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Collana Editoriale AMD
Aggiornamenti 2008
Direttore Scientifico: Carlo B. Giorda
Le
incretine:
dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Carlo B. Giorda, Marta Letizia Hribal, Edoardo Mannucci,
Carla Origlia, Salvatore Piro, Francesco Purrello, Giorgio Sesti
Collana Editoriale AMD
Aggiornamenti 2008
Direttore Scientifico: Carlo B. Giorda
Le
incretine:
dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Carlo B. Giorda, Marta Letizia Hribal, Edoardo Mannucci,
Carla Origlia, Salvatore Piro, Francesco Purrello, Giorgio Sesti
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Indice
Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2:
nuove acquisizioni
M.L. Hribal, G. Sesti ................................................................................................ pag. 7
Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2
S. Piro, F. Purrello . .................................................................................................. » 19
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici
E. Mannucci ........................................................................................................... » 31
Domande e risposte sulle incretine
(dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico)
C. Origlia, C.B. Giorda............................................................................................... » 45
Meccanismi fisiopatologici
nel diabete di tipo 2:
nuove acquisizioni
Marta Letizia Hribal, Giorgio Sesti
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università “Magna Græcia” di Catanzaro
Introduzione
Il diabete di tipo 2 è la malattia metabolica più diffusa nel mondo e la sua prevalenza è in
continua crescita in particolare nei Paesi in via di sviluppo quali la Cina e l’India. Sebbene
le cause del diabete di tipo 2 siano ignote, è ampiamente dimostrato che fattori genetici
interagiscono con fattori ambientali per lo sviluppo della malattia. L’aumentata prevalenza
del diabete mellito di tipo 2 è in larga parte imputabile all’incremento dell’obesità e alla
concomitante riduzione dell’attività fisica. Oltre l’80% dei soggetti diabetici di tipo 2 è in
sovrappeso e l’obesità e la sedentarietà sono i principali fattori di rischio. Alla patogenesi
del diabete di tipo 2 concorrono sia una ridotta sensibilità all’azione insulinica da parte dei
tessuti periferici (fegato, muscolo scheletrico e tessuto adiposo), sia difetti della secrezione
insulinica da parte della β-cellula pancreatica che non è in grado di compensare per la ridotta
azione dell’ormone. Quale dei due difetti sia primitivo e quale sia secondario è tuttora oggetto
di dibattito. Le β-cellule pancreatiche, in condizioni normali, rappresentano il 50-80% delle
cellule endocrine presenti nelle isole di Langerhans e garantiscono un continuo e rapido
adattamento della secrezione insulinica alle esigenze metaboliche dell’organismo, nonché
ai perennemente mutevoli equilibri tra numerosi ormoni e neurotrasmettitori. La presenza
di una forte componente genetica nell’eziopatogenesi del diabete di tipo 2 è suggerita dalla
forte aggregazione familiare della malattia, dall’elevata prevalenza in determinate popolazioni
e dall’elevata concordanza di malattia in gemelli monozigoti 1 2. L’analisi della genetica del
diabete di tipo 2 è, tuttavia, complicata dal fatto che il diabete di tipo 2 è una malattia poligenica (occorrono due o più geni per causare la malattia), eterogenea (non tutti gli affetti sono
portatori delle stesse mutazioni), con trasmissione di tipo non Mendeliana. Fattori ambientali
quali l’incremento ponderale, la dieta, l’attività fisica, l’età, interagiscono con la predisposizione genetica per determinare l’insorgenza della malattia. Studi longitudinali su popolazioni ad
alto rischio di sviluppo della malattia, quali gli Indiani Pima del Nord America 3, le popolazioni
della Micronesia 4 o i familiari di pazienti affetti da diabete di tipo 2 5, hanno dimostrato come
l’insulino-resistenza sia un evento precoce nello sviluppo del diabete che precede di diversi
anni l’esordio della intolleranza glicidica. Inizialmente, le beta-cellule pancreatiche possono compensare per l’insulino-resistenza aumentando la loro massa o l’attività secretoria.
Tuttavia, quando la compensazione non è più adeguata, compare l’iperglicemia. L’ordine di
comparsa dei due difetti può essere invertito in alcuni gruppi di pazienti con diabete di tipo
2, quali ad esempio i pazienti affetti da MODY (maturity-onset diabetes of the young), in cui
sono presenti mutazioni di geni coinvolti nella funzione della β-cellula pancreatica, o i pazienti
affetti da LADA (latent autoimmune diabetes in adults), in cui sono presenti anticorpi diretti
contro antigeni della β-cellula pancreatica. Diverse evidenze indicano che sia l’insulino-resistenza sia l’insulino-deficienza siano geneticamente determinate.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
M.L. Hribal, G. Sesti
Questa tradizionale descrizione della patogenesi del diabete di tipo 2 pone l’accento sul ruolo predominante delle alterazioni di secrezione e di azione insulinica a livello dei tessuti periferici 6 7. Questo
modello appare adeguato a spiegare le componenti in gioco durante la condizione di digiuno
quando i livelli glicemici sono principalmente determinati dalle concentrazioni basali di insulina
e dalla sensibilità epatica all’insulina 8 10. Durante il digiuno, il glucosio circolante è utilizzato
prevalentemente da tessuti, quali il cervello attraverso meccanismi non-insulino-dipendenti, e le
basse concentrazioni di insulina sono sufficienti per stimolare il trasporto di glucosio negli altri
tessuti periferici, quali il cuore, il muscolo scheletrico, il fegato e il tessuto adiposo 11. Un modesto incremento dei livelli di insulina è in grado di sopprimere la mobilizzazione degli acidi grassi
dal tessuto adiposo e di aumentare così la sensibilità epatica all’insulina. Inoltre, le più elevate
concentrazioni di insulina nel circolo portale aumentano la risposta epatica all’azione dell’insulina rispetto al muscolo scheletrico 12 13. La modulazione della secrezione insulinica durante la
condizione di digiuno è così essenzialmente rivolta a regolare il rilascio adiposo di acidi grassi e
la produzione epatica di glucosio (Fig. 1).
Regolazione della glicemia post-prandiale: ruolo
delle incretine
I meccanismi che regolano l’omeostasi glicidica durante il periodo post-prandiale sono più complessi 14 15. Un pasto ordinario contiene 50-100 g di carboidrati e diversi fattori contribuiscono
Figura 1. Rappresentazione schematica delle conseguenze della ridotta azione insulinica a livello dei tessuti
periferici in condizioni di insulino-resistenza.
Una ridotta azione insulinica risulta in un’alterata utilizzazione degli acidi grassi a livello epatico muscolare e del
tessuto adiposo, in un alterato metabolismo del glucosio a livello muscolare ed epatico e in un’aumentata lipolisi
a livello del tessuto adiposo.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni
a evitare un esagerato incremento della glicemia post-prandiale. Una rapida e sostenuta secrezione di insulina durante e dopo il pasto è necessaria per limitare l’innalzamento della glicemia
post-prandiale. Un altro ormone che contribuisce alla regolazione dell’omeostasi glicidica nel
periodo post-prandiale è il glucagone. L’assunzione orale di glucosio induce una riduzione dei
livelli di glucagone che agendo in modo coordinato con l’incremento dei livelli di insulina determina una riduzione della produzione epatica di glucosio 14 15.
La risposta secretoria insulinica è solo in parte dipendente dall’incremento dei livelli glicemici.
Già nel 1940, era stata ipotizzato un ruolo per i fattori intestinali nel controllo della glicemia
post-prandiale 16. Questa ipotesi ha trovato conferma in studi condotti 25 anni dopo quando è
diventato disponibile il dosaggio radioimmunologico dell’insulina 17-19. Il concetto di “incretine”
nasce dall’osservazione che una determinata quantità di glucosio ingerita per via orale provoca
un incremento di secrezione insulinica maggiore rispetto a quella indotta dalla stessa quantità
di glucosio somministrata per via endovenosa suggerendo così la partecipazione di un “fattore
intestinale” potenziante la secrezione insulinica 20 (Fig. 2). Le principali incretine secrete dopo
pasto sono il glucagon-like peptide 1 (GLP-1) e il glucose-dependent insulinotropic polypeptide
(GIP) 21 22. Il GLP-1 è un ormone polipeptidico sintetizzato prevalentemente dalle cellule enteroendocrine L localizzate nel tratto distale dell’ileo e nel colon, mentre il GIP è sintetizzato dalle
cellule K localizzate nel duodeno e nelle anse prossimali del digiuno (Fig. 3). La secrezione del
GLP-1 è regolata attraverso una combinazione di fattori stimolatori di origine neurale ed endocrina a cui si aggiunge uno stimolo per contatto diretto dei nutrienti con le cellule entero-endocrine
Figura 2. La secrezione insulinica in risposta a carico di glucosio è maggiore quando tale carico è effettuato
per via orale rispetto a quando è effettuato per via endovenosa.
Il grafico sulla sinistra mostra come i livelli di glicemia nel plasma in seguito a carico di glucosio effettuato per
via orale (linea blu) o per via endovenosa (linea rossa) aumentino in modo assolutamente sovrapponibile; al
contrario il grafico sulla destra mostra come le concentrazioni plasmatiche di C-peptide siano significativamente
più alte a tutti i tempi esaminati se il carico avviene per via orale (linea blu) rispetto a quando il glucosio viene
iniettato endovena (linea rossa). La differenza tra le due curve, evidenziata dall’area tratteggiata, viene attribuita
all’effetto delle incretine (da Nauck et al., 1986, mod.) 23.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
M.L. Hribal, G. Sesti
Figura 3. Rappresentazione schematica delle localizzazione delle cellule responsabili della produzione del
GLP-1 e del GIP e dei tessuti nei quali è presente il recettore per le due incretine.
Il GLP-1 è sintetizzato prevalentemente dalle cellule entero-endocrine L localizzate nel tratto distale dell’ileo e
nel colon, mentre il GIP è sintetizzato dalle cellule K localizzate nel duodeno e nelle anse prossimali del digiuno. I
recettori per il GIP e il GLP-1 sono presenti in diversi tessuti quali il pancreas (GLP-1 e GIP), il cervello (GLP-1 e GIP),
il duodeno (GIP), i reni (GLP-1), il fegato (GLP-1), i polmoni (GLP-1), lo stomaco (GIP), il tessuto adiposo (GIP), il muscolo scheletrico (GLP-1), il cuore (GIP e GLP-1), la ghiandola surrenalica (GLP-1), la ghiandola pituitaria (GLP-1).
L. Il rilascio del GIP è prevalentemente stimolato dai grassi contenuti negli alimenti. GIP e GLP-1
potenziano la secrezione insulinica glucosio-dipendente da parte della� β-������������������������
cellula pancreatica. ���Il
GLP-1 riduce anche la secrezione di glucagone da parte delle α-cellule pancreatiche (Tab. I). I
recettori per il GIP e il GLP-1 sono presenti in diversi tessuti quali il pancreas, il cervello, il duodeno, i reni, il fegato, i polmoni, i vasi, il cuore e lo stomaco (Fig. 3). Studi su animali knockout per
i geni codificanti per i recettori per GIP o GLP-1 hanno dimostrato che l’abrogazione del recettore delle due incretine causa un’alterata tolleranza glicidica 24 25. In aggiunta agli effetti stimolatori
della secrezione insulinica e agli effetti inibitori sulla secrezione di glucagone, studi sperimentali
in vitro e in vivo hanno evidenziato che il GLP-1 svolge altre importanti azioni sulla funzione della
β-cellula pancreatica, tra cui un aumento della massa e della proliferazione delle β-cellule, una
riduzione dell’apoptosi (definita anche morte cellulare programmata) e un aumento del differenziamento della β-cellula pancreatica da precursori 26 27 (Fig. 4). Il GLP-1 ha anche effetti “extrapancreatici” che sono potenzialmente importanti per le applicazioni terapeutiche dell’ormone.
Infatti, il GLP-1 inibisce lo svuotamento gastrico, la secrezione acida gastrica e l’assunzione di
cibo 34-36 (Tab. I). Uno svuotamento gastrico più lento (con conseguente ritardo nell’assorbimento
dei carboidrati) e un aumento del senso di sazietà sono effetti positivi nel trattamento di pazienti
con diabete di tipo 2 che spesso sono in sovrappeso e presentano picchi iperglicemici postprandiali che ostacolano il raggiungimento di un controllo metabolico ottimale.
10
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni
Figura 4. Rappresentazione schematica degli effetti delle incretine sulla massa β-cellulare.
La massa β-cellulare è regolata da un equilibrio tra meccanismi che ne promuovono l’aumento, quali l’ipertrofia
della singola β-cellula, la formazione di nuove β-cellule e la replicazione delle β-cellule pre-esistenti e fenomeni
che ne causano la riduzione, quali la morte per apoptosi. Le incretine da un lato favoriscono la replicazione, la
formazione di nuove β-cellule e l’ipertrofia β-cellulare e dall’altro inibiscono l’apoptosi determinando nel complesso un aumento della massa β-cellulare.
Alterazioni funzionali delle ß-cellule
pancreatiche nel diabete di tipo 2
Il comportamento della secrezione insulinica da parte delle β-cellule pancreatiche nel corso
della storia naturale del diabete di tipo 2 è variabile, con livelli di insulina circolante che, in
termini assoluti, possono essere aumentati, normali, o ridotti, ma che, relativamente alle
concentrazioni plasmatiche di glucosio, sono insufficienti a garantire una normale omeostasi
metabolica. Il difetto funzionale più precoce delle β-cellule pancreatiche osservato nel diabete
di tipo 2 è la progressiva riduzione, fino alla scomparsa, della prima fase della secrezione
insulinica, cui, nel tempo, si aggiunge un difetto anche a carico della seconda fase del rilascio
dell’ormone 5 28 29. Di particolare rilievo è il fatto che la secrezione di insulina in risposta a
Tabella I. Effetti fisiologici del GLP-1 e del GIP.
Effetti comuni al GLP-1 e al GIP
Effetti peculiari del GLP-1
‚ Glicemia
· Senso di sazietà
· Secrezione insulinica glucosio-dipendente
‚ Assunzione di cibo
����������������������
-cellule pancreatiche
· Massa delle� ß���������������������
‚ Peso corporeo
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-cellule pancreatiche
‚ Apoptosi delle ß���������������������
‚ Secrezione di glucagone
����������
-cellule
· Differenziamento delle ß���������
‚ Secrezione gastrica
‚ Svuotamento gastrico
‚ Estrazione epatica dell’insulina
· Utilizzazione periferica di glucosio
· Biosintesi dell’insulina
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
11
M.L. Hribal, G. Sesti
stimoli diversi dal glucosio (ad esempio arginina e sulfaniluree) risulta sostanzialmente conservata anche dopo vari anni dalla diagnosi, a dimostrazione che nelle β-cellule pancreatiche
dei pazienti diabetici tipo 2 i granuli secretori che contengono l’ormone sono processati regolarmente e sono pronti a essere rilasciati dalla cellula, ma il glucosio non riesce a far giungere
l’appropriato segnale.
Dal punto di vista dinamico, oltre alle alterazioni a carico della prima fase della secrezione insulinica, nel diabete di tipo 2 sono presenti difetti della normale pulsatilità del rilascio dell’ormone.
Accanto alle alterazioni funzionali, diverse evidenze suggeriscono che le isole di Langerhans nei
pazienti diabetici tipo 2 mostrino un decremento del contenuto insulinico e dei granuli in cui è
conservato l’ormone, una marcata riduzione della massa β-cellulare, e un aumento della quantità
delle α-cellule 30-33. Inoltre, è stato riportato che isole di Langerhans nei pazienti con diabete di tipo
2 mostrano uno spiccato aumento dei depositi di sostanza amiloide 33, i cui depositi si formano, per
motivi non del tutto noti, allorquando l’amilina, proteina secreta dalla β-cellula insieme all’insulina,
da solubile diviene insolubile, formando strutture complesse, che presentano caratteristiche di
tossicità per la β-cellula. Tuttavia, è opportuno sottolineare che le alterazioni morfo-strutturali riportate non sono da sole sufficienti a causare il marcato deficit di secrezione osservato nel diabete di
tipo 2, ma verosimilmente contribuiscono a rendere più evidente il danno β-cellulare. Infatti, come
dimostrato in vari modelli sperimentali e clinici, l’iperglicemia si manifesta solo quando la riduzione
della massa β-cellulare è consistentemente maggiore del 50%.
Alterazioni funzionali delle incretine nel diabete
di tipo 2
Come sopra descritto, il controllo del processo che coinvolge il rilascio di incretine, la secrezione insulinica, l’inibizione della secrezione di glucagone e lo svuotamento gastrico è
complesso e richiede l’integrazione e il coordinamento di diversi componenti. Molti di tali
componenti della risposta al pasto sono alterati in soggetti con alterata tolleranza glicidica
(impaired glucose tolerance, IGT) o con diabete di tipo 2. In aggiunta ai difetti di secrezione
riportati nel precedente paragrafo, nei soggetti diabetici di tipo 2 sono ridotte sia la secrezione
insulinica glucosio-indotta 37 38, sia il potenziamento della secrezione insulinica da parte delle
incretine 20. Nei diabetici di tipo 2 la secrezione di glucagone è tipicamente elevata durante il
digiuno, non è soppressa durante un carico orale di glucosio ed è aumentata più del normale
dopo un pasto misto 14 15 39 40. I livelli di glucagone basali sono aumentati nei soggetti con IGT
e la soppressione durante carico di glucosio è alterata, determinando un incremento dei livelli
circolanti di glucagone 41 42. L’uptake del glucosio da parte del fegato è generalmente ridotto e
la soppressione epatica di glucosio è marcatamente ridotta 43-45. I soggetti con diabete di tipo
2 hanno una ridotta secrezione di GLP-1 in risposta a un pasto 46 47 (Fig. 5) e presentano un
ridotto “effetto incretinico” rispetto ai soggetti non diabetici, ovvero esibiscono una differenza
tra le curve di insulinemia dopo ingestione di glucosio o dopo somministrazione endovenosa di glucosio meno marcata rispetto ai soggetti con normale tolleranza glicidica, e queste
alterazioni contribuiscono indubbiamente alla ridotta secrezione insulinica e all’aumentata
secrezione di glucagone 20 46 (Fig. 6). Il ridotto “effetto incretinico” osservato nei soggetti con
diabete di tipo 2 sembrerebbe dovuto soprattutto alla perdita quasi completa degli effetti
insulinotropici del GIP, mentre la secrezione di GIP sarebbe pressoché normale 47-49; anche se
negli studi, ormai un po’ datati, in cui sono stati riportati tali osservazioni era stato utilizzato
un sistema di dosaggio del GIP che misurava l’immunoreattività totale, mentre, poiché il GIP,
12
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni
Figura 5. La secrezione di GLP-1 in risposta a un pasto è ridotta in soggetti con diabete di tipo 2.
Livelli di GLP-1 plasmatico in soggetti con diabete di tipo 2 (linea blu), soggetti con alterata tolleranza glicidica
(IGT, linea viola) e soggetti di controllo (linea rossa) in risposta a un pasto. La secrezione di GLP-1 è significativamente ridotta nei soggetti diabetici rispetto ai controlli (p <0,05 a 60, 72, 84, 96, 120, 132, 144 minuti dopo il
pasto), i soggetti con IGT presentano ridotti livelli di GLP-1 ai medesimi punti, ma tale riduzione non raggiunge
la significatività (da Toft-Nielsen et al., 2001, mod.) 46.
Figura 6. L’effetto delle incretine è ridotto in soggetti con diabete di tipo 2.
Il grafico a sinistra mostra i livelli plasmatici di insulina dopo carico orale (linea rossa) o iniezione endovena (linea
blu) di glucosio; analogamente a quanto mostrato in Figura 1, la differenza tra le due curve (area tratteggiata)
viene attribuita all’effetto delle incretine. Nel grafico sulla destra si può osservare come tale area tratteggiata sia
significativamente ridotta nei soggetti con diabete di tipo 2 che presentano inoltre una risposta alterata sia al
carico orale (linea rossa), sia all’iniezione endovena (linea blu) di glucosio (da Nauck et al, 1986, mod.) 20.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
13
M.L. Hribal, G. Sesti
al pari del GLP-1, è rapidamente degradato dall’enzima dipeptidil-peptidasi IV (DPP-4), è
possibile che i livelli di ormone attivo circolante siano in effetti ridotti. Il meccanismo della
ridotta responsività al GIP non è ancora noto ma potrebbe coinvolgere una down-regulation
dell’espressione dei recettori per il GIP o una desensibilizzazione del recettore all’azione del
GIP.
Una riduzione dei livelli di GLP-1, ma non di GIP, in risposta al carico di glucosio è stata anche
osservata in soggetti con IGT 50 (Fig. 7). I difetti di secrezione del GLP-1 osservati nel diabete
di tipo 2 sembrano essere secondari piuttosto che primari in quanto sia i familiari di 1° grado
di soggetti diabetici di tipo 2 51, sia donne con precedente diabete gestazionale 52 hanno livelli
plasmatici di GLP-1 simili ai soggetti di controllo. Inoltre, è stato riportato che, in gemelli monozigoti discordanti per l’insorgenza di diabete di tipo 2, solo il gemello affetto mostra un difetto
di secrezione del GLP-1 53. In contrasto a quanto osservato con il GIP, il GLP-1 mantiene i suoi
effetti insulinotropici nei soggetti con diabete di tipo 2 48 e invero la somministrazione di GLP-1
per infusione continua si è dimostrata in grado di aumentare la secrezione insulinica e di normalizzare sia la glicemia a digiuno, sia quella post-prandiale in soggetti affetti da diabete tipo
2 che presentavano un fallimento secondario al trattamento con sulfanilurea 49 54 55. È tuttavia
importante notare che dagli studi dose-risposta appare evidente che l’effetto di potenziamento della secrezione insulinica da parte del GLP-1 nei soggetti diabetici di tipo 2 risulta
ridotta a circa il 20% dell’effetto osservabile nei soggetti non diabetici 55. Questa osservazione
è estremamente rilevante ai fini della determinazione delle dosi di analoghi del GLP-1 da
usare in terapia. Si ritiene che il GLP-1 eserciti i suoi effetti anti-diabetici attraverso diversi
meccanismi. Il primo di questi è ovviamente il ripristino della secrezione di insulina glucosio-dipendente 56 57. Un altro importante fattore è l’inibizione della secrezione di glucagone
Figura 7. Livelli plasmatici di GLP-1 e GIP durante curva da carico orale di glucosio in parenti di primo grado
di soggetti diabetici.
Livelli di GLP-1 (grafico di sinistra) e di GIP (grafico di destra) durante una curva da carico orale di glucosio in
278 soggetti, parenti di primo grado di pazienti diabetici, partecipanti allo studio EUGENE2. I livelli di GLP-1 sono
significativamente ridotti nei soggetti con alterata glicemia a digiuno (IFG, quadrati), nei soggetti con alterata
tolleranza glicidica (IGT, triangoli) e nei soggetti che presentano entrambe le alterazioni (IFG/IGT, rombi), rispetto
ai soggetti con normale tolleranza al glucosio (NGT, cerchi) (da Laakso et al., 2008, mod.) 50.
* p < 0,05 rispetto agli NGT.
14
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Meccanismi fisiopatologici nel diabete di tipo 2: nuove acquisizioni
anch’essa glucosio-dipendente. Infatti, durante l’infusione endovenosa di GLP-1 a soggetti
con diabete di tipo 2, la secrezione di glucagone è soppressa quando i livelli glicemici sono
ancora elevati, ma non appena rientrano nel range di normalità la secrezione di glucagone
ritorna ai livelli basali 58. L’inibizione dello svuotamento gastrico ha un ruolo significativo in
particolare nel limitare le escursioni glicemiche post-prandiali 59, mentre la riduzione dello
stimolo dell’appetito contribuisce al calo ponderale osservato durante l’infusione cronica 56 60.
La conferma delle potenzialità del GLP-1 per uso terapeutico è stato ottenuta in uno studio in
cui esso è stato somministrato in infusione continua sottocutanea tramite microinfusore per
6 settimane 56. Al termine del periodo di infusione i pazienti in trattamento attivo mostravano
una diminuzione sia della glicemia a digiuno, sia di quella post-prandiale associata a una
riduzione dell’1,3% dell’emoglobina glicosilata (HbA1c). Inoltre, i soggetti in trattamento attivo
avevano una riduzione degli acidi grassi liberi, un miglioramento della sensibilità insulinica e
un calo ponderale di 1,9 kg rispetto all’inizio del trattamento 56.
In ultimo, è interessante osservare che la trascrizione del gene codificante per GLP-1, oltre che
per glucagone e altri piccoli peptidi correlati, è regolata da un fattore di trascrizione chiamato
TCF7L2, le cui varianti geniche sono risultate, in diversi recenti studi, associate a diabete di
tipo 2 61. È stato quindi ipotizzato che il GLP-1 possa essere il mediatore funzionale dell’azione
del TCF7L2 sulla patogenesi del diabete di tipo 2 e sono stati condotti studi volti a determinare
se esistesse una correlazione tra le varianti geniche di TCF7L2 e i livelli di espressione o l’efficacia di questa incretina 62 63. Un primo studio ha mostrato una riduzione del 20% dell’effetto
incretinico nei portatori delle varianti associate ad aumentato rischio con alterata tolleranza
glicidica o diabete di tipo 2 62, mentre un altro studio ha dimostrato che l’efficacia del GLP-1
nell’indurre secrezione insulinica era ridotta nei portatori dell’allele di rischio 63. Ulteriori studi
saranno necessari per confermare tali correlazioni e chiarire i meccanismi molecolari alla base
dell’aumentato rischio associato alle varianti geniche di TCF7L2.
Conclusioni
Dalla scoperta che il tratto intestinale produce ormoni di grande importanza per il metabolismo dei carboidrati e il mantenimento della omeostasi glicidica sono derivate nuove conoscenze nell’ambito della fisiopatologia del diabete di tipo 2. Accanto al classico modello
fisiopatologico che si fonda sul difetto di azione insulinica (insulino-resistenza) associato a
deficit relativo di secrezione insulinica da parte delle β-cellule pancreatiche, oggi il quadro
della fisiopatologia del diabete di tipo 2 si è arricchito di nuovi attori: le incretine. Il GLP-1 è
risultato particolarmente interessante per la sua capacità di stimolare la secrezione di insulina
glucosio-dipendente, di inibire la secrezione di glucagone, di rallentare lo svuotamento gastrico, di indurre sazietà e perdita di peso. La maggiore limitazione all’utilizzo terapeutico del
GLP-1 è rappresentata dalla sua breve emivita, meno di 2 minuti 64. L’ormone una volta in circolo è rapidamente degradato dall’enzima dipeptidil-peptidasi IV (DPP-4) nella sua porzione
N-terminale in seguito alla rimozione di due aminoacidi.������������������������������������
Per
�����������������������������������
ovviare a questo inconveniente
sono stati presi in considerazione due approcci: 1) lo sviluppo di analoghi del GLP-1 umano
che fossero resistenti all’azione dell’enzima DDP-4, sì da prolungare l’effetto di stimolo sul
recettore del GLP-1; 2) l’uso di inibitori selettivi per l’enzima DPP-4 in grado di prevenire la
degradazione del GLP-1 endogeno aumentandone così i livelli circolanti.�����������������
Di queste nuove
classi di farmaci antidiabetici si tratterà nei capitoli successivi.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
15
M.L. Hribal, G. Sesti
Bibliografia
Warram, JH , Rich SS, Kolewski AS. Epidemiology and genetics of diabetes mellitus. In: Kahn CR, Weir GC, editors.
Joslin’s diabetes mellitus. Philadelphia: Lea and Febiger 1995, pp. 201-16.
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule
nel diabete mellito di tipo 2
Salvatore Piro, Francesco Purrello
Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Specialistica, Università di Catania
U.O. Clinicizzata di Medicina Interna, Ospedale Garibaldi-Nesima
Introduzione
Il diabete mellito di tipo 2 è caratterizzato da insulino-resistenza e alterazioni della funzione dell’isola pancreatica. In particolare, il bilancio tra i livelli plasmatici di insulina e glucagone riveste
certamente un ruolo importante per la corretta regolazione dei livelli glicemici. L’azione di questi
due ormoni a livello dei tessuti bersaglio regola il corretto utilizzo e il metabolismo non solo del
glucosio ma anche degli altri nutrienti.
Se per anni la beta-cellula pancreatica ha ricoperto un ruolo di protagonista per la comprensione
dei meccanismi patogenetici di questa patologia, oggi è necessario esaminare più attentamente
il ruolo dell’alfa-cellula e degli altri ormoni prodotti dall’isola pancreatica, poiché la loro azione a
livello di fegato, muscolo e tessuto adiposo, potrebbe spiegare meglio alcuni aspetti ancora poco
noti di questa condizione patologica.
Isola pancreatica
L’isola pancreatica è un organo centrale per la comprensione della patogenesi del diabete mellito. All’interno del pancreas esocrino dell’uomo sono presenti circa due milioni di isole, che
rappresentano ognuna un organo endocrino-indipendente, capace di riversare il prodotto della
secrezione direttamente nel circolo generale. Le cellule che compongono l’isola pancreatica
sono le alfa, le beta, le delta e le PP. Ogni famiglia cellulare produce un ormone diverso. Per anni
solo le beta-cellule e l’ormone da queste prodotto, l’insulina, sono state al centro dell’attenzione per la comprensione della fisiologia e della fisiopatologia del diabete. Tuttavia, all’interno
dell’isola, oltre alle beta-cellule che costituiscono la quota più rappresentata (circa il 60-70%
nell’uomo), sono presenti anche le alfa-cellule (circa il 25% della quota totale) che producono
glucagone, le cellule delta (circa il 10% del totale) che producono somatostatina, e le cellule PP
(meno dell’1%) che producono polipeptide pancreatico.
Benché l’esistenza di un ormone con caratteristiche opposte all’insulina fosse stata ipotizzata
nel 1921, epoca in cui Banting e Best eseguivano i loro primi esperimenti su cani resi diabetici, solo nel 1948 Sutherland e Duve rilevarono che all’interno delle isole pancreatiche erano
presenti le alfa-cellule in grado di produrre glucacone, un ormone capace di indurre iperglicemia. Era quindi già noto il fatto che questo organo a componente mista, l’isola pancreatica,
fosse deputato non solo alla produzione di insulina, ma che anche gli altri componenti in
qualche modo fossero indispensabili per la normale omeostasi glicemica. Nel 1975, Unger
e Orci, per primi, sostennero l’esistenza dell’ipotesi bi-ormonale, secondo la quale le alfacellule e le beta-cellule, tramite la loro interazione sinergica, influenzano e regolano i normali
livelli di glucosio nel sangue. Questa affascinate ipotesi negli anni successivi è stata in parte
trascurata; solo con l’avvento delle incretine nella pratica clinica anche le alfa-cellule hanno
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
19
S. Piro, F. Purrello
A
B
C
Figura 1. Organizzazione anatomica dell’isola pancreatica.
L’isola pancreatica è composta da differenti popolazioni cellulari. La distribuzione delle diverse tipologie cellulari
varia da specie a specie. Nei roditori le beta-cellule sono presenti al centro dell’isola e le alfa-cellule prevalentemente in periferia; nell’uomo le alfa e le beta-cellule sono distribuite senza un ordine preciso (pannello A). Questa differente distribuzione potrebbe determinare una differente tipologia di comunicazione tra cellula e cellula.
Se nei roditori è possibile ipotizzare una comunicazione di tipo esclusivamente endocrino (pannello B), nell’uomo
oltre al controllo endocrino esiste sicuramente un controllo di tipo paracrino (pannello C).
20
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2
cominciato a rivestire un ruolo importante nella comprensione dei meccanismi biologici che
regolano il diabete.
Nelle varie specie animali le quattro popolazioni cellulari sono egualmente rappresentate, anche
se la distribuzione anatomica all’interno dell’isola pancreatica risente di alcune differenze. Se
nelle isole dei roditori è possibile riconoscere un core centrale di beta-cellule e un mantello periferico di cellule non beta, nell’uomo le cellule, alfa, beta, delta e PP sono allineate lungo i vasi
sanguigni senza un preciso ordine (Fig. 1).
Questa differente distribuzione potrebbe essere responsabile di un differente comportamento
endocrino di questo organo; infatti, se nei roditori è possibile immaginare un effetto endocrino
tra le cellule beta e le non beta, nell’uomo, oltre all’effetto endocrino mediato dal flusso ematico,
potrebbero esistere anche effetti paracrini o merocrini che renderebbero il sistema più complesso. Negli ultimi anni, inoltre, è stato evidenziato come le interazioni cellula-cellula all’interno dell’isola rivestano un ruolo importante per la secrezione totale dei polipeptidi provenienti dall’isola,
e studi praticati in isole intere, o in isole disperse in singole cellule, mostrano pattern secretori
differenti, in particolare se si considera la secrezione di glucagone.
Nella normale fisiologia la secrezione di glucagone rappresenta il più importante evento che si
verifica in corso di ipoglicemia. Livelli troppo bassi di glucosio infatti potrebbero rappresentare
un pericolo per il sistema nervoso, poiché il cervello non è in grado di sintetizzare glucosio, né
di depositarlo in grandi quantità, per questo in condizioni fisiologiche l’azione delle alfa-cellule
si oppone a questa condizione. Quando i livelli di insulina determinano repentini abbassamenti
della glicemia nel circolo sistemico, il glucagone e l’epinefrina vengono stimolati e la loro secrezione crea un nuovo equilibrio della glicemia. Il glucagone determina a livello epatico glicogenolisi e gluconeogenesi; l’epinefrina aumenta il rilascio epatico di glucosio e rallenta l’utilizzazione
dello stesso da parte del muscolo e del tessuto adiposo.
Meccanismi di secrezione
È noto che la secrezione insulinica rappresenta un fenomeno dinamico; la secrezione dell’ormone avviene in maniera pulsatile e multifasica. Continuamente la beta-cellula produce insulina
con variazioni minime e continuative che si potenziano in risposta a un pasto. Studi in vitro, ma
anche in vivo con l’utilizzo di carico endovena di glucosio, hanno mostrato la presenza di almeno
due fasi della secrezione: la prima fase, o fase acuta che avviene nei primi 5-10 minuti dallo
stimolo acuto, e la seconda fase o fase tardiva più prolungata nel tempo. Alcuni studi hanno
evidenziato anche una terza fase della secrezione insulinica, che compare dopo 3-4 ore di stimolazione con glucosio, e che consiste in una riduzione della capacità secretoria di oltre il 50%
rispetto ai valori massimali (desensibilizzazione o refrattarietà). Questa cinetica della secrezione,
presente in soggetti normali, risulta alterata nel diabete mellito. Negli ultimi anni è emerso che la
fase precoce è di fondamentale importanza per la normale omeostasi glicidica, e le sue alterazioni sono tipicamente associate al diabete mellito di tipo 2, o comunque a condizioni di alterata
tolleranza glicidica. Tuttavia, i meccanismi che regolano queste fasi della secrezione insulinica
sono ancora poco definiti. Molte sono le ipotesi che si susseguono, anche se non esiste una
spiegazione univoca che possa permettere di interpretare tali fenomeni.
I meccanismi che regolano la secrezione insulinica sono molteplici e ognuno dei punti del processo sembra un possibile nodo chiave. Da quando la beta-cellula entra in contatto con il glucosio, o con altri stimolanti, viene attivata una serie di vie metaboliche che esitano nell’esocitosi del
granulo secretorio. Se si considera il glucosio, lo stimolante fisiologico, dall’interazione di questo
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
21
S. Piro, F. Purrello
con il suo trasportatore, il GLUT-2, si attivano alcune tappe enzimatiche regolate dalla glucochinasi o dall’esochinasi, che tramite il metabolismo non ossidativo, conducono al mitocondrio. Qui,
tramite il metabolismo ossidativo viene prodotto ATP; il rapporto ATP/ADP determina la chiusura
dei canali del potassio ATP-dipendenti, l’attivazione dei canali per il calcio e, infine, l’esocitosi
del granulo secretorio (Fig. 2). Il pool di granuli secretori presenti in ogni singola beta-cellula non
sembra essere un fattore limitante. Infatti, ogni beta-cellula possiede un numero di granuli che
difficilmente può esaurire. Tuttavia, non tutti i granuli presenti in una beta-cellula potrebbero essere rilasciati allo stesso momento. È necessario prima un processo di maturazione che sembra
essere indispensabile per il processo di esocitosi. Sono stati identificati almeno tre pool differenti
di granuli all’interno di ogni beta-cellula: un pool stabile che rappresenta il comparto maggiore
con oltre l’80% dei granuli; un pool di granuli ancorati e un pool di granuli rapidamente rilasciabili, che rispetto a quelli ancorati ha subito un passaggio ulteriore di capacitazione che lo rende
in grado di fondersi con la membrana plasmatica e di rilasciare il contenuto ormonale all’esterno
(Fig. 3). Il processo di capacitazione dei granuli è complesso e le vie non sono del tutto note. Esistono tuttavia evidenze a supporto di alterazioni a tali livelli; sono infatti note mutazioni a carico
di proteine e molecole di ancoraggio che renderebbero meno efficaci i processi di fusione del
granulo alla membrana e quindi di rilascio dell’insulina.
Differenze e analogie tra alfa e beta-cellule
Per quanto riguarda le alfa-cellule, sembra che anche questa popolazione condivida alcuni apparati tipici della beta-cellula. Alcuni di questi sembrano essere quasi sovrapponibili, altri hanno
peculiarità tipiche di questo sistema cellulare.
Esperimenti di patch-clamp in alfa-cellule isolate di varie specie animali hanno mostrato come,
a differenza delle beta-cellule, le alfa-cellule mostrino un potenziale di membrana spontaneo.
Questa attività elettrica spontanea è stata anche dimostrata in alfa-cellule presenti sulla superficie di isole di topo ancora intatte. Sulla superficie cellulare delle alfa-cellule sono stati riscontrati
differenti canali ionici in grado di influenzare l’attività elettrica di queste cellule. Esistono almeno
quattro differenti tipi di canali per il potassio, almeno quattro tipologie di canali per il calcio
voltaggio-dipendenti, canali per il sodio, per il cloro e per alcuni neurotrasmettitori quali il GABA.
Sembra tuttavia che il comportamento di questi canali sia differente se studiato in alfa-cellule
isolate o all’interno di un’isola pancreatica.
Per quanto riguarda i canali per il potassio ATP-dipendenti, essi sembrano condividere numerose
peculiarità funzionali con le beta-cellule, ma anche con molti altri tessuti dell’organismo. Tuttavia,
seppure non sembri esistere una differenza in termini di densità per unità di superficie tra beta e
alfa-cellule, il loro comportamento risulta essere diverso. Nelle alfa-cellule, i canali per il potassio
ATP-dipendenti sembrano essere molto più sensibili all’ATP. Questa differente sensibilità indica che
sono necessarie concentrazioni di ATP molto basse per attivare la chiusura di questi canali, rispetto
alle beta-cellule, e per determinare desensibilizzazione e quindi secrezione.
Beta-cellule
La beta-cellula pancreatica rappresenta il tipo cellulare maggiormente presente all’interno dell’isola pancreatica. Nell’uomo su circa due milioni di isole pancreatiche di Langerhans, l’80%
della massa totale è rappresentato da beta-cellule.
22
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2
Figura 2. Rappresentazione del processo di secrezione insulinica.
La beta-cellula, dopo l’esposizione al glucosio, avvia una serie di processi che esitano nella secrezione dei
granuli di insulina.
Le beta-cellule pancreatiche rilasciano insulina in risposta a vari stimoli fisiologici o farmacologici, allo scopo di mantenere i livelli di glucosio nel sangue entro un range di normalità necessario per la sopravvivenza dell’organismo. L’ormone prodotto dalle beta-cellule pancreatiche è
l’insulina, peptide costituito da due catene aminoacidiche di 21 e 30 aminoacidi, rispettivamente
chiamate A e B. Queste due proteine sono legate tra loro da due ponti di solfuro che conferiscono la struttura terziaria della proteina. L’insulina viene prodotta all’interno della beta-cellula
come precursore immaturo. Prima del rilascio in circolo subisce almeno due processi di clivaggio passando attraverso il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi. Una volta rilasciata in
circolo, la sua emivita plasmatica sarà di circa 6 minuti, poi verrà degradata ed eliminata a livello
epatico, renale e in quota minore anche da altri tessuti per opera di insulinasi. A livello dei tessuti
bersaglio, si lega a specifici recettori, composti da due subunità (alfa e beta), appartenenti alla
famiglia dei recettori peptidici di membrana. È noto tuttavia che l’insulina esplica anche effetti di
tipo mitogenico e proliferativo tramite l’interazione con recettori non specifici, quali il recettore
per l’IGF-1, l’IGF-2 e altri ancora.
Come già citato, l’insulina dopo la sintesi e le prime modificazioni conformazionali, viene immagazzinata dentro specifici granuli secretori. All’interno dei granuli si trova prevalentemente
insulina matura e C-peptide o peptide di connessione, derivante dal clivaggio della pro-insulina.
Questo peptide verrà rilasciato poi in circolo in quantità equimolari con l’insulina. All’interno
del granulo inoltre sono presenti zinco, calcio, magnesio, nonché altri ioni, volti a mantenere
un pH ottimale; è noto infatti che uno dei processi di liberazione dell’insulina è rappresentato
dall’acidificazione del contenuto del granulo a opera di alcuni canali esclusivi della membrana
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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S. Piro, F. Purrello
del granulo stesso. Mutazioni a livello di queste pompe determinano l’impossibilità del rilascio
dell’ormone, anche in condizioni di perfetta maturazione del granulo. I granuli secretori, infatti,
come prima rilevato, costituiscono un pool di riserva dell’ormone. Difficilmente il loro contenuto
rappresenta un fattore limitante per la secrezione insulinica. Una beta-cellula non più in grado di
rispondere a stimoli fisiologici ha ancora un numero di granuli consistenti. Tuttavia non è sufficiente la presenza di granuli all’interno della cellula perché possa avvenire la secrezione. Dei tre
differenti pool di granuli identificati all’interno della beta-cellula, il pool stabile seppur cospicuo
necessita di processi di preparazione e migrazione attraverso il citoscheletro prima di essere
pronto per il rilascio. Questo processo avviene mediante la partecipazione di proteine contrattili,
actina, miosina microtubuli, che determinano migrazione dal centro della cellula verso la regione
più prossima alla membrana cellulare. Dopo questo processo di migrazione, i granuli si spostano
verso la periferia e danno inizio a dei processi di ancoraggio alla membrana. Qui tramite proteine specifiche (complesso SNARE) si verifica una serie di processi di ancoraggio finemente
regolato (Fig. 4). Ogni proteina di ancoraggio viene sintetizzata da specifici geni; mutazioni a tali
livelli determinano alterazioni del processo. I granuli presenti a questo livello vengono identificati
come pool dei granuli ancorati. Da questo punto in poi tuttavia, l’acidificazione del contenuto del
granulo, l’ingresso del calcio tramite specifici canali, l’interazioni proteina-proteina tra granulo
e membrana cellulare determineranno la fusione completa e infine il rilascio del contenuto
all’esterno. Come si evince da quanto fin qui descritto, dalla sintesi dell’ormone al suo rilascio
Figura 3. Distribuzione intracellulare dei granuli di insulina nella beta-cellula.
Ogni beta-cellula pancreatica possiede circa 10.000 granuli secretori. Questi granuli prima dell’esocitosi necessitano di una serie di processi maturativi. All’interno di ogni beta-cellula è possibile riconoscere tre differenti
gruppi di granuli: granuli di riserva o pool statico; granuli ancorati; granuli maturi (readily releasable pool, RRP).
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2
sono necessari molti passaggi e tappe, ognuno dei quali può fermare il processo di maturazione,
rendendo inefficace la presenza del granulo.
Il processo di esocitosi di un granulo maturo, pronto per la liberazione, necessita di stimoli
provenienti dalla cellula. La beta-cellula con apparato di secrezione funzionante si prepara
alla secrezione tramite processi metabolici ed elettrici complessi. I fenomeni metabolici ed
elettrici risentono quindi dell’ambiente extracellulare e dei livelli di stimoli fisiologici o farmacologici. Considerando il glucosio, lo stimolante fisiologico, questo tramite le tappe metaboliche intracellulari condiziona la secrezione tramite il suo metabolismo intracellulare. Dopo il
trasporto a opera del GLUT-2, e l’azione dell’enzima glucochinasi, il glucosio viene avviato
ai processi metabolici di tipo anaerobico che determinano formazione di piruvato. In questa
fase il GLUT e la glucochinasi rappresentano una prima fase limitante. Solo il glucosio trasformato in glucosio-6-fosfato procede verso le fasi successive del metabolismo. Alterazioni
di GLUT-2 o malfunzionamento della glucochinasi bloccherebbero il processo già all’inizio. Il
GLUT-2 e la glucochinasi rappresentano la prima unità glucosensoria. Con la formazione del
piruvato è possibile accedere al mitocondrio. All’interno di questo organo, indispensabile per
la beta-cellula, si avvia il metabolismo ossidativo del glucosio che esita nella formazione di
ATP tramite l’utilizzo dei complessi della catena respiratoria mitocondriale. I complessi proteici della catena respiratoria mitocondriale svolgono un ruolo importante per la beta-cellula
e un loro alterato funzionamento potrebbe bloccare gran parte della secrezione insulinica.
Tramite l’azione coordinata dei complessi, si attiva un passaggio di elettroni e di protoni che
portano alla formazione di ATP partendo da ADP. Il normale utilizzo produce ATP che servirà
per le fasi successive della secrezione insulinica; condizioni di iperimpegno della catena
determinano produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) che danneggiano le membrane
mitocondriali e inducono segnali apoptotici per la cellula. Normalmente infatti la beta-cellula
ha basso potere antiossidante. In caso di maggiore produzione di radicali liberi, una quota
di questi non viene contrastata dall’apparato di eliminazione e ne risulta quindi un maggiore
danno alle membrane. La perossidazione delle membrane mitocondriali è alla base dell’avvio
di segnali (rilascio del citocromo c, permeabilizzazione della membrana mitocondriale a opera
di specifiche proteine) che attivano l’apoptosi. A supporto di tali condizioni di iperlavoro la
beta-cellula può utilizzare maggiormente alcuni sistemi di sicurezza, per esempio le proteine
disaccoppianti (UCP), in questo caso la UCP-2, che dissipando energia sotto forma di calore,
permettono di far fronte al fenomeno. Tuttavia questa via alternativa condiziona la produzione
di ATP e quindi la secrezione insulinica. Questi processi avvengono per esempio in caso di
esposizione cronica a iperglicemia o ad acidi grassi liberi.
Dalla produzione di ATP, o meglio dall’aumento dei livelli intracellulari del rapporto ATP/ADP,
vengono influenzati i canali del potassio ATP-dipendenti. L’aumento del rapporto ATP/ADP
determina chiusura di questi canali con conseguente variazione del potenziale di membrana tramite l’apertura dei canali per il calcio. I canali del calcio, localizzati sulla membrana
plasmatica, al momento della depolarizzazione modificano la loro conformazione spaziale,
aprendosi. Il passaggio del calcio costituisce il secondo messaggero capace di accoppiare i
segnali elettrici a quelli chimici. L’aumento delle concentrazioni intracellulari di calcio determina esocitosi dei granuli secretori. Va precisato che molti farmaci usati per la terapia del
diabete agiscono proprio a questo livello. A livello dei canali per il potassio ATP-dipendente si
trovano alcune subunità in grado di legare in maniera più o meno stabile molte sulfaniluree,
determinando depolarizzazione della membrana beta-cellulare in maniera più o meno indipendente dai livelli di glucosio.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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S. Piro, F. Purrello
Alfa-cellule
La popolazione alfa-cellulare all’interno dell’isola pancreatica rappresenta circa il 20% della
quota cellulare totale. Le alfa-cellule producono glucagone, un peptide di 29 aminoacidi, prodotto come pro-glucagone e processato successivamente in ormone attivo prima della secrezione
finale. Fino al 1955 l’esistenza di questo secondo ormone prodotto dall’isola pancreatica era
stata solamente ipotizzata in seguito agli effetti iperglicemizzanti ottenuti in studi effettuati tramite la somministrazione di estratti pancreatici, in particolare da Kimball e Murlin. Questi autori
ipotizzavano la presenza di un ormone distinto dall’insulina, in seguito chiamato glucagone, che
determinasse iperglicemia transitoria dopo la somministrazione di estratti di insulina. Nel 1957
Straub per primo purificò e ottenne la sequenza di questo ormone, e descrisse la capacità di
ripristinare l’effetto ipoglicemizzante ottenuto con l’insulina. Tuttavia a causa delle difficoltà di
misurazione e dell’instabilità della molecola, le acquisizioni sono venute più avanti nel tempo,
dopo l’avvento delle metodiche di dosaggio RIA.
Nel corso degli anni è stato riscontrato che gli stimoli che inducono ipoglicemia sono in grado
di stimolare la secrezione di glucagone e, inoltre, che quando i livelli di glicemia aumentano, la
secrezione di glucagone si riduce.
Oggi sono noti gli stimoli in grado di indurre secrezione di glucagone e le sostanze in grado di inibirne
la produzione. Tra questi il glucosio riveste un ruolo importante: l’iperglicemia inibisce la secrezione,
l’ipoglicemia la stimola. Tra gli stimolanti vanno citati gli aminoacidi, il piruvato, i polipepdidi gastroin-
Figura 4. Rappresentazione schematica di un granulo maturo ancorato alla membrana.
Il processo di ancoraggio richiede la presenza di proteine (complesso SNARE); mutazioni a questo livello possono
bloccare l’esocitosi del granulo.
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2
testinali (GIP, VIP, CCK) e in particolare le catecolamine e tutto quello che riguarda la risposta a stimoli
da stress; sembrano invece avere un ruolo inibente la secrezione gli acidi grassi liberi, i corpi chetonici,
l’insulina, la somatostatina, il GLP-1 (glucagon-like peptide-1). Tuttavia tutti questi fattori mostrano effetti diversi o addirittura opposti quando presenti in condizioni particolari. Per esempio è stato rilevato
che il glucosio inibisce la secrezione di glucagone, quando però alfa-cellule dissociate dall’isola intera
vengono esposte a elevati livelli di glucosio sembrano potenziare la loro capacità secretoria. Sembra
quindi che, anche per le alfa-cellule, così come per le beta, il ruolo endocrino dell’isola pancreatica e
delle altre popolazioni cellulari presenti al livello dell’organo possa condizionare il risultato finale di tutta
la popolazione cellulare che la compone. Le alfa-cellule sembrano possedere molti dei sistemi e degli
apparati tipici delle beta-cellule. Se si analizza il processo embriogenetico che porta alla produzione
delle alfa e delle beta-cellule, queste due distinte popolazioni sembrano condividere fasi differenziative
comuni. Addirittura, nelle fasi precoci di differenziazione alcune cellule possono coesprimere glucagone e insulina nello stesso momento. È probabile che per questo motivo l’apparato funzionale delle
alfa-cellule ricalchi in molti punti quello delle beta-cellule. Le alfa-cellule mature presentano canali di
membrana simili alle beta-cellule, e più importante ancora sembra essere la presenza di un apparato
di granuli molto simile alle beta-cellule.
Sulla superficie della alfa-cellule sono presenti almeno quattro differenti tipologie di canali per
il potassio, almeno quattro differenti tipologie di canali per il calcio e inoltre canali per il GABA,
per il sodio e per il cloro. Non molto è noto sulla peculiarità di questi canali e soprattutto sulla
loro interazione. Tuttavia vi sono evidenze che almeno per alcuni tipi di canali per il potassio,
questi siano molto più sensibili ai livelli di ATP intracellulare. Rispetto a quanto è noto per le betacellule, nelle alfa sembra essere necessario molto meno ATP per attivare i canali del potassio
ATP-sensibili. Inoltre anche la loro sensibilità si esaurirebbe con molta più velocità rispetto alle
beta-cellule. Questa differenza pare essere confermata dal differente potenziale di membrana
che nelle beta-cellule è -40 mV, mentre nelle alfa-cellule il potenziale di attivazione registrato
si colloca intorno a -60 mV. Probabilmente l’azione coordinata dei molti canali presenti sulla
superficie rendono più o meno polarizzate le rispettive membrane. Per il resto le due popolazioni
cellulari condividono in maniera sorprendente molti aspetti del processo secretorio. Anche per
le alfa-cellule l’influsso di calcio, spostando il potenziale da -60 a -30 mV determina secrezione
di glucagone. Rivedendo l’organizzazione della beta-cellula, emerge come anche le alfa possiedono un’unità glucosensoria composta da GLUT e glucochinasi; tuttavia il trasportatore qui
presente è l’isoforma 1. Il GLUT-1 a bassa capacità di trasporto rispetto al 2, e in assoluto poco
presente sulla membrana rispetto al corrispettivo sulla beta-cellula, determina un più basso
trasporto del glucosio all’interno della cellula. Questo suggerisce che il trasporto del glucosio
per l’alfa-cellula non deve essere uno step limitante per la funzione. Il metabolismo del glucosio
sembra essere solamente il 20-40% rispetto alla beta-cellula, e di conseguenza la generazione
di ATP risulta inferiore. Tuttavia come già detto, i canali per il potassio al contrario risultano
molto più sensibili alle perturbazioni dei livelli di ATP. Va precisato inoltre che probabilmente il
piruvato che origina dal metabolismo muscolare durante l’esercizio fisico potrebbe contribuire
all’aumento della quota metabolica che arriva al mitocondrio per essere scissa dalla catena
respiratoria generando ATP. Ricordiamo, infatti, che il piruvato sembra stimolare la secrezione di
glucagone, mentre non ha alcun effetto sulla secrezione di insulina. Come per le beta-cellule,
anche per le alfa il contenuto di calcio intracellulare sembra essere indispensabile per l’esocitosi
dei granuli. Nelle alfa-cellule, dopo la depolarizzazione della membrana il calcio entra rapidamente attraverso canali specifici. I canali per il calcio identificati per l’esocitosi sembrano essere
almeno di due tipi; il tipo N, più importante per la secrezione basale o tonica dell’ormone e il
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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S. Piro, F. Purrello
tipo L assieme al tipo N per le secrezioni acute. Quando questi canali si chiudono, l’esocitosi
si blocca. Inoltre pare che un ruolo importante per l’esocitosi rivestano i livelli di AMPc; questo
nucleotide non potenzia la secrezione, ma sembra che velocizzi la mobilizzazione dei granuli, dal
comparto del pool stabile alla membrana. Tuttavia è stato visto come durante la mobilizzazione
dal comparto centrale alla periferia da parte dell’AMPc, i granuli non si spostano casualmente
verso la membrana, ma seguono un preciso percorso che li porta in prossimità dei canali del
calcio di tipo L. Si potrebbe quindi ipotizzare che i granuli, sinora descritti come dispersi in pool
stabile e in pool localizzati in prossimità della membrana, possano essere divisi in granuli posti
vicino ai canali del calcio di tipo L (secrezione acuta) e granuli presenti in vicinanza dei canali
per il calcio di tipo N (secrezione tonica).
Da quanto qui esposto è quindi possibile immaginare anche un effetto sulle alfa-cellule di alcuni farmaci capaci di stimolare la secrezione insulinica. È noto infatti che la tolbutamide e la
glibenclamide, tramite l’interazione con i canali del potassio ATP-dipendenti, sono in grado di
stimolare la secrezione di glucagone almeno nelle alfa-cellule isolate. Questo naturalmente può
apparire paradossale, tuttavia esistono dati a conferma di questa ipotesi, seppur non tutti univoci. Di certo, anche per questo aspetto, non si può non tenere in considerazione il ruolo dell’isola
pancreatica e delle azioni endocrine o paracrine del complesso apparato cellulare; il risultato
finale sicuramente risulta da tutte le interazioni cellulari dell’isola e dal prodotto dei vari ormoni
che stimolano o inibiscono le cellule vicine.
Conclusioni
L’iperglicemia nel diabete mellito di tipo 2 è quindi la risultante di un complesso algoritmo che si
snoda tra l’insulino-resistenza da una parte e il prodotto della secrezione pancreatica dall’altra. Alla
luce di quanto fin qui esposto si ritiene che la sola secrezione insulinica non possa spiegare il delicato
meccanismo. È noto infatti che nei pazienti con diabete si riscontra di norma, oltre che una riduzione
della secrezione insulinica, un aumento dei livelli di glucagone circolante. Il glucagone ha un ruolo
importante nell’iperglicemia a digiuno. L’iperglucagonemia, attivando a livello epatico gluconeogenesi
e glicogenolisi, aumenta l’output epatico di glucosio e alimenta lo stato iperglicemico. Inoltre, molte
delle alterazioni metaboliche di questi pazienti, quali iperglicemia cronica e ipernefemia, potrebbero
potenziare e alimentare questa alterazione. Rispetto all’azione dell’isola pancreatica, probabilmente
non è più possibile immaginare un ruolo esclusivo delle sole beta-cellule. È noto infatti che la secrezione di insulina influenza ed è influenzata dai livelli di glucagone, ma sicuramente anche dai livelli di
somatostatina e di altri peptidi pancreatici. Per questo certamente vale la pena di riconsiderare l’ipotesi di Unger e Orci sul ruolo bi-ormonale dell’isola, magari inserendo anche il ruolo della somatostatina o del PP. Si potrebbe quindi immaginare un’ipotesi pluri-ormonale dell’isola, soprattutto alla luce
delle nuove acquisizioni per la terapia del diabete mellito tipo 2. Il GLP-1 e il GIP (glucose-dependent
insulinotropic polypeptide), infatti, due ormoni gastrointestinali, modulano e potenziano la secrezione
dell’isola pancreatica. Il GLP-1 migliora la secrezione di insulina nell’uomo; dalla letteratura emergono
anche dati a favore di un miglior il trofismo delle beta-cellule. Questo effetto positivo è noto anche sul
versante dell’alfa-cellula. Infatti da dati clinici è noto che il GLP-1 riduce la secrezione di glucagone
in presenza di elevati livelli di glicemia; l’exenatide, analogo del GLP-1 è in grado di potenziare la secrezione di glucagone per livelli di glicemia bassi, quando cioè è necessario che la glicemia aumenti.
Queste molecole, note con il nome di incretine, potrebbero farci comprendere meglio queste delicate
interazioni e potrebbero rappresentare il codice per decifrare il delicato equilibrio di interazioni presenti
all’interno di un’isola pancreatica.
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Il ruolo delle alfa e delle beta-cellule nel diabete mellito di tipo 2
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretinomimetici
Edoardo Mannucci
Servizio di Diabetologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
L’asse delle incretine rappresenta un interessante target terapeutico per la terapia del diabete di
tipo 2. Potenziando l’attività di questo asse, infatti, si può ottenere una stimolazione della secrezione insulinica e un potenziamento della secrezione di glucagone, capaci a loro volta di ridurre la
glicemia. Inoltre, essendo le incretine attive sulle isole pancreatiche esclusivamente in condizioni
di elevato glucosio ambientale, la stimolazione di questo asse risulta essere capace di ridurre la
glicemia soltanto quando questa è aumentata, con rischio basso o nullo di ipoglicemia.
Il glucagon-like peptide-1 (GLP-1) umano è sicuramente efficace nella riduzione dell’iperglicemia nel diabete mellito di tipo 2 1. In vivo, però, questo ormone viene rapidamente degradato,
principalmente a opera della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4), che elimina un dipeptide N-terminale trasformando la forma attiva del GLP-1 (il GLP-1[7-36]amide) nel suo metabolita inattivo
GLP-1[9-36]amide. Per questo motivo, l’emivita del GLP-1 nell’uomo, dopo iniezione endovenosa o sottocutanea, è di pochi minuti 2. Analoghe considerazioni valgono per l’altra principale
incretina, il glucose-dependent insulinotropic polypeptide (GIP), che peraltro, nell’uomo, sembra
avere un ruolo meno importante rispetto al GLP-1 nella stimolazione della secrezione insulinica
in fase post-prandiale.
Non potendo utilizzare il GLP-1 come tale, la ricerca farmacologica ha sviluppato due diverse
strategie di intervento sull’asse delle incretine, ambedue applicabili nella pratica clinica: l’identificazione di agonisti del recettore del GLP-1 resistenti alla DPP-4 (i cosiddetti incretino-mimetici), e
quindi dotati di più lunga emivita, oppure la messa a punto di inibitori della DPP-4, che prolunghino
l’emivita (e quindi aumentino le concentrazioni circolanti) del GLP-1 e del GIP endogeni. I due
approcci sono concettualmente assai diversi tra loro e conducono a risultati clinici ampiamente
differenziati. Infatti, con gli incretino-mimetici si ottiene una stimolazione, ampiamente sovra fisiologica, del recettore del GLP-1, senza intervenire sul GIP o su altri sistemi endocrini; al contrario,
gli inibitori della DPP-4 determinano un incremento moderato delle concentrazioni circolanti sia di
GLP-1 sia di GIP, più evidente nelle fasi post-prandiali, sfruttando la secrezione endogena di questi
ormoni. Queste differenze rendono conto delle differenze nel profilo clinico d’azione, che saranno
trattate in seguito. Inoltre, mentre gli incretino-mimetici sono peptidi di discrete dimensioni, che
necessitano di somministrazione per via parenterale (sottocutanea), gli inibitori della DPP-4 sono
molecole di dimensioni assai minori, adatte alla somministrazione per via orale.
In questo capitolo, descriveremo sinteticamente i farmaci attualmente disponibili e le principali
molecole in sviluppo per ciascuna delle due classi di farmaci, riportando le evidenze più importanti risultanti dai trial clinici sinora svolti.
Gli incretino-mimetici: exenatide
I farmaci incretino-mimetici sono agonisti del recettore per il GLP-1. La stimolazione del recettore determina, nell’uomo, la stimolazione della secrezione insulinica indotta dal glucosio; inoltre,
essa potenzia la soppressione della secrezione di glucagone determinata dal pasto. Queste due
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
31
E. Mannucci
azioni si traducono in una riduzione della glicemia. Inoltre, grazie a un’azione diretta centrale
(ipotalamica) e al rallentamento dello svuotamento gastrico, gli agonisti recettoriali del GLP-1
inibiscono l’appetito, determinando, nei trattamento protratti, calo ponderale; la perdita di peso,
verosimilmente, contribuisce in maniera rilevante al miglioramento del compenso metabolico a
lungo termine nei pazienti diabetici di tipo 2 in eccesso ponderale. Inoltre, il rallentamento dello
svuotamento gastrico e il conseguente ritardo nell’assorbimento dei nutrienti potrebbero contribuire alla riduzione dell’iperglicemia in fase post-prandiale (Fig. 1).
L’unico agonista recettoriale del GLP-1 attualmente in commercio è exenatide (exendin-4; Fig.
2). Si tratta di un peptide presente (con funzioni ancora non perfettamente note) nella saliva
di un rettile del deserto dell’Arizona, che può essere ottenuto, a scopo commerciale, per via
biosintetica, con la tecnica del DNA ricombinante. Questa molecola presenta un certo grado di
omologia con il GLP-1 umano e risulta essere un agonista potente e selettivo del recettore del
GLP-1. Inoltre, exenatide è resistente all’azione della DPP-4 e ha quindi un’emivita sufficientemente lunga da poter essere impiegata nel trattamento del diabete di tipo 2. Se ne raccomanda
l’uso, a dosi di 5-10 µg, due volte al giorno, prima dei pasti principali; la via di somministrazione
è sottocutanea, con appositi iniettori a penna preriempiti simili a quelli utilizzati per l’insulina.
Nell’uomo, la somministrazione di exenatide a dosi terapeutiche determina un significativo incremento della secrezione insulinica in risposta a un carico orale di glucosio o a un pasto misto.
Inoltre, il farmaco potenzia la soppressione della secrezione di glucagone indotta dall’assunzione
di cibo, contribuendo anche per questa via al miglioramento della glicemia. è interessante notare che sia l’effetto sulla secrezione di insulina, sia su quella di glucagone, si attenuano sino a
Figura 1. Meccanismo d’azione degli incretino-mimetici.
32
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici
Figura 2. Struttura chimica di exenatide, confrontata con GLP-1.
La freccia indica il sito di azione della DPP-4 (da Drucker e Nauck, 2006, mod.) 4.
scomparire quando la glicemia è ai limiti inferiori della norma; ciò significa che il farmaco è in
grado di ridurre la glicemia quando è elevata, ma che presenta un rischio assai basso di indurre
ipoglicemia, almeno quando non viene somministrato in combinazione con altri farmaci che
sono in grado di indurre ipoglicemia (come le sulfaniluree). Studi su isole pancreatiche e umane
in vitro e studi in vivo su modelli animali hanno mostrato inoltre che exenatide, analogamente
al GLP-1 nativo, stimola la formazione di nuove beta-cellule e ha un’azione anti-apoptotica;
ciò suggerisce che, nella terapia a lungo termine, il farmaco potrebbe prevenire il declino della
massa e della funzione beta-cellulare nel corso degli anni, che è caratteristico del diabete di
tipo 2. Peraltro, di questa azione non si hanno ancora conferme sperimentali in vivo nell’uomo.
La durata dei trial controllati sinora condotti (vedi oltre) non permette infatti di trarre conclusioni
sulla presunta maggior tenuta nel tempo dell’azione terapeutica di exenatide rispetto ad altri
trattamenti farmacologici per il diabete di tipo 2.
Sebbene il farmaco possa essere efficace, almeno teoricamente, anche in monoterapia, i trial
clinici su questa molecola sono stati effettuati in maniera pressoché esclusiva in combinazione con altre molecole (Tab. I). Nei pazienti inadeguatamente controllati con la metformina, con
un tiazolidinedione o con una sulfanilurea, l’aggiunta di exenatide determina una riduzione
assai significativa dell’emoglobina glicata rispetto al placebo. In coloro che non sono sufficientemente controllati da una combinazione di due farmaci orali (metformina e sulfaniluree,
oppure metformina e tiazolidinedioni, o tiazolidinedioni e sulfaniluree), l’aggiunta di exenatide
non soltanto è più efficace del placebo, ma mostra addirittura un effetto sull’emoglobina
glicata simile all’insulina. Infatti, in pazienti che falliscono alla combinazione di metformina
e sulfaniluree, exenatide ha un effetto sul controllo metabolico non dissimile da quello dell’aggiunta di insulina glargine serale, oppure di due somministrazioni giornaliere di insulina
premiscelata 3 4.
La riduzione dell’emoglobina glicata che si osserva durante il trattamento con exenatide è attribuibile al miglioramento della glicemia sia a digiuno sia post-prandiale; comunque, appare
indubbio che exenatide mostra un’efficacia particolarmente evidente nella riduzione delle escursioni glicemiche post-prandiali. A questo riguardo occorre ricordare che, quando il farmaco
viene somministrato prima di colazione e prima di cena, come nella maggior parte dei trial, si
ottiene una normalizzazione della glicemia dopo colazione e dopo cena, ma non di quella dopo
pranzo 5. Ciò significa che l’emivita di exenatide, che è di circa 30-60 minuti, è insufficiente a
garantire un’adeguata copertura per le 12 ore successive. Infatti, la scheda tecnica suggerisce
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
33
E. Mannucci
Tabella I. Studi clinici con exenatide. Principali studi clinici pubblicati, di durata superiore a 12 settimane, con
exenatide 5-10 µg due volte al giorno (esclusi gli studi con formulazione LAR). Viene riportata la differenza tra i
gruppi di trattamento nei valori di emoglobina glicata a termine dello studio.
Studio
Durata
(sett.)
Confronto
con
Combinazione
con
N. pazienti
Differenza
HbA1c (%)
DeFronzo et al., 2005
30
Zinman et al., 2007
16
Placebo
Metformina
336
-0,7*
Placebo
Glitazoni (± metformina)
233
-1,0*
Buse et al., 2004
30
Kendall et al., 2005
30
Placebo
Sulfaniluree
277
-0,8*
Placebo
Sulfaniluree + metformina
733
-0,8*
Davis et al., 2007
16
Insulina
Sulfaniluree/metformina
49
+0,2
Barnett et al., 2007
16
Insulina
Sulfaniluree/metformina
263
0,0
Nauck et al., 2007
52
Insulina
Sulfaniluree + metformina
501
+0,1
Heine et al., 2005
26
Insulina
Sulfaniluree + metformina
549
+0,1
* Differenze statisticamente significative.
di somministrare il farmaco prima dei due pasti principali (che in Italia sono spesso il pranzo e
la cena) e non ogni 12 ore.
All’ottima efficacia di exenatide si associa un profilo di tollerabilità complessivamente favorevole. I principali effetti collaterali sono rappresentati da nausea, vomito e più raramente diarrea.
Sebbene la nausea compaia in una proporzione piuttosto elevata di pazienti (fino a un terzo del
totale), nella maggior parte dei casi questo effetto collaterale è lieve e transitorio e non necessita di sospensione del trattamento 3. Proprio per ridurre l’incidenza e la gravità della nausea,
si raccomanda di iniziare il trattamento con 5 µg due volte al giorno, e di aumentare a 10 µg,
se tollerati, dopo quattro settimane. Non sono noti altri effetti collaterali rilevanti di exenatide. In
particolare, è necessario puntualizzare che questo farmaco, somministrato in monoterapia o in
combinazione con soli farmaci insulino-sensibilizzanti, non sembra in grado di provocare ipoglicemia, mentre, come è ovvio, esso aumenta l’incidenza di ipoglicemia quando viene utilizzato in
combinazione con farmaci stimolatori della secrezione di insulina, come le sulfaniluree.
Un effetto assai interessante di exenatide, che può avere valenze terapeutiche in molti pazienti
diabetici, è quello sul peso corporeo. Exenatide, anche in assenza di nausea, determina una riduzione dell’assunzione di cibo senza modificare il dispendio energetico e provoca quindi un apprezzabile calo ponderale 3. Questo effetto sembra particolarmente evidente quando exenatide
viene utilizzata in associazione alla metformina, suggerendo una possibile interazione favorevole
tra i due farmaci 6. Un aspetto assai interessante riguarda l’andamento nel tempo dell’effetto
ponderale: le estensioni in aperto degli studi clinici in doppio cieco mostrano che, proseguendo
la terapia, la riduzione del peso procede senza apparente effetto “plateau” fino a 3 anni di trattamento 7. Sembra, quindi, che exenatide, contrariamente agli altri farmaci che riducono il peso
corporeo, non induca tolleranza ai propri effetti ponderali, almeno a medio termine. Questo fenomeno indica che la classe degli incretino-mimetici potrebbe, in futuro, diventare un’interessante
opzione terapeutica per l’obesità, anche non associata a diabete; per il momento, comunque,
l’unica indicazione di exenatide è il trattamento del diabete di tipo 2.
Exenatide mostra anche effetti tendenzialmente favorevoli su altri parametri di rischio cardiovascolare. Alcune di queste azioni, come la riduzione della trigliceridemia 7, sono verosimil34
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici
mente dovute al miglioramento del controllo glicemico e alla riduzione del peso; al contrario,
la tendenziale riduzione della pressione arteriosa, che si manifesta a breve distanza dall’inizio
del trattamento, quando ancora il calo ponderale non è apprezzabile, è probabilmente dovuta
a un’azione diretta del farmaco sulle resistenze periferiche 6 8. In modelli in vitro, exenatide si è
anche mostrata capace di ridurre il danno miocardico indotto dall’ischemia 9, analogamente a
quanto osservato nell’uomo con il GLP-1 nativo 6. L’insieme di questi dati indica che exenatide
potrebbe avere un effetto favorevole sul rischio cardiovascolare anche indipendentemente dalla
riduzione della glicemia 6 8 10; naturalmente, su questo punto è inevitabile la massima cautela e
sarà necessario attendere i risultati di trial clinici di maggiori dimensioni e di più lunga durata
prima di trarre alcuna conclusione definitiva.
In base alle attuali indicazioni, exenatide può essere impiegata nel fallimento alla terapia con
metformina, sulfanilurea o entrambe. Nei pazienti che non raggiungono un adeguato controllo
con una combinazione di metformina e sulfaniluree, exenatide rappresenta un’interessante alternativa all’insulina o ai tiazolidinedioni. Rispetto all’insulina, exenatide risulta capace di produrre una analoga riduzione dell’emoglobina glicata con minor rischio di ipoglicemia e riducendo il
peso corporeo; rispetto ai tiazolidinedioni, con una simile efficacia ipoglicemizzante, exenatide
non provoca ritenzione idrica e induce dimagrimento, anziché aumento ponderale.
Un’ulteriore occasione di impiego per exenatide è rappresentata dal fallimento alla monoterapia con metformina; in questo caso, le alternative sono rappresentate da sulfaniluree, glinidi,
tiazolidinedioni o inibitori della DPP-4. Rispetto alle sulfaniluree, exenatide ha simile efficacia
sull’emoglobina glicata, con effetto maggiore sull’iperglicemia post-prandiale; non determina
ipoglicemie, riduce il peso anziché aumentarlo e ha, probabilmente, un profilo di azione più favorevole sul piano cardiovascolare. Per i tiazolidinedioni, valgono le considerazioni sopra riportate,
mentre per il confronto con gli inibitori della DPP-4 si rimanda ai paragrafi successivi. Vantaggi e
svantaggi di exenatide rispetto ai principali farmaci alternativi sono riportati nella Tabella II.
Gli incretino-mimetici: oltre l’exenatide
Exenatide, pur essendo resistente all’azione della DPP-4 rispetto al GLP-1 umano, ha comunque
un’emivita relativamente limitata, nell’ordine di 30-60 minuti. Somministrando il farmaco poco
prima di un pasto principale, ciò è sufficiente a garantire una buona copertura nella fase postprandiale, ma non a fornire un effetto costante nel corso della giornata con due sole somministrazioni giornaliere. La ricerca farmacologica si è quindi indirizzata a identificare formulazioni di
incretino-mimetici dotate di maggior durata d’azione. Due sono le possibili strategie: sviluppare
agonisti del recettore del GLP-1 alternativi all’exenatide, e dotati di una cinetica più favorevole,
oppure ricercare formulazioni di exenatide ad assorbimento protratto.
Liraglutide
La ricerca di altri agonisti recettoriali del GLP-1 ha condotto all’identificazione della liraglutide, che è ormai nelle fasi conclusive del suo sviluppo clinico e che sarà presto disponibile
in commercio. Liraglutide è una molecola sintetica, che non esiste in natura; si tratta di un
peptide con un elevato grado di omologia con il GLP-1 umano (Fig. 3). Essendo assai più vicina all’ormone naturale dell’uomo rispetto all’exenatide, liraglutide risulta meno immunogena
e non sembra indurre la sintesi di anticorpi, neppure dopo somministrazione protratta 11. La
principale differenza, rispetto all’exenatide, è però rappresentata dalla cinetica più favorevole:
grazie a una emivita di 10-14 ore dopo somministrazione sottocutanea nell’uomo, liraglutide
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
35
E. Mannucci
Tabella II. Confronto tra exenatide e possibili farmaci alternativi.
In associazione a metformina e sulfaniluree, nel fallimento alla terapia combinata
Farmaco alternativo
Vantaggio exenatide
Vantaggio alternativo
Equivalenza
Insulina
Glicemia post-prandiale*
Peso corporeo
Non ipoglicemie
Glicemia a digiuno*
Costo
Efficacia su HbA1c
Via di somministrazione
Tiazolidinedioni
Glicemia post-prandiale
Peso corporeo
Non ritenzione idrica
Via di somministrazione
Effetto su insulino-resistenza
Efficacia su HbA1c
* Rispetto a analogo lento o NPH serale.
In associazione a metformina, nel fallimento alla monoterapia
Farmaco alternativo
Vantaggio exenatide
Vantaggio alternativo
Equivalenza
Sulfaniluree
Glicemia post-prandiale
Peso corporeo
Non ipoglicemie
Profilo cardiovascolare
Glicemia a digiuno
Via di somministrazione
Costo
Efficacia su HbA1c
Glinidi
Peso corporeo
Non ipoglicemie
Profilo cardiovascolare
Via di somministrazione
Costo
Efficacia su HbA1c
Tiazolidinedioni
Glicemia post-prandiale
Peso corporeo
Non ritenzione idrica
Via di somministrazione
Effetto su insulino-resistenza
Efficacia su HbA1c
Acarbose
Peso corporeo
Rimborsabilità
Via di somministrazione
Costo
Efficacia su HbA1c
Inibitori DPP-4
Peso corporeo
Via di somministrazione
Tollerabilità gastrica
Costo
Efficacia su HbA1c
* Rispetto ad analogo lento o NPH serale.
Figura 3. Struttura chimica di liraglutide, confrontata con GLP-1.
La freccia indica il sito di azione della DPP-4 (da Drucker e Nauck, 2006, mod.) 4.
36
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici
è adatta alla monosomministrazione giornaliera. Alcuni dei primi trial condotti con liraglutide
sono stati effettuati con dosaggi (0,6-1,2 mg/die) sottomassimali; negli studi più recenti,
con dosi adeguate (1,2-1,9 mg/die) l’efficacia della liraglutide appare almeno pari a quella
dell’exenatide 12, pur in assenza di studi diretti di confronto. Anche il profilo di tollerabilità è
sovrapponibile all’exenatide, così come l’effetto sul peso corporeo 11 12. Sebbene la prima
indicazione prevista per la liraglutide sia il diabete mellito di tipo 2, è in corso un programma
di sviluppo clinico volto a ottenere anche l’indicazione per il trattamento dell’obesità non
complicata da diabete.
Exenatide Long-Acting Release (LAR)
La formulazione long-acting release (LAR) di exenatide consente un assorbimento assai rallentato del farmaco dopo iniezione sottocutanea, tanto da consentire la somministrazione una
volta alla settimana. Rispetto alla formulazione di exenatide attualmente disponibile, LAR mostra
un’efficacia probabilmente superiore, con un simile profilo di tollerabilità 13. Exenatide LAR, che
non sarà disponibile prima di 2-3 anni, è attualmente in sviluppo sia per la cura del diabete di
tipo 2, sia dell’obesità non complicata da diabete.
Gli inibitori della DPP-4: sitagliptin e vildagliptin
La dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4) è un enzima espresso da numerosi tipi cellulari, presente nel
plasma circolante e ampiamente rappresentato alla superficie delle cellule endoteliali. Questo
Figura 4. Meccanismo d’azione degli inibitori della DPP-4.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
37
E. Mannucci
enzima è il principale responsabile della rapida inattivazione del GLP-1 e del GIP, che ne spiega
la brevissima emivita. Nei pazienti diabetici l’esposizione all’iperglicemia cronica determina un
aumento dell’espressione e dell’attività plasmatica della DPP-4 14 15, che contribuisce alla riduzione delle concentrazioni post-prandiali del GLP-1 16 17.
La DPP-4 costituisce un interessante target per la terapia farmacologica del diabete mellito di
tipo 2. Gli inibitori dell’enzima, infatti, determinano un rallentamento dell’inattivazione, e quindi
un aumento delle concentrazioni circolanti, di GLP-1 e GIP di origine endogena. Ciò provoca,
come conseguenza, un incremento della secrezione di insulina e una maggior soppressione della secrezione di glucagone nella fase post-prandiale. Rispetto agli agonisti recettoriali del GLP-1,
gli inibitori della DPP-4 sembrano determinare un effetto meno marcato sulla secrezione di insulina e più pronunciato su quella di glucagone. Peraltro, anche con gli inibitori della DPP-4, come
per i farmaci incretino-mimetici, l’azione sulla secrezione di insulina e glucagone è strettamente
glucosio-dipendente: essa cioè si manifesta pienamente solo quando la glicemia è elevata e
tende a scomparire quando la glicemia è ai limiti inferiori della norma. Per tale motivo, gli inibitori
della DPP-4 riducono l’iperglicemia senza rilevante rischio di ipoglicemia 3 4 a meno che non
vengano combinati con sulfaniluree o insulina; inoltre, questi farmaci non sembrano interferire
in maniera rilevante con la risposta controregolatoria all’ipoglicemia 4. Analogamente ai farmaci
incretino-mimetici, anche gli inibitori della DPP-4 hanno mostrato un effetto di stimolazione della
neoformazione e inibizione dell’apoptosi a livello delle isole pancreatiche, aumentando la massa
e la funzione beta-cellulare in modelli animali in vivo; mancano però ancora conferme della
rilevanza terapeutica di tale azione nell’uomo.
I primi due inibitori della DPP-4, sitagliptin e vildagliptin (Fig. 5), sono già disponibili in commercio. Su queste due molecole è già stata pubblicata una mole considerevole di studi clinici,
riassunti nelle Tabelle III e IV. Altri farmaci della stessa classe (saxagliptin, danagliptin e alogliptin) sono in fase di sviluppo clinico. Sul piano dell’efficacia ipoglicemizzante, sitaglitpin e
vildagliptin riducono l’emoglobina glicata rispetto al placebo; negli studi diretti di confronto,
essi mostrano un’efficacia simile o lievemente inferiore a quella degli altri farmaci disponibili in
monoterapia (metformina, sulfaniluree o tiazolidinedioni). Per contro, negli studi di combinazione
con la metformina, gli inibitori della DPP-4 determinano una riduzione dell’emoglobina glicata
della stessa entità di quella osservata in monoterapia; questo è un comportamento diverso da
quello di sulfaniluree e tiazolidinedioni, che, quando vengono aggiunti alla metformina, riducono
l’emoglobina glicata in misura minore che in monoterapia 18. In effetti, nei trial diretti di confronto, quando vengono associati alla metformina, gli inibitori della DPP-4 hanno un’efficacia
Figura 5. Struttura chimica di sitagliptin e vildagliptin.
38
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici
Tabella III. Studi clinici con sitagliptin. Principali studi clinici pubblicati, di durata superiore a 12 settimane.
Viene riportata la differenza tra i gruppi di trattamento nei valori di emoglobina glicata a termine dello studio.
Studio
Durata
(sett.)
Confronto
con
Combinazione
con
N.
pazienti
Differenza
HbA1c (%)
Raz et al., 2006
18
Placebo
-
521
-0,5*
Aschner et al., 2006
24
Placebo
-
741
-0,9*
Scott et al., 2007
12
Placebo
-
720
-0,6*
Hanefeld et al., 2007
12
Placebo
-
555
-0,4*
Goldstein et al., 2007
24
Placebo
-
355
-0,7*
Nonaka et al., 2008
12
Placebo
-
151
-1,2*
Scott et al., 2007
12
Glipizide
-
718
+0,4
Charbonnel et al., 2006
24
Placebo
Metformina
635
-0,6*
Goldstein et al., 2007
52
Placebo
Metformina
736
-0,7*
Scott et al., 2008
18
Placebo
Metformina
186
-0,5*
Raz et al., 2008
30
Placebo
Metformina
190
-0,8*
Nauck et al., 2007
52
Glipizide
Metformina
1135
+0,2
Scott et al., 2008
18
Rosiglitazone
Metformina
181
+0,1
Rosenstock et al., 2006
24
Placebo
Pioglitazone
353
-0,6*
Hermansen et al., 2007
24
Placebo
Glimepiride
(± metformina)
441
-0,8*
* Differenze statisticamente significative.
sull’emoglobina glicata sovrapponibile a sulfaniluree e tiazolidinedioni. Rispetto a tali farmaci,
sitagliptin e vildagliptin hanno comunque un diverso profilo d’azione ipoglicemizzante, in quanto
sono maggiormente attivi sulla glicemia post-prandiale e lievemente meno attivi sulla glicemia a
digiuno – come era prevedibile anche sulla base del meccanismo d’azione.
Gli inibitori della DPP-4 si distinguono assai marcatamente dagli altri farmaci ipoglicemizzanti
disponibili per il profilo di tollerabilità. Infatti, questi farmaci non provocano ipoglicemia (a meno
che non siano associati a sulfaniluree), non inducono aumento di peso e non determinano
ritenzione idrica. Contrariamente agli incretino-mimetici, non provocano neppure alcun effetto
collaterale a livello gastrointestinale. L’unico evento avverso osservato, comunque infrequente, è
rappresentato da rinofaringiti, lievi e non tali da determinare sospensione del trattamento; inoltre, si è rilevato un trend verso l’incremento del rischio di infezioni urinarie (cistiti), anche queste
di grado lieve 3. Per il solo vildagliptin, la somministrazione a dosi superiori a quelle raccomandate in terapia potrebbe determinare, in casi rari, un modesto aumento delle transaminasi.
Gli studi clinici disponibili, numerosi e di dimensioni relativamente ampie, hanno fugato completamente alcuni dubbi sulla sicurezza d’impiego degli inibitori della DPP-4, che erano stati avanzati in precedenza sulla base di considerazioni teoriche riguardo al loro meccanismo d’azione.
In particolare, la DPP-4 riconosce vari altri substrati (tra i quali il neuro peptide Y, il peptide YY, la
sostanza P e altri ancora), alcuni dei quali dotati di importanti effetti biologici a livello del sistema cardiocircolatorio e gastroenterico; peraltro, l’enzima ha un ruolo rilevante nel determinare
l’inattivazione di GLP-1 e GIP, ma non di tali altri peptidi. In effetti, non sono stati riscontrati eventi
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
39
E. Mannucci
Tabella IV. Studi clinici con vildagliptin. Principali studi clinici pubblicati, di durata superiore a 12 settimane.
Viene riportata la differenza tra i gruppi di trattamento nei valori emoglobina glicata a termine dello studio.
Studio
Ristic et al., 2005
Durata
(sett.)
Confronto
con
Combinazione
con
N.
pazienti
Differenza
HbA1c (%)
12
Placebo
-
279
-0,5*
Pratley et al., 2006
12
Placebo
-
98
-0,7*
Dejager et al., 2007
18
Placebo
-
632
-0,5*
Pi-Sunyer et al., 2007
24
Placebo
-
354
-0,7*
Scherbaum et al., 2008
52
Placebo
-
128
-0,9*
Mari et al., 2008
52
Placebo
-
306
-0,4*
Scherbaum et al., 2008
52
Placebo
-
306
-0,5*
Pan et al., 2���
008
24
Acarbose
-
660
-0,1
Schweizer et al., 2007
52
Metformina
-
780
+0,4*
Rosenstock et al., 2007
24
Rosiglitazone
-
697
+0,2
Rosenstock et al., 2007
24
Pioglitazone
-
366
0,0
Ahren et a��������
l., 2005
12
Placebo
Metformina
107
-0,7*
Bosi et al., 2007
24
Placebo
Metformina
520
-0,9*
Bolli et al., 2008
24
Pioglitazone
Metformina
575
0,0
Rosenstock et al., 2007
24
Placebo
Pioglitazone
453
-0,3*
Garber et al., 2007
24
Placebo
Pioglitazone
398
-0,5*
Rosenstock et al., 2008
16
Placebo
Glimepiride
408
-0,7*
Fonseca et al., 2007
24
Placebo
Insulina
296
-0,3*
* Differenze statisticamente significative.
avversi di alcun tipo attribuibili all’azione della DPP-4 su peptidi diversi dalle incretine. Un’ulteriore preoccupazione era rappresentata dal fatto che la DPP-4, indicata anche con il nome
CD26, è espressa alla superficie di cellule immunocompetenti ed è coinvolta nell’interazione tra
macrofagi e linfociti T attivati. D’altro canto, la parte di molecola coinvolta nei processi immuni
è diversa da quella dotata di attività peptidasica, che è sito d’azione dei farmaci; gli studi clinici
hanno confermato che sitagliptin non interferisce in alcun modo con la funzione immunitaria.
Riguardo all’effetto sul peso corporeo, gli inibitori della DPP-4 non determinano riduzione ponderale, differenziandosi in questo dagli incretino-mimetici 3; peraltro, essi non provocano neppure aumento di peso, al contrario della maggior parte degli agenti ipoglicemizzanti attualmente
disponibili. Anche sul piano del quadro lipidico, il loro profilo appare essere pressoché neutro,
mentre per la pressione arteriosa si potrebbe osservare addirittura una lieve riduzione. Il trattamento con inibitori della DPP-4, quindi, consente di ottenere un miglioramento del compenso
glicemico senza effetti negativi su altri fattori di rischio cardiovascolare.
Riguardo all’uso clinico, gli inibitori della DPP-4 potrebbero, in teoria, essere impiegati anche in
monoterapia. Le evidenze disponibili indicano però che, in questo impiego, essi potrebbero essere
meno efficaci sull’emoglobina glicata rispetto alla metformina 19. Sebbene sitagliptin e vildagliptin
mostrino un maggior effetto sull’iperglicemia postprandiale e una migliore tollerabilità gastrointe40
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici
stinale, la metformina ha a proprio vantaggio, oltre alla probabile maggiore efficacia sull’emoglobina glicata, il basso costo e l’azione complessivamente favorevole sul rischio cardiovascolare.
Per tali ragioni, non esistono motivi per ritenere che gli inibitori della DPP-4 possano sostituire la
metformina come farmaco di prima scelta, in monoterapia, per il diabete di tipo 2.
Il campo di elezione per gli inibitori della DPP-4 sembra essere, piuttosto, quello del fallimento
della monoterapia con metformina. I trial disponibili indicano che gli inibitori della DPP-4, somministrati in combinazione con la metformina, producono una riduzione di emoglobina glicata,
rispetto al placebo, sovrapponibile a quella che si osserva in monoterapia 3. Altri farmaci utilizzati
nella terapia del diabete di tipo 2, come le sulfaniluree e i tiazolidinedioni, riducono l’emoglobina
glicata in misura maggiore quando sono somministrati in monoterapia rispetto a quando sono
impiegati in associazione alla metformina 18. Gli studi di confronto con farmaci attivi, sempre in
combinazione con metformina, non sono molto numerosi, ma indicano comunque chiaramente
che, nella terapia di associazione, gli inibitori della DPP-4 sono complessivamente efficaci almeno quanto le sulfaniluree e i tiazolidinedioni. Ovviamente, il loro profilo d’azione è parzialmente
diverso: rispetto ad altri farmaci, sitagliptin e vildagliptin producono una maggior riduzione della
glicemia post-prandiale e sono relativamente meno efficaci sulla glicemia a digiuno, avendo
come risultante un effetto sovrapponibile sull’emoglobina glicata.
Le altre possibili combinazioni tra inibitori della DPP-4 e altri farmaci ipoglicemizzanti sono state,
a oggi, meno studiate. Alcuni trial mostrano che sitagliptin e vildagliptin sono efficaci anche in
combinazione con i tiazolidinedioni. Sebbene l’associazione possa sembrare meno razionale, gli
inibitori della DPP-4 riducono l’emoglobina glicata anche in associazione alle sulfaniluree. Infine,
i dati disponibili sulla tripla combinazione di metformina, sulfaniluree e inibitori della DPP-4 sono
a oggi insufficienti per poter formulare un giudizio compiuto, per cui le autorità regolatorie non
hanno, al momento, ancora approvato questo impiego di sitagliptin e vildagliptin.
Un unico trial ha esplorato la possibilità di combinare gli inibitori della DPP-4 con l’insulina nel
diabete di tipo 2. In questo particolare contesto, l’aggiunta del farmaco orale riduce lievemente
l’emoglobina glicata e, al tempo stesso, determina una riduzione significativa del rischio di ipoglicemie 20. Il meccanismo responsabile per la riduzione del rischio ipoglicemico è ancora ignoto.
Sebbene le evidenze disponibili non siano ancora sufficienti per inserire la terapia combinata
con insulina tra le indicazioni degli inibitori della DPP-4, ulteriori studi potrebbero estendere
anche a questo ambito l’impiego di sitagliptin e vildagliptin nel futuro.
L’uso clinico degli inibitori della DPP-4
Gli inibitori della DPP-4 trovano il loro campo principale di impiego in terapia combinata, nei pazienti che falliscono alla monoterapia con metformina. Le opzioni terapeutiche disponibili, in questi
soggetti, sono molteplici e comprendono le sulfaniluree, le glinidi, i tiazolidinedioni, l’acarbose, gli
incretino-mimetici e l’insulina. Rispetto a ciascuna di queste classi di farmaci, gli inibitori della DPP4 presentano vantaggi e svantaggi, che sono riassunti nella Tabella V. Rispetto alle sulfaniluree, che
sono a oggi i farmaci più spesso impiegati nel trattamento del fallimento alla monoterapia con
metformina, gli inibitori della DPP-4 vantano, a parità di efficacia sull’emoglobina glicata, un profilo
di tollerabilità decisamente superiore, con un rischio ipoglicemico virtualmente assente e nessun
aumento di peso. Inoltre, essi mostrano un effetto più marcato sulla glicemia post-prandiale, compensato da una minore azione sulla glicemia a digiuno. Nei pazienti che, trattati con metformina a
piena dose, non raggiungono gli obiettivi di emoglobina glicata a causa di persistenti iperglicemie
post-prandiali, gli inibitori della DPP-4 rappresentano una scelta particolarmente razionale.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
41
E. Mannucci
Tabella V. Confronto tra inibitori della DPP-4 e possibili farmaci alternativi.
In associazione a metformina, nel fallimento alla monoterapia
Farmaco alternativo
Vantaggio Inibitore
DPP-4
Vantaggio alternativo
Equivalenza
Sulfaniluree
Glicemia post-prandiale
Non aumento di peso
Non ipoglicemie
Profilo cardiovascolare
Glicemia a digiuno
Costo
Efficacia su HbA1c
Glinidi
Non aumento di peso
Non ipoglicemie
Profilo cardiovascolare
Costo
Efficacia su HbA1c
Tiazolidinedioni
Glicemia post-prandiale
Non aumento di peso
Non ritenzione idrica
Effetto su insulino-resistenza
Efficacia su HbA1c
Acarbose
Tollerabilità intestinale
Rimborsabilità
Costo
Efficacia su HbA1c
Incretino-mimetici
Via di somministrazione
Tollerabilità gastrica
Costo
Peso corporeo
Efficacia su HbA1c
* Rispetto ad analogo lento o NPH serale.
Un controllo efficace della glicemia post-prandiale può essere ottenuto, in molti casi, anche
con le glinidi (repaglinide) o con gli inibitori della alfa-glucosidasi (acarbose). Rispetto a questi
farmaci, però, gli inibitori della DPP-4 mostrano notevoli vantaggi in termini di tollerabilità: non
provocano i disturbi gastrointestinali caratteristici dell’acarbose e non inducono rischio di ipoglicemie e aumento di peso come le glinidi. La sicurezza sul piano delle ipoglicemie rappresenta un vantaggio notevole soprattutto nei pazienti più compromessi, con complicanze, malattie
associate o più anziani, nei quali un episodio di eccessiva riduzione della glicemia può avere
conseguenze più gravi sullo stato complessivo di salute. Tra gli altri possibili farmaci alternativi,
i tiazolidinedioni, che agiscono sulla resistenza insulinica, sono maggiormente attivi sulla glicemia a digiuno e meno efficaci sull’iperglicemia post-prandiale; inoltre, essi hanno un profilo di
tollerabilità meno favorevole (a causa dell’aumento di peso e della ritenzione idrica) e possono
essere somministrati soltanto nei pazienti con normale funzione cardiaca.
Benché agiscano sugli stessi sistemi fisiologici di regolazione del metabolismo glicidico, gli
inibitori della DPP-4 e gli agonisti del recettore del GLP-1 (incretino-mimetici) hanno un profilo
clinico nettamente differenziato tra loro. Le principali differenze sono rappresentate dalla via di
somministrazione (orale per gli inibitori della DPP-4, iniettiva per gli incretino-mimetici), dal diverso profilo di tollerabilità (gli incretino-mimetici inducono in maniera dose-dipendente nausea
e vomito, che non sono presenti con gli inibitori della DPP-4) e dal diverso effetto sul peso corporeo (ridotto in maniera considerevole dal trattamento con incretino-mimetici e non modificato
dagli inibitori della DPP-4). Queste diversità sono probabilmente dovute al fatto che i farmaci
incretino-mimetici inducono una stimolazione ampiamente sovra-fisiologica del recettore del
GLP-1, senza interferire con altri sistemi endocrini. Gli inibitori della DPP-4, invece, determinano
soltanto un moderato aumento dei livelli circolanti di GLP-1, cui si associa un analogo incremento del GIP; è verosimile che un tale livello di attivazione del sistema delle incretine non sia
42
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Gli inibitori della DPP-4 e gli incretino-mimetici
sufficiente a determinare una potente azione anoressizzante, né a rallentare lo svuotamento
gastrico tanto da provocare disturbi soggettivi (nausea). Oltre a ciò, occorre tenere presente la
differenza di costo (decisamente superiore per gli incretino-mimetici). Tenendo conto di questi
elementi, gli agonisti del recettore per il GLP-1 (exenatide e, in futuro, liraglutide) appaiono
essere interessanti, nel fallimento alla monoterapia con metformina, soprattutto nei pazienti
più obesi, mentre gli inibitori della DPP-4 sembrano essere una scelta preferibile per i pazienti
relativamente più magri o che mostrano maggiori difficoltà nell’accettazione e nell’esecuzione
di una terapia iniettiva.
Riguardo alle differenze tra sitagliptin e vildagliptin, esse sembrano essere abbastanza modeste.
L’efficacia e la tollerabilità, infatti, risultano pressoché sovrapponibili. Purtroppo, non sono disponibili, al momento attuale, studi di confronto diretto; ogni considerazione comparativa deve essere
formulata, quindi, accostando i risultati degli studi condotti con ciascuna delle due molecole, che
differiscono tra loro per disegno e per caratteristiche dei campioni di pazienti studiati. Sul piano
farmacologico, è stato affermato che sitagliptin ha una maggiore selettività per la DPP-4 rispetto a
vildagliptin; tale differenza non si traduce però in una differenza di tollerabilità (ottima per ambedue
i farmaci). Al contrario, l’unica piccola divergenza riguarda l’incidenza di rinofaringiti, lievemente
aumentata con sitagliptin e apparentemente immodificata con vildagliptin. Per contro, con vildagliptin è stato osservato, in rari casi, un aumento delle transaminasi, ma soltanto a dosi superiori
di quelle utilizzate in terapia. Queste piccole sfumature non sembrano tali da influire sulla scelta
dell’uno o dell’altro farmaco. La principale differenza è quella cinetica: l’emivita di vildagliptin, più
breve, richiede comunque la doppia somministrazione giornaliera, mentre sitagliptin, che ha una
maggior durata d’azione, può essere somministrato anche una sola volta al giorno.
Le indicazioni di sitagliptin e vildagliptin, con alcune piccole differenziazioni che dipendono dalla
disponibilità di studi clinici per ciascuna delle due molecole nei dossier registrativi, comprendono anche la terapia associata a sulfaniluree o a tiazolidinedioni, oppure la monoterapia nei
pazienti con controindicazioni o intolleranza alla metformina. Si tratta, comunque, di indicazioni
relativamente limitate; inoltre, occorre ricordare che, mentre l’associazione con tiazolidinedioni
appare pienamente razionale, quella con sulfaniluree (che stimolano comunque la secrezione
insulinica, anche se con un meccanismo diverso) non sembra altrettanto logica, pur essendo
sostenuta da alcuni studi clinici. Per quanto riguarda la monoterapia, è comunque necessario
ricordare che l’efficacia degli inibitori della DPP-4, quando non vengono combinati ad altri farmaci, è limitata. Il futuro ci porterà, probabilmente, nuove indicazioni per gli inibitori della DPP-4,
quali la tripla terapia (in combinazione con sulfaniluree e metformina), per la quale sono in corso
vari studi clinici, e la terapia associata all’insulina. Peraltro, occorre ricordare che l’efficacia degli
inibitori della DPP-4 è maggiore in presenza di una cospicua funzione beta-cellulare residua;
l’impiego di questi farmaci, quindi, dovrebbe essere promosso soprattutto in fasi relativamente
precoci della malattia diabetica.
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
Domande e risposte sulle incretine
(dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico)
Carla Origlia, Carlo B. Giorda
Servizio di Malattie Metaboliche e Diabetologia, ASL TORINO 5
Qual è la storia delle incretine?
L’inizio della storia delle incretine risale al secolo scorso, precisamente al 1902, quando Bayliss
e Starling identificarono per la prima volta l’esistenza di un fattore chimico circolante, estratto
dalla mucosa intestinale, capace di stimolare la secrezione esocrina del pancreas. Fu una scoperta importante, che introdusse, a opera proprio di Starling, il concetto di “ormone”, ovvero di
una sostanza capace di influenzare a distanza, tramite il torrente circolatorio, un organo diverso
da quello che lo ha prodotto. Più tardi, nel 1906 Starling, sulla base di alcune osservazioni che
riportavano una riduzione della glicosuria, dopo somministrazione di estratti di mucosa duodenale a pazienti diabetici, ipotizzò l’esistenza di fattori ormonali prodotti dalla mucosa intestinale,
in grado di influenzare anche la secrezione endocrina del pancreas. Nel 1930 La Barre e Still
purificarono un fattore intestinale, capace di stimolare in modo selettivo la secrezione endocrina
pancreatica, senza influenzare quella esocrina. A tale fattore, capace di indurre ipoglicemia,
senza modificare le secrezioni esocrine del pancreas, La Barre nel 1932 diede il nome di “incretina”. Solo negli anni ’60, dopo l’introduzione delle tecniche di dosaggio radioimmunometriche
dell’insulina, e precisamente nel 1964, Elrick e McIntyre osservarono che la risposta insulinemica ottenuta da un carico orale di glucosio era maggiore di quella ottenuta con infusione
endovenosa di glucosio, a parità di livelli glicemici plasmatici raggiunti. Tale osservazione portò
a ipotizzare che una parte della risposta insulinemica al glucosio dovesse essere indotta da uno
o più ormoni sintetizzati nel tratto gastrointestinale, in risposta all’ingestione del glucosio stesso.
Vennero successivamente isolati e studiati numerosi peptidi gastrointestinali, ma gli unici che
risultarono avere i requisiti per essere definiti “incretine” furono l’insulinotropic polypeptide (GIP),
isolato per la prima volta nel 1970 e il glucagon-like-peptide-1 (GLP-1), isolato nel 1985.
Cosa sono di preciso le incretine?
Le incretine sono ormoni secreti da cellule del tratto gastrointestinale in risposta all’introito di
nutrienti, in particolare carboidrati. Stimolano la secrezione insulinica alle concentrazioni che
fisiologicamente sono presenti dopo l’ingestione di cibo, in modo glucosio-dipendente, ovvero
incrementano la secrezione di insulina solo in presenza di elevati livelli glicemici. Le due principali incretine che soddisfano pienamente ai suddetti requisiti sono il GLP-1 e il GIP.
Cosa sappiamo del GLP-1?
Il GLP-1 è un prodotto del gene del glucagone ed è secreto dalle cellule L a livello dell’ileo distale e del colon. In questa sede infatti il pro-glucagone subisce un diverso processi di clivaggio,
dando origine, anziché al glucagone, come nel pancreas, a due peptidi, il GLP-1 e il GLP-2,
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
45
C. Origlia, C.B. Giorda
simili per il 50% al glucagone in sequenza aminoacidica. Il GLP-2 è un fattore di crescita della
mucosa intestinale, mentre il GLP-1 è un importante regolatore del metabolismo glucidico. Dopo
l’assunzione di cibo, GLP-1 viene secreto in modo bifasico: un primo aumento dei suoi livelli è
precoce (circa 10-15 min dall’ingestione degli alimenti), un secondo è invece tardivo (circa 3060 min dall’inizio del pasto). È verosimile che il secondo picco, essendo più tardivo, sia mediato
dal contatto dei nutrienti con le cellule L, che si trovano distalmente nel tratto gastrointestinale.
Il primo picco invece, estremamente precoce, e che probabilmente è responsabile della prima
fase secretoria dell’insulina, pare essere mediato da meccanismi neuro-ormonali acetilcolinomediati o forse indotti dal GIP. GLP-1 è uno dei più potenti insulino-segretagoghi. Quando GLP-1
lega il suo recettore transmembrana, tramite una G-proteina viene attivata l’adenilato-ciclasi con
successiva formazione di adenosina-monofosfato-ciclico (cAMP). Ne segue l’attivazione della proteina chinasi A, che porta, come evento finale, all’esocitosi dei granuli di insulina. GLP-1 non si
limita a stimolare la secrezione insulinica e ad aumentarne la trascrizione genica, ma up-regola
anche i geni della glucochinasi e del GLUT-2. Negli animali poi è stato dimostrato che GLP-1
ha effetti trofici sulle beta-cellule, ne stimola la proliferazione, aumenta la differenziazione cellulare delle nuove beta-cellule a partire dalle progenitrici e inibisce l’apoptosi beta-cellulare. Il
GLP-1 inibisce anche la secrezione di glucagone in modo glucosio-dipendente, riducendo così
la produzione epatica di glucosio, ma senza interferire con il meccanismo controregolatore del
glucagone, in caso di ipoglicemia. Rallenta lo svuotamento gastrico, verosimilmente tramite
l’inattivazione dell’attività vagale, portando a un rallentamento dell’assorbimento del glucosio.
Infine a livello del SNC si comporta da regolatore del senso di sazietà, inibendo l’ingestione di
cibo, con conseguente effetto dimagrante.
E del GIP?
Il GIP è un peptide di 42 aminoacidi, secreto dalle cellule K, situate a livello del duodeno e
del digiuno prossimale. Le cellule K, al contatto degli alimenti (soprattutto carboidrati e lipidi),
rilasciano GIP, in quantità proporzionale alla quantità di nutrienti assorbiti. In caso dunque di
malassorbimento o in presenza di farmaci che interferiscono con l’assorbimento intestinale, la
produzione di GIP è ridotta. Il GIP inibisce la secrezione gastrica, stimola la secrezione insulinica
in modo glucosio-dipendente, induce la proliferazione beta-cellulare e ne inibisce l’apoptosi.
Dove agiscono e quanto durano?
Entrambe le incretine hanno emivita molto breve: 1-2 minuti per il GLP-1 e circa 4 minuti per il
GIP. Infatti l’enzima dipeptidil-peptidasi-4 (DPP-4), presente sia sulla membrana plasmatica di
molti organi sia nel plasma, provvede alla loro rapida inattivazione. Entrambe legano recettori
transmembrana accoppiati a proteine G. La distribuzione dei recettori del GLP-1 e del GIP è
ampia. Sono presenti recettori per il GLP-1 a livello delle cellule pancreatiche β e δ, nel tratto
gastrointestinale, nel cuore, nei polmoni, nel cervello. Quelli del GIP si trovano a livello delle
cellule pancreatiche α e β, nel SNC, nel tratto gastrointestinale, nei surreni, nello stomaco e
negli adipociti. Da questa estesa diffusione dei loro recettori, si comprende come tali incretine,
oltre all’effetto metabolico, posseggano altri effetti biologici a carico di organi diversi. Così ad
esempio il GIP a livello del SNC stimola la proliferazione dei precursori neuronali, mentre il GLP-1
esercita un controllo sul senso della fame, portando a una riduzione dell’introito di cibo e, quindi,
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
a una perdita di peso. Il GLP-1 ha anche azioni protettive a livello miocardico, mentre il GIP
stimola la lipogenesi e possiede capacità anaboliche sull’osso.
Quali sono in sintesi le analogie e le differenze
tra GLP-1 e GIP?
Entrambi stimolano la secrezione insulinica in modo glucosio-dipendente, potenziano la risposta
beta-cellulare al glucosio, inducono la proliferazione delle beta-cellule e ne inibiscono l’apoptosi,
inibiscono la secrezione acida gastrica.
Il GLP-1, ma non il GIP, inibisce la secrezione di glucagone, verosimilmente stimolando la secrezione di somatostatina; inibisce lo svuotamento gastrico; presenta un effetto centrale anoressizzante, inducendo senso di sazietà; presenta effetti cardioprotettivi post-ischemici. Dunque il
GLP-1, ma non il GIP, agisce sull’omeostasi glicidica anche inibendo la gluconeogenesi epatica,
stimolando la glicogeno-sintesi muscolare e rallentando l’assorbimento dello zucchero a livello
gastrointestinale.
Il GIP, ma non il GLP-1, possiede attività lipogenica e proprietà anaboliche sull’osso.
Nel paziente diabetico i livelli di GLP-1, ma non di GIP, sono ridotti.
Cosa avviene al sistema incretinico nel paziente
diabetico?
Nel diabete mellito la risposta insulinemica allo stimolo del pasto risulta inferiore. È ben noto
che una delle prime alterazioni che si determinano nel diabete è la perdita del picco precoce
di secrezione insulinica, in risposta al pasto, con la conseguenza dell’aumento delle glicemie
post-prandiali. È stato osservato che nei pazienti diabetici i livelli post-prandiali di GLP-1 sono
inferiori rispetto ai soggetti sani, ma l’effetto insulinotropico è conservato. Invece le concentrazioni plasmatiche di GIP nel diabetico sono normali, ma è ridotto l’effetto insulinotropico. Questa
caratteristica, unita alle altre proprietà possedute dal GLP-1 e non dal GIP, in particolare la
capacità di inibire il glucagone, di ridurre lo svuotamento gastrico, di indurre senso di sazietà,
ha suggerito di proporre ai pazienti diabetici un trattamento con GLP-1, al fine di ripristinare
la prima fase secretoria insulinica. È stato infatti osservato che una somministrazione per via
infusionale continua di GLP-1 nel soggetto diabetico è in grado di incrementare la secrezione
insulinica, normalizzando la glicemia a digiuno e post-prandiale. Tale proprietà non è posseduta
dal GIP.
Quali ipotesi si possono fare sul ruolo
patogenetico delle incretine nel diabete?
È interessante il fatto che i parenti di primo grado dei pazienti diabetici posseggano normali livelli
di GLP-1, ma una compromissione dell’effetto insulinotropico del GIP. Tali dati suggeriscono che
il difetto secretorio del GLP-1 nel paziente diabetico non sia primario, ma secondario all’alterazione del metabolismo glicidico. Diversamente è possibile che nei pazienti diabetici esista un
difetto genetico di resistenza all’azione del GIP, forse legato a difetti recettoriali o post-recettoriali. Sulla base di tali considerazioni, da un punto di vista fisiopatologico, sembrerebbe dunque
che la compromissione della prima fase di secrezione insulinica possa essere spiegata con una
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
47
C. Origlia, C.B. Giorda
ridotta secrezione e/o una resistenza incretinica. Un trattamento con incretine si pone pertanto
come una vera e propria “terapia ormonale sostitutiva”, con il fine di ripristinare i fisiologici livelli
ormonali presenti nei soggetti normali.
Quali sono i limiti degli ipoglicemizzanti finora
utilizzati e le ragioni che spingono alla ricerca
di nuove terapie?
Il diabete mellito tipo 2 è caratterizzato da una molteplicità di difetti metabolici: l’insulino-resistenza, la compromissione della secrezione beta-cellulare, che è già significativa al momento
della diagnosi, l’iperglucagonemia post-prandiale e l’obesità. Le terapie ipoglicemizzanti a disposizione non sono in grado di correggere contemporaneamente tutti questi difetti. Un ulteriore
problema deriva dal fatto che tutte le terapie ipoglicemizzanti, a eccezione della metformina,
determinano un aumento ponderale. Viene dunque in soccorso una nuova classe di farmaci, gli
incretino-mimetici, che agiscono potenziando le azioni dell’incretina GLP-1, ormone che agisce
contemporaneamente sui diversi difetti metabolici che caratterizzano il diabete mellito.
Quali sono gli attuali approcci terapeutici basati
sul GLP-1 per migliorare il controllo glicemico?
Il principale limite di una terapia con GLP-1 è la breve emivita dell’ormone, che è di circa 2
minuti. Infatti viene velocemente degradato dalla DPP-4 e per poterlo utilizzare come farmaco
occorrerebbe somministrarlo per via infusionale in modo continuo. La ricerca farmaceutica ha
superato questo limite offrendo tre approcci possibili:
• impiegare un agonista del recettore del GLP-1 (exenatide), resistente all’azione della DPP-4;
• utilizzare analoghi del GLP-1 resistenti all’azione della DPP-4, in quanto capaci di legarsi alle
proteine plasmatiche (liraglutide);
• inibire l’attività della DPP-4, prolungando l’emivita del GLP-1 endogeno (sitagliptin e vildagliptin).
Exenatide e liraglutide hanno un effetto agonista del solo GLP-1, non aumentando l’attività del
GIP, come fanno invece gli inibitori della DPP-4. Non vi sono ancora al momento i dati per comprendere se tale differenza si traduca in un vantaggio o in uno svantaggio clinico.
Come agiscono gli inibitori della DPP-4?
Sono state messe a punto diverse molecole con attività di inibizione della DPP-4, ma al momento in commercio sono disponibili il sitagliptin e il vildagliptin. Tali farmaci agiscono appunto
prolungando l’emivita del GLP-1 e del GIP endogeni, e ciò è ottenuto inibendo l’enzima deputato
alla loro rapida inattivazione, la DPP-4. Ne deriva un prolungamento dell’azione delle incretine
endogene, con un conseguente aumento della secrezione insulinica (indotta sia dal GLP-1 sia
dal GIP) e un’inibizione della produzione di glucagone glucosio-dipendente (indotta dal GLP-1).
Oltre a migliorare la funzione beta-pancreatica, gli inibitori della DPP-4 aumentano la sensibilità insulinica. Il meccanismo potrebbe essere legato alla riduzione dei valori di glucagone, in
associazione con l’aumentata azione insulinica, conseguente al miglioramento del compenso
glicemico.
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
Contrariamente a quanto avviene con il GLP-1, l’inibizione della DPP-4 non sembra interferire
con lo svuotamento gastrico e non determina una riduzione dell’appetito.
Dagli studi clinici effettuati è risultato che tali farmaci presentano una buona efficacia, in termini
di riduzione dell’HbA1c, associati a un basso di rischio di ipoglicemia, una minima incidenza di
effetti collaterali e un effetto neutro sul peso.
Gli inibitori della DPP-4 hanno anche effetti
sul metabolismo lipidico?
Nei trial clinici condotti con sitagliptin e vildagliptin sono stati osservati effetti molto modesti
o nulli sui parametri lipidici. Solo in uno studio è stato osservato che 50 mg di vildagliptin BID
sono capaci di inibire l’aumento dei trigliceridi, dopo ingestione di un pasto ad alto contenuto in
grassi. Tale dato è interessante se si considera l’impatto sul rischio cardiovascolare della lipemia
post-prandiale. Sempre con vildagliptin è stato dimostrato, in due studi di confronto con rosiglitazone e pioglitazone, un effetto di riduzione del colesterolo totale e LDL e un lieve aumento del
colesterolo HDL, rispetto al trattamento con rosiglitazone.
Quali sono i dati della letteratura in merito
agli inibitori della DPP-4?
A gennaio 2008 sono stati pubblicati 26 studi clinici controllati randomizzati, di cui 11 condotti
con sitagliptin e 15 con vildagliptin. In monoterapia contro placebo entrambe le molecole hanno
dimostrato la loro efficacia, con una riduzione media dell’HbA1c tra 0,3 e 0,9%. In monoterapia
sitagliptin ha mostrato efficacia simile a glipizide (5 mg/die con titolazione fino a 20 mg/die), e
così pure vildagliptin (50 mg BID) verso rosiglitazone (8 mg/die), mentre contro metformina (1
g BID) vildagliptin (50 mg BID) ha dimostrato di essere lievemente meno efficace (HbA1c ridotta
del 1% con vildagliptin, contro 1,4% con metformina). In associazione con altri ipoglicemizzanti
orali, quali metformina, pioglitazone, glimepiride o insulina, paragonati al placebo, sitagliptin ha
indotto una riduzione dell’HbA1c dello 0,6-0,79%, mentre vildagliptin dello 0,3-1,1%. In associazione con metformina e pioglitazone, come trattamento farmacologico iniziale, sitagliptin e
vildagliptin, rispettivamente, hanno portato a un’efficacia sull’HbA1c superiore a quella ottenuta
con le singole monoterapie.
I migliori risultati in termini di riduzione di HbA1c sono stati ottenuti in quei pazienti che presentavano al basale una HbA1c più alta e una minore durata di malattia.
Quale tipo di paziente può trarre vantaggio
dall’utilizzo di un inibitore della DPP-4?
Un paziente affetto da diabete mellito tipo 2, con una storia di malattia non troppo lunga, con
una sufficiente capacità beta-cellulare residua, in controllo metabolico non soddisfacente (HbA1c
> 7%, ma < 8%), già in terapia con metformina o glitazone o sulfanilurea (solo per vildagliptin),
in sovrappeso (e che quindi avrebbe uno svantaggio da un punto di vista ponderale, dall’inserimento di un’eventuale sulfanilurea nel caso sia già in terapia con metformina o glitazone).
L’inserimento degli inibitori della DPP-4 dà i massimi risultati se avviene precocemente nella
storia della malattia. Dai dati a disposizione infatti risulta che i pazienti con minore intervallo di
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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C. Origlia, C.B. Giorda
tempo dalla prima diagnosi di diabete mellito (< 3 anni) hanno ottenuto i migliori risultati. Non ha
senso pertanto utilizzare tardivamente tale tipo di farmaci come ultima arma terapeutica, prima
dell’insulina, quando già la riserva beta-cellulare è compromessa.
Quali sono i vantaggi dell’utilizzo degli inibitori
della DPP-4 rispetto a exenatide?
I vantaggi sono l’assunzione per os (in monosomministrazione per sitagliptin e in doppia somministrazione per vildagliptin) e minori effetti collaterali gastrointestinali (dovuti a un minor effetto
sullo svuotamento gastrico). Entrambi hanno basso rischio di ipoglicemia.
Quali sono gli svantaggi degli inibitori della DPP-4
rispetto a exenatide?
Gli svantaggi degli inibitori della DPP-4 rispetto a exenatide sono la neutralità sul peso dei primi
contro l’effetto dimagrante della seconda e un maggiore rischio di infezioni delle alte vie respiratorie, in particolare nasofaringiti (soprattutto con sitagliptin) e delle vie urinarie (più evidente
con vildagliptin).
Non sono disponibili al momento confronti di efficacia con gli agonisti del GLP-1. Da un punto di
visita fisiopatologico tuttavia bisogna ricordare che nel paziente diabetico i livelli di GLP-1 sono
ridotti.
Quali sono gli effetti collaterali degli inibitori
della DPP-4?
Questi farmaci presentano una bassa incidenza di ipoglicemia e gli eventi avversi in generale
risultano trascurabili. Si segnalano però un maggior rischio di infezioni delle alte vie respiratorie
(soprattutto nasofaringiti) e delle vie urinarie. Tali effetti collaterali potrebbero essere dovuti al
fatto che la DPP-4 è espressa in diversi tessuti e cellule, inclusi i linfociti. È possibile che la sua
inibizione possa avere un effetto deprimente sul sistema immunitario. Alla luce di tali dati se
ne consiglia un uso prudente in quei pazienti che presentano una storia di infezioni frequenti al
sistema urinario.
È stata anche segnalata una maggiore incidenza di cefalea. Da evitare dunque una loro somministrazione a chi presenta in anamnesi una storia di cefalea cronica.
Quali sono le indicazioni terapeutiche
di sitagliptin?
Sitagliptin è indicato nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 già in trattamento con metformina o glitazone, che necessitano di un miglioramento del controllo metabolico. La posologia è di
100 mg/die in monosomministrazione, indipendentemente dai pasti. Se viene dimenticata una
dose, questa deve essere assunta appena il paziente se ne ricorda. Non si deve però assumere
una dose doppia nella stessa giornata. La posologia della metformina o del glitazone non va
modificata.
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
Si può associare sitagliptin a insulina
o alle sulfaniluree?
Non è ancora stata studiata adeguatamente la possibilità di associare sitagliptin con insulina o
sulfaniluree, pertanto al momento non se ne consiglia l’associazione.
Quali sono le indicazioni terapeutiche
di vildagliptin?
Vildagliptin è indicato nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 non sufficientemente controllati
in trattamento con metformina alla massima dose tollerata in monoterapia o con glitazone o
con sulfanilurea alla massima dose tollerata e nei quali non sia possibile per intolleranza o controindicazione l’uso della metformina. La posologia è di 50 mg/die in doppia somministrazione
(al mattino e alla sera), indipendentemente dai pasti. In caso di associazione con sulfanilurea,
la dose raccomandata di vildagliptin è di 50 mg una volta al giorno, al fine di ridurre il rischio
di ipoglicemia da sulfanilurea. Non sono state stabilite la sicurezza e l’efficacia di vildagliptin in
triplice terapia orale.
Si può utilizzare sitagliptin o vildagliptin in caso
di insufficienza renale?
Per i pazienti con insufficienza renale lieve (clearance creatinina ≥ 50 ml/min) non è necessaria
alcuna modifica della posologia di tali farmaci; non ci sono sufficienti dati relativi a un loro utilizzo in caso di insufficienza renale moderata e grave. Pertanto in questi pazienti per il momento
prudenzialmente se ne sconsiglia l’utilizzo.
Si può utilizzare sitagliptin in caso
di insufficienza epatica?
Non è necessario alcun aggiustamento della posologia in caso di insufficienza epatica da lieve a
moderata (punteggio di Child-Pugh ≤ 9). Il farmaco non è stato studiato in caso di insufficienza
epatica grave (punteggio di Child-Pugh > 9).
Si può utilizzare vildagliptin in caso
di insufficienza epatica?
Vildagliptin non deve essere utilizzato in pazienti con compromissione della funzionalità epatica,
compresi i pazienti che prima dell’inizio della terapia presentano un valore di aspartato aminotransferasi (AST) e di alanina aminotransferasi (ALT) > di 3 volte il limite superiore della norma.
Al momento della registrazione del paziente e della compilazione del piano terapeutico via Web,
sono richiesti i valori basali pre-terapia di AST e ALT e tali valori vengono richiesti anche ai
successivi controlli a 3-6-9-12 mesi di trattamento. Successivamente al primo anno di terapia,
gli enzimi epatici andranno controllati periodicamente. Nel caso si assista a un incremento dei
valori di transaminasi, questo deve essere riconfermato con un secondo controllo. Se i valori di
AST o ALT persistono a 3 volte il limite superiore o oltre, si raccomanda di sospendere la teraLe incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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C. Origlia, C.B. Giorda
pia. Dopo la sospensione del farmaco, anche se i valori di transaminasi tornano nella norma, la
terapia con vildagliptin non va ripresa.
Occorrono aggiustamenti della posologia
di sitagliptin e vildagliptin nei pazienti anziani
o nei bambini, o in base a sesso, razza o BMI?
Non è necessario alcun aggiustamento del dosaggio in base all’età. Si raccomanda però di agire
con cautela nei pazienti con età maggiore a 75 anni, essendo ancora limitati i dati di sicurezza
a disposizione.
Non vi sono dati sull’utilizzo di sitagliptin e vildagliptin in età pediatrica. Pertanto al momento se
ne sconsiglia l’uso.
Non vi sono necessari aggiustamenti posologici in base a sesso, razza o BMI.
Si possono utilizzare sitagliptin e vildagliptin
in gravidanza o durante l’allattamento?
Non vi sono dati adeguati nell’uomo relativi all’uso di sitagliptin e vildagliptin in gravidanza o
durante l’allattamento. Pertanto al momento se ne sconsiglia l’utilizzo.
Sitagliptin e vildagliptin possono causare
ipoglicemia?
Negli studi che hanno utilizzato sitagliptin in monoterapia o in combinazione con metformina o
glitazone, l’incidenza di ipoglicemie è risultata sovrapponibile al placebo.
Negli studi che hanno utilizzato vildagliptin in monoterapia o in combinazione con un glitazone,
l’incidenza di ipoglicemia è risultata non comune (< 1/100; ≥ 1/1000); in quelli in combinazione
con metformina l’incidenza è risultata comune (1%).
Cosa è l’exenatide sul piano chimico?
Exenatide è la forma sintetica dell’exendina-4, un ormone isolato dalla saliva di una lucertola chiamata Gila monster, che vive nel deserto dell’Arizona. In tale animale l’exendina entra in circolo dopo
l’assunzione del pasto e sembra avere funzioni endocrine associate al controllo metabolico, ma non
è il GLP-1 della lucertola. È un peptide costituito da 39 aminoacidi, la cui struttura chimica è simile
a quella del GLP-1 umano (presenta un’omologia del 53%), ma con la caratteristica di essere resistente all’azione della DPP-4. Exendina-4 presenta infatti una variazione aminoacidica proprio nel
sito di inattivazione dell’enzima. Tale caratteristica rende l’exenatide una molecola interessante per
un uso farmacologico in quanto supera il problema della breve emivita del GLP-1 nativo.
Qual è il meccanismo di azione dell’exenatide?
Exenatide presenta una sequenza aminoacidica che si sovrappone in buona parte a quella del
GLP-1 umano, e pertanto è in grado di legarsi e di attivare i recettori del GLP-1. Stimola la se52
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
crezione di insulina in modo glucosio-dipendente, ovvero l’aumento della secrezione insulinica
avviene solo in caso di iperglicemia. Ripristina la prima fase di secrezione insulinica, generalmente compromessa nei pazienti diabetici, ma ne migliora anche la seconda fase. Inibisce in
modo glucosio-dipendente la secrezione di glucagone, che risulta in genere inappropriatamente
aumentata nei pazienti diabetici. Tale “glucosio-dipendenza” consente di mantenere integro il
meccanismo di controregolazione del glucagone che si deve instaurare in caso di ipoglicemia.
Rallenta lo svuotamento gastrico, e di conseguenza l’assorbimento dello zucchero, portando a
una riduzione del picco glicemico post-prandiale. Diminuisce l’assunzione di cibo, a seguito di
una riduzione dell’appetito e un aumento del senso di sazietà.
Quali effetti ha exenatide sulle fasi
della secrezione insulinica?
Exenatide migliora entrambe le fasi di secrezione insulinica. La prima fase di secrezione è caratterizzata da un repentino incremento dei livelli di insulina, che si viene a determinare dopo un
test di tolleranza al glucosio eseguito per via endovenosa. Tale incremento è precoce; si verifica
dopo appena 10 minuti dall’inizio dell’infusione di glucosio. Nei pazienti diabetici tale fase è la
prima a compromettersi. Ripristinando la prima fase di secrezione insulinica, exenatide riduce
l’incremento glicemico post-prandiale. Tuttavia exenatide non si limita a ripristinare tale fase, ma
determina anche un miglioramento della seconda fase di secrezione, caratterizzata da aumenti
dei livelli insulinici più contenuti, ma protratti nel tempo.
Negli studi clinici il miglioramento della funzione beta-cellulare indotto da exenatide è stato
anche documentato con la misurazione del rapporto pro-insulina/insulina e con il calcolo dell’HOMA-B (Homeostasis Model Assessment).
Di che entità è la riduzione dell’HbA1c
con exenatide?
Negli sudi AMIGO (studi clinici randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo, della durata
di 30 settimane) il 38,5% dei pazienti trattati con exenatide 10 µg in doppia somministrazione
giornaliera (BID) e il 29,6% di quelli trattati con exenatide 5 µg BID hanno raggiunto un’HbA1c <
7%; solo il 10% dei pazienti trattati con placebo ha raggiunto lo stesso risultato. In particolare
l’entità della riduzione dell’HbA1c è risultata proporzionale al dosaggio di exenatide utilizzata.
Infatti nei pazienti trattati con 10 µg BID la diminuzione dell’HbA1c è risultata dello 0,9%, mentre
in quelli trattati con 5 µg BID è stata dello 0,6%. La prosecuzione di questi studi in regime openlabel ha documentato a due anni un mantenimento della riduzione dell’HbA1c dell’1% circa.
È interessante sottolineare che dagli studi è stato evidenziato che quanto più è elevata l’HbA1c di
partenza, tanto più considerevole sarà l’effetto ipoglicemizzante di exenatide.
Quanto tempo deve passare prima di vedere
gli effetti di exenatide sulla glicemia?
Exenatide riduce sia le glicemie pre-prandiali sia quelle post-prandiali già dalla prima somministrazione.
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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C. Origlia, C.B. Giorda
Come si somministra exenatide e qual è
la posologia?
Exenatide viene somministrata mediante iniezione sottocutanea nella coscia, nell’addome o nella parte alta delle braccia. Non è raccomandata l’iniezione per via endovenosa e intramuscolare.
La dose iniziale è di 5 µg BID per almeno 1 mese. Quindi la posologia può essere aumentata a
10 µg BID, al fine di ottimizzare il controllo glicemico. Non sono raccomandate dosi superiori a
10 µg BID. Può essere somministrata in qualsiasi momento nei 60 minuti che precedono il pasto
e le due somministrazioni giornaliere devono distare l’una dall’altra di almeno 6 ore. Non va mai
assunta dopo il pasto. Se viene saltata un’iniezione, il trattamento deve essere continuato con la
successiva dose prevista. La posologia non va ridotta in caso di calo ponderale.
È possibile somministrare exenatide una volta
sola al giorno?
La ragione della doppia somministrazione di exenatide è legata alla breve permanenza in circolo
del farmaco (circa 4-6 ore). Pertanto non è possibile effettuare una sola iniezione al giorno. Però
è in studio una formulazione di exenatide a rilascio modificato (long-acting release, LAR), che
prevede una sola somministrazione settimanale. I risultati preliminari dell’utilizzo di tale formulazione hanno mostrato una marcata riduzione dell’HbA1c (-1,4% alla posologia di 0,8 mg/settimana e -1,7% al dosaggio di 2 mg/settimana, contro placebo, che portava a un aumento dello
0,4%, in un periodo di 15 settimane). Al dosaggio di 2 mg/settimana si è ottenuta anche una
significativa riduzione del peso corporeo, che non è stata osservata invece con il dosaggio di 0,8
mg/settimana. L’effetto collaterale più frequente con tale formulazione retard è stata la nausea
di lieve entità, tale da non determinare l’uscita dallo studio di alcun paziente.
L’assorbimento del farmaco varia a seconda
della sede di iniezione?
L’assorbimento del farmaco dopo iniezione sottocutanea è rapido: il tempo di concentrazione
plasmatica massima (Tmax) è raggiunto in 2 ore (mediana) dall’iniezione. L’esposizione di exenatide rimane la stessa, cambiando le sedi di iniezione: addome, coscia, braccio.
Exenatide non può essere somministrata per via endovenosa o intramuscolare.
Qual è la formulazione in commercio
di exenatide?
Exenatide è disponibile in commercio in soluzione in penna pre-riempita da 5 o 10 µg di farmaco
per dose. La soluzione contiene exenatide a una concentrazione di 250 µg/ml; ogni dose contiene 5 µg o 10 µg di exenatide, rispettivamente in 20 µl e 40 µl. Macroscopicamente si presenta
come un liquido chiaro e incolore. Si raccomanda di non utilizzare il farmaco nel caso appaia
torbido o si presenti colorato, o qualora compaiano particelle solide.
Vi sono dunque 2 tipi di penna pre-riempita; una per dosi da 5 µg e una per dosi da 10 µg. La
penna pre-riempita non ancora utilizzata va conservata in frigorifero a una temperatura compresa
tra 2°C e 8°C, protetta dalla luce (per tale motivo occorre riposizionare sempre il cappuccio della
54
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
penna dopo il suo utilizzo). Exenatide non deve essere congelata. Bisogna gettare la penna, se ha
subito un processo di congelamento. Quella in uso deve essere conservata a una temperatura inferiore a 25°C. Ogni penna ha la durata di un mese; contiene 60 dosi di farmaco. La penna in uso,
tenuta fuori dal frigorifero, va buttata dopo 30 giorni, anche se rimane del farmaco al suo interno.
Quali aspetti bisogna verificare nell’istruzione
del paziente all’uso del device?
Un passaggio da effettuare al primo impiego di una nuova penna è la cosiddetta “messa a punto della
penna”, necessaria per verificare che il farmaco fuoriesca dall’ago. Tale manovra deve essere effettuata solo la prima volta che si utilizza la penna. La quantità di exenatide necessaria per la “messa a
punto” corrisponde a quella di una dose. Nella penna vi è una quantità di farmaco necessaria per fare
più prove, oltre a quanto serve per un mese di terapia. Tuttavia, se ipoteticamente venisse effettuata
una messa a punto della penna prima di ogni somministrazione, la quantità di exenatide contenuta
nella penna non sarebbe sufficiente per coprire il fabbisogno di 1 mese. Nel caso non fuoriesca dall’ago del farmaco durante la fase della “messa a punto”, si consiglia di cambiare ago e ripetere l’operazione. Nel caso non apparisse ancora del liquido, si consiglia di contattare il personale sanitario.
E su ago e pulsante di iniezione?
Si consiglia di non lasciare l’ago inserito nella penna per evitare la fuoriuscita del farmaco e la
formazione di bolle di aria al suo interno. Occorre utilizzare un ago nuovo a ogni somministrazione per evitare infezioni e ostruzioni dell’ago. Le dimensioni dell’ago (lunghezza e diametro) non
influenzano la precisione della dose. L’importante è che dopo il completamento dell’iniezione, il
paziente mantenga premuto il pulsante per almeno 5 secondi. Non bisogna premere il pulsante
se non è stato inserito un ago sulla penna.
Il pulsante di iniezione potrebbe risultare duro alla pressione, nel caso l’ago non sia inserito nel
modo corretto, o nel caso questo sia ostruito. Qualora si verifichi tale situazione, il consiglio è
di sostituire l’ago e, tenendo la penna rivolta verso l’alto, premere completamente il pulsante di
iniezione. Nel caso non fuoriuscisse il farmaco, si consiglia di contattare il personale sanitario.
Nel caso la penna venga immersa in acqua, non deve essere utilizzata, in quanto non ne viene
più garantita la sterilità, anche se viene opportunamente pulita e asciugata. Non è consentito
trasferire il contenuto della penna in una siringa.
Il medicinale non utilizzato e i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. Quindi non deve essere gettato nell’acqua di scarico o nei
rifiuti domestici. La penna non deve essere mai gettata con l’ago inserito.
Per l’acquisto di exenatide è necessaria una ricetta medica del medico curante, che può prescrivere tale farmaco a carico del SSN, solo dopo rilascio di un piano terapeutico da parte del
Centro antidiabetico.
Chi beneficia maggiormente di una terapia
con exenatide?
Exenatide è indicata nel trattamento del diabete mellito tipo 2 come terapia aggiuntiva, per migliorare il compenso in quei pazienti che sono già in trattamento con metformina e/o sulfanilurea, ma che
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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C. Origlia, C.B. Giorda
non raggiungono i goal terapeutici. L’identikit del candidato ideale alla terapia con exenatide è quello
di un paziente affetto da diabete mellito tipo 2, con HbA1c non a target, ma non eccessivamente elevata (HbA1c: 7,5-8%), con un’adeguata riserva beta-pancreatica (esordio di diabete relativamente
recente), in sovrappeso (l’esperienza di exenatide nei pazienti con BMI < 25 è limitata) e che quindi
necessita di una riduzione ponderale, magari soggetto a frequenti ipoglicemie, causate da altri
farmaci che lo frenano nell’adesione alla terapia. Ciò che è importante è collocare tale opzione terapeutica non troppo tardi, perché si rischierebbe di sottoutilizzare o “sprecare” le sue potenzialità.
Exenatide può essere utilizzata a tutte le età
e in tutte le popolazioni?
Vi sono differenze in termini di efficacia legate
al sesso?
I dati a disposizione nella popolazione geriatrica sono limitati, ma suggeriscono che non vi sono
variazioni marcate nell’efficacia e nella sicurezza di exenatide. Tuttavia si consiglia nei pazienti
dopo i 70 anni di utilizzare il farmaco con cautela e in particolare l’incremento della dose da 5
µg a 10 µg deve essere effettuata con prudenza. Molto limitata è l’esperienza nei pazienti sopra
i 75 anni. Non ci sono dati nei bambini e negli adolescenti sotto i 18 anni.
Sesso e razza non hanno un’influenza clinicamente rilevante sulle proprietà farmacocinetiche
di exenatide.
Exenatide può essere utilizzata durante
la gravidanza o l’allattamento?
Non vi sono dati relativi all’uso di exenatide in donne in gravidanza. Il rischio di teratogenicità
per gli esseri umani non è stato accertato, pertanto exenatide non deve essere utilizzata in gravidanza. Nel caso una donna entri in gravidanza durante un trattamento con exenatide, questo
va sospeso e va iniziata una terapia insulinica.
Non è noto se exenatide passi nel latte materno umano. Pertanto exenatide non deve essere
utilizzata durante l’allattamento.
Exenatide può essere aggiunto all’insulina o a
qualsiasi altro ipoglicemizzante orale?
L’indicazione del trattamento con exenatide è quello di un trattamento aggiuntivo a una terapia
in corso con metformina e/o sulfanilurea.
Non vi sono dati sufficienti sull’associazione di exenatide e insulina, acarbosio, glitazoni o metiglinidi; pertanto il loro utilizzo congiunto non è al momento raccomandato.
Exenatide può provocare ipoglicemie?
Exenatide non provoca ipoglicemia. Proprio per questo il dosaggio di exenatide non ha bisogno di
essere aggiustato giorno per giorno sulla base dell’automonitoraggio dei livelli glicemici, come è
invece richiesto dalla terapia insulinica. Tuttavia quando tale farmaco è aggiunto a una sulfanilu56
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
rea, è opportuno ridurre il dosaggio di quest’ultima, per ridurre il rischio di ipoglicemia associato
all’uso di una sulfanilurea. La sulfanilurea infatti disaccoppia la glucosio-dipendenza dell’azione
insulinotropica dell’exenatide. A maggior ragione tale adeguamento posologico della sulfanilurea
va effettuato se vi è una concomitante lieve insufficienza renale, che potrebbe determinare un
aumento dell’incidenza delle ipoglicemie, rispetto ai pazienti con normale funzione renale.
Per quanto riguarda invece l’associazione di exenatide con metformina gli studi clinici non hanno evidenziato un aumento degli episodi di ipoglicemia, quindi il dosaggio dell’eventuale metformina già in corso può essere mantenuto invariato.
È necessario effettuare un automonitoraggio
glicemico durante l’utilizzo di exenatide?
Non è necessario ricorrere all’automonitoraggio glicemico se exenatide è associata a un trattamento con metformina, perché con tale farmaco non è previsto nessun aumento del rischio di
ipoglicemia, rispetto a un trattamento con sola metformina. Se invece viene utilizzata congiuntamente a una sulfanilurea è consigliabile monitorare le glicemie capillari, al fine di aggiustare la
posologia della sulfanilurea per evitare di incorrere in ipoglicemie.
Exenatide può essere utilizzata in caso
di insufficienza renale?
Exenatide è principalmente eliminata per filtrazione glomerulare con successiva degradazione
proteolitica.
Nei casi di insufficienza renale lieve (clearance creatinina da 50 ml/min a 80 ml/min) non è
necessario un aggiustamento della posologia.
Nei casi di insufficienza renale moderata (clearance creatinina da 30 ml/min a 50 ml/min) l’incremento della posologia da 5 µg a 10 µg deve essere effettuato con cautela.
Nei casi di insufficienza renale grave (clearance creatinina < 30 ml/min) o in caso di malattia
renale terminale è sconsigliato l’uso di exenatide.
Exenatide può essere utilizzata in caso
di insufficienza epatica?
Nei pazienti con insufficienza epatica non sono stati condotti studi di farmacocinetica. Il farmaco
è eliminato principalmente per via renale, perciò non è atteso che una disfunzione epatica alteri
le concentrazioni plasmatiche di exenatide. Pertanto nei pazienti con insufficienza epatica non è
necessario un aggiustamento della posologia.
Quali sono gli effetti indesiderati di exenatide?
Effetti indesiderati molto comuni (manifestati da più di 1 paziente su 10) sono nausea di entità
lieve-moderata, con modalità dipendenti dal dosaggio, e tendente all’attenuazione con il passare
del tempo, vomito e diarrea.
Effetti comuni (manifestati da meno di 1 paziente su 10, ma da più di 1 su 100) sono mal di
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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C. Origlia, C.B. Giorda
testa, capogiri, nervosismo, riduzione dell’appetito, epigastralgie, reflusso gastro-esofageo, distensione addominale, aumento della sudorazione, astenia.
Sono state descritte reazioni cutanee nel sito di iniezione, non tali però da interrompere la somministrazione del farmaco.
Sono stati segnalati anche altri effetti collaterali, anche se meno comuni, quali disgeusia, sonnolenza, eruttazione, costipazione, flatulenza; disidratazione, generalmente associata a nausea,
vomito e/o diarrea, con alcuni casi di aumento dei valori di creatinina; alcuni episodi di pancreatite; patologie della cute e del sottocutaneo, quali rash maculare e papulare, orticaria, prurito,
edema angioneurotico; casi di sanguinamento per il concomitante aumento dei valori di INR
durante warfarin. Molto raramente si è verificata reazione anafilattica, legata alla presenza nella
formulazione farmaceutica di metacresolo.
Exenatide interagisce con altri farmaci?
Poiché exenatide rallenta lo svuotamento gastrico, il suo utilizzo può interferire con l’assorbimento di altri farmaci somministrati per os, soprattutto se necessitano di un rapido assorbimento gastrointestinale.
Nel caso il paziente debba assumere un farmaco la cui efficacia dipende dai livelli di concentrazione ematica raggiunta nel sangue (come ad esempio antibiotici o contraccettivi orali), si
consiglia di distanziare l’assunzione di tale terapia di almeno 1 ora prima della somministrazione
di exenatide. Se poi richiede di essere assunto a stomaco pieno, è consigliabile assumerlo in
corrispondenza di un pasto diverso da quello prima del quale si somministra exenatide.
Formulazioni medicinali gastro-resistenti, contenenti sostanze che possono degradarsi a livello
gastrico, come ad esempio gli inibitori di pompa protonica, devono essere assunti almeno 1 ora
prima o più di 4 ore dopo l’iniezione di exenatide.
È stato segnalato un aumento dei valori di INR in alcuni pazienti in trattamento concomitante
con exenatide e warfarin e/o derivati cumarinici. Dunque si consiglia, in caso di concomitante
trattamento anticoagulante, di tenere sotto stretto controllo i valori di INR all’inizio della terapia
con exenatide e nel passaggio da 5 a 10 µg.
La perdita di peso indotta da exenatide
si verifica in seguito alla comparsa degli effetti
collaterali gastrointestinali?
La riduzione di peso che si osserva con exenatide è indipendente dall’eventuale comparsa di nausea. È stato dimostrato che la riduzione ponderale è dovuta a una riduzione dell’appetito e a un aumento del senso di sazietà. È pur vero però che nei casi in cui si è manifestata nausea come effetto
collaterale, la riduzione ponderale è stata maggiore rispetto a chi non l’ha manifestata (riduzione
media di 2,4 kg contro 1,7 kg negli studi controllati a lungo termine fino a 52 settimane).
Di che entità è stata la riduzione ponderale
con exenatide?
Negli studi AMIGO (randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo) la perdita di peso a 30
settimane di terapia è stata di 1,9 kg nei pazienti in trattamento con exenatide 10 µg BID e di
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
1,4 kg in quelli trattati con 5 µg BID. I pazienti trattati con placebo hanno ottenuto una riduzione
di 0,7 kg. Nel prolungamento degli studi fino a 2 anni, gli effetti benefici sul peso venivano mantenuti, senza mostrare un effetto plateau, ma evidenziando un calo ponderale di circa 5 kg.
È stato inoltre dimostrato che il BMI del paziente predice il grado di riduzione ponderale che si
potrà ottenere con exenatide. I pazienti con un maggiore BMI (> 40 kg/m2) hanno ottenuto il
miglior risultato in termini di riduzione ponderale, in un periodo di trattamento di 82 settimane
(approssimativamente 8 kg).
Si può somministrare exenatide come farmaco
dimagrante?
Exenatide non è un farmaco dimagrante e non deve essere utilizzato a questo scopo, anche
perché non esistono dati clinici a sostegno di tale utilizzo.
In quali pazienti è sconsigliato l’uso
di exenatide?
Non si deve utilizzare exenatide nei pazienti affetti da diabete tipo 1, o per il trattamento della chetoacidosi, o in quei pazienti che necessitano di terapia insulinica a causa di un’insufficiente riserva betacellulare; in caso di insufficienza renale grave (clearance creatinina < 30 ml/min); in presenza di
gravi patologie gastrointestinali, come la gastroparesi, o il morbo di Chron o la rettocolite ulcerosa.
Quali sono i principali limiti di un trattamento
con exenatide?
Uno dei limiti è la modalità di somministrazione del farmaco, che costituisce un ostacolo a un
suo impiego in larga scala. Quello dell’iniezione sottocutanea rappresenta un ostacolo anche
della terapia insulinica; compito del diabetologo sarà quello di saper spiegare al paziente le
opportunità che exenatide dà, anche in prospettiva dell’evoluzione della malattia. Il limite dell’iniezione è reso più importante dal fatto che exenatide va proposta non troppo tardi, ovvero
la durata della malattia deve essere relativamente breve (meno di 10 anni), al fine di contare
ancora su una buona funzione beta-cellulare residua e il compenso glicometabolico non deve
essere troppo lontano dai target (HbA1c < 8-8,5%), perché altrimenti occorrerà proporre un
trattamento insulinico.
Un altro limite è anche il costo del farmaco, anche se al momento il SSN ha dedicato una quota
di budget proprio alle terapie innovative, e i costi di exenatide rientrano in tale progetto.
Infine gli effetti collaterali gastrointestinali possono rappresentare un ostacolo, anche se, negli
studi effettuati sino a ora, raramente sono causa di abbandono della terapia.
Quali vantaggi dà un trattamento con exenatide
rispetto all’insulina?
Dagli studi di comparazione tra insulina (sia glargine, sia premiscelata BID) ed exenatide, associata a metformina e/o sulfanilurea, emerge una sostanziale parità nell’efficacia sulla riduzione
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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C. Origlia, C.B. Giorda
dei livelli dell’HbA1c, con la differenza importante però che con exenatide si ottiene un miglior
controllo delle glicemie post-prandiali. Glargine ha mostrato invece un miglior controllo delle glicemie a digiuno. Inoltre exenatide determina una riduzione di peso, a fronte dell’incremento che
si osserva in genere con un trattamento insulinico. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, con
exenatide si avvertono maggiormente disturbi gastrointestinali, in particolare nausea, che invece
non compare con la terapia insulinica. I casi di ipoglicemia con exenatide sono più frequenti se
associata a sulfanilurea. La bassa incidenza di ipoglicemie con exenatide (se associata a metformina) consente di non dover ricorrere all’automonitoraggio glicemico. Ciò consente sia maggiore
libertà e un minor stress per il paziente, sia un risparmio non indifferente per il SSN (il costo infatti
delle strisce per l’automonitoraggio glicemico incide in modo importante sulle spese del SSN).
La prescrizione di exenatide, di sitagliptin
e vildagliptin può essere fatta da qualsiasi
medico?
Per tutti e tre i farmaci è obbligatorio compilare un piano terapeutico per via informatica, che va
aggiornato a 1-4-8-12 mesi (per exenatide), a 4-8-12 mesi (per sitagliptin), a 3-6-9-12 mesi
(per vildagliptin) e successivamente per tutti ogni 6 mesi finché l’AIFA non disporrà la cessazione
del monitoraggio. La prescrivibilità è dunque limitata ai Centri specialistici in regime A/RR-PTPHT. La registrazione del paziente sul database informatico è condizione indispensabile per
ricevere il farmaco a spese del SSN.
In caso di comparsa di eventi avversi, non compliance del paziente o fallimento terapeutico,
anche il Medico di Medicina Generale (MMG) del paziente potrà in ogni momento interrompere
il trattamento e il relativo monitoraggio, collegandosi al sito http://antidiabetici.agenziafarmaco.
it. Per l’interruzione della terapia occorre registrarsi sul sistema e inserire il codice del paziente
che il Centro diabetologico deve comunicare al MMG, insieme con le iniziali del paziente, per
accettarne univocamente l’identità.
Quali dati del paziente sono richiesti
per la prima compilazione del piano terapeutico
via Web?
È obbligatorio l’inserimento dei seguenti dati: nome, cognome del paziente, sesso, data e luogo
di nascita, comune di residenza e indirizzo, codice fiscale, cognome e nome del medico curante,
ASL di appartenenza, data di esordio del diabete mellito (mese e anno); peso, altezza e Body
Mass Index (BMI), circonferenza vita, glicemia a digiuno, HbA1c, valore massimo di normalità di
riferimento del laboratorio per l’HbA1c, terapia ipoglicemizzante in corso (principio attivo, posologia e tempo di utilizzazione espresso in mesi), eventuali episodi di ipoglicemia negli ultimi 4
mesi (si/no). Nel caso del sitagliptin occorre indicare il nome commerciale del farmaco (Xelevia
o Januvia) e infine la data di prescrizione.
Solo per vildagliptin è richiesto basalmente e ai controlli a 3-6-9-12 mesi il dosaggio di AST e ALT.
È opzionale l’inserimento dei seguenti dati: telefono ed e-mail del paziente, C-peptide, insulinemia a digiuno; specificare in caso di presenza di ipoglicemie negli ultimi 4 mesi, se queste
sono state lievi (risolte dal paziente stesso), severe (necessità di intervento di terzi) o critiche
(necessità di ricovero ospedaliero).
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Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Domande e risposte sulle incretine
Quale messaggio dare al Medico di Medicina
Generale e al paziente, quando si prescrivono
exenatide e gli inibitori della DPP-4?
Al MMG viene inviato un foglio informativo con le caratteristiche della molecola, il principio di
funzionamento, gli eventuali effetti collaterali, nonché le modalità per un’eventuale interruzione
di terapia.
Le medesime motivazioni vengono date al paziente e al medico curante, relativamente al passaggio a un trattamento con tali molecole. Si tratta di novità farmacologiche interessanti e
promettenti, se date al paziente giusto, al momento giusto, ovvero a un paziente con una storia
relativamente recente di malattia (non superiore ai dieci anni), una buona riserva beta-pancreatica, un compenso glicemico non soddisfacente con altri ipoglicemizzanti orali, ma non troppo
lontano dai target raccomandati (ovvero pazienti con HbA1c intorno a 7-7,5%) e con la necessità
di associare una terapia che non incrementi il peso e non aumenti il rischio di ipoglicemie. I dati
poi, per ora sull’animale, sulla capacità di conservare e preservare nel tempo il patrimonio betacellulare, fanno della terapia con incretine una terapia strategica per il futuro del paziente.
Inoltre, la sicurezza di tali farmaci in termini di basso rischio di ipoglicemia non è da sottovalutare.
Infatti tale vantaggio si traduce in una migliore compliance e adesione del paziente alla terapia
e, in termini farmaco-economici, in un risparmio nell’utilizzo delle strisce per l’automonitoraggio
glicemico, che costituiscono una voce importante nel budget di spesa della Regione.
L’utilizzo di exenatide e/o degli inibitori
della DPP-4 cambia il modo di lavorare
nel Servizio di diabetologia?
Per la prescrizione di tali farmaci a carico del SSN è obbligatorio compilare un piano terapeutico
per via informatica, che va aggiornato periodicamente, con scadenza differente a seconda della
molecola prescritta; tali passaggi costituiscono indubbiamente un rallentamento nell’attività di
routine ambulatoriale. È verosimile tuttavia che questa “difficoltà burocratica” venga in futuro rimossa, così come è avvenuto per la prescrizione di altri ipoglicemizzanti orali. Tuttavia in
un’immaginaria proiezione temporale, la fatica e il tempo che si spendono oggi per passare a un
nuovo trattamento, visti i dati promettenti di tali molecole, è probabile che si traducano a lungo
termine in un risparmio in termini di fatica e tempo per il diabetologo, di compenso più stabile e
duraturo per il paziente e verosimilmente di costi per il SSN.
Il non dover ricorrere al monitoraggio glicemico semplifica il lavoro di medici e infermieri, oltre
ovviamente a migliorare la qualità di vita del paziente; l’effetto interessante sul peso, soprattutto
con exenatide che determina un decremento ponderale, ma da non sottovalutare la neutralità
degli inibitori della DPP-4, semplifica il lavoro delle dietiste, che generalmente si trovano a
combattere con farmaci ipoglicemizzanti estremamente efficaci in termini di riduzione dei valori
glicemici, ma responsabili di incremento ponderale.
Come giustificare la spesa presso
le amministrazioni?
Essendo exenatide e gli inibitori della DPP-4 farmaci innovativi, presentano costi elevati, che
tuttavia il SSN si assume, previa registrazione e compilazione di un piano terapeutico via Web
Le incretine: dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
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C. Origlia, C.B. Giorda
da parte dei Centri di diabetologia autorizzati. Le motivazioni, in termini strettamente economici,
che possono giustificare la scelta di iniziare una terapia con tali molecole sono, nell’immediato,
un miglioramento del compenso glicemico con un basso rischio di ipoglicemie, che porta a una
riduzione nell’utilizzo delle strisce reattive per l’automonitoraggio glicemico, ed è ben noto che
queste incidono in modo non indifferente sulla spesa sanitaria. A lungo termine i dati sperimentali, per ora sull’animale, ci prospettano una maggiore conservazione del patrimonio beta-cellulare, con un conseguente miglior compenso glicometabolico duraturo nel tempo, verosimilmente
a fronte di una minore richiesta di intervento del personale sanitario medico e paramedico.
Quali caratteristiche presentano gli analoghi
del GLP-1?
Tra gli analoghi del GLP-1, la liraglutide è quella in più avanzato livello di studio. Chimicamente ha un’analogia del 97% con il GLP-1 nativo; è stata ottenuta modificando la sequenza
originale aminoacidica del GLP-1 umano, in particolare è stata effettuata una sostituzione in
posizione 34 (arginina al posto di lisina) ed è stato aggiunto un acido palmitico, ancorato alla
molecola tramite un residuo di glutammato, legato a sua volta a una lisina in posizione 26.
Tale acilazione e sostituzione aminoacidica determinano un rallentamento nell’assorbimento
del farmaco a livello sottocutaneo, prolungandone l’emivita fino a 10-14 ore. Ciò ne consente
la monosomministrazione giornaliera. Anche la liraglutide, come il GLP-1 nativo, stimola la
secrezione insulinica e inibisce quella di glucagone in modo glucosio-dipendente, riducendo
così il rischio di ipoglicemie.
Esperienze preliminari con liraglutide mostrano un’efficacia della molecola paragonabile a quella
di metformina e glimepiride, con il vantaggio, rispetto alla sulfanilurea, di determinare un calo
ponderale dose-dipendente e di avere un modesto rischio di ipoglicemia. Studi condotti su insule
di ratto hanno documentato un effetto antiapoptotico beta-cellulare.
Anche per liraglutide gli eventi avversi più comuni sono i disturbi gastrointestinali.
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Finito di stampare nel mese di Dicembre 2008
presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A.
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Data deposito AIFA 20-11-2008
Merck Sharp & Dohme (Italia) S.p.A.
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www.univadis.it [email protected]
Collana Editoriale AMD
Aggiornamenti 2008
Direttore Scientifico: Carlo B. Giorda
Le
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dalla fisiopatologia all’utilizzo terapeutico
Carlo B. Giorda, Marta Letizia Hribal, Edoardo Mannucci,
Carla Origlia, Salvatore Piro, Francesco Purrello, Giorgio Sesti