IL MMG NELL’ ALIMENTAZIONE E NELLE PATOLOGIE CORRELATE Hotel Borromini, Via Lisbona n. 7 Roma 15/06/12 PARAMETRI DI VALUTAZIONE DELLO STATO DI NUTRIZIONE ALESSANDRO PINTO UNITÀ DI RICERCA IN SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE DIPARTIMENTO DI MEDICINA SPERIMENTALE “SAPIENZA” UNIVERSITÀ DI ROMA P.le Aldo Moro 5 - 00185 Roma INTRODUZIONE L’Organizzazione Mondiale di Sanità definisce l'obesità una condizione epidemica caratterizzata da un incremento della massa adiposa (alterazione della composizione corporea) che determina una compromissione dello stato di salute (alterazione della funzionalità corporea) (WHO, 1997). Tale condizione, a prescindere dall'eziologia (obesità essenziale poligenica ed obesità secondaria), consegue ad un bilancio energetico positivo: l’assunzione di nutrienti energetici eccede il dispendio e determina un aumento delle riserve corporee (massa adiposa). La valutazione dello stato di nutrizione del soggetto obeso presuppone quindi la (fig.1): 1. valutazione della composizione corporea; 2. valutazione del bilancio energetico; 3. valutazione della funzionalità corporea. Fig. 1 - Definizione operativa di stato di nutrizione modificata da: G. Bedogni, 1999 Utilizzazione dei nutrienti STATO DI NUTRIZIONE Composizione corporea Funzionalità corporea STATO DI SALUTE 1 Bilancio energetico VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA Poiché non è l’eccesso ponderale, ma l’eccesso di massa adiposa (o meglio la sua distribuzione) a determinare l’aumento del rischio di morbidità e mortalità, la diagnosi di obesità richiede la quantificazione della massa adiposa, espressa come percentuale sul peso corporeo (Body Fat %, BF%). Tale assunzione presuppone la disponibilità di valori di riferimento per la BF%, specifici per popolazione, sesso ed età, e di metodiche per la valutazione della composizione corporea non invasive, sufficientemente precise (ripetibilità e riproducibilità) ed accurate (corrispondenza tra stima acquisita e valore reale). Nella pratica clinica, nessuno di questi presupposti è soddisfatto: i metodi di riferimento Fig. 2 - Gerarchia dei metodi di valutazione della composizione corporea. per la valutazione della composizione corporea non sono utilizzabili, in quanto all’aumentare dell’accuratezza corrisponde un parallelo incremento dell’invasività e dei costi (fig. 2); inoltre non sono disponibili precisi valori di riferimento per quantificare l’eccesso di BF in funzione del quale porre diagnosi di sovrappeso o di obesità di vario grado. Il cut-off point di 30 kg/m2 (Body Mass Index, BMI) che identifica l’obesità (WHO, 1997) corrisponde nell’adulto caucasico ad una BF% >25-30% nel M e >35-40% nella F, in funzione dell’età (Deuremberg, 1991). Tuttavia non è ancora possibile rispondere ai seguenti quesiti (Prentice A.M. e Jebb S.A., 2001): qual è la massa adiposa media ed il range di normalità nella nostra popolazione? come varia questo parametro in rapporto all’età, al sesso e all’etnia? qual è la relazione tra eccesso di massa adiposa, morbilità e mortalità? tale relazione è lineare o possono essere individuate delle soglie critiche? Inoltre, cicli ripetuti di decremento e recupero ponderale (Weight Cycling Syndrome, WCS) e uno stile di vita sedentario favoriscono una riduzione della massa magra e un aumento della BF%, sebbene non siano chiari gli effetti sui fattori di rischio cardiovascolare (Graci S. e coll., 2004). Per questo è frequente rilevare valori di BF% > 25% nei M e > 35% nelle F anche in soggetti in lieve sovrappeso (o addirittura normopeso), ad indicare una 2 paradossale condizione di sarcopenia contrapposta alla malnutrizione energetica per eccesso. È evidente il limite degli indicatori antropometrici comunemente utilizzati nella pratica clinica, quali il peso corporeo (sovrappeso + 10-20% del peso desiderabile, obesità + 2040%, obesità grave > 40%) ed il BMI. Il BMI è il rapporto tra il peso e la statura elevata al quadrato (kg/m 2). Confrontato con gli altri indici peso/altezza (Indice di Rohrer, Ponderal Index, Sheldon Index, Nicholson and Zilvas leaness Index) il BMI, o indice di Quetelet, presenta il più alto coefficiente di correlazione con il peso e con la stima della quantità di massa adiposa, ottenuta attraverso metodiche di riferimento (pesata idrostatica, metodi isotopici di diluizione, etc.), mentre è quello meno correlato con la statura. Sebbene significativamente correlato con la BF% (r = 0,6-0,7), la correlazione del BMI con la massa magra (Fat Free Mas, FFM) è altrettanto elevata (r = 0,5-0,6) (Lukaski H.C., 2001). Significative discordanze tra BMI e BF% si possono osservare in relazione a: etnia (per es. gli asiatici hanno una percentuale di massa adiposa maggiore dei caucasici a parità di BMI) (fig. 3); età (la relazione fra BMI e massa grassa è età dipendente, poiché la FFM si riduce con l’invecchiamento) (fig. 4); livello di attività fisica (gli atleti hanno una BF% inferiore); decremento ponderale associato o meno ad attività fisica (il decremento ponderale è sempre associato ad una variabile riduzione della massa magra, in media il 25% del decremento ponderale: la variazione del BMI non rappresenta la reale perdita di massa magra o grassa); incremento della FFM in soggetti che praticano attività fisica senza diminuzione del peso corporeo; stati patologici che determinano alterazioni dello stato di idratazione (disidratazione, l’edema, l’ascite, etc) (Prentice A.M. e Jebb S.A., 2001). Figura 3: Differenze razziali relative all’associazione tra BMI e grasso corporeo costante. Figura 4 - Aumento del grasso corporeo correlato all’età con BMI costante. 3 Il BMI, pur essendo il “pilastro” dell’attuale sistema di classificazione dell’obesità, non può quindi essere considerato una misura dell’adiposità corporea: Gallagher D. e coll. (2000) hanno rilevato in un campione di soggetti con BMI di 25 kg/m 2 una BF% variabile dal 20% al 50% (stimata mediante Dual-Energy X-Ray Absorptiometry, DEXA). L’utilità del BMI a livello epidemiologico è comunque indiscutibile: costituisce un importante indicatore per le politiche sanitarie e l’opinione pubblica (in relazione all’evidenza della correlazione del BMI con la morbilità e la mortalità sia nella malnutrizione per eccesso che per difetto), ma eccetto che per uno screening iniziale (bassa sensibilità e specificità) non può essere utilizzato per porre diagnosi di obesità, ossia di eccesso di adiposità, nel singolo individuo. Studi epidemiologici hanno dimostrato un’evidente correlazione tra adiposità centrale ed ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica, diabete di tipo 2 e rischio di mortalità. L’obesità addominale è associata ad un aumento della massa adiposa viscerale e questa è correlata alla glicemia e all’insulinemia sia nei M che nelle F (Wang J. e coll., 2003). Sono stati sviluppati diversi indici antropometrici di adiposità viscerale: la circonferenza vita (CV), il rapporto vita/fianchi, il rapporto vita/coscia, il diametro sagittale addominale, l’indice di conicità, il rapporto vita/statura. Nella pratica clinica si utilizza la misura della CV, che consente di definire il grado di adiposità addominale attraverso una misura unica e di monitorizzare l’efficacia dell’intervento dietoterapico (Ligio, 1998). Sebbene in letteratura sono descritte almeno 4 differenti modalità di misura della CV (Wang J. e coll., 2003), questa dev’essere rilevata con il soggetto in piedi, che respira superficialmente, secondo un piano parallelo al pavimento, a livello del margine superiore delle creste iliache (fig. 5) (Ligio, 1999). I cut-off della CV sono: nel M 94 cm (rischio aumentato) e 102 cm (rischio elevato); nella F 80 cm (rischio aumentato) e 88 cm (rischio elevato) (WHO, 1997). Il valore predittivo della CV si annulla per BMI 35 kg/m2 Figura 5: Punto di repere per la misurazione della circonferenza vita ed in soggetti di bassa statura. La CV è un indice altrettanto affidabile, se non superiore al rapporto circonferenza vita/circonferenza fianchi (Waist Hip Ratio, WHR). I valori soglia del WHR per l’adiposità addominale sono 0,85 per la donna e 1 nell’uomo (WHO, 1997). 4 La classificazione di sovrappeso e obesità attraverso il BMI è stato associata alla CV per identificare il RR di diabete di tipo 2, ipertensione arteriosa e malattie cardiovascolari (WHO, 1997) (tab. 1). Tab. 1 - CLASSIFICAZIONE DEL SOVRAPPESO E DELL’OBESITÀ E RISCHIO RELATIVO* CORRELATO ALL’BMI ED ALLA CIRCONFERENZA VITA DEFINIZIONE BMI CLASSE DI RISCHIO RELATIVO * (diabete tipo 2, ipertensione, malattia coronarica) OBESITÀ Circonferenza Vita Uomini 102 cm > 102 cm Donne 88 cm > 88 cm kg/m2 Sottopeso < 18,5 Normopeso 18,5 – 24,9 Sovrappeso 25 – 29,9 Obesità Aumentato Aumentato Alto 30 – 34,9 I Alto molto alto 35 – 39,9 II molto alto molto alto 40 III Estremamente alto Estremamente alto WHO. Obesity. Prevention and management of the global epidemic. Report of a WHO consultation on obesity. Geneva 3 rd-5th, e 1997 L’adiposità addominale può essere stimata attraverso il diametro anteroposteriore dell’addome (diametro sagittale) misurato a livello del diametro massimo tra il processo xifoideo e l’ombelico, con il paziente in posizione supina. Il grasso viscerale determina un innalzamento del diametro addominale, mentre il grasso sottocutaneo tende ad appiattirlo. La correlazione tra diametro sagittale e misura del grasso viscerale a livello L4-L5 mediante TC è significativa (M, r = 0,83; F, r = 0,8) (Zamboni M. e coll., 1998). Una valutazione più accurata del grado di adiposità e della distribuzione del tessuto adiposo può essere effettuata mediante la misura delle principali pliche e circonferenze. Le pliche, che rappresentano il doppio spessore del tessuto adiposo sottocutaneo in un determinato punto del corpo, possono essere utilizzate come tali per stabilire il grado di adiposità o magrezza (confrontate con i centili di una popolazione di riferimento); sono correlate ad alcuni fattori di rischio cardiovascolare (RCV) [per es. lo spessore della plica sottoscapolare (SSF) è correlato alla pressione arteriosa (PA)]; unitamente alle circonferenze permettono di calcolare, attraverso le formule della corona circolare, la circonferenza e l’area muscolare (o viceversa adiposa) del braccio o della coscia; i rapporti tra la plica SSF e la plica tricipitale (SSF/TSF) e tra la plica sovrailiaca (SISF) e TSF (SISF/TSF) forniscono indicazioni sulla distribuzione corporea dell’adipe; infine, attraverso equazioni predittive la plicometria permette di stimare la % BF (Bedogni G e coll., 2001). 5 La plicometria si basa sulle seguenti assunzioni: il rapporto tra tessuto adiposo sottocutaneo e tessuto adiposo totale è costante; i siti di misura selezionati consentono una stima di tutto il tessuto adiposo sottocutaneo; la compressibilità del tessuto è costante; lo spessore della cute non influenza la misurazione. Le equazioni utilizzate per predire la % BF sono popolazione specifiche. La precisione della misura è del 5% quando è rilevata da un operatore addestrato; l’errore è correlato allo spessore della plica: aumenta se la plica è > 15 mm e se è < 5 mm. Utilizzando la densitometria come gold standard l’errore nella stima della massa grassa è dell’ordine del 5%. La misura è facilmente eseguibile se il tessuto sottocutaneo è moderatamente consistente, ma è difficilmente rilevabile se il tessuto adiposo è eccessivamente comprimibile o se presenta un’elevata consistenza (Lohman TG e coll., 1992). La plicometria non può essere utilizzata per la stima della % BF in soggetti affetti da obesità grave (la maggior parte degli strumenti permette di misurare pliche di spessore 40 mm). Lo spessore delle pliche e i reciproci rapporti possono essere utilizzati per monitorizzare il riequilibrio della distribuzione del grasso corporeo durante l’intervento dietoterapico e/o impostare un programma adeguato di attività fisica per potenziare distretti muscolari ipotrofici. Altre 2 metodiche sono utilizzate per la valutazione della composizione corporea nella pratica clinica: l’analisi dell’impedenza bioelettrica (BIA) e la Dual-Energy X-Ray Absorptiometry, DEXA. L’impedenza bioelettrica (Z), comunemente definita come l’opposizione di un conduttore biologico al passaggio di una corrente elettrica alternata, da un punto di vista fisico, è il rapporto tra l’ampiezza di potenziale alternato e l’ampiezza della corrente alternata che ne consegue in un conduttore biologico (Battistini N. e coll., 1998). L’impedenza è inversamente proporzionale all'acqua presente nei tessuti e agli elettroliti in essa dissolti, così come alla sezione del conduttore, mentre è direttamente proporzionale alla lunghezza. Resistenza e reattanza (le due componenti dell’impedenza), associate a parametri antropometrici, sono utilizzate in equazioni predittive per la stima dell’acqua corporea totale (TBW), della Fat Free Mass (FFM) e della BF, specifiche per sesso, età e popolazione. L’uso improprio di equazioni predittive specifiche per popolazione o per gruppi di individui, può condurre a errori significativi nella stima del valore assoluto della TBW ed ancor più della FFM e della BF (peso corporeo – FFM), soprattutto se si considera che lo stato di idratazione della FFM, che si assume costante (mediamente 73%), può variare in modo significativo. Pertanto le equazioni predittive per la stima della 6 FFM, che utilizzato l’indice di impedenza [statura2/Z: il rapporto Ht2/Z spiega il 99% della variabilità della TBW con un SEE = 1,67 Kg (Kushner R.F. e coll., 1992)], possono condurre a significativi errori di sovrastima o sottostima della FFM. Sono disponibili equazioni specifiche per soggetti obesi (Gray D.S. e coll., 1989), ma i risultati di studi di monitoraggio delle variazioni dei distretti corporei in corso di calo ponderale a breve termine sono controversi. Nel soggetto obeso il volume della TBW è espanso in senso assoluto, ma la TBW% è ridotta in relazione all’aumento della BF%. La FFM risulta quindi sovrastimata all’inizio dell’intervento dietoterapico e sottostimata successivamente. L’analisi bioimpedenziometrica dev’essere eseguita in condizioni rigorosamente standardizzate. La predizione della composizione corporea a livello di popolazione è possibile, purché siano utilizzate formule validate e specifiche; a livello individuale dev'essere interpretata con attenzione, soprattutto in situazioni cliniche in cui si verificano variazioni quantitative della TBW e/o della sua distribuzione intra- ed extracellulare. Ulteriori ricerche sono necessarie, soprattutto riguardo al posizionamento degli elettrodi, alle misure della impedenza dei diversi segmenti corporei ed all'applicazione della impedenziometria in situazioni cliniche”. La DEXA utilizza una fonte di raggi X, che opportunamente filtrata, emette fotoni a 2 diversi livelli di energia. Le interazioni atomiche che i fotoni subiscono ne attenuano l’intensità e tale attenuazione viene rilevata e registrata da un sensore. Dal rapporto di attenuazione subito dal raggio a più bassa energia e quello subito dal raggio ad energia maggiore si ottiene un valore "R” tanto più elevato quanto più elevato è il numero atomico della sostanza attraversata. Il corpo umano è formato da diversi elementi con numero atomico diverso, ma considerando le strutture organiche, i trigliceridi, che sono formati da H, C, O, hanno un valore di “R” basso; i liquidi intra- ed extra-cellulari, che contengono elementi come il Na, K e Cl, hanno un valore di “R” più elevato; tale valore è ancora più alto per l’osso. La capacità della DEXA di distinguere tra differenti tessuti si basa su questo principio. Per questo la capacità di distinguere tra tessuti molli “grassi” e “magri” (non ossei) non è ancora del tutto soddisfacente (Bedogni G. e coll., 1999). L’accuratezza nella misura della %BF è del 2,9% (per es. una persona che ha una %BF stimata del 30% può avere in realtà una % BF compresa tra il 26-34%) (Svendsen O.L., 2003). Quindi la DEXA non può essere considerata un gold standard per validare la plicometria e/o la BIA. Come in qualsiasi altro settore della diagnostica strumentale è essenziale conoscere i limiti e il campo di applicazione di ciascuna metodica. Metodiche più accurate (fig.2) sono utilizzabili solo a scopo di ricerca ma non nella pratica clinica, a causa della maggiore 7 invasività e/o dei costi elevati. L’antropometria, associata alla BIA (per la valutazione dello stato di idratazione) rimane attualmente la metodica di riferimento nella valutazione dello stato di nutrizione del soggetto obeso. VALUTAZIONE DEL BILANCIO ENERGETICO Il bilancio energetico rappresenta la differenza tra l’energia introdotta attraverso gli alimenti ed il dispendio energetico (metabolismo basale, BMR + termogenesi indotta dalla dieta, DIT + attività fisica, AEE ). Nel soggetto obeso in fase dinamica di incremento ponderale il bilancio energetico è positivo. La valutazione del bilancio energetico presuppone quindi: l’analisi delle abitudini alimentari e la valutazione del livello di attività fisica. I metodi di rilevazione delle abitudini alimentari si distinguono in metodi retrospettivi basati sulla memoria (24/48h-recall, questionari di frequenza, storia dietetica) e metodi prospettici di registrazione (registrazione con pesata o stima delle quantità degli alimenti assunti) (D’Amicis A., 1999). I metodi retrospettivi presuppongono un intervistatore adeguatamente addestrato ed un paziente in grado di collaborare. Le quantità consumate possono essere stimate facendo riferimento a fotografie, a misure casalinghe o a porzioni standard. L’uso di appositi software consente di stimare l’apporto di energia e nutrienti, ma la quantificazione è inevitabilmente imprecisa, anche se le informazioni ricavate sono sufficienti per correggere abitudini alimentari inadeguate. Il 24-48/h recall consiste in un’intervista che rileva il consumo di alimenti nelle ultime 2448 ore, poiché il ricordo oltre questo intervallo di tempo tende inevitabilmente a diminuire; non può essere rappresentativo dell’alimentazione abituale del singolo individuo, e pertanto la sua utilità è limitata alla verifica della compliance del paziente alla prescrizione dietetica. I questionari di frequenza rilevano la frequenza di consumo di differenti gruppi di alimenti in un periodo di tempo definito; gli alimenti vengono selezionati in relazione all'obiettivo della rilevazione (per es. nel soggetto obeso può essere opportuno acquisire informazioni dettagliate sul consumo di alimenti ad alta densità energetica). Possono essere somministrati per intervista o autocompilati, ma richiedono un buon livello culturale del paziente che può incontrare difficoltà nell’esatta comprensione del concetto di frequenza 8 settimanale. Consentono di ottenere una buona stima dell’alimentazione abituale tanto da costituire il metodo di riferimento per valutare la correlazione tra regimi alimentari e patologie. Nei questionari di frequenza “semiquantitativi” accanto a ciascun alimento viene indicata una porzione media rispetto alla quale il paziente deve indicare se il suo consumo abituale è maggiore o inferiore; questo presuppone un’idea sufficientemente precisa della porzione abitualmente consumata. La storia dietetica è un’intervista aperta, che segue uno schema predefinito e standardizzato (schede e questionari associati ad un'intervista) per ricostruire la dieta abituale del soggetto, discutendo tutte le alternative settimanali o mensili. I metodi “per registrazione” consistono nel registrare per un periodo di tempo definito tipologia e quantità di alimenti assunti, preferibilmente indicando il peso (in alternativa si fa riferimento ad unità di misura casalinghe o a porzioni standard). Il paziente dev’essere adeguatamente istruito per prevenire omissioni involontarie di alimenti il cui consumo è “automatico” (parmigiano, olio, bevande, ecc.) o descrizioni non accurate degli alimenti (errori nella pesata o nel riferimento a porzioni o unità di misura). La registrazione dei consumi alimentari può indurre il soggetto a modificare le proprie abitudini e per questo la registrazione viene effettuata per 3 giorni di cui uno festivo, o al massimo per una settimana. Tale tendenza può essere sfruttata a scopi terapeutici: il “diario alimentare” può assumere il ruolo di strumento di autocontrollo nella terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi del comportamento alimentare. In generale da numerosi lavori emerge che tutti i metodi di valutazione dell’apporto energetico tendono a sottostimare i consumi. I soggetti obesi tendono a sottostimare i propri consumi in misura maggiore rispetto ai normopeso e la sottostima aumenta all’aumentare dell’eccesso ponderale. Inoltre nel 20-40% delle persone che cercano di perdere peso si rilevano periodici episodi compulsivi di alimentazione incontrollata (binge eating) fino a vere e proprie abbuffate o crisi bulimiche. E’ verosimile che tali soggetti non riportino correttamente la quantità di cibo assunta, soprattutto durante tali crisi di alimentazione incontrollata. Il questionario di frequenza e la storia dietetica costituiscono gli strumenti principali attraverso cui acquisire sufficienti informazioni sulle abitudini alimentari del paziente obeso, ma se occorre una valutazione quantitativa è necessario ricorrere al diario alimentare con registrazione del peso degli alimenti assunti, pur con i limiti descritti. La rilevazione delle abitudini alimentari nel soggetto obeso presuppone inoltre l’acquisizione di informazioni sulle modalità di consumo dei pasti (numero dei pasti, orari, 9 luoghi, vincoli familiari, sociali, culturali ecc.) nonché la valutazione di eventuali comportamenti alimentari disfunzionali o francamente patologici (nigth eating, binge eating, ecc.) la cui conoscenza è essenziale per programmare un adeguato intervento dietoterapico finalizzato a modificare abitudini alimentari inadeguate e non solo al decremento ponderale (D’Amicis A., 1999). Nel soggetto obeso il MB è maggiore rispetto al soggetto normopeso di pari sesso, età e taglia corporea, in relazione alla espansione della FFM che rappresenta la componente metabolicamente più attiva, ma anche al contributo della massa adiposa che diviene significativo. In condizioni di obesità statica, ossia quando l’incremento ponderale ha raggiunto un plateau, il MB, normalizzato per unità di FFM, non risulta significativamente differente rispetto ai soggetti normopeso (Verga S. e coll., 1995). Questo non permette di escludere la presenza di differenze durante la fase dinamica di incremento ponderale. Esiste inoltre un’ampia variabilità del MB normalizzato per la FFM (fino al 30%) tra individui di uguale età, sesso e taglia corporea (LARN, Revisione 1996). I soggetti con più basso valore di MB sono evidentemente esposti ad un rischio maggiore di incremento ponderale. Il metabolismo basale può essere misurato tramite tecniche calorimetriche dirette o indirette o attraverso metodi di diluizione (acqua doppiamente marcata). Tali metodiche sono precise ma costose e laboriose e perciò di difficile applicazione su larga scala, motivo per cui sono state elaborate equazioni di regressione che utilizzano variabili quali sesso, età, peso ed eventualmente la statura. Non sempre tali equazioni sono state elaborate sulla base di una o più misure dirette del MB, in alcuni casi sono derivate da una analisi dei dati della letteratura. Come per tutte le stime indirette attraverso equazioni predittive (questo vale anche per la valutazione dei differenti compartimenti corporei) è essenziale tenere conto della popolazione-specificità dell’equazione. Questo significa che un’equazione di predizione del MB, validata attraverso tecniche di riferimento, non può essere utilizzata al di fuori della popolazione su cui è stata elaborata, salvo dimostrazione della sua accuratezza. Prima di applicare una determinata equazione occorre conoscere le caratteristiche del campione su cui tale equazione è stata derivata: l’etnia, la numerosità del campione, il peso ed eventualmente la composizione corporea (massa magra) dei soggetti, l’età, la metodica utilizzata per la misura del MB, la tipologia di soggetti (per es. tipo di attività lavorativa più o meno pesante, atleti, ecc.), criteri di inclusione e di esclusione. Bisognerebbe conoscere anche l’errore di predizione ed i limiti di confidenza per ogni equazione, considerando che 10 possono verificarsi errori di segno opposto (sovra- o sottostima) in funzione del peso, dell’età o di altre variabili nel singolo individuo. Negli individui al di sopra dei 10 anni, vengono abitualmente utilizzate le equazioni di Harris-Benedict, che sovrastimano sistematicamente il MB di circa il 5%, e le equazioni riportate nei LARN (Revisione 1996), elaborate da Schofield et al. (1985) e proposte nel rapporto FAO/WHO/ONU (1985), che hanno un errore standard di circa il 10% sul singolo individuo e del 2% a livello di gruppi di popolazione. Per la popolazione anziana le equazioni FAO/WHO/ONU sono state integrate con dati raccolti su uomini e donne anziane in Italia (Ferro-Luzzi, 1988). Le equazioni di Harris-Benedict sono state elaborate su un campione di adulti sani normopeso che includeva anche alcuni atleti, e comportano una sovrastima di entità accettabile solo per sovrappeso ed obesi. Le equazioni di Schofield sono state elaborate sulla base di un archivio dati che includeva un campione costituito per circa la metà da giovani tra i 18 e i 30 anni, militari, operai e minatori e includono valori di MB relativi ad un esteso campione di Italiani misurati tra il 1935 ed il 1942, che rappresenta il 45% dei dati utilizzati. La sovrastima sistematica del MB potrebbe pertanto essere dovuta al campione selezionato, o ad errori sistematici di rilevazione del MB (Antonini R. e coll., 1999). Una recente revisione dei dati inclusi nell’archivio di Schofield e della metodologia utilizzata per la rilevazione del MB, non ha evidenziato errori metodologici o di campionamento che giustifichino la sovrastima sistematica del MB evidenziata in diversi studi. È possibile che le differenze siano attribuibili ad una diversa composizione corporea tra gli Italiani misurati negli anni trenta-quaranta e gli Italiani attuali: minore percentuale di massa grassa negli adulti della prima metà del ‘900 e minore statura (media inferiore di 6 cm), la cui influenza sul metabolismo è legata ad un più alto turnover energetico per unità di massa magra negli individui di più bassa statura (Polito A. e coll., 1999). Equazioni più recenti quali le equazioni di Owen O.E. (1986), Mifflin M.D. (1990) e Cunningham J. (1980) presentano errori leggermente inferiori nei normopeso ed un modesto vantaggio può derivare dal calcolo del MB a partire dalla stima della FFM (Cunningham J., 1980). In questo caso è essenziale che la FFM sia adeguatamente determinata. In caso contrario viene introdotta un’ulteriore potenziale fonte di errore sistematico (bias). Stimato il MB per calcolare il dispendio energetico delle 24h (24hEE) si utilizza il metodo fattoriale. Occorre definire il profilo dell’attività fisica individuale per codificare il Livello di Attività Fisica (LAF). Il soggetto deve registrare in un diario il tempo dedicato ad ogni 11 attività svolta nell’arco delle 24 ore (dormire, mangiare, camminare, lavorare, svolgere altre attività quali: igiene personale, sport, hobby ecc.). In alternativa, anche se con minore precisione, è possibile definire il profilo dell’attività fisica attraverso un’intervista (recall). Il costo energetico per minuto (kcal/min) di ciascuna attività può essere espresso come multiplo del MB utilizzando differenti indici: il Fattore MB (FMB) per attività singole, il Tasso di Attività Fisica (TAF) per attività più articolate (comprese le pause e le interruzioni), o l’Indice Energetico Integrato (IEI) quando si fa riferimento ad attività complesse come l’attività lavorativa, composte da più attività semplici e incluse le brevi interruzioni e le pause di riposo più lunghe. Moltiplicando il MB (kcal/min) per tali indici (FMB, TAF e IEI) si ottiene il costo energetico per minuto di ciascuna attività. Questi indici permettono di eliminare le differenze dovute al peso ed alla composizione corporea. Il LAF giornaliero viene calcolato ponderando i rispettivi FMB, TAF o IEI per i tempi dedicati ad ogni singola attività nell’arco della giornata [(FMB1 x tempo1 + FMB2 x tempo2 + ..... + FMBn x tempon) / (tempo1 + tempo2 + ..... + tempon)]. Si ottiene così il LAF giornaliero medio, indicato in genere come multiplo del MB (LAF = 24hEE/MB kcal/die). Per calcolare il 24hEE, in kcal/die, si deve moltiplicare il MB per il LAF determinato. E’ possibile semplificare la stima del 24hEE, con discreta approssimazione, utilizzando dei valori medi di LAF codificati per stili di vita con attività “leggera”, “moderata” o “pesante”. Per ottenere la stima del 24hEE è sufficiente in questo caso moltiplicare il MB per il valore di LAF attribuito al soggetto in esame in base al suo stile di vita (LARN, Revisione 1996). VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ CORPOREA Per funzionalità corporea si intende il complesso delle fisiologiche funzioni svolte dall’organismo (Bedogni G. e coll., 1999). Tralasciando le alterazioni della funzionalità corporea presenti nelle obesità secondarie, in cui l’esame clinico ed anamnestico orientano verso le indagini strumentali e gli esami ematochimici necessari a confermare l’ipotesi diagnostica, l’obesità si associa a numerose alterazioni biologiche, definite comorbidità, indicate nella seguente tabella (tab. 2): 12 Tab. 2 - Alterazioni della funzionalità corporea associate al sovrappeso ed all’obesità Sistema o Apparato Sist. cardiovascolare Sist. endocrino-metabolico App. digerente App. muscolo-scheletrico App. respiratorio App. riproduttivo Neoplasie Sfera psico-sociale Patologia ipertensione arteriosa malattia coronarica insufficienza cardiaca stroke (ictus ed emorragia cerebrale) (cuore polmonare) (stasi venosa arti inferiori) alterata glicemia a digiuno intolleranza al glucosio diabete mellito tipo 2 dislipidemie (ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia) sindrome metabolica steatosi epatica e steatopatite litiasi della colecisti inabilità fisica osteoartrosi (del rachide, delle ginocchia, delle caviglie) dispnea sindrome delle apnee ostruttive del sonno sindr. di Pickwick irregolarità mestruali riduzione della fertilità endometrio (cervice, ovaio) mammella colon, retto (prostata) compromissione dell’immagine e della stima di sé isolamento e discriminazione sociale - Obesity preventing and managing the global epidemic. Report of WHO – Consultation on Obesity. Geneva, 1997; - Obesità, Sindrome Plurimetabolica e Rischio Cardiovascolare: Consensus sull’inquadramento diagnostico-terapeutico – Roma, 2003; - Expert Panel on Identification, Evaluation, and Treatment of Overweight in Adults. Clinical guidelines on the identification, evaluation, and treatment of overweight and obesity in adults: executive summary. Am J Clin Nutr 1998; 68: 899-917 La valutazione della funzionalità corporea nel soggetto obeso coincide con lo screening di tali comorbidità. La diagnosi di ciascuna di queste patologie deve attenersi ai criteri indicati nelle linee guida delle relative società scientifiche, tenendo presente che la prevalenza in soggetti obesi è superiore alla popolazione generale e che spesso coesistono più comorbidità, che aumentano in modo esponenziale il rischio di mortalità. In base a tali evidenze e sulla base dell’esame clinico obiettivo ed anamnestico, è quindi opportuno eseguire i seguenti esami ematochimici e strumentali (tab. 3): 13 Tab. 3 ESAMI DI PRIMO LIVELLO ESAMI DI SECONDO LIVELLO Rilevazioni anamnestiche Sintomi attuali (tipo, durata, localizzazione, insorgenza; per es. angina, dispnea, palpitazioni) Copresenza di patologia cardiaca, dislipidemia, diabete mellito Misura della pressione arteriosa e Età M > 45 aa, F > 55 aa della frequenza cardiaca Fumo di sigaretta Consumo di alcol Familiarità positiva per cardiopatia ischemica in parenti di 1° grado (genitori, fratelli o figli) M < 55 aa, F <60 aa ECG (segni di ipertrofia ventricolare sinistra ed altre alterazioni), ECG da sforzo, Ecocardiogramma, pressorio, Microalbuminuria, del fondo oculare Holter esame OGTT; in presenza di altri fattori di rischio Glicemia a digiuno può essere indicata un’OGTT (2a ora) Presenza di 1 o più fattori di rischio per anche quando i valori glicemici a digiuno diabete, oltre l’eccesso ponderale; familiarità positiva per diabete mellito tipo 2 risultano nella norma; isulinemia (a digiuno e/o durante OGTT); Emoglobina glicosilata (HbA1c) Ecocolordoppler arterioso vasi epiaortici e arti inferiori (in particolare in Profilo lipidico (colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi) presenza di ipertensione metabolismo dei CHO) ed alterato Enzimi epatici (transaminasi, GT, fosfatasi acalina); bilirubina totale e diretta? Ecografia epatica (eventuale biopsia epatica) TSH (?) fT3, fT4, Tg, TgAb, TPOAb; Ecografia tiroidea Uricemia Esame emocromocitometrico LH, FSH, Alterazioni del ciclo mestruale, ipertricosi, Androstenedione, acne DHEAS, 4Testosterone, Prolattina Cortisolo libero urinario rachide lombare, ginocchia, Raccolta dettagliata sulla funzionalità delle Rx articolazioni e sui sintomi caviglie Dispnea, sindrome delle apnee ostruttive Test di funzionalità respiratoria, studio del sonno, sindr. di Pickwick del sonno Comportamenti alimentare depressione, ecc. disfunzionali, Binge Eating Scale (BES), BeckDepression Inventory (BDI), …………………………………… da: Obesità, Sindrome Plurimetabolica e Rischio Cardiovascolare: Consensus sull’inquadramento diagnostico-terapeutico – Roma, 2003 Particolare attenzione dev’essere rivolta alla diagnosi di Sindrome Metabolica. Secondo il Third National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III) la prevalenza di sindrome metabolica nella popolazione obesa americana è di circa il 60% mentre nella popolazione generale è del 22% [in base ai criteri dell'Adult treatment Panel III, 2001]. In Italia, nella popolazione generale, la prevalenza di sindrome metabolica è circa il 15,2%, (Trevisan M. e coll., 1998); in un ulteriore studio epidemiologico (Liu J. e coll., 1997), il tasso di crescita dell’obesità risulta del 25% ogni 4-5 anni, il 27,2% degli obesi oltre i 18 anni è affetto, in associazione all’obesità, da cardiopatia ischemica o diabete mellito o ipertensione arteriosa, e nel 14,8% di casi l’obesità si associa a 2 delle suddette patologie; 14 nel 2% del campione sono tutte associate. La seguente tabella (tab. 4) riassume i criteri indicati dalle diverse società scientifiche per la diagnosi di Sindrome Metabolica (Conference Report - Highlights From The First World Congress on the Insulin Resistance Syndrome. November 21-22, 2003; Los Angeles, California. Zachary T. Bloomgarden, MD Medscape Diabetes & Endocrinology 6(1), 2004. © 2004 Medscape - Posted 01/29/2004): Tab. 3 – Criteri diagnostici per la Sindrome Metabolica ATP III: Sindrome Metabolica presenza di 3 dei seguenti criteri: Circonferenza vita > 102 cm M o > 88 cm F Trigliceridemia 150 mg/dL HDL-C < 40 mg/dL M, < 50 mg/dL F PA 130/85 mm Hg Glicemia 110 mg/dL WHO: Sindrome Metabolica Diabete, IFG, IGT, o HOMA insulino resistenza e presenza di 2 dei seguenti criteri: WHR > 0.90 M o > 0.85 cm F Trigliceridemia 150 mg/dL o HDL-C < 35 mg/dL M o < 39 mg/dL F AER urinaria > 20 mcg/min PA 140/90 mm Hg ACE: Sindrome da Insulino Resistenza Presenza di 1 dei seguenti fattori: Diagnosi di CVD, ipertensione, PCOS, NAFLD, o acanthosis nigricans Familiarità positiva per diabete tipo 2, ipertensione, o CVD Storia di diabete gestazionale o di IGT Etnia non-Caucasica Stile di vita sedentario BMI > 25 kg/m2 e/o circonferenza vita > 102 cm M, > 88 cm F Età > 40 anni e presenza di 2 dei seguenti criteri: Trigliceridemia > 150 mg/dL HDL-C: M < 40 mg/dL, F < 50 mg/dL PA > 130/85 mm Hg Glicemia a digiuno 110-125 mg/dL or 120 min dopo carico di glucosio 140-200 mg/dL (Il diabete è escluso dai criteri ACE) EGIR: Sindrome da Insulino Resistenza Iperinsulinemia a digiuno (maggiore del 25%) e 2 dei seguenti criteri: Glicemia a digiuno 6.1 millimoles/liter (mM)/L, ma non diabete PA 140/90 mm Hg o ipertensione in trattamento farmcologico Trigliceridemia > 2 mM/L o HDL-colesterolo < 1 mM/L o dislipidemia in terapia farmacologica Circonferenza vita > 102 cm M o > 88 cm F ACE = American College of Endocrinology; ATP = Adult Treatment Panel; BMI = body mass index; BP = blood pressure; CVD = cardiovascular disease; EGIR = European Group for the Study of Insulin Resistance; HDL-C = high-density lipoprotein cholesterol; HOMA = homeostasis model assessment; IFG = impaired fasting glucose; IGT = impaired glucose tolerance; IRS = insulin resistance syndrome; NAFLD = nonalcoholic fatty liver disease; PCOS = polycystic ovary syndrome L’insulino resistenza, che risulta spesso associata all’obesità addominale, ad ipertensione, diabete mellito di tipo 2, ipertrigliceridemia e ridotti livelli di HDL-C, è stata inclusa tra i criteri diagnostici della Sindrome Metabolica, solo dalla commissione WHO; l’indice HOMA è considerato l’indice più adeguato per la valutazione della insulino-resistenza a livello di popolazione (Mannucci E. e coll., 2003). Secondo McLauglin T. (2003) esiste una relazione lineare tra BMI ed insulino-resistenza (il BMI spiega il 25-30% della varianza nella sensibilità insulinica). Tuttavia in uno studio 15 condotto su 50 soggetti obesi di cui 29 classificati come insulino-resistenti e 21 insulinosensibili, la glicemia media a 2 ore dopo OGTT era di 144 vs 112 mg/dL, la trigliceridemia 199 vs 125 mg/dL, il C-HDL 42 vs 54 mg/dL ed il rapporto trigliceridi/C-HDL 5,4 vs 2,5; tali risultati fanno ipotizzare che l’insulino-resistenza contribuisce ad aumentare il rischio cardiovascolare in modo Fig. 6 OBESITÀ indipendente dall’eccesso ponderale (fig. 6). Il ruolo ? dell’obesità come fattore indipendente di rischio cardiovascolare non è ancora del Sindrome Metabolica tutto chiarito (mentre l’associazione con Rischio cardiovascolare l’adiposità viscerale sembrerebbe confermata) e per questo il grado di eccesso ponderale non è incluso tra i parametri utilizzati per stimare il rischio cardiovascolare globale in algoritmi come il Framingham Risk Score o il Procam Risk Score. L’obesità si associa infine ad una compromissione della funzionalità motoria che oltre al decremento ponderale richiede anche un adeguato programma di riabilitazione. Un’accurata valutazione clinica e metabolica dev’essere quindi preliminare anche alla programmazione dell’attività motoria. È consigliabile eseguire un test ergometrico massimale al cicloergometro o al nastro trasportatore per escludere una patologia coronarica e/o aritmica, e per ottenere informazioni sulla capacità fisica residua del paziente. È opportuno valutare l’efficienza fisica attraverso test di mobilità e flessibilità articolare (test di flessione del tronco, di mobilità articolare), di forza (per es. salto in lungo da fermo a piedi uniti, lancio indietro della palla zavorrata, test di raccolta addominale, “curl-up” test, test delle flessioni sulle braccia, test massimo ad una ripetizione) e di resistenza (per es. test ergometrici al cicloergometro, nastro trasportatore o scalino; test da campo quali il test di Cooper, l’Indice di Ruffier Dickson, il 2 km walking test, il Rockport, 1600 metri walking test). Durante l’esecuzione dei vari test può inoltre essere utilizzata la “Scala di percezione dello sforzo” di Borg che indica la percezione soggettiva del livello di impegno fisico ad un determinato carico di lavoro. Queste valutazioni consentono al medico, in collaborazione con il preparatore atletico o il fisioterapista di prescrivere un programma personalizzato di attività motoria adeguato alle necessità e possibilità di ciascun paziente (Giampietro M. e coll., 2001). 16 CONCLUSIONI L’obesità può essere definita una sindrome caratterizzata da un aumentato rischio di morbilità e mortalità. All’eccesso ponderale possono quindi associarsi differenti comorbidità in modo eterogeneo, configurando differenti e complessi quadri clinici che possono richiedere una terapia specifica oltre all’approccio dietoterapico, che comunque rimane il pilastro della terapia. Un accurata valutazione dello stato di nutrizione, nelle sue 3 componenti: composizione corporea, bilancio energetico e funzionalità, è quindi essenziale per impostare un trattamento adeguato che deve necessariamente essere di tipo multimensionale. BIBLIOGRAFIA Antonini R et al. 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