Bellerofonte
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I edizione: dicembre 2004
Bellerofonte
Anno V, Numero 1 (2003), 5–90
IL CAMBIAMENTO DAL PUNTO DI VISTA
DELLA PEDAGOGIA “TEDESCA”
1. Problemi metateorici
Il cambiamento è predicabile in diversi modi. In senso minimo e ironico
si tratta del cambiamento gattopardesco, per cui tutto cambia, per rimanere
tutto come prima. Nel senso massimo, il cambiamento è la rettifica alla “cinese” della rivoluzione culturale. I professori vengono picchiati, costretti a rivedere le loro idee alla luce del nuovo “vangelo” pedagogico. Fra le due posizioni (“min/max”) esistono varie pedagogie intermedie, ad esempio la pedagogia dell’emancipazione, ispirata alla sociologia francofortese: Schaller
(liberale di sinistra), Gamm, Brueckner, Nenning. Anche i socialisti ortodossi di tale indirizzo sono considerati borghesi da coloro che ancora vogliono
una rivoluzione totale. Al di là delle differenze specifiche, ciò che li accomuna è il discorso libero dal dominio. Si tratta di formare l’opinione pubblica.
Il cambiamento è frutto dell’educazione, non considerata alla maniera del
marxismo francese come Apparato Ideologico di Stato (AIS). Si innescano
processi di autoconsapevolezza. L’enfasi va più sul metodo che sui contenuti. Al posto del cognitivismo alla Bruner o dello strutturalismo didattico (in
Italia, Scurati) si promuovono meccanismi di fluidificazione della comunicazione, senza anticipare tempi evitando la maniera di Doman. Si tratta di
seguire il processo naturale volto alla formazione di cittadini consapevoli.
Tale metodologia si è eclissata in Germania. Dopo il successo negli anni
Settanta ha conosciuto il riflusso, non senza rigurgiti di autoritarismo. Certo
tale pedagogia può andare oltre il segno, superando la misura e diventando
mera ideologia. Ma cosa c’è di buono in tale impostazione? Il fatto che la cultura è critica e non già mera assimilazione.
Brezinka negli anni Settanta scrisse un’analisi critica della “pedagogia
della nuova sinistra”. Ne individuò un elemento comune: la critica radicale alla società industriale occidentale. Ciò è segno del vuoto spirituale in
seguito alla dissoluzione della fede cristiana, al regresso della coscienza
nazionale e all’affievolimento del conservatorismo liberale. In tale vuoto si
affermò l’“umanitarismo aggressivo”, che ai rappresentanti del marxismo–leninismo appare come utopismo fantastico o soggettivismo anarchico. Brezinka enuclea tre grandi temi dell’ideologia della Nuova Sinistra:
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1) la critica della società presente;
2) il ricambio positivo;
3) i mezzi atti a guidare la nuova società.
La Nuova Sinistra enfatizza le “zone d’ombra” della società industriale moderna: l’impotenza del singolo individuo dinanzi alle grandi
organizzazioni, i difetti di una burocrazia anonima, l’isolamento all’interno delle masse. Questi e ancor molti altri elementi negativi vengono
combattuti con vivacità. Secondo Brezinka la Nuova Sinistra faceva la
caricatura della realtà sociale. Il pessimismo della Nuova Sinistra si
distingue dal pessimismo culturale dell’antica destra solo tramite il
gergo psicoanalitico–marxista. Si tratta del solito odio contro il liberalismo, dell’ostilità di fronte alla scienza e alla tecnica e infine del disprezzo del parlamentarismo. Si ricerca un ordinamento sociale che elimini il
dominio dell’uomo: secondo l’espressione di Marcuse (alla Heidegger)
un “Dasein Pacificato”.
I pedagogisti che si rifanno alla “teoria critica” francofortese hanno
accentuato il radicalismo di tali pensatori sociali. La loro “scienza critica
dell’educazione” è giudicata da Brezinka come “pedagogia pratica in una
visione critico–sociale”. I più noti cultori sono stati Klaus Mollenhauer,
Herwig Blankertz, Wolfganz Klafki (tra gli antesignani della sinistra liberale Hartmut von Hentig). Secondo Brezinka, il meno scientifico è stato il
Gamm. Per “emancipazione” egli intende l’autoliberazione politico– sociale dell’uomo colto. Gamm voleva persuadere gli insegnanti a svolgere
il ruolo di “pedagoghi politici”. Brezinka analizza anche le opere destinate alla formazione della coscienza politico–pedagogica di insegnanti,
genitori, studenti e scolari. Egli fa osservare che il concetto di educazione
emancipativa include anche attività come spiegazione, propaganda e agitazione. Non basta sapersi orizzontare in forme indipendenti nel mezzo
della società vigente, bisognerebbe sottoporre la società attuale a una critica di fondo. Anche Schleiermacher (1826) identificava lo scopo educativo nel rendere l’uomo adatto al miglioramento delle condizioni sociali,
ma ciò non implicava la critica radicale della società. Il termine “emancipazione” deriva dal diritto romano, ma negli anni Settanta venne caricato
di un significato rivoluzionario. Molti uomini, giuridicamente maggiorenni, vengono riconosciuti ancora minorenni da parte di elites rivoluzionarie. Il concetto di emancipazione diventa vago e indeterminato. Alla
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“libertà” giuridicamente fondata subentra la “liberazione” dal suo trascurabile contenuto informativo. Può accadere che in nome della liberazione
si agisca per eliminare la libertà di cui l’uomo già dispone di fatto. In
nome della democrazia sostanziale si giunge a instaurare la dittatura.
Dopo la pedagogia dell’emancipazione è venuta l’anti–pedagogia, che
sostiene la tesi che l’educazione sia messa in opera soltanto ai fini del
dominio degli adulti sui fanciulli. Lo sviluppo educativo è possibile anche
senza “potere educativo”. Sostenere anziché educare è il titolo di un libro
di Hubertus von Schoenebeck del 1982. Ma torniamo negli anni Settanta,
allorché l’istanza del cambiamento sociale era maggiormente sentita.
Allora si lottava contro il principio del lavoro obbligatorio. La cosiddetta
Nuova Sinistra avversava ogni legame emozionale con la patria, la religione, la tradizione culturale e con i grandi valori dell’arte e della letteratura,
ai fini dell’“educazione integrale”, che per Brezinka è semplicemente una
chimera. L’educazione emancipativa è declinabile come “educazione
anti–autoritaria”. Lo stile pedagogico è caratterizzato dalla rinuncia alla
guida, alla severità, alle esigenze del lavoro e alle punizioni. Si accondiscende alle prevaricazioni dell’infanzia e della gioventù, talvolta in antitesi con affermazioni esplicite dei teorici francofortesi. Sostiene Adorno: «Il
mezzo attraverso cui si diviene autonomi, e dunque maggiorenni, non consiste in un semplicistico recalcitrare contro ogni specie di autorità»1.
Brezinka cita Katia Sadoun, secondo la quale l’educazione proletaria
comincia con la rottura dei tabù sessuali. Scrive Brezinka: «I piccoli vengono incoraggiati alla masturbazione, e gli adolescenti ai rapporti sessuali con partners interscambiabili: nella Comune N. 2 non ci si perita neppure di organizzare giochi sessuali tra fanciulli e adulti»2. Gamm è stato il
teorico dell’ideologia sessual–libertaria con la sua richiesta che la scuola
faccia dell’istruzione sull’amore sessuale il suo tema pedagogico più
importante. Il punto di riferimento più che Freud è Reich, che cominciò a
mescolare marxismo e psicoanalisi. Anna Freud fu notoriamente moderata nelle sue considerazioni sull’infanzia. La pedagogia dell’emancipazio-
1. T.W. ADORNO, Erziehung zur Mündigkeit, Suhrkamp, Frankfurt 1970, p. 147. Per
quanto riguarda la pedagogia “tedesca”, si utilizza l’aggettivo “tedesca” sia in senso
stretto sia in senso lato (di lingua tedesca e di orientamento tedesco).
2. W. BREZINKA, La pedagogia della Nuova Sinistra. Analisi dell’autoritarismo,
trad. it., Armando, Roma 1970, p. 70.
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ne ha diffuso l’incertezza e la rassegnazione nella cerchia dei genitori e
degli insegnanti, e la fuga dal lavoro e la rilassatezza in quella dei giovani. Ad onta dell’ideale estetico–erotico di Marcuse, Brezinka notava l’inclinazione della Nuova Sinistra verso un arido intellettualismo: quel suo
culto della bruttezza nel portamento personale, nel vestire, nelle disposizioni ambientali e nelle preferenze letterarie.
Non si giunge alla “rettifica”, alla maniera della rivoluzione culturale
cinese. Ma si afferma che dovere, competenza, subordinazione, rispetto e
sacrificio non sono che luoghi comuni dell’educazione volta alla soggezione politica. Lo spirito di disciplina è considerato obsoleto. Il sentimento della cosa pubblica viene denunciato come “fascismo”. Brezinka non
sostiene la negazione del mutamento: «Non abbiamo nessuna ragione per
essere soddisfatti dell’attuale prassi educativa, eppertanto dobbiamo
migliorarla in molteplici punti; tuttavia, ciò non può realizzarsi attraverso
una rottura radicale con tutto il sistema vigente, ma attraverso un lavoro
paziente su singoli problemi concreti»3.
Tale critica presuppone un quadro epistemologico. La forma tradizionale della pedagogia permetteva l’infiltrazione senza confini della “pedagogia pratica”. Occorre una “metateoria” che ne distribuisca i compiti in
tre livelli di lavoro, designabili come “scienza dell’educazione”, “filosofia
dell’educazione” e “pedagogia pratica”. Brezinka ha proposto tre classi
del sapere pedagogico. Tali tipi di conoscenza hanno diverse basi e servono a scopi differenti. Alle teorie scientifica, filosofica e pratica corrispondono i metodi scientifico, filosofico e pratico. Non si tratta semplicemente di porre al posto della pedagogia tradizionale una scienza empirica dell’educazione. Scrive Brezinka: «Nel contesto dell’educazione si presentano non solo problemi scientifici, ma anche problemi filosofici e pratici, i
quali si collocano sì fuori del quadro della scienza dell’educazione, ma
non per questo sono meno importanti per la società»4. Si propone di chiamare la pedagogia empirica “Pedagogia 1”, e di indicare con “Pedagogia
2” e “Pedagogia 3” rispettivamente i sistemi pedagogici filosofico e pratico. Tocca alla “Pedagogia 2” sviluppare i problemi morali dell’educazio3. Ivi, p. 95.
4. W. BREZINKA, Metateoria dell’educazione. Introduzione ai fondamenti della
Scienza dell’educazione, della Filosofia dell’educazione e della Pedagogia pratica, trad.
it., Armando, Roma 1980, p. 34.
Il cambiamento dal punto di vista della pedagogia “tedesca”
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ne nella direzione di un’etica per educatori. Petersen ha parlato addirittura di una “metafisica dell’educazione”, che dia una risposta alla questione
dell’essere e dell’esistenza dell’uomo. Così almeno si parla chiaramente.
Secondo Lochner, sotto la copertura della “scienza dell’educazione” si
nascondono tante cose che proprio niente hanno a che fare con la scienza
vera e propria5. Il problema non è solo tedesco, ma internazionale. Ad
esempio negli Usa per designare il “corso accademico di pedagogia” si
usa l’espressione ambigua di foundations of education: l’oggetto di simili
corsi differisce da università a università e da docente a docente. Non c’è
un accordo generale. Alla mancanza di un sistema integrato non si provvede col dare un nuovo nome alla disciplina, come educational studies,
educology o “educologia” (varianti della mescolanza della radice latina e
greca). La soluzione di Brezinka consiste nella decisione metodologica
che escluda la continua confusione di enunciati scientifico–empirici con
richieste etiche o con direttive per la pratica educativa. Anche in Giappone
c’è una richiesta di una più rigorosa metodologia (Minoru Murai). In ogni
singolo caso si deve appurare quanto vi sia di contenuto empirico, quanto
di teoreticamente fondato e quanto di utile per la pratica.
Brezinka utilizza l’epistemologia della filosofia analitica. La sua metateoria dell’educazione è sviluppata alla luce del “costruttivismo” nel senso
di V. Kraft. I numi tutelari sono Popper, Hempel, Nagel. La conoscenza
della realtà non è ricavata dall’apriorismo né dai soli risultati dell’osservazione, bensì mediante ipotesi costruttive da controllarsi empiricamente.
Secondo Brezinka, si basa su malintesi l’affermazione che l’indagine della
natura e quella della realtà socio–culturale sarebbero troppo diverse l’una
dall’altra, in quanto a entrambe si possono applicare le stesse regole metodologiche generali. Ad esempio, la psicologia può essere naturalizzata o
spiritualizzata (e su ciò concordano Spranger, Husserl e Croce). La metateoria analizza le teorie pedagogiche esistenti e valuta la loro corrispondenza allo scopo, che esse stesse hanno stabilito.
Trapp (1745–1818) nel 1779 ottenne la prima cattedra pedagogica in
un’“Università” tedesca (Halle). E Otto Willmann è stato il primo nel
1876 a concepire la pedagogia come una scienza sociale empirica (distinta sia dalla filosofia che dalla “teoria dell’educazione”). Allo stesso modo
5.
Ivi, p. 35.
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anche Emile Durkheim ha distinto nel 1911 tra una scienza sociale dell’educazione e una “teoria pratica” per educatori. L’una spiega, l’altra
guida. Tale impostazione è stata continuata nell’area linguistica tedesca da
Rudolf Lochner (1895–1978) a cominciare dal 1934. Il punto di vista
descrittivistico impone la prospettiva avalutativa sulla molteplicità dei
fenomeni dell’educazione. Nella lingua tedesca tali azioni sono indicate
dai verbi lehren (insegnare), unterrichten (istruire), unterweisen (ammaestrare), schulen (addestrare), bilden (formare), ausbilden (formare), fortbilden (perfezionare) e weiterbilden (perfezionare). Il concetto scientifico
di educazione, proposto da Brezinka, «è tanto generale e neutrale rispetto
ai valori da poter trovare applicazione in tutte le società e per tutte le epoche storiche»6. La scienza empirica dell’educazione si occupa dell’educazione come fatto. L’oggetto materiale è analizzato dal punto di vista pedagogico (specificità formale). Sul piano psichico, l’educazione tende alla
vita autonoma, sul piano sociale alla conservazione della società. Sono
punti di vista complementari, visto che la società si fonda sull’autonomia
degli individui. La scienza empirica dell’educazione ha focalizzato la sua
attenzione sulla realtà dell’educazione, mentre la pedagogia tradizionale si
occupava del normativo e del prescrittivo. La metateoria non trascura i
fini. «A partire dai fini ci si deve innanzitutto chiedere che cosa significhino, su quali presupposti si basino, se siano realizzabili, da quali condizioni dipende la loro realizzazione, e quali altri effetti, oltre a quello voluto,
si presentino in una eventuale realizzazione»7. Si tratta allora di una scienza teleologico–analitica. Sarebbe un passo indietro in direzione pre–pedagogica lasciare alla “pedagogia pratica” la questione dei fini, come ha fatto
agli inizi la scienza empirica dell’educazione (si pensi al puritanesimo
metodologico di Lochner). Non si può confondere la storiografia dell’educazione con la scienza pedagogica. Solo l’indagine storica si limita a
descrivere. Benché una sorta di costruttivismo ci sia anche nella ricerca
storica (e infatti le interpretazioni di uno stesso fenomeno storico variano),
tuttavia la selezione dei fini aumenta i gradi di convenzionalismo della
scienza teoretica. La descrizione e la valutazione non esonerano dall’esecuzione. I mezzi–fini sono messi in opera dalla pedagogia pratica, che va
dallo sguardo severo alla predica solenne.
6.
7.
Ivi, p. 59.
Ivi, p. 72.
Il cambiamento dal punto di vista della pedagogia “tedesca”
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Secondo Brezinka, la pedagogia può essere inserita tra le “scienze
sociali”, con l’avvertenza che essa non si occupa esclusivamente di fenomeni sociali e culturali, ma anche di fenomeni psichici. L’educazione è un
particolare ambito dell’agire sociale, che non esclude considerazioni filosofiche. Si può utilizzare la metafora dell’educazione come “campo di
considerazione” e come tale oggetto di una scienza speciale (pure Gentile
che enfatizzava l’unità dello spirito, parlava della pedagogia come scienza, benché filosofica). La metateoria dell’educazione adopera una sorta di
demarcazione nei confronti della pedagogia ideologica mascherata da
scienza: sono da includervi le “pedagogie confessionali”, come ad esempio la “pedagogia cristiana”, la “pedagogia evangelica” o la “pedagogia
cattolica”; come pure le “pedagogie politiche”, ad esempio la “pedagogia
nazionalsocialista”, la “pedagogia marxista” o la “pedagogia emancipatoria”. Se si rifiuta la demarcazione della metateoria, la scienza pedagogica
diventa “scienza dell’ideologia”. La scientificizzazione della pedagogia la
separa dall’ideologia. Ciò non viene accettato da coloro che sono ideologicamente impegnati. «In Germania è stato soprattutto Habermas a tentare una giustificazione filosofica della sua decisione di ridefinire la parola
“scienza”, in modo che potesse includere enunciati ideologici ed elucubrazioni storico–filosofiche sulla “società” come totalità»8. La sua “teoria critica” dovrebbe essere riconosciuta come una “scienza” dai suoi concittadini. Funge da criterio l’utopia di una società emancipata. Non viene considerata fino in fondo la forza critica dell’imparzialità. Al suo posto si
richiede il “prendere partito”. L’impiego del sapere scientifico per scopi
pratici è però qualcosa di completamente diverso dal programma di impregnare la scienza di credenze ideologiche. Viceversa, la norma della neutralità rispetto ai valori non ha proprio niente a che fare con un deprezzamento di valori e di norme. Tale distinzione è di natura metateorica, come
quella norma che nelle scienze si debba usare un linguaggio che si limiti
il più possibile alla chiara rappresentazione di fatti. Finora il linguaggio
prescrittivo è stato una caratteristica essenziale della pedagogia. L’uso
emotivo del linguaggio carica le parole di un accento positivo o negativo
a seconda del clima spirituale esistente in un gruppo. Il linguaggio ordinario è necessariamente pervaso da giudizi di valore, norme e toni affettivi.
8.
Ivi, p. 86.
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Occorre migliorare il linguaggio pedagogico ordinario. Brezinka propone
le norme della “chiarezza”, del “controllo informativo” e dell’“intellegibilità”. Il requisito della chiarezza riguarda pure la filosofia, dal cui lessico
è stata tratta gran parte del linguaggio pedagogico. La chiarezza rende
possibile l’intesa. La parola “educazione” può essere opposta a “socializzazione” o può identificarsi con essa. Il termine “formazione” oscilla tra
l’una e l’altra, allorché il loro significato è opposto. La vaghezza può
intaccare anche termini introdotti ex novo nella scienza dell’educazione.
Brezinka menziona l’espressione “griglia strutturale didattica” (didaktisches Strukturgitter), definita da Blankertz come “un criterio di intenzionalità educativa”9. L’ambiguità può essere addirittura proclamata da pedagogisti (come Litt e Flitner) o da qualche dizionario di pedagogia (che
confonde invece di chiarire). Tali dichiarazioni sono fuorvianti. L’oscurità
linguistica è segno di pensiero oscuro.
L’altra norma riguarda il contenuto d’informazione. I concetti scientifici si riferiscono a oggetti osservabili. Spesso in pedagogia le proposizioni
sono povere di informazione. Non sono confutabili, ma non esprimono
quasi nulla riguardo alla realtà. Il gergo pedagogico è sovraccarico di
espressioni provenienti da altre scienze. La norma dell’intellegibilità
impone che le difficoltà non siano poste ad arte. Lo sfoggio linguistico è
in rapporto inversamente proporzionale al loro contenuto di informazione.
Si inizia con il comunicare qualcosa e si finisce con un brulichio di parole come “costruzione del curriculum” o “tassonomia” o “operazionalizzazione” e se non bastano si giunge “alla sequenza ottimizzata d’apprendimento”. Può accadere il contrario: il discorso comincia con la sintassi perfetta delle parole inutili. L’uditore (o il lettore) deve attendere che sia passata la tempesta delle parole bellissime, (ma senza significato) per poter
poi imparare qualcosa. In tutte le scienze è aumentato il numero di scrittori disposti a tale “pomposo bluff”, che rischia di contagiare anche coloro che sono abituati alla semplicità espressiva, ma senza concessioni
all’uso quotidiano della lingua. La mistificazione linguistica è uno dei casi
tipici della fenomenologia dell’errore. La metateoria dell’educazione
mette in guardia i pedagogisti da tale abuso. Utilità, bellezza, verità sono
concetti di valore. Per giudizio di valore si intende una proposizione che
9.
Ivi, p. 93.
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esprime una valutazione. Si fanno valutazioni anche con termini come
“peccato”, “spreco”, “barbarie”, “assurdo”, ecc. Inoltre ci sono giudizi
mascherati. I giudizi di valore non sono da confondere coi “comandi”, da
escludere nei sistemi di proposizioni scientifiche. I giudizi di valore hanno
un contenuto conoscitivo, la cui validità deriva dalla concordanza con i
fatti (ad esempio “un insegnamento noioso è cattivo”). Il carattere assertorio o normativo delle proposizioni non deriva dalla assenza o dalla presenza della parola “deve”. È necessario stabilirne il senso. Le attività
scientifiche si possono avere solo in seguito a giudizi di valore. Le norme
metodologiche ne sono un esempio. I problemi morali della diffusione e
dell’applicazione delle conoscenze scientifiche non hanno niente a che
fare con la scienza come sistema di proposizioni. La norma minimale della
prospettiva avalutativa nell’interpretazione di Brezinka consiste nel prescrivere alle scienze empiriche la raccolta delle conoscenze sul mondo. Lo
scopo della scienza non è la difesa di una morale. Gli ultimi criteri valutativi (nel senso forte del termine) dipendono dalla visione del mondo,
dalla fede e dalla coscienza del singolo. Nelle scienze dell’educazione il
criterio avalutativo si viola, quando dai mezzi si deducono i giudizi di
valore morale: le ipotesi nomologiche possono essere dedotte dal presente o dal passato. Resta il fatto che gli eventi del passato non possono essere osservati, ma devono essere inferiti da fonti più o meno incomplete. La
“storiografia dell’educazione” si occupa dei fatti educativi del passato. E
il presente può essere considerato un passato prossimo. Accanto alla
“pedagogia storica” si colloca la “pedagogia sistematica”, che controlla le
ipotesi nomologiche. Brezinka propone di usare la denominazione “scienza nomotetica dell’educazione”, intendendo il termine “nomotetico” nel
senso di enunciante leggi. Quanto ai contenuti la scienza nomotetica dell’educazione e la storiografia dell’educazione non si possono distinguere
l’una dall’altra. È impraticabile la storiografia senza una pre–comprensione teoretica. La pedagogia tradizionale non ha distinto nettamente tra
essere e dover essere, ed è povera di ipotesi specifiche. Aloys Fischer è
stato il promotore della “pedagogia descrittiva”, seguito da Rudolf
Lochner. Occorre uscire dall’empirismo ingenuo. Ogni osservazione si
basa su presupposizioni teoriche. Per scienza si può intendere ogni sistema di enunciati che viene insegnato nelle università. A ciò si deve aggiungere il requisito di controllabilità intersoggettiva. Si può ricordare il motto
“accademico” della Royal Society: “Sulla parola di nessuno”. Nelle scien-
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ze formali la controllabilità consiste nel postulato della coerenza. Il carattere non contraddittorio delle affermazioni contraddistingue la matematica e la logica. La frequenza registrata è detta probabilità matematica.
L’uso di leggi probabilistiche è stato considerato un espediente provvisorio. Poi è stato assodato che forse tutte le leggi naturali vanno considerate
come leggi statistiche. Ciò è scontato nell’ambito delle scienze sociali. Le
leggi sociologiche sono enunciati ipotetici. Gli enunciati di leggi del grado
più basso esprimono relazioni fra i fenomeni. Le leggi di grado superiore
rappresentano l’ordine in cui stanno le singole leggi empiriche fra loro.
Tali ipotesi solo indirettamente possono essere confermate. Le scienze
nomotetiche costituiscono un sistema ipotetico–deduttivo.
2. Le scienze dell’educazione
Si tratta non già dello statuto delle discipline accademiche, bensì si considerano aree tematiche di raggruppamento. Le condizioni in cui si perviene a intuizioni creative è l’area della psicologia del pensiero, distinta dalla
psicologia evolutiva, in cui si analizzano le fasi di costruzione della struttura cognitiva. Di tutt’altro genere è la questione del fondamento delle
asserzioni scientifiche. Scriveva Husserl: «L’interesse teoretico in senso
specifico è l’interesse alla fondazione, alla normazione cioè cui si annette
la af–fermazione, la fissazione in espressioni stabili e l’imprimersi della
fondazione. Ogni giudizio che sia attraversato dalla fondazione ha il carattere della giustezza normativa, il carattere dello ortos logos»10.
Naturalmente la gnoseologia scientifica di Brezinka è diversa da quella di
Husserl. Analogo è l’interesse normativo, che viene meno in alcune epistemologie (ad esempio in quella di Feyerabend). La gnoseologia della conoscenza scientifica, pur prendendo in considerazione le discipline empiriche,
in sé e per sé è una disciplina filosofica normativa. Il costruttivismo moderno parte dalla convinzione che non ci siano fonti ultime della conoscenza.
Il nostro sapere parte da progetti teoretici (che si affermano nel contrasto
dialettico con altri progetti). Si usa la massima tolleranza per le teorie in via
di formazione, e la critica illimitata (il collaudo con prove superiori alle dif-
10. E. HUSSERL, Esperienza e giudizio, trad. it., Silva, Milano 1960, p. 355.