Esperimentazioni di Fisica 2 Studio del guadagno di un

Esperimentazioni di Fisica 2
Studio del guadagno di un fotomoltiplicatore semplificato
MDV
13 marzo 2013
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Il fotomoltplicatore
Il generatore di corrente, rispetto a quello di tensione, trova raramente uso nella schematizzazione di dispositivi reali. Uno strumento il cui funzionamento può essere schematizzato con ottima approssimazione
con l’uso di generatori di corrente è il fotomoltiplicatore. Questo dispositivo viene utilizzato quando sia
necessario rivelare intensità luminose estremamente deboli che possono essere quantificate in poche unità
di fotoni. Nella figura 1 sono mostrati vari modelli di questo strumento.
Figura 1: Esempi di fotomoltiplicatori
Il principio di funzionamento del fotomoltiplicatore. Lo schema di figura 2 mostra come funzipona un fotomoltiplicatore1 . I fenomeni fisici che spiegano il funzionamento di tale dispositivo sono
due:
1. L’effetto fotoelettrico indotto dai fotoni che incidono sulla finestra d’ingresso del fotomoltiplicatore
(fotocatodo)
2. L’emissione secondaria, che consiste nell’emissione di due o più elettroni (detti appunto secondari)
da parte di un materiale dentro cui un elettrone dissipa la sua energia cinetica.
I fotoni entrano all’interno del fotomoltiplcatore da una finestra di vetro trasparente e interagiscono con
un sottile strato di materiale semitrasparente detto fotocatodo. Il fotocatodo sollecitato dalla luce emette
(con una certa probabilità) un elettrone che per la sua origine è detto fotoelettrone. Il fotoelettrone cosı̀
prodotto viene accelerato verso un elettrodo (detto primo dinodo) tenuto ad un potenziale V1 positivo
rispetto a quello del fotocatodo che indichiamo con Vo (V1 > Vo ). L’energia cinetica acquisita dal
1 Il
fotomoltiplicatore è detto anche fototubo perchè il dispositivo viene chiuso dentro un tubo nel quale è fatto il vuoto
1
fotoelettrone, pari a e(V1 − Vo ) = e∆V1 , viene dissipata dentro il primo dinodo e, come conseguenza,
il materiale del dinodo emette un certo numero di elettroni che vengono detti secondari. Gli elettroni
secondari, estratti dal primo dinodo, sono soggetti al campo elettrico generato dal secondo dinodo, tenuto
ad un potenziale V2 > V1 , e raggiungono il secondo dinodo con un’energia cinetica Ek = e(V2 − V1 ) =
e∆V2 .
Figura 2: Rappresentazione schematica di un fotomoltiplicatore a 10 dinodi. Nella figura è mostrato
schematicamente il meccanismo di generazione di un fotoelettrone e di moltiplicazione.
Con lo stesso meccanismo descritto per il primo dinodo ciascun elettrone che raggiunge il secondo
dinodo genererà altri elettroni secondari; questi ultimi saranno accelerati verso il terzo dinodo tenuto ad
un potenziale V3 > V2 . Il fenomeno si ripete per ogni dinodo presente nel fotomoltiplicatore fino a quando
gli elettroni generati arrivano all’ultimo elettrodo, detto anodo, che ha il compito di raccogliere tutti gli
elettroni generati dall’arrivo del primo elettrone sul primo dinodo. Il numero δi di elettroni secondari
generati dall’urto dell’elettrone primario con il i-esimo dinodo è dato dalla relazione fenomenologica:
δi = k∆Viα , dove ∆Vi è la differenza di potenziale tra il i-esimo e il i-1-esimo dinodo e k e α sono costanti
che dipendono dal materiale con cui è fatto il dinodo. Valori tipici di α sono compresi nell’intervallo
(0.8÷1) e la costante k è dell’ordine di 10−2 V −1 . Quindi, per ogni foto-elettrone generato nel fotocatodo,
in un fotomoltiplicatore con n dinodi (tutti dello stesso materiale), all’anodo arrivano
G = δ1 δ2 . . . δn = k n ∆V1α ∆V2α . . . ∆α
n
con
∆Vi = Vi − Vi−1
(1)
G è detto guadagno del fotomoltiplicatore e facilmente raggiunge valori dell’ordine di 106 . Nel caso
particolare in cui le d.d.p. ∆Vk siano tutte uguali si ha
G = k n ∆V nα
(2)
Dove con ∆V si è indicato il valore della d.d.p. tra due dinodi successivi.
Si noti che nella descrizione fatta del meccanismo del guadagno, si sono trascurati gli effetti della
carica spaziale2 provocati dagli elettroni in moto tra un dinodo e l’altro. In questa approssimazione tutti
gli elettroni emessi da ogni dinodo raggiungono il dinodo successivo o l’anodo indipendentemente dal
valore della tensione di accelerazione.
Il metodo normalmente usato per assegnare i potenziali opportuni Vi ai vari dinodi è quello di usare
un semplice partitore resistivo come indicato in figura 2. Se Vo è il valore della tensione applicata al
partitore, l’i-esimo dinodo assumerà il potenziale Vi dato da:
Pi
j=1 Rj
Vi = Vo Pn
(3)
j=1 Rj
Si lascia come facile esercizio ricavare che il guadagno di un fotomoltiplicatore è proporzionale a Vonα .
L’andamento del guadagno con la tensione Vo implica che gli alimentatori dei fotomoltiplcatori utilizzati
2 Gli
effetti della carica spaziale sono quelli che determinano la curva corrente-tensione (detta caratteristica) nelle valvole
termoioniche.
2
in modo proporzionale debbano essere particolarmente stabili. Dalla descrizione della modalità con cui
gli elettroni sono emessi dai dinodi potremo realizzare un modello del fotomoltiplocatore utilizzando i
generatori di corrente controllati in tensione, ove la tensione è quella che accelera gli elettroni verso il
dinodo in esame. Partendo dalla rappresentazione di figura 3 si arriva al modello di figura 4
A
K
D1
D2
D3
D4
D5
Dn
A
V
R1
R2
R3
R4
Rn
R n+1
Figura 3: Rappresentazione schematica di un fotomoltiplicatore a n dinodi.
I1
I2
I3
I4
I5
Ia
A
K
A
V
R1
R2
R3
R4
Rn
R n+1
Figura 4: La corrente I1 è determinata da flusso di fotoni, la corrente I2 = I1 k∆V1α , la corrente I3 =
I2 k∆V2α , e cosı̀ via.
La relazione (3) tuttavia è valida soltando se la corrente che passa nel partitore resistivo R1 , R2 , . . . , Rn ,
è molto maggiore di quella che passa all’interno del fotomoltiplicatore. Infatti lo schema elettrico equivalente del dispositivo è quello mostrato nella figura 4, nel quale si nota che ogni dinodo è un nodo nel
quale confluiscono due generatori di corrente. Applicando la legge di Krichhoff al generico nodo dello
schema avremo:
Vi−1 − Vi
Vi+1 − Vi
+
+ Ii − Ii−1 = 0
(4)
Ri
Ri+1
Dopo questa premessa dedicata ad una preliminare descrizione del fotomltplicatore, possiamo formulare
il problema di teoria dei circuiti al quale siamo interessati:
Come varia il guadagno di un fotomoltiplicatore in funzione della corrente che passa al suo
interno?
Fotomoltiplicatore semplificato Ci proponiamo di valutare quantitativamente l’effetto descritto della relazione (4) in un caso semplificato che tuttavia mette in evidenza il comportamento qualitativo del
guadagno del fotomoltiplicatore. Consideriamo allo scopo un fotomoltiplicatore composto da un singolo
dinodo e supponimao inoltre che il materiale del dinodo sia il fosfuro di gallio (GaP) per il quale si ha
α = 1, in questo modo la relazione che determina il guadagno di un singolo dinodo è
δ = k|∆V |
(5)
dove ∆V indica la differenza di potenziale che accelera l’elettrone e k è una costante con le dimensioni
dell’inverso di una tensione. Nel caso di un solo dinodo, e riferendosi alla figura 5, la legge di Kirchhoff
sulle correnti si scrive:
0 − V1
V − V1
+
+ I2 − I1 = 0
(6)
R1
R2
3
A
K
I1
D1
D1
K
I2
A
A
V
V
R1
R1
R2
a)
R2
b)
Figura 5: Rappresentazione di un fotomoltiplicatore a un dinodo a) e suo equivalente b) realizzato con
l’uso di generatori di corrente
Risolvendo per V1 si ha:
R2
R1 R2
V +
(I2 − I1 )
R1 + R2
R1 + R2
V1 =
La tensione che accelera gli elettroni (∆V ) è data da |V − V1 | per cui:
∆V = V − V1 =
R1
R1 R2
V +
(I2 − I1 )
R1 + R2
R1 + R2
(7)
La corrente I1 nella (7) è determinata dal numero di fotoelettroni generati dai fotoni che arrivano su
fotocatodo, mentre la corrente I2 dipende sia da I1 sia da ∆V secondo la (5):
V1 =
R2
R1 R2
R2
R1 R2
V +
I1 (δ − 1) =
V +
I1 (k|∆V | − 1) =
R1 + R2
R1 + R2
R1 + R2
R1 + R2
R1 R2
R2
R1 R2
R2
V +
I1 [k(|V − V1 |) − 1] =
V −
I1 [k(V − V1 ) + 1]
R1 + R2
R1 + R2
R1 + R2
R1 + R2
dove nell’ultima uguaglianza si è tenuto conto che, nella configurazione in esame, le tensioni V e V1 sono
negative. Quindi risolvendo per V1 :
V1 (1 −
R1 R2
R2
R1 R2
kI1 ) =
V −
I1 (kV − 1)
R1 + R2
R1 + R2
R1 + R2
Infine:
V1 =
R2 V − R1 R2 I1 (kV − 1)
(R1 + R2 − R1 R2 kI1 )
Tenendo conto che tipicamente la corrente I1 è molto piccola, possiamo sviluppare in serie di Taylor il
denominatore e possiamo trascurare i termini al secondo ordine in I1 :
R2 V − R1 R2 I1 (kV − 1)
R1 R2
(R1 + R2 ) 1 −
kI1
R1 + R2
R2
R2
R1
'
V − Rp I1 (kV − 1) (1 + Rp kI1 ) '
V + 1−
V k Rp I1
R1 + R2
R1 + R2
R1 + R2
V1 =
V1 = V10 + (1 − kV10 )Rp I1
dove V10 è il valore di “progetto” di V1 , ovvero quando I1 = 0 e Rp è il parallelo tra R1 e R2 . L’espressione
del guadagno del dispositivo in esame si ottiene sostituendo il valore di V1 nella (2):
G(I1 ) = k|V − V1 | = G0 − (1 − kV10 )kRp I1
dove G0 è il guadagno del fotomoltiplicatore a corrente nulla (I1 = 0). Si noti che essendo V10 < 0 si ha
G(I1 ) > G0 .
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