto alla formulazione di exenatide attualmente disponibile, LAR mostra un’efficacia probabilmente superiore, con un simile profilo di tollerabilità 13. Exenatide LAR, che non sarà disponibile prima di 2-3 anni, è attualmente in sviluppo sia per la cura del diabete di tipo 2, sia dell’obesità non complicata da diabete. Gli inibitori della DPP-4: sitagliptin e vildagliptin La dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4) è un enzima espresso da numerosi tipi cellulari, presente nel plasma circolante e ampiamente rappresentato alla superficie delle cellule endoteliali. Questo Figura 4. Meccanismo d’azione degli inibitori della DPP-4. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 37 E. Mannucci enzima è il principale responsabile della rapida inattivazione del GLP-1 e del GIP, che ne spiega la brevissima emivita. Nei pazienti diabetici l’esposizione all’iperglicemia cronica determina un aumento dell’espressione e dell’attività plasmatica della DPP-4 14 15, che contribuisce alla riduzione delle concentrazioni post-prandiali del GLP-1 16 17. La DPP-4 costituisce un interessante target per la terapia farmacologica del diabete mellito di tipo 2. Gli inibitori dell’enzima, infatti, determinano un rallentamento dell’inattivazione, e quindi un aumento delle concentrazioni circolanti, di GLP-1 e GIP di origine endogena. Ciò provoca, come conseguenza, un incremento della secrezione di insulina e una maggior soppressione della secrezione di glucagone nella fase post-prandiale. Rispetto agli agonisti recettoriali del GLP-1, gli inibitori della DPP-4 sembrano determinare un effetto meno marcato sulla secrezione di insulina e più pronunciato su quella di glucagone. Peraltro, anche con gli inibitori della DPP-4, come per i farmaci incretino-mimetici, l’azione sulla secrezione di insulina e glucagone è strettamente glucosio-dipendente: essa cioè si manifesta pienamente solo quando la glicemia è elevata e tende a scomparire quando la glicemia è ai limiti inferiori della norma. Per tale motivo, gli inibitori della DPP-4 riducono l’iperglicemia senza rilevante rischio di ipoglicemia 3 4 a meno che non vengano combinati con sulfaniluree o insulina; inoltre, questi farmaci non sembrano interferire in maniera rilevante con la risposta controregolatoria all’ipoglicemia 4. Analogamente ai farmaci incretino-mimetici, anche gli inibitori della DPP-4 hanno mostrato un effetto di stimolazione della neoformazione e inibizione dell’apoptosi a livello delle isole pancreatiche, aumentando la massa e la funzione beta-cellulare in modelli animali in vivo; mancano però ancora conferme della rilevanza terapeutica di tale azione nell’uomo. I primi due inibitori della DPP-4, sitagliptin e vildagliptin (Fig. 5), sono già disponibili in commercio. Su queste due molecole è già stata pubblicata una mole considerevole di studi clinici, riassunti nelle Tabelle III e IV. Altri farmaci della stessa classe (saxagliptin, danagliptin e alogliptin) sono in fase di sviluppo clinico. Sul piano dell’efficacia ipoglicemizzante, sitaglitpin e vildagliptin riducono l’emoglobina glicata rispetto al placebo; negli studi diretti di confronto, essi mostrano un’efficacia simile o lievemente inferiore a quella degli altri farmaci disponibili in monoterapia (metformina, sulfaniluree o tiazolidinedioni). Per contro, negli studi di combinazione con la metformina, gli inibitori della DPP-4 determinano una riduzione dell’emoglobina glicata della stessa entità di quella osservata in monoterapia; questo è un comportamento diverso da quello di sulfaniluree e tiazolidinedioni, che, quando vengono aggiunti alla metformina, riducono l’emoglobina glicata in misura minore che in monoterapia 18. In effetti, nei trial diretti di confronto, quando vengono associati alla metformina, gli inibitori della DPP-4 hanno un’efficacia Figura 5. Struttura chimica di sitagliptin e vildagliptin. 38 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici Tabella III. Studi clinici con sitagliptin. Principali studi clinici pubblicati, di durata superiore a 12 settimane. Viene riportata la differenza tra i gruppi di trattamento nei valori di emoglobina glicata a termine dello studio. Studio Durata (sett.) Confronto con Combinazione con N. pazienti Differenza HbA1c (%) Raz et al., 2006 18 Placebo - 521 -0,5* Aschner et al., 2006 24 Placebo - 741 -0,9* Scott et al., 2007 12 Placebo - 720 -0,6* Hanefeld et al., 2007 12 Placebo - 555 -0,4* Goldstein et al., 2007 24 Placebo - 355 -0,7* Nonaka et al., 2008 12 Placebo - 151 -1,2* Scott et al., 2007 12 Glipizide - 718 +0,4 Charbonnel et al., 2006 24 Placebo Metformina 635 -0,6* Goldstein et al., 2007 52 Placebo Metformina 736 -0,7* Scott et al., 2008 18 Placebo Metformina 186 -0,5* Raz et al., 2008 30 Placebo Metformina 190 -0,8* Nauck et al., 2007 52 Glipizide Metformina 1135 +0,2 Scott et al., 2008 18 Rosiglitazone Metformina 181 +0,1 Rosenstock et al., 2006 24 Placebo Pioglitazone 353 -0,6* Hermansen et al., 2007 24 Placebo Glimepiride (± metformina) 441 -0,8* * Differenze statisticamente significative. sull’emoglobina glicata sovrapponibile a sulfaniluree e tiazolidinedioni. Rispetto a tali farmaci, sitagliptin e vildagliptin hanno comunque un diverso profilo d’azione ipoglicemizzante, in quanto sono maggiormente attivi sulla glicemia post-prandiale e lievemente meno attivi sulla glicemia a digiuno – come era prevedibile anche sulla base del meccanismo d’azione. Gli inibitori della DPP-4 si distinguono assai marcatamente dagli altri farmaci ipoglicemizzanti disponibili per il profilo di tollerabilità. Infatti, questi farmaci non provocano ipoglicemia (a meno che non siano associati a sulfaniluree), non inducono aumento di peso e non determinano ritenzione idrica. Contrariamente agli incretino-mimetici, non provocano neppure alcun effetto collaterale a livello gastrointestinale. L’unico evento avverso osservato, comunque infrequente, è rappresentato da rinofaringiti, lievi e non tali da determinare sospensione del trattamento; inoltre, si è rilevato un trend verso l’incremento del rischio di infezioni urinarie (cistiti), anche queste di grado lieve 3. Per il solo vildagliptin, la somministrazione a dosi superiori a quelle raccomandate in terapia potrebbe determinare, in casi rari, un modesto aumento delle transaminasi. Gli studi clinici disponibili, numerosi e di dimensioni relativamente ampie, hanno fugato completamente alcuni dubbi sulla sicurezza d’impiego degli inibitori della DPP-4, che erano stati avanzati in precedenza sulla base di considerazioni teoriche riguardo al loro meccanismo d’azione. In particolare, la DPP-4 riconosce vari altri substrati (tra i quali il neuro peptide Y, il peptide YY, la sostanza P e altri ancora), alcuni dei quali dotati di importanti effetti biologici a livello del sistema cardiocircolatorio e gastroenterico; peraltro, l’enzima ha un ruolo rilevante nel determinare l’inattivazione di GLP-1 e GIP, ma non di tali altri peptidi. In effetti, non sono stati riscontrati eventi Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 39 E. Mannucci Tabella IV. Studi clinici con vildagliptin. Principali studi clinici pubblicati, di durata superiore a 12 settimane. Viene riportata la differenza tra i gruppi di trattamento nei valori emoglobina glicata a termine dello studio. Studio Ristic et al., 2005 Durata (sett.) Confronto con Combinazione con N. pazienti Differenza HbA1c (%) 12 Placebo - 279 -0,5* Pratley et al., 2006 12 Placebo - 98 -0,7* Dejager et al., 2007 18 Placebo - 632 -0,5* Pi-Sunyer et al., 2007 24 Placebo - 354 -0,7* Scherbaum et al., 2008 52 Placebo - 128 -0,9* Mari et al., 2008 52 Placebo - 306 -0,4* Scherbaum et al., 2008 52 Placebo - 306 -0,5* Pan et al., 2��� 008 24 Acarbose - 660 -0,1 Schweizer et al., 2007 52 Metformina - 780 +0,4* Rosenstock et al., 2007 24 Rosiglitazone - 697 +0,2 Rosenstock et al., 2007 24 Pioglitazone - 366 0,0 Ahren et a�������� l., 2005 12 Placebo Metformina 107 -0,7* Bosi et al., 2007 24 Placebo Metformina 520 -0,9* Bolli et al., 2008 24 Pioglitazone Metformina 575 0,0 Rosenstock et al., 2007 24 Placebo Pioglitazone 453 -0,3* Garber et al., 2007 24 Placebo Pioglitazone 398 -0,5* Rosenstock et al., 2008 16 Placebo Glimepiride 408 -0,7* Fonseca et al., 2007 24 Placebo Insulina 296 -0,3* * Differenze statisticamente significative. avversi di alcun tipo attribuibili all’azione della DPP-4 su peptidi diversi dalle incretine. Un’ulteriore preoccupazione era rappresentata dal fatto che la DPP-4, indicata anche con il nome CD26, è espressa alla superficie di cellule immunocompetenti ed è coinvolta nell’interazione tra macrofagi e linfociti T attivati. D’altro canto, la parte di molecola coinvolta nei processi immuni è diversa da quella dotata di attività peptidasica, che è sito d’azione dei farmaci; gli studi clinici hanno confermato che sitagliptin non interferisce in alcun modo con la funzione immunitaria. Riguardo all’effetto sul peso corporeo, gli inibitori della DPP-4 non determinano riduzione ponderale, differenziandosi in questo dagli incretino-mimetici 3; peraltro, essi non provocano neppure aumento di peso, al contrario della maggior parte degli agenti ipoglicemizzanti attualmente disponibili. Anche sul piano del quadro lipidico, il loro profilo appare essere pressoché neutro, mentre per la pressione arteriosa si potrebbe osservare addirittura una lieve riduzione. Il trattamento con inibitori della DPP-4, quindi, consente di ottenere un miglioramento del compenso glicemico senza effetti negativi su altri fattori di rischio cardiovascolare. Riguardo all’uso clinico, gli inibitori della DPP-4 potrebbero, in teoria, essere impiegati anche in monoterapia. Le evidenze disponibili indicano però che, in questo impiego, essi potrebbero essere meno efficaci sull’emoglobina glicata rispetto alla metformina 19. Sebbene sitagliptin e vildagliptin mostrino un maggior effetto sull’iperglicemia postprandiale e una migliore tollerabilità gastrointe40 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici stinale, la metformina ha a proprio vantaggio, oltre alla probabile maggiore efficacia sull’emoglobina glicata, il basso costo e l’azione complessivamente favorevole sul rischio cardiovascolare. Per tali ragioni, non esistono motivi per ritenere che gli inibitori della DPP-4 possano sostituire la metformina come farmaco di prima scelta, in monoterapia, per il diabete di tipo 2. Il campo di elezione per gli inibitori della DPP-4 sembra essere, piuttosto, quello del fallimento della monoterapia con metformina. I trial disponibili indicano che gli inibitori della DPP-4, somministrati in combinazione con la metformina, producono una riduzione di emoglobina glicata, rispetto al placebo, sovrapponibile a quella che si osserva in monoterapia 3. Altri farmaci utilizzati nella terapia del diabete di tipo 2, come le sulfaniluree e i tiazolidinedioni, riducono l’emoglobina glicata in misura maggiore quando sono somministrati in monoterapia rispetto a quando sono impiegati in associazione alla metformina 18. Gli studi di confronto con farmaci attivi, sempre in combinazione con metformina, non sono molto numerosi, ma indicano comunque chiaramente che, nella terapia di associazione, gli inibitori della DPP-4 sono complessivamente efficaci almeno quanto le sulfaniluree e i tiazolidinedioni. Ovviamente, il loro profilo d’azione è parzialmente diverso: rispetto ad altri farmaci, sitagliptin e vildagliptin producono una maggior riduzione della glicemia post-prandiale e sono relativamente meno efficaci sulla glicemia a digiuno, avendo come risultante un effetto sovrapponibile sull’emoglobina glicata. Le altre possibili combinazioni tra inibitori della DPP-4 e altri farmaci ipoglicemizzanti sono state, a oggi, meno studiate. Alcuni trial mostrano che sitagliptin e vildagliptin sono efficaci anche in combinazione con i tiazolidinedioni. Sebbene l’associazione possa sembrare meno razionale, gli inibitori della DPP-4 riducono l’emoglobina glicata anche in associazione alle sulfaniluree. Infine, i dati disponibili sulla tripla combinazione di metformina, sulfaniluree e inibitori della DPP-4 sono a oggi insufficienti per poter formulare un giudizio compiuto, per cui le autorità regolatorie non hanno, al momento, ancora approvato questo impiego di sitagliptin e vildagliptin. Un unico trial ha esplorato la possibilità di combinare gli inibitori della DPP-4 con l’insulina nel diabete di tipo 2. In questo particolare contesto, l’aggiunta del farmaco orale riduce lievemente l’emoglobina glicata e, al tempo stesso, determina una riduzione significativa del rischio di ipoglicemie 20. Il meccanismo responsabile per la riduzione del rischio ipoglicemico è ancora ignoto. Sebbene le evidenze disponibili non siano ancora sufficienti per inserire la terapia combinata con insulina tra le indicazioni degli inibitori della DPP-4, ulteriori studi potrebbero estendere anche a questo ambito l’impiego di sitagliptin e vildagliptin nel futuro. L’uso clinico degli inibitori della DPP-4 Gli inibitori della DPP-4 trovano il loro campo principale di impiego in terapia combinata, nei pazienti che falliscono alla monoterapia con metformina. Le opzioni terapeutiche disponibili, in questi soggetti, sono molteplici e comprendono le sulfaniluree, le glinidi, i tiazolidinedioni, l’acarbose, gli incretino-mimetici e l’insulina. Rispetto a ciascuna di queste classi di farmaci, gli inibitori della DPP4 presentano vantaggi e svantaggi, che sono riassunti nella Tabella V. Rispetto alle sulfaniluree, che sono a oggi i farmaci più spesso impiegati nel trattamento del fallimento alla monoterapia con metformina, gli inibitori della DPP-4 vantano, a parità di efficacia sull’emoglobina glicata, un profilo di tollerabilità decisamente superiore, con un rischio ipoglicemico virtualmente assente e nessun aumento di peso. Inoltre, essi mostrano un effetto più marcato sulla glicemia post-prandiale, compensato da una minore azione sulla glicemia a digiuno. Nei pazienti che, trattati con metformina a piena dose, non raggiungono gli obiettivi di emoglobina glicata a causa di persistenti iperglicemie post-prandiali, gli inibitori della DPP-4 rappresentano una scelta particolarmente razionale. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 41 E. Mannucci Tabella V. Confronto tra inibitori della DPP-4 e possibili farmaci alternativi. In associazione a metformina, nel fallimento alla monoterapia Farmaco alternativo Vantaggio Inibitore DPP-4 Vantaggio alternativo Equivalenza Sulfaniluree Glicemia post-prandiale Non aumento di peso Non ipoglicemie Profilo cardiovascolare Glicemia a digiuno Costo Efficacia su HbA1c Glinidi Non aumento di peso Non ipoglicemie Profilo cardiovascolare Costo Efficacia su HbA1c Tiazolidinedioni Glicemia post-prandiale Non aumento di peso Non ritenzione idrica Effetto su insulino-resistenza Efficacia su HbA1c Acarbose Tollerabilità intestinale Rimborsabilità Costo Efficacia su HbA1c Incretino-mimetici Via di somministrazione Tollerabilità gastrica Costo Peso corporeo Efficacia su HbA1c * Rispetto ad analogo lento o NPH serale. Un controllo efficace della glicemia post-prandiale può essere ottenuto, in molti casi, anche con le glinidi (repaglinide) o con gli inibitori della alfa-glucosidasi (acarbose). Rispetto a questi farmaci, però, gli inibitori della DPP-4 mostrano notevoli vantaggi in termini di tollerabilità: non provocano i disturbi gastrointestinali caratteristici dell’acarbose e non inducono rischio di ipoglicemie e aumento di peso come le glinidi. La sicurezza sul piano delle ipoglicemie rappresenta un vantaggio notevole soprattutto nei pazienti più compromessi, con complicanze, malattie associate o più anziani, nei quali un episodio di eccessiva riduzione della glicemia può avere conseguenze più gravi sullo stato complessivo di salute. Tra gli altri possibili farmaci alternativi, i tiazolidinedioni, che agiscono sulla resistenza insulinica, sono maggiormente attivi sulla glicemia a digiuno e meno efficaci sull’iperglicemia post-prandiale; inoltre, essi hanno un profilo di tollerabilità meno favorevole (a causa dell’aumento di peso e della ritenzione idrica) e possono essere somministrati soltanto nei pazienti con normale funzione cardiaca. Benché agiscano sugli stessi sistemi fisiologici di regolazione del metabolismo glicidico, gli inibitori della DPP-4 e gli agonisti del recettore del GLP-1 (incretino-mimetici) hanno un profilo clinico nettamente differenziato tra loro. Le principali differenze sono rappresentate dalla via di somministrazione (orale per gli inibitori della DPP-4, iniettiva per gli incretino-mimetici), dal diverso profilo di tollerabilità (gli incretino-mimetici inducono in maniera dose-dipendente nausea e vomito, che non sono presenti con gli inibitori della DPP-4) e dal diverso effetto sul peso corporeo (ridotto in maniera considerevole dal trattamento con incretino-mimetici e non modificato dagli inibitori della DPP-4). Queste diversità sono probabilmente dovute al fatto che i farmaci incretino-mimetici inducono una stimolazione ampiamente sovra-fisiologica del recettore del GLP-1, senza interferire con altri sistemi endocrini. Gli inibitori della DPP-4, invece, determinano soltanto un moderato aumento dei livelli circolanti di GLP-1, cui si associa un analogo incremento del GIP; è verosimile che un tale livello di attivazione del sistema delle incretine non sia 42 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici sufficiente a determinare una potente azione anoressizzante, né a rallentare lo svuotamento gastrico tanto da provocare disturbi soggettivi (nausea). Oltre a ciò, occorre tenere presente la differenza di costo (decisamente superiore per gli incretino-mimetici). Tenendo conto di questi elementi, gli agonisti del recettore per il GLP-1 (exenatide e, in futuro, liraglutide) appaiono essere interessanti, nel fallimento alla monoterapia con metformina, soprattutto nei pazienti più obesi, mentre gli inibitori della DPP-4 sembrano essere una scelta preferibile per i pazienti relativamente più magri o che mostrano maggiori difficoltà nell’accettazione e nell’esecuzione di una terapia iniettiva. Riguardo alle differenze tra sitagliptin e vildagliptin, esse sembrano essere abbastanza modeste. L’efficacia e la tollerabilità, infatti, risultano pressoché sovrapponibili. Purtroppo, non sono disponibili, al momento attuale, studi di confronto diretto; ogni considerazione comparativa deve essere formulata, quindi, accostando i risultati degli studi condotti con ciascuna delle due molecole, che differiscono tra loro per disegno e per caratteristiche dei campioni di pazienti studiati. Sul piano farmacologico, è stato affermato che sitagliptin ha una maggiore selettività per la DPP-4 rispetto a vildagliptin; tale differenza non si traduce però in una differenza di tollerabilità (ottima per ambedue i farmaci). Al contrario, l’unica piccola divergenza riguarda l’incidenza di rinofaringiti, lievemente aumentata con sitagliptin e apparentemente immodificata con vildagliptin. Per contro, con vildagliptin è stato osservato, in rari casi, un aumento delle transaminasi, ma soltanto a dosi superiori di quelle utilizzate in terapia. Queste piccole sfumature non sembrano tali da influire sulla scelta dell’uno o dell’altro farmaco. La principale differenza è quella cinetica: l’emivita di vildagliptin, più breve, richiede comunque la doppia somministrazione giornaliera, mentre sitagliptin, che ha una maggior durata d’azione, può essere somministrato anche una sola volta al giorno. Le indicazioni di sitagliptin e vildagliptin, con alcune piccole differenziazioni che dipendono dalla disponibilità di studi clinici per ciascuna delle due molecole nei dossier registrativi, comprendono anche la terapia associata a sulfaniluree o a tiazolidinedioni, oppure la monoterapia nei pazienti con controindicazioni o intolleranza alla metformina. Si tratta, comunque, di indicazioni relativamente limitate; inoltre, occorre ricordare che, mentre l’associazione con tiazolidinedioni appare pienamente razionale, quella con sulfaniluree (che stimolano comunque la secrezione insulinica, anche se con un meccanismo diverso) non sembra altrettanto logica, pur essendo sostenuta da alcuni studi clinici. Per quanto riguarda la monoterapia, è comunque necessario ricordare che l’efficacia degli inibitori della DPP-4, quando non vengono combinati ad altri farmaci, è limitata. Il futuro ci porterà, probabilmente, nuove indicazioni per gli inibitori della DPP-4, quali la tripla terapia (in combinazione con sulfaniluree e metformina), per la quale sono in corso vari studi clinici, e la terapia associata all’insulina. Peraltro, occorre ricordare che l’efficacia degli inibitori della DPP-4 è maggiore in presenza di una cospicua funzione beta-cellulare residua; l’impiego di questi farmaci, quindi, dovrebbe essere promosso soprattutto in fasi relativamente precoci della malattia diabetica. Bibliografia Willms B, Werner J, Holst JJ, Orskov C, Creutzfeldt W, Nauck MA. Gastric emptying, glucose respon����������������� ses, and insulin secretion after a liquid test meal: effects of exogenous glucagon-like peptide-1 (GLP-1)-(7-36) amide in type 2 (noninsulin-dependent) diabetic patients. J Clin Endocrinol Metab 1996;81:327-32. 2 Deacon CF, Nauck MA, Toft-Nielsen M, Pridal L, Willms B, Holst JJ. Both subcutaneously and intravenously administered glucagon-like peptide-1 are rapidly degraded from the NH2-terminus in type 2 diabetic patients and healthy subjects. Diabetes 1995;44:1126-31. 1 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 43 E. Mannucci Amori RE, Lau J, Pittas AG. Efficacy and safety of incretin therapy in type 2 diabetes. Systematic review and metaanalysis. JAMA 2007;298:194-206. 4 Drucker DJ, Nauck MA. The incretin system: glucagon-like peptide-1 receptor agonists and dipeptidyl peptidase-4 inhibitors in type 2 diabetes. Lancet 2006;318:1696-705. 5 Heine RJ, Van Gaal LF, Johns D, Mihm MJ, Widel MH, Brodows RG. Exenatide versus insulin glargine in patients with suboptimally controlled type 2 diabetes: a randomized trial. Ann Intern Med 2005;143:559-69. 6 Mannucci E, Rotella CM. Future perspectives on glucagon-like peptide-1, diabetes and cardiovascular risk. 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Fu una scoperta importante, che introdusse, a opera proprio di Starling, il concetto di “ormone”, ovvero di una sostanza capace di influenzare a distanza, tramite il torrente circolatorio, un organo diverso da quello che lo ha prodotto. Più tardi, nel 1906 Starling, sulla base di alcune osservazioni che riportavano una riduzione della glicosuria, dopo somministrazione di estratti di mucosa duodenale a pazienti diabetici, ipotizzò l’esistenza di fattori ormonali prodotti dalla mucosa intestinale, in grado di influenzare anche la secrezione endocrina del pancreas. Nel 1930 La Barre e Still purificarono un fattore intestinale, capace di stimolare in modo selettivo la secrezione endocrina pancreatica, senza influenzare quella esocrina. A tale fattore, capace di indurre ipoglicemia, senza modificare le secrezioni esocrine del pancreas, La Barre nel 1932 diede il nome di “incretina”. Solo negli anni ’60, dopo l’introduzione delle tecniche di dosaggio radioimmunometriche dell’insulina, e precisamente nel 1964, Elrick e McIntyre osservarono che la risposta insulinemica ottenuta da un carico orale di glucosio era maggiore di quella ottenuta con infusione endovenosa di glucosio, a parità di livelli glicemici plasmatici raggiunti. Tale osservazione portò a ipotizzare che una parte della risposta insulinemica al glucosio dovesse essere indotta da uno o più ormoni sintetizzati nel tratto gastrointestinale, in risposta all’ingestione del glucosio stesso. Vennero successivamente isolati e studiati numerosi peptidi gastrointestinali, ma gli unici che risultarono avere i requisiti per essere definiti “incretine” furono l’insulinotropic polypeptide (GIP), isolato per la prima volta nel 1970 e il glucagon-like-peptide-1 (GLP-1), isolato nel 1985. Cosa sono di preciso le incretine? Le incretine sono ormoni secreti da cellule del tratto gastrointestinale in risposta all’introito di nutrienti, in particolare carboidrati. Stimolano la secrezione insulinica alle concentrazioni che fisiologicamente sono presenti dopo l’ingestione di cibo, in modo glucosio-dipendente, ovvero incrementano la secrezione di insulina solo in presenza di elevati livelli glicemici. Le due principali incretine che soddisfano pienamente ai suddetti requisiti sono il GLP-1 e il GIP. Cosa sappiamo del GLP-1? Il GLP-1 è un prodotto del gene del glucagone ed è secreto dalle cellule L a livello dell’ileo distale e del colon. In questa sede infatti il pro-glucagone subisce un diverso processi di clivaggio, dando origine, anziché al glucagone, come nel pancreas, a due peptidi, il GLP-1 e il GLP-2, Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 45 C. Origlia, C.B. Giorda simili per il 50% al glucagone in sequenza aminoacidica. Il GLP-2 è un fattore di crescita della mucosa intestinale, mentre il GLP-1 è un importante regolatore del metabolismo glucidico. Dopo l’assunzione di cibo, GLP-1 viene secreto in modo bifasico: un primo aumento dei suoi livelli è precoce (circa 10-15 min dall’ingestione degli alimenti), un secondo è invece tardivo (circa 3060 min dall’inizio del pasto). È verosimile che il secondo picco, essendo più tardivo, sia mediato dal contatto dei nutrienti con le cellule L, che si trovano distalmente nel tratto gastrointestinale. Il primo picco invece, estremamente precoce, e che probabilmente è responsabile della prima fase secretoria dell’insulina, pare essere mediato da meccanismi neuro-ormonali acetilcolinomediati o forse indotti dal GIP. GLP-1 è uno dei più potenti insulino-segretagoghi. Quando GLP-1 lega il suo recettore transmembrana, tramite una G-proteina viene attivata l’adenilato-ciclasi con successiva formazione di adenosina-monofosfato-ciclico (cAMP). Ne segue l’attivazione della proteina chinasi A, che porta, come evento finale, all’esocitosi dei granuli di insulina. GLP-1 non si limita a stimolare la secrezione insulinica e ad aumentarne la trascrizione genica, ma up-regola anche i geni della glucochinasi e del GLUT-2. Negli animali poi è stato dimostrato che GLP-1 ha effetti trofici sulle beta-cellule, ne stimola la proliferazione, aumenta la differenziazione cellulare delle nuove beta-cellule a partire dalle progenitrici e inibisce l’apoptosi beta-cellulare. Il GLP-1 inibisce anche la secrezione di glucagone in modo glucosio-dipendente, riducendo così la produzione epatica di glucosio, ma senza interferire con il meccanismo controregolatore del glucagone, in caso di ipoglicemia. Rallenta lo svuotamento gastrico, verosimilmente tramite l’inattivazione dell’attività vagale, portando a un rallentamento dell’assorbimento del glucosio. Infine a livello del SNC si comporta da regolatore del senso di sazietà, inibendo l’ingestione di cibo, con conseguente effetto dimagrante. E del GIP? Il GIP è un peptide di 42 aminoacidi, secreto dalle cellule K, situate a livello del duodeno e del digiuno prossimale. Le cellule K, al contatto degli alimenti (soprattutto carboidrati e lipidi), rilasciano GIP, in quantità proporzionale alla quantità di nutrienti assorbiti. In caso dunque di malassorbimento o in presenza di farmaci che interferiscono con l’assorbimento intestinale, la produzione di GIP è ridotta. Il GIP inibisce la secrezione gastrica, stimola la secrezione insulinica in modo glucosio-dipendente, induce la proliferazione beta-cellulare e ne inibisce l’apoptosi. Dove agiscono e quanto durano? Entrambe le incretine hanno emivita molto breve: 1-2 minuti per il GLP-1 e circa 4 minuti per il GIP. Infatti l’enzima dipeptidil-peptidasi-4 (DPP-4), presente sia sulla membrana plasmatica di molti organi sia nel plasma, provvede alla loro rapida inattivazione. Entrambe legano recettori transmembrana accoppiati a proteine G. La distribuzione dei recettori del GLP-1 e del GIP è ampia. Sono presenti recettori per il GLP-1 a livello delle cellule pancreatiche β e δ, nel tratto gastrointestinale, nel cuore, nei polmoni, nel cervello. Quelli del GIP si trovano a livello delle cellule pancreatiche α e β, nel SNC, nel tratto gastrointestinale, nei surreni, nello stomaco e negli adipociti. Da questa estesa diffusione dei loro recettori, si comprende come tali incretine, oltre all’effetto metabolico, posseggano altri effetti biologici a carico di organi diversi. Così ad esempio il GIP a livello del SNC stimola la proliferazione dei precursori neuronali, mentre il GLP-1 esercita un controllo sul senso della fame, portando a una riduzione dell’introito di cibo e, quindi, 46 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine a una perdita di peso. Il GLP-1 ha anche azioni protettive a livello miocardico, mentre il GIP stimola la lipogenesi e possiede capacità anaboliche sull’osso. Quali sono in sintesi le analogie e le differenze tra GLP-1 e GIP? Entrambi stimolano la secrezione insulinica in modo glucosio-dipendente, potenziano la risposta beta-cellulare al glucosio, inducono la proliferazione delle beta-cellule e ne inibiscono l’apoptosi, inibiscono la secrezione acida gastrica. Il GLP-1, ma non il GIP, inibisce la secrezione di glucagone, verosimilmente stimolando la secrezione di somatostatina; inibisce lo svuotamento gastrico; presenta un effetto centrale anoressizzante, inducendo senso di sazietà; presenta effetti cardioprotettivi post-ischemici. Dunque il GLP-1, ma non il GIP, agisce sull’omeostasi glicidica anche inibendo la gluconeogenesi epatica, stimolando la glicogeno-sintesi muscolare e rallentando l’assorbimento dello zucchero a livello gastrointestinale. Il GIP, ma non il GLP-1, possiede attività lipogenica e proprietà anaboliche sull’osso. Nel paziente diabetico i livelli di GLP-1, ma non di GIP, sono ridotti. Cosa avviene al sistema incretinico nel paziente diabetico? Nel diabete mellito la risposta insulinemica allo stimolo del pasto risulta inferiore. È ben noto che una delle prime alterazioni che si determinano nel diabete è la perdita del picco precoce di secrezione insulinica, in risposta al pasto, con la conseguenza dell’aumento delle glicemie post-prandiali. È stato osservato che nei pazienti diabetici i livelli post-prandiali di GLP-1 sono inferiori rispetto ai soggetti sani, ma l’effetto insulinotropico è conservato. Invece le concentrazioni plasmatiche di GIP nel diabetico sono normali, ma è ridotto l’effetto insulinotropico. Questa caratteristica, unita alle altre proprietà possedute dal GLP-1 e non dal GIP, in particolare la capacità di inibire il glucagone, di ridurre lo svuotamento gastrico, di indurre senso di sazietà, ha suggerito di proporre ai pazienti diabetici un trattamento con GLP-1, al fine di ripristinare la prima fase secretoria insulinica. È stato infatti osservato che una somministrazione per via infusionale continua di GLP-1 nel soggetto diabetico è in grado di incrementare la secrezione insulinica, normalizzando la glicemia a digiuno e post-prandiale. Tale proprietà non è posseduta dal GIP. Quali ipotesi si possono fare sul ruolo patogenetico delle incretine nel diabete? È interessante il fatto che i parenti di primo grado dei pazienti diabetici posseggano normali livelli di GLP-1, ma una compromissione dell’effetto insulinotropico del GIP. Tali dati suggeriscono che il difetto secretorio del GLP-1 nel paziente diabetico non sia primario, ma secondario all’alterazione del metabolismo glicidico. Diversamente è possibile che nei pazienti diabetici esista un difetto genetico di resistenza all’azione del GIP, forse legato a difetti recettoriali o post-recettoriali. Sulla base di tali considerazioni, da un punto di vista fisiopatologico, sembrerebbe dunque che la compromissione della prima fase di secrezione insulinica possa essere spiegata con una Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 47 C. Origlia, C.B. Giorda ridotta secrezione e/o una resistenza incretinica. Un trattamento con incretine si pone pertanto come una vera e propria “terapia ormonale sostitutiva”, con il fine di ripristinare i fisiologici livelli ormonali presenti nei soggetti normali. Quali sono i limiti degli ipoglicemizzanti finora utilizzati e le ragioni che spingono alla ricerca di nuove terapie? Il diabete mellito tipo 2 è caratterizzato da una molteplicità di difetti metabolici: l’insulino-resistenza, la compromissione della secrezione beta-cellulare, che è già significativa al momento della diagnosi, l’iperglucagonemia post-prandiale e l’obesità. Le terapie ipoglicemizzanti a disposizione non sono in grado di correggere contemporaneamente tutti questi difetti. Un ulteriore problema deriva dal fatto che tutte le terapie ipoglicemizzanti, a eccezione della metformina, determinano un aumento ponderale. Viene dunque in soccorso una nuova classe di farmaci, gli incretino-mimetici, che agiscono potenziando le azioni dell’incretina GLP-1, ormone che agisce contemporaneamente sui diversi difetti metabolici che caratterizzano il diabete mellito. Quali sono gli attuali approcci terapeutici basati sul GLP-1 per migliorare il controllo glicemico? Il principale limite di una terapia con GLP-1 è la breve emivita dell’ormone, che è di circa 2 minuti. Infatti viene velocemente degradato dalla DPP-4 e per poterlo utilizzare come farmaco occorrerebbe somministrarlo per via infusionale in modo continuo. La ricerca farmaceutica ha superato questo limite offrendo tre approcci possibili: • impiegare un agonista del recettore del GLP-1 (exenatide), resistente all’azione della DPP-4; • utilizzare analoghi del GLP-1 resistenti all’azione della DPP-4, in quanto capaci di legarsi alle proteine plasmatiche (liraglutide); • inibire l’attività della DPP-4, prolungando l’emivita del GLP-1 endogeno (sitagliptin e vildagliptin). Exenatide e liraglutide hanno un effetto agonista del solo GLP-1, non aumentando l’attività del GIP, come fanno invece gli inibitori della DPP-4. Non vi sono ancora al momento i dati per comprendere se tale differenza si traduca in un vantaggio o in uno svantaggio clinico. Come agiscono gli inibitori della DPP-4? Sono state messe a punto diverse molecole con attività di inibizione della DPP-4, ma al momento in commercio sono disponibili il sitagliptin e il vildagliptin. Tali farmaci agiscono appunto prolungando l’emivita del GLP-1 e del GIP endogeni, e ciò è ottenuto inibendo l’enzima deputato alla loro rapida inattivazione, la DPP-4. Ne deriva un prolungamento dell’azione delle incretine endogene, con un conseguente aumento della secrezione insulinica (indotta sia dal GLP-1 sia dal GIP) e un’inibizione della produzione di glucagone glucosio-dipendente (indotta dal GLP-1). Oltre a migliorare la funzione beta-pancreatica, gli inibitori della DPP-4 aumentano la sensibilità insulinica. Il meccanismo potrebbe essere legato alla riduzione dei valori di glucagone, in associazione con l’aumentata azione insulinica, conseguente al miglioramento del compenso glicemico. 48 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine Contrariamente a quanto avviene con il GLP-1, l’inibizione della DPP-4 non sembra interferire con lo svuotamento gastrico e non determina una riduzione dell’appetito. Dagli studi clinici effettuati è risultato che tali farmaci presentano una buona efficacia, in termini di riduzione dell’HbA1c, associati a un basso di rischio di ipoglicemia, una minima incidenza di effetti collaterali e un effetto neutro sul peso. Gli inibitori della DPP-4 hanno anche effetti sul metabolismo lipidico? Nei trial clinici condotti con sitagliptin e vildagliptin sono stati osservati effetti molto modesti o nulli sui parametri lipidici. Solo in uno studio è stato osservato che 50 mg di vildagliptin BID sono capaci di inibire l’aumento dei trigliceridi, dopo ingestione di un pasto ad alto contenuto in grassi. Tale dato è interessante se si considera l’impatto sul rischio cardiovascolare della lipemia post-prandiale. Sempre con vildagliptin è stato dimostrato, in due studi di confronto con rosiglitazone e pioglitazone, un effetto di riduzione del colesterolo totale e LDL e un lieve aumento del colesterolo HDL, rispetto al trattamento con rosiglitazone. Quali sono i dati della letteratura in merito agli inibitori della DPP-4? A gennaio 2008 sono stati pubblicati 26 studi clinici controllati randomizzati, di cui 11 condotti con sitagliptin e 15 con vildagliptin. In monoterapia contro placebo entrambe le molecole hanno dimostrato la loro efficacia, con una riduzione media dell’HbA1c tra 0,3 e 0,9%. In monoterapia sitagliptin ha mostrato efficacia simile a glipizide (5 mg/die con titolazione fino a 20 mg/die), e così pure vildagliptin (50 mg BID) verso rosiglitazone (8 mg/die), mentre contro metformina (1 g BID) vildagliptin (50 mg BID) ha dimostrato di essere lievemente meno efficace (HbA1c ridotta del 1% con vildagliptin, contro 1,4% con metformina). In associazione con altri ipoglicemizzanti orali, quali metformina, pioglitazone, glimepiride o insulina, paragonati al placebo, sitagliptin ha indotto una riduzione dell’HbA1c dello 0,6-0,79%, mentre vildagliptin dello 0,3-1,1%. In associazione con metformina e pioglitazone, come trattamento farmacologico iniziale, sitagliptin e vildagliptin, rispettivamente, hanno portato a un’efficacia sull’HbA1c superiore a quella ottenuta con le singole monoterapie. I migliori risultati in termini di riduzione di HbA1c sono stati ottenuti in quei pazienti che presentavano al basale una HbA1c più alta e una minore durata di malattia. Quale tipo di paziente può trarre vantaggio dall’utilizzo di un inibitore della DPP-4? Un paziente affetto da diabete mellito tipo 2, con una storia di malattia non troppo lunga, con una sufficiente capacità beta-cellulare residua, in controllo metabolico non soddisfacente (HbA1c > 7%, ma < 8%), già in terapia con metformina o glitazone o sulfanilurea (solo per vildagliptin), in sovrappeso (e che quindi avrebbe uno svantaggio da un punto di vista ponderale, dall’inserimento di un’eventuale sulfanilurea nel caso sia già in terapia con metformina o glitazone). L’inserimento degli inibitori della DPP-4 dà i massimi risultati se avviene precocemente nella storia della malattia. Dai dati a disposizione infatti risulta che i pazienti con minore intervallo di Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 49 C. Origlia, C.B. Giorda tempo dalla prima diagnosi di diabete mellito (< 3 anni) hanno ottenuto i migliori risultati. Non ha senso pertanto utilizzare tardivamente tale tipo di farmaci come ultima arma terapeutica, prima dell’insulina, quando già la riserva beta-cellulare è compromessa. Quali sono i vantaggi dell’utilizzo degli inibitori della DPP-4 rispetto a exenatide? I vantaggi sono l’assunzione per os (in monosomministrazione per sitagliptin e in doppia somministrazione per vildagliptin) e minori effetti collaterali gastrointestinali (dovuti a un minor effetto sullo svuotamento gastrico). Entrambi hanno basso rischio di ipoglicemia. Quali sono gli svantaggi degli inibitori della DPP-4 rispetto a exenatide? Gli svantaggi degli inibitori della DPP-4 rispetto a exenatide sono la neutralità sul peso dei primi contro l’effetto dimagrante della seconda e un maggiore rischio di infezioni delle alte vie respiratorie, in particolare nasofaringiti (soprattutto con sitagliptin) e delle vie urinarie (più evidente con vildagliptin). Non sono disponibili al momento confronti di efficacia con gli agonisti del GLP-1. Da un punto di visita fisiopatologico tuttavia bisogna ricordare che nel paziente diabetico i livelli di GLP-1 sono ridotti. Quali sono gli effetti collaterali degli inibitori della DPP-4? Questi farmaci presentano una bassa incidenza di ipoglicemia e gli eventi avversi in generale risultano trascurabili. Si segnalano però un maggior rischio di infezioni delle alte vie respiratorie (soprattutto nasofaringiti) e delle vie urinarie. Tali effetti collaterali potrebbero essere dovuti al fatto che la DPP-4 è espressa in diversi tessuti e cellule, inclusi i linfociti. È possibile che la sua inibizione possa avere un effetto deprimente sul sistema immunitario. Alla luce di tali dati se ne consiglia un uso prudente in quei pazienti che presentano una storia di infezioni frequenti al sistema urinario. È stata anche segnalata una maggiore incidenza di cefalea. Da evitare dunque una loro somministrazione a chi presenta in anamnesi una storia di cefalea cronica. Quali sono le indicazioni terapeutiche di sitagliptin? Sitagliptin è indicato nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 già in trattamento con metformina o glitazone, che necessitano di un miglioramento del controllo metabolico. La posologia è di 100 mg/die in monosomministrazione, indipendentemente dai pasti. Se viene dimenticata una dose, questa deve essere assunta appena il paziente se ne ricorda. Non si deve però assumere una dose doppia nella stessa giornata. La posologia della metformina o del glitazone non va modificata. 50 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine Si può associare sitagliptin a insulina o alle sulfaniluree? Non è ancora stata studiata adeguatamente la possibilità di associare sitagliptin con insulina o sulfaniluree, pertanto al momento non se ne consiglia l’associazione. Quali sono le indicazioni terapeutiche di vildagliptin? Vildagliptin è indicato nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 non sufficientemente controllati in trattamento con metformina alla massima dose tollerata in monoterapia o con glitazone o con sulfanilurea alla massima dose tollerata e nei quali non sia possibile per intolleranza o controindicazione l’uso della metformina. La posologia è di 50 mg/die in doppia somministrazione (al mattino e alla sera), indipendentemente dai pasti. In caso di associazione con sulfanilurea, la dose raccomandata di vildagliptin è di 50 mg una volta al giorno, al fine di ridurre il rischio di ipoglicemia da sulfanilurea. Non sono state stabilite la sicurezza e l’efficacia di vildagliptin in triplice terapia orale. Si può utilizzare sitagliptin o vildagliptin in caso di insufficienza renale? Per i pazienti con insufficienza renale lieve (clearance creatinina ≥ 50 ml/min) non è necessaria alcuna modifica della posologia di tali farmaci; non ci sono sufficienti dati relativi a un loro utilizzo in caso di insufficienza renale moderata e grave. Pertanto in questi pazienti per il momento prudenzialmente se ne sconsiglia l’utilizzo. Si può utilizzare sitagliptin in caso di insufficienza epatica? Non è necessario alcun aggiustamento della posologia in caso di insufficienza epatica da lieve a moderata (punteggio di Child-Pugh ≤ 9). Il farmaco non è stato studiato in caso di insufficienza epatica grave (punteggio di Child-Pugh > 9). Si può utilizzare vildagliptin in caso di insufficienza epatica? Vildagliptin non deve essere utilizzato in pazienti con compromissione della funzionalità epatica, compresi i pazienti che prima dell’inizio della terapia presentano un valore di aspartato aminotransferasi (AST) e di alanina aminotransferasi (ALT) > di 3 volte il limite superiore della norma. Al momento della registrazione del paziente e della compilazione del piano terapeutico via Web, sono richiesti i valori basali pre-terapia di AST e ALT e tali valori vengono richiesti anche ai successivi controlli a 3-6-9-12 mesi di trattamento. Successivamente al primo anno di terapia, gli enzimi epatici andranno controllati periodicamente. Nel caso si assista a un incremento dei valori di transaminasi, questo deve essere riconfermato con un secondo controllo. Se i valori di AST o ALT persistono a 3 volte il limite superiore o oltre, si raccomanda di sospendere la teraLe incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 51 C. Origlia, C.B. Giorda pia. Dopo la sospensione del farmaco, anche se i valori di transaminasi tornano nella norma, la terapia con vildagliptin non va ripresa. Occorrono aggiustamenti della posologia di sitagliptin e vildagliptin nei pazienti anziani o nei bambini, o in base a sesso, razza o BMI? Non è necessario alcun aggiustamento del dosaggio in base all’età. Si raccomanda però di agire con cautela nei pazienti con età maggiore a 75 anni, essendo ancora limitati i dati di sicurezza a disposizione. Non vi sono dati sull’utilizzo di sitagliptin e vildagliptin in età pediatrica. Pertanto al momento se ne sconsiglia l’uso. Non vi sono necessari aggiustamenti posologici in base a sesso, razza o BMI. Si possono utilizzare sitagliptin e vildagliptin in gravidanza o durante l’allattamento? Non vi sono dati adeguati nell’uomo relativi all’uso di sitagliptin e vildagliptin in gravidanza o durante l’allattamento. Pertanto al momento se ne sconsiglia l’utilizzo. Sitagliptin e vildagliptin possono causare ipoglicemia? Negli studi che hanno utilizzato sitagliptin in monoterapia o in combinazione con metformina o glitazone, l’incidenza di ipoglicemie è risultata sovrapponibile al placebo. Negli studi che hanno utilizzato vildagliptin in monoterapia o in combinazione con un glitazone, l’incidenza di ipoglicemia è risultata non comune (< 1/100; ≥ 1/1000); in quelli in combinazione con metformina l’incidenza è risultata comune (1%). Cosa è l’exenatide sul piano chimico? Exenatide è la forma sintetica dell’exendina-4, un ormone isolato dalla saliva di una lucertola chiamata Gila monster, che vive nel deserto dell’Arizona. In tale animale l’exendina entra in circolo dopo l’assunzione del pasto e sembra avere funzioni endocrine associate al controllo metabolico, ma non è il GLP-1 della lucertola. È un peptide costituito da 39 aminoacidi, la cui struttura chimica è simile a quella del GLP-1 umano (presenta un’omologia del 53%), ma con la caratteristica di essere resistente all’azione della DPP-4. Exendina-4 presenta infatti una variazione aminoacidica proprio nel sito di inattivazione dell’enzima. Tale caratteristica rende l’exenatide una molecola interessante per un uso farmacologico in quanto supera il problema della breve emivita del GLP-1 nativo. Qual è il meccanismo di azione dell’exenatide? Exenatide presenta una sequenza aminoacidica che si sovrappone in buona parte a quella del GLP-1 umano, e pertanto è in grado di legarsi e di attivare i recettori del GLP-1. Stimola la se52 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine crezione di insulina in modo glucosio-dipendente, ovvero l’aumento della secrezione insulinica avviene solo in caso di iperglicemia. Ripristina la prima fase di secrezione insulinica, generalmente compromessa nei pazienti diabetici, ma ne migliora anche la seconda fase. Inibisce in modo glucosio-dipendente la secrezione di glucagone, che risulta in genere inappropriatamente aumentata nei pazienti diabetici. Tale “glucosio-dipendenza” consente di mantenere integro il meccanismo di controregolazione del glucagone che si deve instaurare in caso di ipoglicemia. Rallenta lo svuotamento gastrico, e di conseguenza l’assorbimento dello zucchero, portando a una riduzione del picco glicemico post-prandiale. Diminuisce l’assunzione di cibo, a seguito di una riduzione dell’appetito e un aumento del senso di sazietà. Quali effetti ha exenatide sulle fasi della secrezione insulinica? Exenatide migliora entrambe le fasi di secrezione insulinica. La prima fase di secrezione è caratterizzata da un repentino incremento dei livelli di insulina, che si viene a determinare dopo un test di tolleranza al glucosio eseguito per via endovenosa. Tale incremento è precoce; si verifica dopo appena 10 minuti dall’inizio dell’infusione di glucosio. Nei pazienti diabetici tale fase è la prima a compromettersi. Ripristinando la prima fase di secrezione insulinica, exenatide riduce l’incremento glicemico post-prandiale. Tuttavia exenatide non si limita a ripristinare tale fase, ma determina anche un miglioramento della seconda fase di secrezione, caratterizzata da aumenti dei livelli insulinici più contenuti, ma protratti nel tempo. Negli studi clinici il miglioramento della funzione beta-cellulare indotto da exenatide è stato anche documentato con la misurazione del rapporto pro-insulina/insulina e con il calcolo dell’HOMA-B (Homeostasis Model Assessment). Di che entità è la riduzione dell’HbA1c con exenatide? Negli sudi AMIGO (studi clinici randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo, della durata di 30 settimane) il 38,5% dei pazienti trattati con exenatide 10 µg in doppia somministrazione giornaliera (BID) e il 29,6% di quelli trattati con exenatide 5 µg BID hanno raggiunto un’HbA1c < 7%; solo il 10% dei pazienti trattati con placebo ha raggiunto lo stesso risultato. In particolare l’entità della riduzione dell’HbA1c è risultata proporzionale al dosaggio di exenatide utilizzata. Infatti nei pazienti trattati con 10 µg BID la diminuzione dell’HbA1c è risultata dello 0,9%, mentre in quelli trattati con 5 µg BID è stata dello 0,6%. La prosecuzione di questi studi in regime openlabel ha documentato a due anni un mantenimento della riduzione dell’HbA1c dell’1% circa. È interessante sottolineare che dagli studi è stato evidenziato che quanto più è elevata l’HbA1c di partenza, tanto più considerevole sarà l’effetto ipoglicemizzante di exenatide. Quanto tempo deve passare prima di vedere gli effetti di exenatide sulla glicemia? Exenatide riduce sia le glicemie pre-prandiali sia quelle post-prandiali già dalla prima somministrazione. Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 53 C. Origlia, C.B. Giorda Come si somministra exenatide e qual è la posologia? Exenatide viene somministrata mediante iniezione sottocutanea nella coscia, nell’addome o nella parte alta delle braccia. Non è raccomandata l’iniezione per via endovenosa e intramuscolare. La dose iniziale è di 5 µg BID per almeno 1 mese. Quindi la posologia può essere aumentata a 10 µg BID, al fine di ottimizzare il controllo glicemico. Non sono raccomandate dosi superiori a 10 µg BID. Può essere somministrata in qualsiasi momento nei 60 minuti che precedono il pasto e le due somministrazioni giornaliere devono distare l’una dall’altra di almeno 6 ore. Non va mai assunta dopo il pasto. Se viene saltata un’iniezione, il trattamento deve essere continuato con la successiva dose prevista. La posologia non va ridotta in caso di calo ponderale. È possibile somministrare exenatide una volta sola al giorno? La ragione della doppia somministrazione di exenatide è legata alla breve permanenza in circolo del farmaco (circa 4-6 ore). Pertanto non è possibile effettuare una sola iniezione al giorno. Però è in studio una formulazione di exenatide a rilascio modificato (long-acting release, LAR), che prevede una sola somministrazione settimanale. I risultati preliminari dell’utilizzo di tale formulazione hanno mostrato una marcata riduzione dell’HbA1c (-1,4% alla posologia di 0,8 mg/settimana e -1,7% al dosaggio di 2 mg/settimana, contro placebo, che portava a un aumento dello 0,4%, in un periodo di 15 settimane). Al dosaggio di 2 mg/settimana si è ottenuta anche una significativa riduzione del peso corporeo, che non è stata osservata invece con il dosaggio di 0,8 mg/settimana. L’effetto collaterale più frequente con tale formulazione retard è stata la nausea di lieve entità, tale da non determinare l’uscita dallo studio di alcun paziente. L’assorbimento del farmaco varia a seconda della sede di iniezione? L’assorbimento del farmaco dopo iniezione sottocutanea è rapido: il tempo di concentrazione plasmatica massima (Tmax) è raggiunto in 2 ore (mediana) dall’iniezione. L’esposizione di exenatide rimane la stessa, cambiando le sedi di iniezione: addome, coscia, braccio. Exenatide non può essere somministrata per via endovenosa o intramuscolare. Qual è la formulazione in commercio di exenatide? Exenatide è disponibile in commercio in soluzione in penna pre-riempita da 5 o 10 µg di farmaco per dose. La soluzione contiene exenatide a una concentrazione di 250 µg/ml; ogni dose contiene 5 µg o 10 µg di exenatide, rispettivamente in 20 µl e 40 µl. Macroscopicamente si presenta come un liquido chiaro e incolore. Si raccomanda di non utilizzare il farmaco nel caso appaia torbido o si presenti colorato, o qualora compaiano particelle solide. Vi sono dunque 2 tipi di penna pre-riempita; una per dosi da 5 µg e una per dosi da 10 µg. La penna pre-riempita non ancora utilizzata va conservata in frigorifero a una temperatura compresa tra 2°C e 8°C, protetta dalla luce (per tale motivo occorre riposizionare sempre il cappuccio della 54 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine penna dopo il suo utilizzo). Exenatide non deve essere congelata. Bisogna gettare la penna, se ha subito un processo di congelamento. Quella in uso deve essere conservata a una temperatura inferiore a 25°C. Ogni penna ha la durata di un mese; contiene 60 dosi di farmaco. La penna in uso, tenuta fuori dal frigorifero, va buttata dopo 30 giorni, anche se rimane del farmaco al suo interno. Quali aspetti bisogna verificare nell’istruzione del paziente all’uso del device? Un passaggio da effettuare al primo impiego di una nuova penna è la cosiddetta “messa a punto della penna”, necessaria per verificare che il farmaco fuoriesca dall’ago. Tale manovra deve essere effettuata solo la prima volta che si utilizza la penna. La quantità di exenatide necessaria per la “messa a punto” corrisponde a quella di una dose. Nella penna vi è una quantità di farmaco necessaria per fare più prove, oltre a quanto serve per un mese di terapia. Tuttavia, se ipoteticamente venisse effettuata una messa a punto della penna prima di ogni somministrazione, la quantità di exenatide contenuta nella penna non sarebbe sufficiente per coprire il fabbisogno di 1 mese. Nel caso non fuoriesca dall’ago del farmaco durante la fase della “messa a punto”, si consiglia di cambiare ago e ripetere l’operazione. Nel caso non apparisse ancora del liquido, si consiglia di contattare il personale sanitario. E su ago e pulsante di iniezione? Si consiglia di non lasciare l’ago inserito nella penna per evitare la fuoriuscita del farmaco e la formazione di bolle di aria al suo interno. Occorre utilizzare un ago nuovo a ogni somministrazione per evitare infezioni e ostruzioni dell’ago. Le dimensioni dell’ago (lunghezza e diametro) non influenzano la precisione della dose. L’importante è che dopo il completamento dell’iniezione, il paziente mantenga premuto il pulsante per almeno 5 secondi. Non bisogna premere il pulsante se non è stato inserito un ago sulla penna. Il pulsante di iniezione potrebbe risultare duro alla pressione, nel caso l’ago non sia inserito nel modo corretto, o nel caso questo sia ostruito. Qualora si verifichi tale situazione, il consiglio è di sostituire l’ago e, tenendo la penna rivolta verso l’alto, premere completamente il pulsante di iniezione. Nel caso non fuoriuscisse il farmaco, si consiglia di contattare il personale sanitario. Nel caso la penna venga immersa in acqua, non deve essere utilizzata, in quanto non ne viene più garantita la sterilità, anche se viene opportunamente pulita e asciugata. Non è consentito trasferire il contenuto della penna in una siringa. Il medicinale non utilizzato e i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. Quindi non deve essere gettato nell’acqua di scarico o nei rifiuti domestici. La penna non deve essere mai gettata con l’ago inserito. Per l’acquisto di exenatide è necessaria una ricetta medica del medico curante, che può prescrivere tale farmaco a carico del SSN, solo dopo rilascio di un piano terapeutico da parte del Centro antidiabetico. Chi beneficia maggiormente di una terapia con exenatide? Exenatide è indicata nel trattamento del diabete mellito tipo 2 come terapia aggiuntiva, per migliorare il compenso in quei pazienti che sono già in trattamento con metformina e/o sulfanilurea, ma che Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 55 C. Origlia, C.B. Giorda non raggiungono i goal terapeutici. L’identikit del candidato ideale alla terapia con exenatide è quello di un paziente affetto da diabete mellito tipo 2, con HbA1c non a target, ma non eccessivamente elevata (HbA1c: 7,5-8%), con un’adeguata riserva beta-pancreatica (esordio di diabete relativamente recente), in sovrappeso (l’esperienza di exenatide nei pazienti con BMI < 25 è limitata) e che quindi necessita di una riduzione ponderale, magari soggetto a frequenti ipoglicemie, causate da altri farmaci che lo frenano nell’adesione alla terapia. Ciò che è importante è collocare tale opzione terapeutica non troppo tardi, perché si rischierebbe di sottoutilizzare o “sprecare” le sue potenzialità. Exenatide può essere utilizzata a tutte le età e in tutte le popolazioni? Vi sono differenze in termini di efficacia legate al sesso? I dati a disposizione nella popolazione geriatrica sono limitati, ma suggeriscono che non vi sono variazioni marcate nell’efficacia e nella sicurezza di exenatide. Tuttavia si consiglia nei pazienti dopo i 70 anni di utilizzare il farmaco con cautela e in particolare l’incremento della dose da 5 µg a 10 µg deve essere effettuata con prudenza. Molto limitata è l’esperienza nei pazienti sopra i 75 anni. Non ci sono dati nei bambini e negli adolescenti sotto i 18 anni. Sesso e razza non hanno un’influenza clinicamente rilevante sulle proprietà farmacocinetiche di exenatide. Exenatide può essere utilizzata durante la gravidanza o l’allattamento? Non vi sono dati relativi all’uso di exenatide in donne in gravidanza. Il rischio di teratogenicità per gli esseri umani non è stato accertato, pertanto exenatide non deve essere utilizzata in gravidanza. Nel caso una donna entri in gravidanza durante un trattamento con exenatide, questo va sospeso e va iniziata una terapia insulinica. Non è noto se exenatide passi nel latte materno umano. Pertanto exenatide non deve essere utilizzata durante l’allattamento. Exenatide può essere aggiunto all’insulina o a qualsiasi altro ipoglicemizzante orale? L’indicazione del trattamento con exenatide è quello di un trattamento aggiuntivo a una terapia in corso con metformina e/o sulfanilurea. Non vi sono dati sufficienti sull’associazione di exenatide e insulina, acarbosio, glitazoni o metiglinidi; pertanto il loro utilizzo congiunto non è al momento raccomandato. Exenatide può provocare ipoglicemie? Exenatide non provoca ipoglicemia. Proprio per questo il dosaggio di exenatide non ha bisogno di essere aggiustato giorno per giorno sulla base dell’automonitoraggio dei livelli glicemici, come è invece richiesto dalla terapia insulinica. Tuttavia quando tale farmaco è aggiunto a una sulfanilu56 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine rea, è opportuno ridurre il dosaggio di quest’ultima, per ridurre il rischio di ipoglicemia associato all’uso di una sulfanilurea. La sulfanilurea infatti disaccoppia la glucosio-dipendenza dell’azione insulinotropica dell’exenatide. A maggior ragione tale adeguamento posologico della sulfanilurea va effettuato se vi è una concomitante lieve insufficienza renale, che potrebbe determinare un aumento dell’incidenza delle ipoglicemie, rispetto ai pazienti con normale funzione renale. Per quanto riguarda invece l’associazione di exenatide con metformina gli studi clinici non hanno evidenziato un aumento degli episodi di ipoglicemia, quindi il dosaggio dell’eventuale metformina già in corso può essere mantenuto invariato. È necessario effettuare un automonitoraggio glicemico durante l’utilizzo di exenatide? Non è necessario ricorrere all’automonitoraggio glicemico se exenatide è associata a un trattamento con metformina, perché con tale farmaco non è previsto nessun aumento del rischio di ipoglicemia, rispetto a un trattamento con sola metformina. Se invece viene utilizzata congiuntamente a una sulfanilurea è consigliabile monitorare le glicemie capillari, al fine di aggiustare la posologia della sulfanilurea per evitare di incorrere in ipoglicemie. Exenatide può essere utilizzata in caso di insufficienza renale? Exenatide è principalmente eliminata per filtrazione glomerulare con successiva degradazione proteolitica. Nei casi di insufficienza renale lieve (clearance creatinina da 50 ml/min a 80 ml/min) non è necessario un aggiustamento della posologia. Nei casi di insufficienza renale moderata (clearance creatinina da 30 ml/min a 50 ml/min) l’incremento della posologia da 5 µg a 10 µg deve essere effettuato con cautela. Nei casi di insufficienza renale grave (clearance creatinina < 30 ml/min) o in caso di malattia renale terminale è sconsigliato l’uso di exenatide. Exenatide può essere utilizzata in caso di insufficienza epatica? Nei pazienti con insufficienza epatica non sono stati condotti studi di farmacocinetica. Il farmaco è eliminato principalmente per via renale, perciò non è atteso che una disfunzione epatica alteri le concentrazioni plasmatiche di exenatide. Pertanto nei pazienti con insufficienza epatica non è necessario un aggiustamento della posologia. Quali sono gli effetti indesiderati di exenatide? Effetti indesiderati molto comuni (manifestati da più di 1 paziente su 10) sono nausea di entità lieve-moderata, con modalità dipendenti dal dosaggio, e tendente all’attenuazione con il passare del tempo, vomito e diarrea. Effetti comuni (manifestati da meno di 1 paziente su 10, ma da più di 1 su 100) sono mal di Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 57 C. Origlia, C.B. Giorda testa, capogiri, nervosismo, riduzione dell’appetito, epigastralgie, reflusso gastro-esofageo, distensione addominale, aumento della sudorazione, astenia. Sono state descritte reazioni cutanee nel sito di iniezione, non tali però da interrompere la somministrazione del farmaco. Sono stati segnalati anche altri effetti collaterali, anche se meno comuni, quali disgeusia, sonnolenza, eruttazione, costipazione, flatulenza; disidratazione, generalmente associata a nausea, vomito e/o diarrea, con alcuni casi di aumento dei valori di creatinina; alcuni episodi di pancreatite; patologie della cute e del sottocutaneo, quali rash maculare e papulare, orticaria, prurito, edema angioneurotico; casi di sanguinamento per il concomitante aumento dei valori di INR durante warfarin. Molto raramente si è verificata reazione anafilattica, legata alla presenza nella formulazione farmaceutica di metacresolo. Exenatide interagisce con altri farmaci? Poiché exenatide rallenta lo svuotamento gastrico, il suo utilizzo può interferire con l’assorbimento di altri farmaci somministrati per os, soprattutto se necessitano di un rapido assorbimento gastrointestinale. Nel caso il paziente debba assumere un farmaco la cui efficacia dipende dai livelli di concentrazione ematica raggiunta nel sangue (come ad esempio antibiotici o contraccettivi orali), si consiglia di distanziare l’assunzione di tale terapia di almeno 1 ora prima della somministrazione di exenatide. Se poi richiede di essere assunto a stomaco pieno, è consigliabile assumerlo in corrispondenza di un pasto diverso da quello prima del quale si somministra exenatide. Formulazioni medicinali gastro-resistenti, contenenti sostanze che possono degradarsi a livello gastrico, come ad esempio gli inibitori di pompa protonica, devono essere assunti almeno 1 ora prima o più di 4 ore dopo l’iniezione di exenatide. È stato segnalato un aumento dei valori di INR in alcuni pazienti in trattamento concomitante con exenatide e warfarin e/o derivati cumarinici. Dunque si consiglia, in caso di concomitante trattamento anticoagulante, di tenere sotto stretto controllo i valori di INR all’inizio della terapia con exenatide e nel passaggio da 5 a 10 µg. La perdita di peso indotta da exenatide si verifica in seguito alla comparsa degli effetti collaterali gastrointestinali? La riduzione di peso che si osserva con exenatide è indipendente dall’eventuale comparsa di nausea. È stato dimostrato che la riduzione ponderale è dovuta a una riduzione dell’appetito e a un aumento del senso di sazietà. È pur vero però che nei casi in cui si è manifestata nausea come effetto collaterale, la riduzione ponderale è stata maggiore rispetto a chi non l’ha manifestata (riduzione media di 2,4 kg contro 1,7 kg negli studi controllati a lungo termine fino a 52 settimane). Di che entità è stata la riduzione ponderale con exenatide? Negli studi AMIGO (randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo) la perdita di peso a 30 settimane di terapia è stata di 1,9 kg nei pazienti in trattamento con exenatide 10 µg BID e di 58 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine 1,4 kg in quelli trattati con 5 µg BID. I pazienti trattati con placebo hanno ottenuto una riduzione di 0,7 kg. Nel prolungamento degli studi fino a 2 anni, gli effetti benefici sul peso venivano mantenuti, senza mostrare un effetto plateau, ma evidenziando un calo ponderale di circa 5 kg. È stato inoltre dimostrato che il BMI del paziente predice il grado di riduzione ponderale che si potrà ottenere con exenatide. I pazienti con un maggiore BMI (> 40 kg/m2) hanno ottenuto il miglior risultato in termini di riduzione ponderale, in un periodo di trattamento di 82 settimane (approssimativamente 8 kg). Si può somministrare exenatide come farmaco dimagrante? Exenatide non è un farmaco dimagrante e non deve essere utilizzato a questo scopo, anche perché non esistono dati clinici a sostegno di tale utilizzo. In quali pazienti è sconsigliato l’uso di exenatide? Non si deve utilizzare exenatide nei pazienti affetti da diabete tipo 1, o per il trattamento della chetoacidosi, o in quei pazienti che necessitano di terapia insulinica a causa di un’insufficiente riserva betacellulare; in caso di insufficienza renale grave (clearance creatinina < 30 ml/min); in presenza di gravi patologie gastrointestinali, come la gastroparesi, o il morbo di Chron o la rettocolite ulcerosa. Quali sono i principali limiti di un trattamento con exenatide? Uno dei limiti è la modalità di somministrazione del farmaco, che costituisce un ostacolo a un suo impiego in larga scala. Quello dell’iniezione sottocutanea rappresenta un ostacolo anche della terapia insulinica; compito del diabetologo sarà quello di saper spiegare al paziente le opportunità che exenatide dà, anche in prospettiva dell’evoluzione della malattia. Il limite dell’iniezione è reso più importante dal fatto che exenatide va proposta non troppo tardi, ovvero la durata della malattia deve essere relativamente breve (meno di 10 anni), al fine di contare ancora su una buona funzione beta-cellulare residua e il compenso glicometabolico non deve essere troppo lontano dai target (HbA1c < 8-8,5%), perché altrimenti occorrerà proporre un trattamento insulinico. Un altro limite è anche il costo del farmaco, anche se al momento il SSN ha dedicato una quota di budget proprio alle terapie innovative, e i costi di exenatide rientrano in tale progetto. Infine gli effetti collaterali gastrointestinali possono rappresentare un ostacolo, anche se, negli studi effettuati sino a ora, raramente sono causa di abbandono della terapia. Quali vantaggi dà un trattamento con exenatide rispetto all’insulina? Dagli studi di comparazione tra insulina (sia glargine, sia premiscelata BID) ed exenatide, associata a metformina e/o sulfanilurea, emerge una sostanziale parità nell’efficacia sulla riduzione Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 59 C. Origlia, C.B. Giorda dei livelli dell’HbA1c, con la differenza importante però che con exenatide si ottiene un miglior controllo delle glicemie post-prandiali. Glargine ha mostrato invece un miglior controllo delle glicemie a digiuno. Inoltre exenatide determina una riduzione di peso, a fronte dell’incremento che si osserva in genere con un trattamento insulinico. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, con exenatide si avvertono maggiormente disturbi gastrointestinali, in particolare nausea, che invece non compare con la terapia insulinica. I casi di ipoglicemia con exenatide sono più frequenti se associata a sulfanilurea. La bassa incidenza di ipoglicemie con exenatide (se associata a metformina) consente di non dover ricorrere all’automonitoraggio glicemico. Ciò consente sia maggiore libertà e un minor stress per il paziente, sia un risparmio non indifferente per il SSN (il costo infatti delle strisce per l’automonitoraggio glicemico incide in modo importante sulle spese del SSN). La prescrizione di exenatide, di sitagliptin e vildagliptin può essere fatta da qualsiasi medico? Per tutti e tre i farmaci è obbligatorio compilare un piano terapeutico per via informatica, che va aggiornato a 1-4-8-12 mesi (per exenatide), a 4-8-12 mesi (per sitagliptin), a 3-6-9-12 mesi (per vildagliptin) e successivamente per tutti ogni 6 mesi finché l’AIFA non disporrà la cessazione del monitoraggio. La prescrivibilità è dunque limitata ai Centri specialistici in regime A/RR-PTPHT. La registrazione del paziente sul database informatico è condizione indispensabile per ricevere il farmaco a spese del SSN. In caso di comparsa di eventi avversi, non compliance del paziente o fallimento terapeutico, anche il Medico di Medicina Generale (MMG) del paziente potrà in ogni momento interrompere il trattamento e il relativo monitoraggio, collegandosi al sito http://antidiabetici.agenziafarmaco. it. Per l’interruzione della terapia occorre registrarsi sul sistema e inserire il codice del paziente che il Centro diabetologico deve comunicare al MMG, insieme con le iniziali del paziente, per accettarne univocamente l’identità. Quali dati del paziente sono richiesti per la prima compilazione del piano terapeutico via Web? È obbligatorio l’inserimento dei seguenti dati: nome, cognome del paziente, sesso, data e luogo di nascita, comune di residenza e indirizzo, codice fiscale, cognome e nome del medico curante, ASL di appartenenza, data di esordio del diabete mellito (mese e anno); peso, altezza e Body Mass Index (BMI), circonferenza vita, glicemia a digiuno, HbA1c, valore massimo di normalità di riferimento del laboratorio per l’HbA1c, terapia ipoglicemizzante in corso (principio attivo, posologia e tempo di utilizzazione espresso in mesi), eventuali episodi di ipoglicemia negli ultimi 4 mesi (si/no). Nel caso del sitagliptin occorre indicare il nome commerciale del farmaco (Xelevia o Januvia) e infine la data di prescrizione. Solo per vildagliptin è richiesto basalmente e ai controlli a 3-6-9-12 mesi il dosaggio di AST e ALT. È opzionale l’inserimento dei seguenti dati: telefono ed e-mail del paziente, C-peptide, insulinemia a digiuno; specificare in caso di presenza di ipoglicemie negli ultimi 4 mesi, se queste sono state lievi (risolte dal paziente stesso), severe (necessità di intervento di terzi) o critiche (necessità di ricovero ospedaliero). 60 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Domande e risposte sulle incretine Quale messaggio dare al Medico di Medicina Generale e al paziente, quando si prescrivono exenatide e gli inibitori della DPP-4? Al MMG viene inviato un foglio informativo con le caratteristiche della molecola, il principio di funzionamento, gli eventuali effetti collaterali, nonché le modalità per un’eventuale interruzione di terapia. Le medesime motivazioni vengono date al paziente e al medico curante, relativamente al passaggio a un trattamento con tali molecole. Si tratta di novità farmacologiche interessanti e promettenti, se date al paziente giusto, al momento giusto, ovvero a un paziente con una storia relativamente recente di malattia (non superiore ai dieci anni), una buona riserva beta-pancreatica, un compenso glicemico non soddisfacente con altri ipoglicemizzanti orali, ma non troppo lontano dai target raccomandati (ovvero pazienti con HbA1c intorno a 7-7,5%) e con la necessità di associare una terapia che non incrementi il peso e non aumenti il rischio di ipoglicemie. I dati poi, per ora sull’animale, sulla capacità di conservare e preservare nel tempo il patrimonio betacellulare, fanno della terapia con incretine una terapia strategica per il futuro del paziente. Inoltre, la sicurezza di tali farmaci in termini di basso rischio di ipoglicemia non è da sottovalutare. Infatti tale vantaggio si traduce in una migliore compliance e adesione del paziente alla terapia e, in termini farmaco-economici, in un risparmio nell’utilizzo delle strisce per l’automonitoraggio glicemico, che costituiscono una voce importante nel budget di spesa della Regione. L’utilizzo di exenatide e/o degli inibitori della DPP-4 cambia il modo di lavorare nel Servizio di diabetologia? Per la prescrizione di tali farmaci a carico del SSN è obbligatorio compilare un piano terapeutico per via informatica, che va aggiornato periodicamente, con scadenza differente a seconda della molecola prescritta; tali passaggi costituiscono indubbiamente un rallentamento nell’attività di routine ambulatoriale. È verosimile tuttavia che questa “difficoltà burocratica” venga in futuro rimossa, così come è avvenuto per la prescrizione di altri ipoglicemizzanti orali. Tuttavia in un’immaginaria proiezione temporale, la fatica e il tempo che si spendono oggi per passare a un nuovo trattamento, visti i dati promettenti di tali molecole, è probabile che si traducano a lungo termine in un risparmio in termini di fatica e tempo per il diabetologo, di compenso più stabile e duraturo per il paziente e verosimilmente di costi per il SSN. Il non dover ricorrere al monitoraggio glicemico semplifica il lavoro di medici e infermieri, oltre ovviamente a migliorare la qualità di vita del paziente; l’effetto interessante sul peso, soprattutto con exenatide che determina un decremento ponderale, ma da non sottovalutare la neutralità degli inibitori della DPP-4, semplifica il lavoro delle dietiste, che generalmente si trovano a combattere con farmaci ipoglicemizzanti estremamente efficaci in termini di riduzione dei valori glicemici, ma responsabili di incremento ponderale. Come giustificare la spesa presso le amministrazioni? Essendo exenatide e gli inibitori della DPP-4 farmaci innovativi, presentano costi elevati, che tuttavia il SSN si assume, previa registrazione e compilazione di un piano terapeutico via Web Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico 61 C. Origlia, C.B. Giorda da parte dei Centri di diabetologia autorizzati. Le motivazioni, in termini strettamente economici, che possono giustificare la scelta di iniziare una terapia con tali molecole sono, nell’immediato, un miglioramento del compenso glicemico con un basso rischio di ipoglicemie, che porta a una riduzione nell’utilizzo delle strisce reattive per l’automonitoraggio glicemico, ed è ben noto che queste incidono in modo non indifferente sulla spesa sanitaria. A lungo termine i dati sperimentali, per ora sull’animale, ci prospettano una maggiore conservazione del patrimonio beta-cellulare, con un conseguente miglior compenso glicometabolico duraturo nel tempo, verosimilmente a fronte di una minore richiesta di intervento del personale sanitario medico e paramedico. Quali caratteristiche presentano gli analoghi del GLP-1? Tra gli analoghi del GLP-1, la liraglutide è quella in più avanzato livello di studio. Chimicamente ha un’analogia del 97% con il GLP-1 nativo; è stata ottenuta modificando la sequenza originale aminoacidica del GLP-1 umano, in particolare è stata effettuata una sostituzione in posizione 34 (arginina al posto di lisina) ed è stato aggiunto un acido palmitico, ancorato alla molecola tramite un residuo di glutammato, legato a sua volta a una lisina in posizione 26. Tale acilazione e sostituzione aminoacidica determinano un rallentamento nell’assorbimento del farmaco a livello sottocutaneo, prolungandone l’emivita fino a 10-14 ore. Ciò ne consente la monosomministrazione giornaliera. Anche la liraglutide, come il GLP-1 nativo, stimola la secrezione insulinica e inibisce quella di glucagone in modo glucosio-dipendente, riducendo così il rischio di ipoglicemie. Esperienze preliminari con liraglutide mostrano un’efficacia della molecola paragonabile a quella di metformina e glimepiride, con il vantaggio, rispetto alla sulfanilurea, di determinare un calo ponderale dose-dipendente e di avere un modesto rischio di ipoglicemia. Studi condotti su insule di ratto hanno documentato un effetto antiapoptotico beta-cellulare. Anche per liraglutide gli eventi avversi più comuni sono i disturbi gastrointestinali. 62 Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Finito di stampare nel mese di Dicembre 2008 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinimedicina.it Cod. 11-09-JAN-2008-IT-2537-B Autorizzazione Steering Committee AIFA in data 14-11-2008 Data deposito AIFA 20-11-2008 Merck Sharp & Dohme (Italia) S.p.A. Via G. Fabbroni, 6 00191 Roma www.univadis.it [email protected] Collana Editoriale AMD Aggiornamenti 2008 Direttore Scientifico: Carlo B. Giorda Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico Carlo B. Giorda, Marta Letizia Hribal, Edoardo Mannucci, Carla Origlia, Salvatore Piro, Francesco Purrello, Giorgio Sesti