L A RI V IS TA DI CHI V UOL E FA RSI S T R A DA NEL L A MUSICA
1€
www.noisiamocantautori.it
GENNAIO ★ 2017
,90
TUTORIAL
COME
SCEGLIERE
LA CHITARRA
GIUSTA
DIRITTI
D’AUTORE
MEGLIO
LA SIAE O
SOUNDREEF?
SECONDARY
TICKETING
FINALMENTE
IL MARCIO
VIENE A
GALLA!
VASCO
ROSSI
GLI ANNI
MIGLIORI
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CANTAUTORI ★ # 2 ★ MENSILE ★ € 1,90
Angelis
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Sergio C o Verardi • As
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Rino Gaetano Happy X-Mas Eugenio Finardi
IL MITO IN
UN LIBRO
ANCHE LENNON
COPIAVA
C’È ARIA DI
MUSICA RIBELLE
Leonard Cohen
ADDIO
A UN POETA
TARIFFA R.O.C. - POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1, S/NA
PREZZO
LANCIO
C
Like a bird on the wire
like a drunk in a midnight choir
I have tried in my way to be free
GENNAIO 2017 • # 2
PER
SCEGLIERE MUSICA
06 GOOD NEWS
Le cose belle che succedono, quelle
che fanno discutere: Roberto Vecchioni va
in tv e dichiara morta la canzone d’autore.
Apriti cielo! Per fortuna, non tutti la pensano
così: Luca Barbarossa, ad esempio, tutte
le volte che può invita i giovani cantautori in
radio. Militant A degli Assalti Frontali, poi,
confida di essersi ispirato ai grandi cantautori
degli anni 70. A quella stessa epoca rimanda
per certi versi il nuovo folle disco di Amerigo
Verardi, mentre Juri Camisasca e Rosario
Di Bella intraprendono un percorso spirituale
senza tempo. Edoardo De Angelis va a
pranzo con Francesco De Gregori e subito
dopo ha una grande idea. E a proposito di
idee grandiose, dovreste sentire quella di
Max Gazzè. Intanto, la storia si mescola alla
leggenda in un libro su Rino Gaetano.
16 COVER STORY
Da poco nei negozi (e in classifica),
il nuovo album di Luciano Ligabue è un
concept. E parla di un uomo in crisi, improvvisamente consapevole che la sua vita non è
andata come doveva andare.
22
DENTE
In una delle sue ultime canzoni,
dice che “i cantautori non vendono più”. Sarà
poi vero? E perché?
24EUGENIO FINARDI
Quando parla degli anni 70 e della
sua musica ribelle, gli vengono sempre gli
occhi lucidi. Perché allora c’era il senso del
futuro.
36 LEONARD COHEN
Quando un artista ci lascia, è
sempre difficile rendergli omaggio senza
scivolare nella retorica. Questa volta, ci aiuta
l’uscita di un bel libro, che vi presentiamo in
anteprima.
standard da cantare sotto l’albero di Natale:
Happy Xmas (War Is Over).
60
UNA CITTÀ
PER CANTARE
Cantautori in tour: tutti i concerti da non
perdere!
ENNAIO
TICKETING
54 SECONDARY
Lo intuivano in molti, ma quasi nessuno ne
parlava: biglietti sovrapprezzo, bagarinaggio
online, fan truffati. Poi, il caso è esploso. E
adesso occorre fare piazza pulita.
30SOUNDREEF VS SIAE
Soffiano venti di guerra fra la SIAE
e Soundreef. In palio, la gestione dei diritti
d’autore, una faccenda da milioni e milioni
di euro. Ma cosa promette esattamente
l’aggressiva newco di Davide D’Atri?
48CHARTS
Tornano nei negozi i cinque album
che hanno creato la leggenda di Vasco. Sono
in vinile e suonano meglio che mai.
42RECENSIONI
CHE
FANNO I DISCHI
50 QUELLI
DI UN CLASSICO
58 STORIA
PRENDI
LA CHITARRA E VAI
52 TUTORIAL:
Stufo di ascoltare ogni anno la voce di Bing
Crosby, John Lennon scrive un nuovo
17 G
PER
FARE MUSICA
38
Dischi imperdibili, interessanti,
buoni, deludenti, trascurabili.
IL PROSSIMO
NUMERO
IN EDICOLA IL
uando muore un poeta, c’è solo un modo dignitoso
di rendergli omaggio: leggere i suoi versi. Nel caso di Leonard Cohen, che com’è noto ha lasciato questa vita lo scorso 7 novembre, i versi giusti è
facile trovarli in una delle tante bellissime canzoni da lui scritte nella sua lunga vicenda
artistica. Quelli che avete appena letto, ad esempio, ci sembrano una sintesi perfetta della
sua esistenza, e forse dello stesso mestiere dell’autore di canzoni. In un’epoca in cui le
informazioni corrono in rete alla velocità della luce, pubblicare su una rivista mensile
un commento a un fatto qualsiasi, per forza di cose avvenuto settimane prima, rischia di
diventare ozioso, oltre che inutile. E tuttavia, una figura come quella di Leonard Cohen,
per noi che facciamo una rivista chiamata «Cantautori» e per voi che la acquistate, non
può passare sotto silenzio. Nel momento in cui leggete queste righe, sull’argomento è
stato già detto e scritto tutto, comprese le inevitabili imbecillità riversate quotidianamente
sui social da gente convinta di essere l’ombelico del mondo. Dunque, non c’è bisogno
che noi qui si aggiunga altro: quei pochi commoventi versi tratti da Bird On The Wire bastano e avanzano. Piuttosto, ci piace sottolineare come la discussione sulla canzone d’autore stia ritrovando una sua centralità nell’ambito del panorama culturale italiano. Ne
troverete traccia nelle prossime pagine, assieme a una serie di interviste ricche di spunti
interessanti e talvolta inconsueti. Come si diceva il mese scorso, la canzone d’autore in
Italia è vivissima e pronta a vendere cara la pelle. Spero lo siate anche voi. Buona lettura.
Maurizio Becker
Ok, per un artista non è elegante
metterle nel mirino. Ma le classifiche sono
pur sempre una spia. Di quello che il pubblico ama oggi e di quello che amerà forse
domani. Noi ve ne proponiamo due molto
interessanti.
VASCO ROSSI
3
Sommario
AUTORI #
ANT
12
Luca
Barbarossa:
La musica è social
L’etichetta del mese è La Tempesta Dischi.
Quale chitarra acustica scegliere per registrare? E quanto pagarla? Mettetevi comodi.
3
GOOD NEWS
ANGELO DELIGIO/MONDADORI PORTFOLIO VIA GETTY IMAGES
onte,
cker, Andrea Belm
Testi: Maurizio Be
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Luciano Ceri,
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Francesco Donadio Timisoara Pinto.
Francesco Mirenzi,
Le chiedono se ci sono
cantautori degni d’ascolto
e lei liquida l’argomento
elogiando il rap e dichiarando
morta la canzone
d’autore?
Professore,
mi perdoni…
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ROB A APERTA A
VECCERTO
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I
Un senatore della canzone d’autore va in tv e dice la sua sulle nuove leve.
Qualcuno applaude, qualcuno invece non ci sta.
Testo di A Andrea Belmonte
ualche sera fa [il 27 novembre,
ndr], facendo zapping, incappo
in Che tempo che fa, trasmissione
che mi fa uno strano effetto: non
amo l’accondiscendenza di Fabio Fazio verso gli interlocutori,
tuttavia spesso ospita personaggi
interessanti, insomma non so mai se cambiare canale o restare. In questo caso, visto
che l’ospite è Roberto Vecchioni, resto.
Il professore canta una canzone del nuovo
disco – nulla di eccezionale, a dire il vero
– per poi concedersi alle domande di routine; una decina di minuti incentrati per lo
più intorno all’album, che poi non è solo
un album perché in realtà è un Cd abbinato a un libro, uscito mesi fa, che oggi si
arricchisce di questa raccolta di musica.
Giusto in tempo per Natale.
Si parla di figli, famiglia e, com’è inevitabile, si rende omaggio alla florida generazione di cantautori (anni 70) che il Nostro
degnamente rappresenta. Ci sono temi più
ANDREA BELMONTE
Pianista, compositore e autore classe ’78, Andrea Belmonte mette per la
prima volta le mani su un pianoforte
all’età di 6 anni. Con la cantante Valentina Pira porta avanti il progetto
Le Canzoni da Marciapiede, duo di
teatro-canzone con cui ha pubblicato due dischi: AL PRANZO DI NOZZE
e UN CIRCO DI PAESE (premio Daffini 2015 e candidato alla targa Tenco
2015).
originali, ma tant’è. Vecchioni ci tiene a
puntualizzare che preferisce definire “cantori” i maggiori esponenti del movimento
di chi scrive poesie in musica, come Dalla
e De André. Gli altri, dice, “sono cantanti…”. Non capisco, ma il professore è lui,
quindi…
Prevedibilmente, Fazio gli chiede quali siano, oggi, i figli di quella generazione. La
domanda è trita e ritrita, forse per questo
la risposta arriva con grande, troppa scioltezza. Tanti ragazzi, dice Vecchioni, “fanno rap, e bene: modo modernissimo di
dare rabbia, dolore, pensiero, meditazione
(…)”. Poi, riguardo alla canzone d’autore,
dichiara che “non c’è più quella frenetica
corsa al letterario che c’era negli anni Settanta e Ottanta (…)”.
Questa affermazione mi sconcerta. Davvero può scrivere una canzone degna di
essere definita d’arte solo chi è edotto di
letteratura? Il pensiero corre a Ciampi,
poeta della porta accanto, alle sue liriche
semplici ma tanto sincere da farsi potentissime. Le canzoni si ascoltano – e si dovrebbero scrivere – di pancia, piuttosto che col
dizionario in mano, e se questa stra-citata
generazione di cantautori anni 70 è fondamentale per chi è arrivato dopo, è perché
in quel che Vecchioni, Guccini, De Gregori etc. hanno scritto gli ascoltatori hanno trovato la propria vicenda di vita, bella
da cantare dietro a un disco anche quando era una merda. Senza troppo badare a
metrica e lessico. Professore, mi perdoni
ma non capisco. Le chiedono se ci sono
cantautori degni d’ascolto e lei liquida l’argomento elogiando il rap e dichiarando
morta la canzone d’autore? Dove li mette
i cantautori contemporanei – ce ne sono
e tanti - che spremono sangue e inchiostro
su un foglio bianco, arrabattandosi tra una
chitarra e un lavoro precario, per raccontarli come sono oggi i sentimenti, la vita, la
società? Certo con un linguaggio diverso,
perché dai 70 sono passati quarant’anni. È
mai stato curioso di scovarli, di ascoltarli?
Molti non li catalogherebbe tra i “cantori”,
ma con il tempo, gli spazi, le dovute attenzioni, potrebbero maturare, fino a rientrare
a pieno titolo nella definizione. Già: attenzione, tempo, spazio; quale attenzione ci
può essere verso il nuovo se neppure chi
questo nuovo l’ha generato se ne interessa?
Quanto tempo, se i nuovi artisti si bruciano
per anni in eterne gavette da locale? E di
spazio, quanto ne resta, se internet è zeppa
di video-fenomeni da baraccone, le radio si
vendono le programmazioni e in tv compaiono, puntuali a ogni ricorrenza, i soliti
mostri sacri a farsi promozione? r
5
GOOD NEWS
A pranzo
con De Gregori
Ogni volta che incontra Francesco De Gregori, Edoardo De Angelis prende
decisioni importanti. L’ultima è un grande omaggio ai cantautori italiani.
Intervista di A Luciano Ceri
P
iù che un album di cover, IL CANTAUTORE NECESSARIO sembra
un vero e proprio atto d’amore nei
confronti della canzone d’autore.
È una collana di piccoli gioielli nati da
una serie di artisti che sono stati molto importanti nella mia formazione ma soprattutto, se mi passi il termine, nel mio sentimento
professionale, e cioè in quel modo di avvicinarsi alla professione della musica motivato
non tanto da una forma di interesse o di vanità ma proprio dall’amore per alcune cose
che al mondo della musica appartengono.
Ed è proprio come hai detto, questo disco è
un atto d’amore verso queste canzoni e gli
artisti che le hanno cantate, molti dei quali
ho conosciuto e frequentato, e con alcuni
dei quali c’è stato un sentimento di amicizia
e di affetto, come ad esempio con Sergio Endrigo, con Piero Ciampi e naturalmente con
Francesco De Gregori.
Quarantatré anni dopo, i ruoli s’invertono:
nel 1973 tu producevi ALICE NON LO
SA di De Gregori, oggi Francesco firma la
direzione artistica del tuo CANTAUTORE
NECESSARIO. Come è nata questa cosa?
A tavola. Tutte le volte che vado a pranzo
con De Gregori, succede qualcosa. All’inizio
degli anni Settanta, in un’osteria di Roma,
gli raccontai la storia della gita in montagna
con mio padre quando ero ragazzino, e da
quel racconto nacque La casa di Hilde. Anche questo album in qualche modo è nato su
un tavolo da pranzo, perché abbiamo ripreso
la consuetudine di periodici incontri conviviali con scambi di pareri e chiacchiere non
solo professionali. Circa un anno fa, in uno
di questi incontri, ho raccontato a Francesco
del mio desiderio di fare un album di questo
tipo. Lui mi incoraggiò molto fino al punto
di dirmi, «Guarda che se poi decidi di farlo,
6
io potrei fare la produzione artistica. Ma non
ti aspettare che venga in sala tutti i giorni».
Così buona parte delle scelte dell’album, per
ovvie ragioni molto selettive, è stata condivisa con lui, sia a proposito delle canzoni che
degli interpreti. Ed è vero che lui non veniva
in studio, ma è anche vero che voleva sentire
di volta in volta come procedeva il lavoro.
Poi un giorno ho ricevuto una sua chiamata in cui mi diceva: «Sai, è proprio bello, ti
dispiacerebbe se ci mettessi una voce, un’armonica?». E così è stato. E adesso che il disco è uscito quando ci vediamo vuole sapere
cosa accade, come funziona l’ufficio stampa, se il disco è distribuito… Insomma, sta
facendo il produttore.
Hai coinvolto Michele Ascolese, uno dei
migliori chitarristi italiani e uno dei più
vicini alla canzone d’autore: il suo ruolo è
SCHOLA CANTAUTORUM
L’esordio di Edoardo De Angelis
risale al 1970, nel duo Edoardo &
Stelio, con Lella, caposaldo della
nuova canzone in romanesco. Poi
una lunga carriera di autore, compositore, produttore, interprete,
discografico e organizzatore di
eventi legati alla canzone d’autore.
È stato componente della Schola
Cantorum dal 1974 al 1976.
importante, firma anche i prologhi musicali ad alcune canzoni e divide con te la
paternità del disco. Hai subito pensato a
lui come partner?
Immediatamente, perché dovendo pensare a un artista che avesse condiviso, sia in
studio che dal vivo, la musica dei cantautori, Michele era indubbiamente il musicista
adatto. Da persona molto prudente e molto
riservata qual è, quando gli ho proposto di
partecipare a questo lavoro ha acconsentito,
ma forse all’inizio non era convintissimo:
poi quando abbiamo cominciato a scegliere le canzoni, a provarle, capivo che a ogni
incontro accadeva qualcosa, si muoveva un
passo. Michele lo avevo sempre apprezzato,
lo avevo sentito suonare con tanti artisti, da
Fabrizio De André a Ornella Vanoni, non
potevo scegliere nessun altro per un progetto
come questo. r
L’opera da tre
synth
Infaticabile Max Gazzè. Al termine
di un’annata da incorniciare, reduce
dal successo del suo decimo album
MAXIMILIAN e da concerti sold out
a ripetizione, ha in serbo un nuovo
ambizioso progetto: un’opera.
MAXIMILIAN I
DI ROMA
Intervista di A Francesco Donadio
Insomma Max, cosa bolle in pentola?
È da più di 20 anni che porto avanti
delle ricerche mie, personali, intorno ad
alcuni scritti antichi: esoterici ma anche
storici, come i manoscritti di Qumran, i
poemi mesopotamici, gli scritti egizi… E
sto facendo quest’opera, la cui introduzione
sarà tratta dal Libro Perduto del Dio Enki,
il dio mesopotamico. Il titolo dell’opera è
ALCHEMAYA e deriva da “alchimia” che
significa proprio “mettere insieme”, “fondere”, perché nel corso delle mie ricerche ho
effettuato dei collegamenti tra fatti storichi,
fisica quantistica e filosofia. La mia è una
visione olistica, che fa sì che [diversi] campi
di ricerca si possano collegare tra loro.
Ma non sarà un’opera rock?
No no, la suonerò con la Bohemian Symphony Orchestra di Praga, e il debutto è previsto il 3 aprile al Teatro dell’Opera a Roma,
per proseguire l’8 al Teatro dell’Opera di Firenze, il 10 al San Carlo di Napoli, l’11 al
Teatro Arcimboldi di Milano, il 13 al Gran
Teatro di Padova e il 14 all’Auditorium del
Lingotto di Torino. Ed è un’opera “sintonica” [ride, ndr], un neologismo che ho creato
per definire il concetto di integrazione tra
Dopo aver esordito nei
locali di Bruxelles come
bassista di un gruppo
northern soul, Max Gazzè
diventa un esponente
di spicco della “seconda
scuola romana dei
cantautori”. È esploso
nel 1998 con LA FAVOLA
DI ADAMO ED EVA e da
allora non si è più fermato,
incidendo altri 8 album
solisti (con testi tutti
co-firmati con suo fratello
Francesco). L’ultimo, il
disco platino MAXIMILIAN,
risale al 2015.
strumenti sinfonici e synth. Oltre all’orchestra,
ci saranno sintetizzatori modulari, a forma d’onda, che generano
delle forme d’onda sinusoidali, onde quadre,
onde triangolari… E tutto questo verrà inserito nell’organico dell’orchestra: i primi violini suoneranno insieme al theremin.
BARBARA OIZMUD
I
nfaticabile Max Gazzè. Al termine di
un’annata da incorniciare, reduce dal
successo del suo decimo album MAXIMILIAN e da concerti sold out a ripetizione, ha in serbo un nuovo ambizioso progetto: un’opera.
GOOD NEWS
Con dei testi tuoi e di tuo fratello Francesco?
C’è un libretto, chiaramente, perché è
un’opera originale. Poi ci sarà tutta una serie di brani, tipo “lieder”, che verranno cantati, però seguendo lo schema concettuale:
ognuno di loro racconterà una porzione di
questo grande puzzle. La seconda parte del
concerto invece proporrà brani tratti dal
mio repertorio storico, riarrangiati.
dare un senso a canzoni che avevano quella
tonalità lì, quel tipo di colorazione, rispetto anche a quelle che ho fatto in passato
– anche se ho fatto altri dischi comunque
“pop”: per esempio LA FAVOLA DI ADAMO ED EVA. In questo caso, però, ci sono
state delle canzoni più dirompenti, come
La vita com’è e Ti sembra normale. Poi in
realtà per l’arrangiamento – per la vestizione – dei brani ho attinto alle mie radici, alla
mia cultura un po’ britannica – perché io
sono cresciuto tra Belgio e Inghilterra. E
in realtà, deriva dallo ska inglese dei Madness, dei Selecter e degli Specials, più che
da sonorità balcaniche o russe.
MAXIMILIAN, intanto, è stato uno dei
dischi più venduti dell’anno. Com’è nata
l’idea di fare un disco più “pop” del solito – e con qualche elemento di folk balcanico?
Dopo il progetto con il trio, con Niccolò
Fabi e Daniele Silvestri [il tour e il disco IL
PADRONE DELLA FESTA, ndr] mi piaceva l’idea di fare del pop “con criterio”:
suonato in un certo modo e registrato in un
certo modo. Ma non era per raggiungere
un pubblico più mainstream; piuttosto, per
Sono passati 10 anni dalla tua ultima antologia “seria”, RADUNI. Non è arrivato
il momento per farne uscire un’altra?
Adesso mi sto concentrando sulla mia
opera sintonica. E poi ancora ci devo pensare, non ho pianificato una cosa del genere. Sono passati 20 anni effettivamente:
dal ’96 al 2016 sono 20 anni dall’uscita del
mio primo disco, per cui potrei farlo, un
ventennale. Ci penserò da aprile in poi…
Oppure aspetto altri 10 anni, dài, lo faccio
per i 30 anni… (ride). r
7
GOOD NEWS
Volo libero n. 3
Amerigo Verardi va controcorrente con un doppio album creato in solitudine, fatto di
brani dilatati e testi onirici ma lucidissimi. Psichedelia cosciente?
Intervista di A Maurizio Becker
A
scolto HIPPIE DIXIT e sembra un disco di metà anni 70, nel senso buono.
Non è un disco anni 70, anche se
sicuramente c’è un’attitudine che mi è
molto cara. Tra gli anni 60 e i 70 è successo
qualcosa di clamoroso, a tutti i livelli. Ed è
logico che a me piacciano molto le opere
prodotte in quel periodo.
La canzone di apertura, L’uomo di Tangeri, supera i 14 minuti, mediamente i pezzi
superano i 5. È quasi un atto politico, una
dichiarazione di guerra al sistema delle radio commerciali e dei talent show.
Questa è una cosa venuta dopo, man
mano che venivano fuori i pezzi. Il mio intento principale era di metterci tutto ciò che
avevo intenzione di metterci, e non sapevo
cosa ne sarebbe venuto fuori. Quando mi
sono ritrovato con 100 minuti di musica e
con brani lunghi 14, 10 o 8 minuti, qualche
DANIELE GUADALUPI
IL TALENTO STA NEI DETTAGLI
Amerigo Verardi esordisce nel 1987 come leader
della band neo-psichedelica Allison Run, poi
prosegue con i Lula. Da solista, incide MORGAN,
CREMLINO E COCA, NESSUNO È INNOCENTE
(sotto lo pseudonimo Lotus) e (con Marco Ancona)
BOOTLEG-OLIANDO LA MACCHINA e IL DIAVOLO
STA NEI DETTAGLI. Pluripremiato per la sua
attività nell’ambito della musica indipendente,
ha collaborato fra gli altri con Manuel Agnelli,
Carmen Consoli, Baustelle, Federico Fiumani,
Virginiana Miller e Dente.
8
domanda ho iniziato a farmela: se dovessi
collocare questa cosa, cos’è esattamente?
Ma forse non è neanche giusto che sia io a
dover tirare le somme.
È una delle rare volte che l’aggettivo psichedelico non suona fuori posto. Ma colpiscono molto anche i testi. In Terre
promesse, canti: “Gli eredi
della terra promessa /
fra gli echi di una vita
passata / in cui il pre-
GOOD NEWS
sente ora è un inferno”. Un bilancio generazionale, direi…
Effettivamente, quella che citi è una di
quelle cose che ha fatto male anche a me
scrivere. Non è una cosa da niente. Rappresenta me e rappresenta la mia generazione,
e riguarda un apparente crollo d’ideali.
Ma come in tutto il disco, è solo un’analisi che deve portare a una riconversione,
a un riprocessare gli eventi e ritrovare una
coscienza diversa. Questo disco ha lo scopo
di dare segnali e stimoli in questo senso, e
non essere solo una piatta cronaca di ciò
che siamo e di come stiamo.
Prima si diceva di una certa politicità.
Due Sicilie è molto esplicita, in questo
senso. Nel testo, parli di un predatore che
“violenta, uccide e fa l’Italia / mentre la
memoria muore / L’alba è un nuovo sole
già malato / mezzogiorno a colazione / e la
prima strage di Stato”. La rabbia deriva dal fatto che questo è un
problema vecchio. Quando ti trovi di fronte
a delle verità così enormi che sono state volutamente occultate, quando capisci che il
tuo Paese, quello a cui senti di appartenere,
è nato su questa menzogna, dentro di te si
muove qualcosa. Ti domandi su che cosa
siamo cresciuti, tutti noi. Allora, l’unico
modo che ti resta per far riaprire la discussione è dire qualcosa di forte, senza
mezzi termini.
Claudio Rocchi è venuto
a Brindisi per 150 euro e
il rimborso del biglietto aereo.
Ed è venuto camminando
sulle stampelle. Chiunque
altro avrebbe rifiutato
Anche il testo di Brindisi ai terminali di
via Appia è duro, quasi feroce: “una frase monca su un muro dice ‘qui si muore
di’”. La tua regione, la Puglia, è quella
della centrale Enel di Brindisi, dell’Ilva
di Taranto. Secondo le statistiche, nella
provincia di Lecce la probabilità di ammalarsi di cancro supera il 26%.
Pure qui c’è rabbia, anche nei confronti di chi si è lasciato letteralmente camminare sulla testa, senza mai ribellarsi. Noi
eravamo la California d’Italia e andarci
a mettere dei mostri di quel genere, promettendo un lavoro che si sarebbe potuto
creare in altri modi, magari sfruttando la
bellezza di questi luoghi, ha aperto una
ferita che è ancora aperta. Perché questo
dramma continua: ogni giorno muoiono
i nostri amici, i nostri genitori. Musicalmente, ho cercato di rendere la dolcezza
e l’amarezza della mia terra. Forse, questo è un brano più cantautorale, anche
se in realtà io non so come lavoravano i
cantautori negli anni 70. Ma anche De
Gregori mi sembra molto onirico nella
sua scrittura: a volte, nemmeno
capisco dove voglia arrivare nei
suoi testi, ma questo è quello
che più mi piace di lui.
Qua e là, con insistenza affiora
un immaginario biblico. In Korinthos usi perfino un recitato tratto dal
Nuovo Testamento. Da cosa nasce questa
vena spirituale?
Da un senso di conservazione della razza umana. Non penso che gli esseri umani
siano al mondo per essere messi dentro
un call center, una fabbrica di morte o
una banca, a speculare alle spalle degli
altri. Credo che dentro di noi abbiamo
tutti un tracciato, che possiamo seguire
o non seguire. In fondo, tutto il mondo è
basato su grandi contrasti – il più grande
è ovviamente quello fra Bene e Male. E
in fondo, noi sappiamo benissimo quando con le nostre scelte stiamo andando in
una direzione o nell’altra. In questa parte
di mondo, quella occidentale, questo tipo
di domande non ce le poniamo più da
tempo. Non parlo di religione, parlo di spiritualità. Vorrei che fosse messa sullo stesso
piano della razionalità. La religione è solo
un riflesso di questo istinto che ci porta a
guardare oltre. Forse, è anche il periodo
che viviamo a far sorgere questo bisogno.
Ascoltare HIPPIE DIXIT e ascoltarti
parlare mi fa pensare a Claudio Rocchi.
È un autore che per te ha significato
qualcosa?
Ti racconto un episodio: nel 2012 invitai Claudio alla prima edizione di un festival che organizzavo qui. L’idea era fargli
presentare il suo nuovo disco [IN ALTO,
ndr], accompagnato da una band di giovani musicisti locali. Lui accettò, venne, suonò una mezz’ora con questi ragazzi e tenne un workshop. In quei giorni, parlammo
molto. Mi consigliò anche di leggere un
libro, che poi a mia volta ho consigliato e
regalato ad altre persone. La scia che ha lasciato quest’uomo qui a Brindisi è stata incredibile e ha coinvolto tantissimi ragazzi
di vent’anni, che sono rimasti impressionati da quello che diceva Claudio. Ci tengo a
dire anche un’altra cosa: Claudio è venuto
a Brindisi per 150 euro e il rimborso del
biglietto aereo. Ed è venuto camminando
sulle stampelle, perché già non stava bene
[Rocchi è scomparso nel giugno 2013,
ndr]. Questo è Claudio Rocchi. Prima ancora della sua musica e dei viaggi che ha
fatto. Chiunque altro, avrebbe detto che
non poteva venire, a 150 euro, e soprattutto con quel problema che aveva. L’anno
dopo, doveva venire alla seconda edizione,
insieme a Gianni Maroccolo, con il quale
nel frattempo aveva fatto un disco [VDB
23/NULLA È ANDATO PERSO, ndr].
Lo sai che Claudio e Gianni si sono conosciuti proprio a Brindisi? La loro amicizia è
nata qui, Gianni ancora oggi mi ringrazia.
Per lui è stata una rivelazione: Claudio era
la persona che cercava. Per rispondere alla
tua domanda: sì, Claudio Rocchi mi è diventato importantissimo, in questi ultimi
anni.
Quindi non ti offenderai se quest’intervista la intitolo Volo magico n. 3?
No. Non mi dispiacerebbe. Anzi, ne sarei onorato. r
HIPPIE DIXIT è recensito a pag. 47.
9
GOOD NEWS
MIO CUGINO È FIGLIO
UNICO
Cugino di Rino Gaetano, nato a Crotone, trapiantato a Roma a metà
anni 80 ma cittadino del mondo
per vocazione, Sergio Cammariere
esordisce componendo colonne
sonore. Nel 2002 trova il partner
ideale in Roberto Kunstler e incide il
suo primo album. Ma è Tutto quello
che un uomo dell’anno seguente
(Premio della Critica a Sanremo) a
consacrarlo fra i grandi autori della
sua generazione. IO è il suo ottavo
album di studio.
Piccoli
cantautori crescono
Rispettare i capiscuola, girare il mondo e suonare dappertutto. E ammazzare la noia
cantando fino all’alba, senza microfoni. Così Sergio Cammariere è diventato grande.
Vista la parentela con Rino Gaetano, non
hai mai pensato di incidere un suo brano?
Ho cantato Rino in molte occasioni, tra
cui al concerto del 1° maggio, ma le sue
canzoni sono perfette e non vanno toccate.
Sono così pregne e compiute che funzionano ancora oggi. Ho preferito organizzare,
nel 2002, un Premio in suo onore a Crotone
con Claudio Lolli, Moustaki, Il Parto delle
Nuvole Pesanti, Teresa De Sio e tanti altri.
Gino Paoli era il tuo riferimento, come
cantavi in Cantautore piccolino. Che effetto ti ha fatto collaborare con lui per Cyrano?
Per lui, ho grande rispetto e ammirazione.
Mi piace lo spirito libero che si respira nei
suoi pezzi fuori dagli schemi. Lo considero il
re dei cantautori e uno straordinario melodista. In particolare, ho amato il suo Lp I SE10
MAFORI ROSSI NON SONO DIO, dove
reinventava alcune delle più belle canzoni
di Joan Manuel Serrat, per esempio Chopin
e Il manichino.
In La cosa giusta canti “dove c’è corruzione
non ci può essere realtà”: vuoi raccogliere il
testimone dei cantautori anni 70?
È la canzone del momento. Con Roberto
Kunstler, che scrive i testi dei miei pezzi, si
è creato un grande connubio. La cosa giusta
nasce dalla necessità di non soffermarsi solo
sull’amore, ma di indagare anche sul sociale.
Lo abbiamo fatto anche in passato con Nuova Italia [da SUL SENTIERO del 2004,
ndr], solo che questo tipo di canzoni sono
meno ricordate, hanno avuto meno fortuna
rispetto alle canzoni d’amore. Come è nata la tua vocazione musicale?
Da bambino in parrocchia, in un coro
di voci bianche, cantando l’Ave Maria di
Schubert. A 7 anni, quando ho cominciato a suonare il piano, mi sono innamorato
di Per Elisa, che il mio maestro mi proibiva
di suonare perché prima dovevo imparare
una scala cromatica oppure non avevo le
mani, così cominciai a suonarla a orecchio
per poi passare a sonate come la Patetica di
Beethoven. In seguito, ho scoperto la musica
dei miei tempi come Pink Floyd e Genesis:
a 13 anni già suonavo Firth of Fifth e gli altri
brani di SELLING ENGLAND BY THE
POUND. Ho capito che avevo una predisposizione per la composizione scrivendo la
colonna sonora per uno spettacolo al teatro
Apollo di Crotone.
Tu hai fatto una lunga gavetta: cosa pensi
dei talent televisivi?
Dopo aver lasciato la mia terra, ho suonato
in hotel, pub e cantine. Sono stato 4 anni a
Firenze, poi a Milano, in Brasile e a Cuba.
I talent sono l’opposto rispetto a quanto è
accaduto a me. Sono altri tempi. Io avevo
voglia di sentirmi libero e senza condizioni.
Avevo la necessità di suonare dal vivo tutte
le sere. Per coronare i propri sogni, bisogna
essere predisposti al sacrificio e all’umiltà.
La leggenda narra di jam infuocate con
Alex Britti, cosa mi racconti?
Con Alex siamo fratelli. Suonavamo nello
stesso gruppo dove c’era Max Gazzè al basso.
Le session infuocate di cui parli risalgono al
Sanremo 2003: per vincere la noia mortale,
nell’albergo suonavamo fino alle 5 di mattina, senza microfoni. r
IO è recensito a pag. 43.
MANUELA KALI
N
ell’inedito Sila, che esegui da solo
al piano, c’è una forte vena di nostalgia: è il sentimento che ti lega
alla Calabria?
Ogni volta che ho potuto, ho dedicato dei
brani alla Calabria. I ricordi mi appaiono
nitidi ma, allo stesso tempo, intrisi di questa
saudade. Forse perché ho lasciato Crotone a
19 anni.
Intervista di A Francesco Mirenzi
GOOD NEWS
Il romanzo di Rino
tistico ed esistenziale di Rino e Fred era
molto simile, il finale delle loro vite è identico. Un’alba tragica ci può stare, se scambi il giorno per la notte. Nessuno dei due
aveva particolarmente bevuto, solo che
erano due tipi che non sarebbero andati a
dormire mai perché non volevano rimanere soli! Lo abbiamo sperimentato tutti, in
certi anni. Lucio Dalla, per esempio, non
andava mai a dormire, ma sonnecchiava
durante il giorno, nei luoghi più impensati. Però non guidava mai lui. Rino e Fred
invece sì. Comunque, proprio in quei
giorni Buscaglione stava scrivendo una
preghiera musicale a Dio, un Dio degli artisti invocato dalle tavole del palcoscenico,
con un sapore autobiografico molto forte.
Fred muore vestito da sera e inaugura il
decennio degli anni 60, vent’anni dopo,
con analogo violento finale, Rino tira giù
il sipario sugli anni 70.
Un libro romanza la vita
di uno dei cantautori più
amati d’Italia. Lo ha scritto
Stefano Micocci, che
visse quella storia in prima
persona accanto a suo padre
Vincenzo.
Intervista di A Riccardo De Stefano
R
ino Gaetano, un mito predestinato.
Ci spieghi questo titolo?
Anzitutto, perché Rino Gaetano è
un mito. Un mito italiano. Da trentacinque
anni, il suo successo continua a crescere.
Dischi, libri, concerti delle cover band che
interpretano le sue canzoni, stadi di calcio,
come quelli di Crotone e Genova, che inneggiano sulle note di Ma il cielo è sempre
più blu. Misteri, leggende, intrighi, ipotesi
surreali sulla sua tragica fine. Non ci siamo
fatti mancare nulla.
Rino Gaetano, storia di un mito predestinato
di Stefano Micocci esce a febbraio per Terre
Sommerse.
RINO È VIVO
Nato a Crotone nel 1950 e scomparso a Roma
nel 1980 in un incidente stradale, Rino Gaetano
è stato una delle figure più originali della scena
cantautorale degli anni 70. Amato e influente oggi
forse più di allora, ha lasciato sei album di studio
e una serie di canzoni divenute proverbiali, fra cui
Ma il cielo è sempre più blu, Mio fratello è figlio
unico, Berta filava, Aida, Gianna e Nuntereggae
più. Fu scoperto e lanciato da Vincenzo Micocci,
papà di tanti cantautori - oltre che di Stefano, che
oggi rende omaggio a Rino in un libro.
ANGELO DELIGIO/MONDADORI PORTFOLIO VIA GETTY IMAGES
Perché predestinato?
Una delle sue prime canzoni parlava dettagliatamente dell’incidente che poi Rino ha
avuto anni dopo – questo è stato raccontato
più volte. Ma è normale che un vero artista possa avere delle intuizioni se non delle
premonizioni ed essere “caro al cielo”, per
citare Menandro. Il Paradiso non poteva più
attenderlo. Questo è il romanzo di Rino Gaetano, una favola dichiarata, ma con le sue
verità. Volevo raccontare “la favola della vita,
del successo e della fine di Rino Gaetano,
ma anche quella degli anni Settanta”.
Nel tuo romanzo, subito dopo l’incidente
d’auto, Fred Buscaglione corre in soccorso
del collega e suo fan Rino Gaetano. Come
una specie di Virgilio, lo accompagna nel
tempo di mezzo, e insieme rivedono il film
della vita di Rino.
Poco tempo prima, Rino aveva interpretato Il dritto di Chicago [celebre pezzo
di Buscaglione, ndr] in una trasmissione
televisiva che lo ricordava, indossando un
casco integrale. A parte che l’approccio ar-
Perché uno che lo ha conosciuto e frequentato decide di romanzare una storia
apparentemente nota a tutti?
Perché la verità esiste solo nei romanzi.
Secondo quel genio di Pasquale Panella,
“noi lo sappiamo che la vita è romanzo, lo è
prima che accada in forma di realtà”. Quando cerchi di abitare la mente di un personaggio che non c’è più, non puoi far altro che
immaginare. E questo libro è il frutto della
nostra immaginazione, mixata con i ricordi
personali diretti. Ogni biografia richiede che
lo scrittore si trasformi in una specie di detective, in una sorta di indagatore del culto e
dell’occulto della storia di un mito. E questo
non mi andava di farlo, anche se avrei potuto, più di tanti altri. r
11
GOOD NEWS
La canzone
è social
Quando esordì, Luca Barbarossa guardava al modello dei grandi. Trent’anni
dopo, è lui a dare spazio ai giovani cantautori. Dallo studio di un programma cult.
Intervista di A Renato Marengo
A
quale generazione di cantautori ti
senti di appartenere?
All’ondata degli anni 70, una sfornata mica da ridere. Allora io ero ancora
adolescente ma mi ero formato proprio con
quella corrente: Brassens, e in Italia i soliti noti. Mi ero nutrito di Dylan, di Woody
Guthrie, quella era la mia idea di canzoni. La possibilità di raccontare quelle zone
d’ombra che i giornali e i programmi infiocchettati della tv magari ignoravano. Insomma, mi proponevo di continuare quella
tradizione che De André aveva saputo interpretare così bene.
L’impegno ormai stava andando in pensione, ma tu hai tenuto duro.
Be’, quello sapevo fare e quello volevo
fare. Mi ha detto bene anche grazie ai
passaggi a Sanremo. E nonostante le case
discografiche non mi dessero più molto retta. In quel periodo poi, la Fonit Cetra era
agonizzante.
Sul palco di Sanremo portasti Roma spogliata, giusto 30 anni fa.
E difatti il primo Lp ad avere un buon
successo fu LUCA BARBAROSSA, che
conteneva quella canzone. Dopo 5 anni,
riuscii a ripartire con la CBS, con un album
che conteneva sia Via Margutta che Come
dentro un film, con la quale feci un’altra volta Sanremo, nell’87. Ma il
vero successo tornò con L’amore rubato [1988, ndr], che trattava dello yuppismo e del
rampantismo di fine anni
80. Mi reputo un fortunato, perché mi ritrovai
dall’essere uno che quasi quasi doveva sparire
a uno che riempiva i
palasport, facendo un
successo superiore alle
mie aspettative.
Poi però hai rallentato.
Ho capito che lo scopo
della mia vita non poteva
essere solo quello di fare il
cantante a tutti i costi e ho cominciato a
mettere la mia ironia a disposizione di altri
linguaggi, vedi lo spettacolo Attenti a quei
due con Neri Marcorè.
Ricordo che ai tuoi concerti dialogavi
sempre con la gente...
E lo faccio ancora, molti amici mi dicevano che avrei dovuto fare radio, fare tv. E
per il piccolo schermo ho fatto una storia
della RCA. Ma ho trovato più soddisfazione con la radio. Quando sette anni fa Valentina Amurri mi ha proposto di condurre
Radio2 Social Club, subito dopo l’esperienza del teatro ho accettato con entusiasmo e
abbiamo scritto un programma dove ci si
potesse esprimere, contaminarsi con altri
artisti, dal vivo con una band in studio. La
social band, la mia band, col maestro Stefano Cenci che cura gli arrangiamenti. Ho
portato un pezzo del mio mondo in radio:
a Radio2 Social Club c’è sempre un po’ di
ironia, ci diverte riuscire a far cantare a De
Gregori brani di Leali o di Celentano…
E i nuovi cantautori, quelli emergenti?
Ne ospitiamo spesso, a volte cantiamo
assieme. Ora che so dell’esistenza di «Cantautori» (a proposito, gran bella idea, ci
voleva proprio!), vi segnalerò le migliori
novità che ospiteremo. r
Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì (h 14.30),
Luca Barbarossa e Andrea Perroni conducono Radio2 Social Club su Radio2.
PORTAMI ALLA RADIO
Cresciuto nel circuito folk della Capitale, Luca Barbarossa
esplode con Roma spogliata al Sanremo ’81.
Dopo 10 album, nel 2010 inizia una nuova
fortunatissima carriera di conduttore
radiofonico.
12
Hip hop
d’autore
In occasione dell’uscita
di MILLE GRUPPI
AVANZANO, ultimo Cd
degli Assalti Frontali,
incontriamo Militant
A: autore non molto
conosciuto dal grande
pubblico, sa emozionare
sia quando lancia invettive
contro il potere, sia
quando racconta le storie
degli ultimi.
Intervista di A Francesco Mirenzi
D
a Batti il tuo tempo, la cifra stilistica delle tue liriche è sempre stato
l’impegno sociale, proprio come i
cantautori anni 70: c’è qualcuno che ti
ha influenzato?
Forse non sembra, ma noi veniamo dai
cantautori! De Gregori e Dalla mi piacciono tantissimo. Testi come Anna e Marco,
così cinematografici e coinvolgenti da farti
vivere le sensazioni dei protagonisti, sono
immensi. Anche De André, che ha scritto
capolavori come Amico fragile e La domenica delle palme. Non a caso, in La can-
zone dell’orso bruno, io cito La canzone di
Marinella. Sono testi belli e concreti che ti
fanno pensare e che faccio fatica a ritrovare
nelle produzioni odierne. Nell’incipit di Il
quartiere è cambiato, quando dico: “Ai piedi
del semaforo cento ginestre gialle / passava
un ragazzo in bici e un proiettile alle spalle”,
ci trovo tutta l’eredità dei cantautori.
In Spiaggia libera, brano apparentemente estivo che ha anticipato l’uscita del
vostro nuovo Cd, sei riuscito a trattare
il tema delle concessioni demaniali con
grande leggerezza, tanto che ha avuto numerosi passaggi su Blob e sulle radio.
Per me, la spiaggia libera è l’idea del
mare che nasce quando da giovane ci andavo con la fidanzata, un’idea che mi dà
un senso di libertà. Oggi le spiagge libere
sono trattate male, sono sempre sporche,
e invece dovrebbero essere un fiore all’occhiello. Se vai a Barcellona, sono pulitissime! Da questo amore per le spiagge libere
è nato il pezzo e abbiamo deciso di girare
il video a Ostia, dove il Municipio è stato
commissariato, sono stati arrestati il presidente del porto turistico, alcuni assessori e
il comandante del commissariato, e sono
stati sequestrati diversi stabilimenti balneari per gravi violazioni. Abbiamo voluto far
riflettere su cosa c’è dietro a queste concessioni date a prezzi irrisori e sul perché le
spiagge libere sono deturpate.
Hai dedicato due pezzi al lago ex Snia, ci
racconti la storia?
IL MILITANTE N. 1
Leader del gruppo più longevo del nostro hip hop,
Militant A è l’autore di Batti il tuo tempo, il primo rap
in italiano, realizzato con Onda Rossa Posse nel 1988.
Dal 1991 guida gli Assalti Frontali. Dopo quasi 30 anni di
carriera, l’ispirazione resta alta: basta ascoltare
Il lago che combatte e In fondo al lago
(sulle battaglie a difesa del primo lago naturale
romano), Asbesto (sulla tragedia dell’amianto),
Il quartiere è cambiato (sugli incidenti subiti
dai ciclisti) e Spiaggia libera (sugli abusi
in riva al mare), tutte tratte dall’ultimo Cd.
Originariamente, c’era una fabbrica di
viscosa abbandonata che è stata comprata
da alcuni palazzinari romani, tra cui Ligresti. L’area non era edificabile, ma loro sul
contratto di concessione hanno cambiato
la destinazione d’uso col bianchetto, per
realizzare un centro commerciale. Scavando hanno bucato la falda dell’acqua bullicante – quella con le bollicine – e il lago è
venuto fuori. Inizialmente, pur di costruire,
con un’idrovora hanno pompato l’acqua
nella fognatura finché un temporale l’ha
intasata, facendola tracimare. A quel punto, il Comune blocca i lavori dichiarando
l’area di pubblico interesse e si forma un
lago naturale di diecimila mq. Affinché
l’area sia dichiarata pubblica, è necessario
effettuare dei lavori per permettere l’accesso al pubblico entro dieci anni, altrimenti
tornerà ai vecchi proprietari. Siccome stava scadendo il tempo e c’era l’inerzia del
Comune, ci siamo mobilitati per evitare
che accadesse. Così sono nate Il lago che
combatte e In fondo al lago.
Hai mai pensato che con le tue qualità,
concedendo qualcosa all’industria discografica, potevi essere più popolare e più
ricco?
Dopo l’esperienza non felice con la
BMG, sono contento delle 50 date all’anno che facciamo con gli Assalti Frontali e
della totale libertà che ho nello scrivere. r
MILLE GRUPPI AVANZANO è recensito
a pag. 42.
13
GOOD NEWS
Fuga dal mondo
A pochi metri dalla casa di Battiato, nella periferia di una contrada di un paese
di ottocento abitanti, vivono Juri Camisasca e Rosario Di Bella, le due anime
di un progetto che si chiama SPIRITUALITY.
Intervista di A Timisoara Pinto
D
agli attici di Milano ai giardini di
Milo, dai ritmi celestiali della vita
monastica alla natura esplosiva
dell’Etna, c’è un piccolo lembo di terra siciliana dove si respira musica e spiritualità.
A pochi metri dalla casa di Battiato, nella
periferia di una contrada di un paese di ottocento abitanti, vivono Juri Camisasca e
Rosario Di Bella, le due anime del disco
SPIRITUALITY. Due artisti uniti da quella forma di empatia che si realizza solo attraverso la musica e la ricerca interiore. Di
Bella, da molti anni compositore
di colonne sonore “con una
libreria di suoni in testa e
negli hard disk”, ha ideato
un disco “dalla struttura
pop che all’interno offre
un tempo dilatato e rilassato”. Juri Camisasca ha
alternato la sua attività
artistica a lunghi periodi
14
di silenzio, a partire da quegli undici anni
di vita monastica e due da eremita intorno
al suo vulcano. E di questo e altro parla
oggi, tra nuovi e vecchi loop da mettere
in musica.
Juri, come si fa a conciliare la tensione
verso il silenzio, l’isolamento, la fuga dal
mondo, con il pubblico, i concerti, le
case discografiche?
Quando fai delle cose che gli altri apprezzano, quando ti senti gratificato, ti ritrovi a fare selfie come se niente fosse.
Nelle Sacre Scritture c’è scritto
“c’è più gioia nel dare che nel
ricevere”. Da qualche anno,
poi, in me è scattato un tale
distacco da tutto, per cui stare
qui dove vivo, circondato dagli
alberi o su un palcoscenico, è
la stessa cosa. È una grazia.
Cosa ti spinse alla vita monacale?
Intorno ai vent’anni ero insoddisfatto, confuso, non mi chiedevo nemmeno cosa fosse
la vita. Credevo di trovare una via di uscita
attraverso la musica, ma poi ho capito che
non era così. In un momento di grande sconforto, improvvisamente, sono stato inondato
da una luce che non è di questo mondo e
che mi ha invaso con una pace che non è
assolutamente descrivibile. Non si tratta di
uno stato psicologico, ma di una sostanza
penetrata nel mio cervello e nelle mie cellule. Per anni sono vissuto in questo stato,
tanto che anche i miei amici non riuscivano
a capire cosa mi fosse successo.
GOOD NEWS
LA RICERCA DI JURI
IL PERCORSO DI ROSARIO
All’indomani dello splendido LA FINESTRA DENTRO
(prodotto nel 1974 da Franco Battiato), Juri Camisasca sceglie per undici anni la vita monastica. Nel 1987
lo ritroviamo a fianco di Battiato nell’opera lirica Genesi. Seguono TE DEUM (1988), IL CARMELO DI ECHT
(1990) e ARCANO ENIGMA (1999). Tra il 2003 e il 2007,
Juri partecipa a tre film di Battiato (Perdutoamor,
Musikanten e Niente è come sembra), poi nel 2016
incide SPIRITUALITY con Rosario Di Bella.
Siciliano di Zafferana Etnea (CT), Rosario Di Bella
studia medicina all’Università di Catania, teatro
all’Arsenale di Milano e composizione a Roma. Parallelamente, intraprende un percorso di ricerca
spirituale, approdando al pensiero e alla pratica del
maestro armeno Gurdjieff. Ha pubblicato cinque
album: PITTORE DI ME STESSO (1989), FIGLIO PERFETTO (1991), ESPERANTO (1995), I MIEI AMICI (2001)
e IL NEGOZIO DELLA SOLITUDINE (2007).
Quali differenze hai trovato tra la musica
che amavi, il rock, e la musica sacra?
I canti gregoriani, la musica indiana hanno una forza ascensionale, hanno la capacità di elevare le tue capacità interiori. Questo
non può avvenire con la musica rock perché
colpisce altre fasce, parlo dei chakra. Gli
indiani dicono che a seconda di come vengono stimolati questi centri che sono dentro
di noi, tu vivi un’esperienza molto terrena,
sensuale, oppure no. Se vieni colpito nei
centri più alti, dal cuore alla gola al cervello, entri in contatto con energie più sottili.
Sono musiche che superano l’individualismo, l’egocentrismo e ti elevano verso altre
dimensioni. L’arte è una cosa e la qualità
umana un’altra cosa, il canto gregoriano è
un canto corale, le persone più sono interiormente pure, più il canto si fa elevante.
Chi va a X Factor o a Sanremo non pensa a
queste cose, ma solo a mettere avanti la sua
personalità. Un musicista indiano può avere
una grande personalità, ma nel momento in
cui suona un raga gli viene una specie di trascendimento del fattore egoistico.
non si può non citare Dylan, anche se è impastoiato con la politica. Ho amato tanto anche Donovan perché aveva un’anima molto
serena e candida. I cantautori sono un po’ la
salvezza nel campo musicale.
Però il rock ha le sue radici nel blues, nel
gospel…
Certo, quando mi chiedono chi sia la mia
cantante preferita io rispondo sempre Billie
Holiday. Non aveva niente di spirituale, ma
una sofferenza incredibile dentro di sé, mi
tocca il cuore tutte le volte che la ascolto.
C’è qualche cantautore capace di emozionarti in questo modo?
Battiato ha raggiunto delle belle quote e
Perché?
Nel momento stesso in cui si mette a
comporre dà più spazio alla sua verità interiore che non alla voglia di affermarsi, fare
successo. Credo molto nella sincerità del
cantautore.
rituale, ma come disco non è facilmente
catalogabile. Avevo in mente le cose di
Arvo Pärt, Terry Riley e Klaus Schulze e
l’ultimo brano, Spirituality, ha un chiaro riferimento alla cosmic music degli anni 70.
Io ritengo che in questo disco il connubio
testo-musica sia molto equilibrato, certo il
suono di per sé colpisce direttamente i centri dell’anima, la musica non avrebbe bisogno del testo per comunicare qualcosa, poi
magari una frase di un testo ti entra dentro
e diventa il tuo mantra, te la ripeti durante la giornata, ma il suono ti colpisce nelle
parti sottili della tua interiorità. Io e Rosario
abbiamo volutamente escluso riferimenti
politici o di natura polemica e ci siamo fatti
guidare da quello che la canzone richiedeva e non riesco a immaginare questi brani
diversi da come sono. La tecnologia è importante per lavorare in questa direzione.
Anche se il mio sogno rimane quello di
fare un album solo chitarra e voce o piano
e voce.
Hai già qualche nuovo lavoro in mente?
Sto per pubblicare il live degli ultimi due
concerti, voce e armonium con Roberto
Mazza all’oboe, che feci negli anni 70 nel
teatrino della Villa Reale di Monza e alla
Comuna Baires di Milano.
Nella musica e nella ricerca spirituale
spesso si parte da un maestro. Franco Battiato lo è stato per te?
È l’amicizia che ci unisce, più che il
percorso spirituale. Franco per me è stato
importante soprattutto agli inizi quando andavo a trovarlo a casa sua e me lo vedevo con
il pianoforte smontato con ferri e mollette
per cercare delle sonorità. È stato il primo in
Italia a utilizzare il Vcs per fare musica elettronica, mi affascinava. Per me è stata un’apertura verso un campo sonoro al quale non
avevo pensato. Io facevo la canzone “chitarra e voce” e mi fermavo lì, non vedevo come
rivestire il brano e nemmeno mi interessava.
Per me la canzone era già completa in quella maniera. Nel campo spirituale invece ho
due maestri: lo sri indiano Aurobindo e Santa Teresa d’Avila.
Dalla chitarra all’armonium: quando è avvenuto questo passaggio?
Si era formato un gruppo che si chiamava Il Telaio Magnetico, con Franco Battiato,
Mino Di Martino, che suonava nei Giganti,
Terra Di Benedetto, e io che cantavo col
megafono. Abitavo a Porta Ticinese, a Milano, all’ultimo piano, nessun vicino, suonavo
indisturbato a tutte le ore del giorno e della
notte. Uscivo di casa solo perché insegnavo
musica nelle scuole elementari di Milano
2. Un giorno vidi questo organetto a casa di
Claudio Rocchi, ne aveva uno bianco. Anche lui abitava all’ultimo piano, in una casa
bellissima, in viale Campania. Gli chiesi se
poteva prestarmelo e lui me lo lasciò per più
di un anno. Rocchi è stato il primo in Italia
a iniziare un certo percorso, mi parlava di
Lao Tse e di altre filosofie orientali di cui io
non sapevo assolutamente nulla. È stato un
grande e non ha avuto assolutamente quello
che si meritava. r
Non pensi che il concept di SPIRITUALITY costituisca una gabbia o una bibbia
per i testi?
È un concept con la stessa matrice spi-
Da gennaio, Juri Camisasca e Rosario Di
Bella porteranno SPIRITUALITY in tour.
Tra le date in calendario, anticipiamo quelle
di Catania (14), Napoli (22) e Roma (25).
15
LIGABUE
Il cantautore
con il suono
di una band
Un album nato all’improvviso, scritto in pochi giorni e registrato
quasi in diretta. Eppure MADE IN ITALY, ultima fatica di Luciano Ligabue,
vale la pena di ascoltarlo con calma. Merita attenzione e, dopo, applausi.
Intervista di A Lucio Mazzi
lla fine, questo album è uscito…
Eh, non riuscivo più a tenerlo…
Infatti, prima della pubblicazione, i fan avevano avuto piccole
anticipazioni con quattro pezzi nuovi presentati in concerto a Monza, poi la copertina e il titolo sul web…
Sì be’, è che ero troppo contento di come
erano venute le cose e non vedevo l’ora di
condividere il mio entusiasmo, poi però ci
sono certi tempi da rispettare.
Tempi che invece durante la lavorazione
del disco…
In effetti, lì abbiamo fatto in fretta… Le
canzoni sono nate tutte in un attimo: ho
scritto e provinato tutto in 20 giorni, quasi
senza dormire, una botta di creatività pazzesca… Poi l’ho fatto sentire alla band… Normalmente succede che dai ai musicisti gli
spartiti, loro ci ragionano, ci studiano, poi
vengono in studio e si prova… Invece in
questo caso, con Luciano Luisi [produttore
dell’album, ndr] abbiamo fatto ascoltare ai
ragazzi le canzoni e poi li abbiamo messi davanti ai loro strumenti. Senza starci troppo a
ragionare. Ma devo dire che ho una band
pazzesca con cui sono totalmente in sintonia
e ognuno ha contribuito in maniera fondamentale. Alla fine, l’abbiamo registrato prati16
camente in diretta, come si faceva una volta,
riprendendo le take dall’inizio alla fine.
Una volta si usavano anche strumenti… di
una volta… proprio come in questo caso…
Questa è stata una scelta loro: ognuno ha
avuto la possibilità di mettersi in sintonia con
questi pezzi nella maniera che sentiva più
“giusta”, e in effetti alla fine sì, c’è un gran
uso di chitarre e bassi “d’epoca”, piani Wurlitzer, clavinet, organi Hammond… Sai, il
L’abbiamo registrato
praticamente in diretta,
come si faceva una volta,
riprendendo le take
dall’inizio alla fine
traguardo che ho sempre inseguito è di essere un cantautore col suono di una band, e in
questo momento ho la sensazione precisa di
averlo raggiunto. Questa sintonia permette
anche a loro di trovare la migliore cifra di
espressione con lo strumento migliore, che
tante volte è stato proprio uno strumento vintage. Poi volevo provare a fare un disco moderno ma fatto “alla vecchia”, a tutti è piaciuta questa idea del ritorno all’artigianato del
suonare, che forse si è concretizzato in un
suono addirittura più moderno di quello che
senti in giro adesso… Anche gli arrangiamenti sono una dichiarazione d’amore alla
storia del rock e del soul, ma ovviamente attraverso il filtro della sensibilità di oggi. Poi,
sai, questi sono film che uno si fa nella testa,
e bisogna vedere quanto verrà recepito da
chi ascolta.
Ecco, in generale ti preoccupi di come viene recepito ciò che fai?
C’è un vecchio detto secondo cui ognuno sente in una canzone quello che vuole,
ed è verissimo. All’inizio ero spiazzato dal
fatto che, nonostante abbia sempre usato un
linguaggio molto diretto, molto comune, a
volte quello che dicevo veniva ugualmente
frainteso, adesso invece trovo bellissimo il
fatto che una canzone dia del… “lavoro da
fare” a qualcuno. Poi che questo lavoro porti
in una direzione diversa da quello che avevo
pensato, va benissimo. L’importante è che a
chi lo fa sia utile.
LIGA DA RECORD
ROBERTO PANUCCI
Dal 1990, Luciano Ligabue ha pubblicato 20 album
(tra cui SU E GIÙ DA UN PALCO del 1997, il live più
venduto di sempre in Italia con oltre un milione
di copie) e 5 libri, diretto 2 film, e tenuto oltre 700
concerti (suo il record europeo di paganti per il concerto di un singolo artista, con i 165.264 spettatori
del concerto del 10 settembre 2005 al Campovolo
di Reggio Emilia). Più di sessanta i premi ricevuti in
ambito musicale, cinque quelli come scrittore e dieci per la sua attività cinematografica.
LIGABUE
Finito un disco, aspetti di vederlo nei negozi. In quei momenti ti senti più teso, curioso, disinteressato perché tanto “quello che
è fatto è fatto”, vada come vada….
Ah no! Disinteressato mai! In questo caso,
credo fossi soprattutto ansioso, subito dopo
curioso. Ok, quello che è fatto è fatto, siamo
d’accordo, ma questo è un lavoro dove mi
sono preso un sacco di libertà che non so che
effetto faranno. Sarebbe una delusione grossa, se alla fine non piacesse. Poi, anche dal
punto di vista musicale, degli arrangiamenti,
i pattern di batteria, le linee di basso, i riff di
chitarra… è tutta roba mia: questo è un disco
che mi rappresenta completamente.
E ovviamente ti rappresentano anche i
contenuti…
Ovvio, anche se Riko, il protagonista di
questa storia raccontata attraverso 14 canzoni, sembra anche più incazzato di me!
Infatti, questo è un concept album in cui
i brani rappresentano gli elementi di un
unico racconto. Però mi dicevi che ognuno
può vivere di vita propria…
Esatto.
Secondo me, all’interno di questi testi c’è
comunque un verso che può vivere anch’esso di vita propria, anche se estrapolato
dalla canzone di cui fa parte… Vogliamo
provare a partire da questi versi per parlare
di questi brani e non solo?
Avanti!
Nell’iniziale La vita facile, Riko dice: “La
vita che aspetto, che so che mi aspetta,
DEVE essere stata tenuta da parte per
me”: alla fine, ci si costringe sempre a sperare in qualcosa di meglio?
Riko è una persona di mezza età che si
rende conto che la sua vita non è andata
come doveva andare, per colpa sua, per colpa delle situazioni, non importa. Alla sua età,
spesso si finisce per essere rassegnati a questo. Ma lui non è rassegnato, è incazzato,
vuole riscuotere le promesse che gli sono
state fatte. Non sta sperando che arrivi il meglio: lo pretende.
In Mi chiamano tutti Riko, lui dice: “Ma
dico cose vecchie, che tutti già sapete, che
tutti ricordate, se volete”. È l’inutilità di
parlare a chi non vuol sentire? Anche tu
spesso dici cose che la gente in realtà sa
bene, ma che fa finta di non…
Sì, ma questo non mi ferma. Lo so che
18
Mi sono preso un sacco
di libertà che non so
che effetto faranno. È un
disco che mi rappresenta
completamente
tante cose che dico la gente le sa già, ma forse dirle in modo diverso, mostrandole da
un’angolazione diversa, permette di avere un
sentimento rispetto a quell’argomento.
È venerdì, non mi rompete i coglioni è a
mio parere uno dei vertici dell’album. La
frase che ho individuato è “Adesso c’è bisogno di rumore e non pensare a quello che
c’è fuori”: parli della necessità di staccare
almeno per un po’ con la vita vera?
Io credo che ci sia in giro, fino dove arriva
il mio sguardo, sugli amici, sulle persone che
frequento, una grande compressione che deriva da fattori esterni, ma magari anche da un
lavoro interiore che non si è fatto fino al punto giusto. Questa compressione fa sì che si tiri
avanti con grande insoddisfazione e scontentezza, e ha bisogno di uno sfogo. Riko la trova
nelle serate del venerdì sera: uno sfogo indispensabile per non scoppiare. Forse, ognuno
di noi ha il proprio “venerdì sera” che lo salva.
Vittime e complici: “Questo muro duro
e trasparente, ci vediamo ancora ma non
passa niente”. Ecco il vecchio tema dell’incomunicabilità, anche in un momento storico in cui la comunicazione pare al massimo…
Questo per me non è facile capirlo, perché il mio punto di vista è un po’… particolare: quando comunico con qualcuno, soprattutto se non ci conosciamo, capisco che
lui parla non con me, ma con la proiezione
che ha di me, quindi le mie percezioni sono
un po’ falsate. Nello specifico, è evidente
che quando stai da anni con una persona, se
non ci lavorate entrambi bene sopra, cresca
comunque una barriera tra voi, ognuno
prende i propri spazi e fa anche fatica a condividerli con l’altro. Però è vero che in un
momento in cui la comunicazione non è
mai stata così tanta, penso che paradossalmente aumenti la sensazione di isolamento.
Ma non tanto perché comunichiamo scrivendo invece di guardarci in faccia, non è
questo, ma per il fatto che in questa iperbole
della comunicazione ci si ritrae un po’. Almeno, a me fa questo effetto… Leggo tante
parole estreme, tanta informazione gonfiata,
tanti commenti eccessivi sui social per farsi
notare nel marasma, ma non credo che tutto
questo rifletta quello che siamo veramente,
quanto invece l’immagine che ci costruiamo
per essere notati o letti e dietro cui ci nascondiamo…
Internet quindi descrive una società inesistente?
Io credo che con Internet siamo ancora in
una fase di laboratorio, non è ancora quello
che sarà… Forse tra qualche anno capiremo
veramente cosa sta succedendo. A meno che
il processo non acceleri ancora e allora sarà
veramente impossibile capire.
In Meno male, mi ha colpito la frase “Che
vergogna ritrovarsi a pronunciare ‘meno
male’”: rappresenta la tensione tra solidarietà ed egoismo?
Proprio così. Immaginavo Riko, che odia
il proprio lavoro ma che senza sarebbe perso,
vedere un collega chiamato dall’ufficio personale con un misto di dispiacere e di sollievo… Del tipo: “Anche questa volta l’ho
scampata”. Mi sembra una situazione oggi
abbastanza frequente.
G come giungla. Questa è facile: “Non
basta restare al riparo” è un’esortazione a
darsi da fare…
È un invito a rendersi conto che il vento
sta cambiando così velocemente e così forte
che non si può semplicemente stare al riparo: qui non è solo questione di difendersi, ma
di prendere anche in mano le cose.
In Ho fatto in tempo ad avere un futuro
dici “che si trova sempre la ragione per
brindare”…
O ricordare o dimenticare… La canzone ha
un testo amaro: ho fatto in tempo ad avere un
futuro che non fosse soltanto per me… nel senso che mi dispiace che chi viene adesso non ce
l’abbia. Però volevo che Riko non lo dicesse in
maniera triste, così intanto ho usato una struttura musicale vagamente Motown anni 60 e poi
mi piaceva questa immagine del brindisi. Un
brindisi… comunque: o per ricordare o per dimenticare… se bevi un po’ di più dimentichi,
se bevi un po’ di meno ricordi.
L’occhio del ciclone ha una frase che sembra una profezia: “Troppa rabbia nell’aria,
qui non può finire bene”. Gli artisti, in
quanto tali, hanno antenne che gli permettono di restare in sintonia con il loro
LA MIA BANDA SUONA IL
ROCK
ROBERTO PANUCCI
Ligabue e la sua band, una storia
d’amore che si rinnova ogni sera,
sul palco. Luciano Luisi alle tastiere, Max Cottafavi e Federico Poggipollini alle chitarre, Davide Pezzin
al basso, Michael Urbano alla batteria. Per un album come MADE IN
ITALY, il loro apporto è stato fondamentale, più del solito.
pubblico, sennò non avrebbero un pubblico: le tue che tipo di segnali ricevono in un
momento come questo?
Buona parte delle riflessioni contenute in
questo disco derivano da una cosa abbastanza… banale, familiare… Da più di trent’anni, frequento una ventina di amici con i quali affittiamo una casa in campagna dove
abbiamo ricostruito il nostro bar, ci ritroviamo, ci facciamo da mangiare, giochiamo a
biliardo o a carte… cose normali. Sono operai, impiegati, camionisti, contadini, un paio
di imprenditori, e costituiscono un microcosmo abbastanza rappresentativo. Ed è normale che in queste serate venga fuori qualche incazzatura, spesso di carattere politico,
sai, le tasse che paghi, i servizi che non hai,
quelle cose lì… Ecco, a me stupisce che
questo tipo d’incazzatura ancora non abbia
trovato il modo per esprimersi, perché un
conto è incazzarsi tra amici e un conto è far
sentire davvero la propria voce. E penso che
in effetti da diversi anni questo sia difficilissi-
mo farlo perché anche il corteo, la manifestazione in cui si trova Riko, ha un effetto
molto diverso da quello che aveva, che so,
negli anni 70, quando rivestiva un’importanza maggiore. Oggi spesso si ha un senso d’inutilità totale a scendere in piazza. Però in
questo caso Riko sente comunque di dover
fare qualcosa e anche se le cose per lui non
vanno benissimo, quella presa di posizione e
le sue conseguenze rappresentano proprio la
scossa che gli permette di rimettere in movimento l’ingranaggio della sua vita.
In Quasi uscito, colgo una tentazione: “Potrei lasciarmi andare”…
Sì, ma uno alla fine poi non ce la fa, Riko
di sicuro non ce la fa.
In Dottoressa, Riko sente che “c’è da fare
un po’ di pulizia nella testa e nel resto”…
Ne parlavamo prima: siamo davvero troppo bombardati da informazioni, emozioni,
suggestioni…
Si rischia sempre di fare del moralismo,
soprattutto se si fanno prediche alla “si stava
meglio quando si stava peggio”, ma ragioniamo sui dati di fatto: in questo momento, in
termini di tecnologia, di possibilità, stiamo
vivendo in un mondo fantastico, incredibile.
Allora perché continua ad aumentare la sensazione che ci sia un’infelicità media fin
troppo diffusa? Le risposte possono essere
tante e ognuno ha la sua, quella di Riko è
dire: c’è questa dottoressa gnocca che sembra anche stare al gioco, se permettete io
stacco per un po’. La canzone è spudoratamente leggera, da questo punto di vista! Dai,
stiamo un po’ filosofeggiando, ma la cosa
che credo io è che questo senso d’infelicità
sia dato molto da una velocità cui ci dobbiamo adeguare e che non è la nostra. Magari le
generazioni successive alla mia vivono questa velocità, questi ritmi, senza questo attrito,
ma io, ad esempio, non sono capace di ascoltare la musica in streaming: non la considero
una brutta cosa, anzi io da ragazzo sognavo
19
TONI THORIMBERT
Se ci pensiamo, i
momenti di grande
felicità che ricordiamo sono
quelli in cui eravamo
totalmente presenti
LIGABUE
la possibilità di avere a disposizione tutta la
musica del mondo, ma come entro su questi
canali non riesco a stare su un album: è troppa l’offerta che trovo lì vicino, mille novità, e
se ti piace questo, allora dovresti ascoltare
quello, e quell’altro… così finisco per saltare
di qua e di là e in questo modo anche l’alimentazione dell’anima che ti dà la musica
per me diventa schizofrenica, meno soddisfacente, meno appagante. Allora per tirare il
fiato mi dico stop e metto su un vinile, ma
riesco a farlo sempre più raramente perché
comunque le giornate hanno ritmi che te lo
concedono sempre meno… Insomma, le
cose te le godi meno. È come non permettere alle cose di raggiungere la profondità che
devono raggiungere. Vale magari per quelli
della mia generazione, ma forse non solo…
Insomma, la musica ha bisogno del tuo tempo per regalarti quello che stai cercando.
Questa è bella: in I miei 15 minuti, Riko si
chiede: “Chissà cosa staranno dicendo nel
mio quartiere”. Quanto t’interessa l’opinione che di te hanno gli altri?
Molto! Cioè, no… non tanto quello che
dicono di me, che mi è sempre fregato poco:
m’interessa quello che dicono del mio lavoro, quello sì. Questo riguarda una cosa su
cui mi sono mosso fin da subito: se tu decidi
che la canzone per te è uno strumento che
ha un ruolo per la gente, a quel punto ti avventuri in un mondo impossibile da controllare, perché la gente è fatta di milioni di
persone diverse con le loro idee, sensibilità
ecc. Non hai un interlocutore fisso, chiaro,
quindi ogni volta che pubblichi una canzone puoi solo incrociare le dita perché cosa
ne sai se un ragazzino di 14 anni di Lecce,
figlio di un notaio, s’identifica con te che
hai 56 anni e alle spalle una vita di tutt’altro
tipo. Allora, queste cose non si possono sapere, forse sarebbe stato più facile se mi fossi
mosso su un terreno più alternativo, godendo delle coccole di una nicchia ristretta,
omogenea… Ma questa incertezza dà poi
una sensazione elettrizzante, euforizzante,
perché alle volte scopri cose delle tue canzoni che non sapevi, grazie proprio al feedback
che ti ritorna. Forse per questo le canzoni
mie che arrivano meno, mi sembrano in
qualche modo sbagliate: non dico mai “non
l’hanno capita”, dico “dove ho sbagliato?”.
È una stronzata, me ne rendo conto, ma a
me viene da pensare così… Per questo sto
molto a sentire quello che dicono sul mio
lavoro, perché mi permette di capire se ho
sbagliato e dove.
DIETRO LE QUINTE
“Mentre stavamo mixando le registrazioni di
Campovolo, più o meno un anno fa, Luciano
sparisce. E non per un’ora: per 20 giorni non
si sa dove sia. Poi un giorno si ripresenta in
studio e mi dice: ‘Hai un’ora che devo farti sentire le canzoni nuove?’. Un’ora? Anche
una settimana! E lui mi tira fuori 14 canzoni
finite, provinate, perfette…”. Così il produttore
di MADE IN ITALY Luciano Luisi racconta la
genesi dell’ultima fatica di Ligabue. La rivelazione, assieme a tante altre (di fatto il ma-
king of dell’album con interviste, retroscena,
canzoni e curiosità, è contenuta in Ligabue:
Made in Italy, un docufilm di 45 minuti scritto
da Emanuele Milasi e Alessia Rotondo, e diretto da Valentina Bertani - in curriculum clip
per Liga, Negramaro, Stadio ecc.) che Fox e
FoxLife hanno mandato in onda in contemporanea lo scorso novembre, qualche giorno
dopo l’uscita dell’album. Chi l’ha perso, tenga
d’occhio le inevitabili repliche: ne vale decisamente la pena.
Parli di informazione nella frase “Come
hanno fatto presto a cambiare faccia appena spento il microfono”, che troviamo in
Apperò.
Sì… più precisamente, di come oggi l’informazione sia costretta a essere veloce. Le
notizie devono essere sparate e cambiate
ogni 15 minuti sul web. Questo comporta un
lavoro diverso da parte dei giornalisti che devono essere veloci, efficaci e passare subito
ad altro, ma questo comporta anche un effetto sulla gente che si abitua a metabolizzare
la peggiore notizia e passare subito a quella
dopo.
dentro ogni momento di felicità”. All’inizio del disco, Riko sta male per la sua situazione “esterna”, ma per star bene bisogna
cercare al proprio “interno”?
Perfetto, volevo dire esattamente questo.
Uno può incazzarsi per il mondo esterno,
ma è necessario che faccia un lavoro su di sé.
Questo è un invito che faccio a tutti: lavorate
su di voi, perché questo permette di avere
una consapevolezza maggiore di quanto una
cosa la possiate cambiare o no. Ma c’è un
discorso che va anche un pelino oltre. Io credo che nella convulsione della nostra vita
siamo sempre un po’ assenti dal nostro presente: sempre più legati a quello che ci è successo e proiettati verso i nostri piani futuri, è
difficilissimo stare nel presente. Eppure, se ci
pensiamo, i momenti di grande felicità che
ricordiamo sono quelli in cui eravamo totalmente presenti. Tante volte ci facciamo sfuggire un momento di felicità perché non “siamo presenti” a quel momento. Quindi nel
lavoro che uno deve fare su se stesso c’è anche l’impegno a essere molto più presente al
momento che si sta vivendo, godendo più
facilmente delle cose piccole che stanno capitando. La felicità è un attimo, guai a farselo
scappare. d
In Made in Italy parli di “un treno che non
è mai stato una volta in orario”: sottile metafora di…?
Ma di niente! Era solo un giochino per
parlare dei disservizi italiani e dei luoghi comuni…
Perché sappiamo che quando c’era Lui i
treni arrivavano sempre in orario!
Ahahaha, esatto, no poi sarebbe bello giocare sulla metafora del treno, ma lì è davvero
solo un giochino senza troppi significati!
Un’altra realtà chiude l’album con una
frase cruciale: “Dici che parte sempre da
MADE IN ITALY è recensito a pag. 45
21
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Intervista
’era grande attesa per il suo sesto
album CANZONI PER METÀ,
e il quarantenne songwriter di Fidenza non ha deluso affatto – anzi
– realizzando un’opera spiazzante come da
par suo: 20 canzoni, 13 delle quali di durata
molto breve, alcune perfino pochi secondi.
Dopo un disco molto arrangiato (ALMANACCO DEL GIORNO PRIMA),
eccone uno intimo e minimalista. A cosa
è dovuta questa scelta?
Volevo fare un disco da solo, suonarlo tutto
io, e registrarlo in casa. E l’ho fatto. Però riascoltandolo non mi piaceva tanto, era troppo lo-fi. Io in casa non è che ho uno studio
di registrazione, ho proprio le cose minime per registrare dei
demo. Come operazione era un po’ troppo esagerata. E quindi,
ho deciso di andare a
Livorno [allo studio
di Andrea Appino degli Zen Circus, ndr]
a mettere “in bella”
quello che avevo
fatto.
Ne è venuto fuori un disco raffinato. Ci sono
anche delle belle sonorità elettroniche.
Già nei demo che avevo fatto a casa avevo
usato un sacco di elettronica… Avevo anche
comprato dei sintetizzatori, delle batterie
elettroniche, che non avevo mai usato prima. Quando poi sono andato in studio, ci ho
un po’ giocato e ha funzionato il fatto di uti-
lizzare i miei limiti come musicista – che ne
ho un sacco di limiti (ride) – come un punto
di forza. Non essendo un batterista, per poter
fare i pezzi con la batteria mi sono dovuto
inventare delle cose: ho preso delle vecchie
batterie elettroniche, quelle degli anni 70, le
ho campionate, le ho tagliate, le ho messo
sotto una base, poi ci ho suonato sopra la batteria. Insomma, ho usato una batteria vera
sopra una batteria “finta”.
Alla MCCARTNEY II, insomma.
Esatto! Solo che lui è più bravo di me a
suonare…
L’album contiene diverse canzoni molto
brevi, qualcuna anche di pochi secondi.
Ma tu vai proprio in cerca di queste idee
che ti distinguono dalla massa o è qualcosa
che fa parte di te?
No, non sono pensate. Io sono sempre stato
affascinato dalla sottrazione. Quando avevo
tipo 16-17 anni, avevo fatto un librettino
intitolato Immagini ed erano dei racconti
di 3 righe, di 4 righe, di 1 riga. Per quanto brevi, erano dei racconti veri, secondo
me, perché raccontavano un’immagine.
Comunque, questo disco anch’io non l’ho
capito bene. Lo ascoltavo e lo riascoltavo
e dicevo: “Mah, chissà
cosa farà? Piacerà, non piacerà? È bello,
non è bello?”
Ho letto che appena l’hai finito eri un po’
“perplesso” (parole tue)...
È vero. Ero molto perplesso… Io volevo
fare questo disco di canzoni un po’ “matte” che avevo… Ne avevo tante e volevo
metterle tutte insieme. Però ero anche impaurito, a questo punto della mia carriera
– dove ho appena fatto un disco pomposo
con tutte le orchestrazioni, in un’Italia
dove tutti stanno cercando di sfondare in
radio, facendo pezzi più pop possibili e immaginabili – e insomma, io faccio un disco
che va dall’altra parte. Avevo molta paura
di questa cosa. Però a un certo punto me ne
sono fregato e ho detto: “Queste canzoni
mi piacciono, sono sincere, mi pare stupido non pubblicarle”.
Ha colpito molti quella strofa di Canzoncina in cui canti: “I cantautori non
vendono più”. Ma è davvero così difficile
oggi fare il cantautore?
È difficile perché continuano a paragonarci
a quelli degli anni 70. Io sono un po’ stanco di quelli che dicono: “Sì, bravo, però De
André… Però De Gregori…”. I cantautori
degli anni 70 hanno lasciato un patrimonio incredibile. Però son passati 40 anni e
il nostro Paese è completamente diverso da
allora. Non ha senso fare paragoni tra quello che scrivevano loro (che vivevano il loro
tempo) e quello che scriviamo noi (che
viviamo il nostro tempo). Non possiamo
parlare come parlavano loro. I tempi son
cambiati: in mezzo c’è Internet, ci sono i
telefoni cellulari… Quello che noi viviamo
quotidianamente, negli anni 70 era fantascienza.
Loro poi vendevano milioni di dischi. Voi
no.
Sì, perché i dischi, come si diceva, non si
vendono più: è una grande verità. Anche
se arrivi in Top 10, comunque hai venduto
poco, magari 800 copie, oggi come oggi. È
una tristezza inenarrabile.
Ma per quanto riguarda le percentuali di
Spotify?
Sono infime. A meno che tu non faccia 10,
15, 20 milioni di ascolti di ogni brano: allora puoi pensare di guadagnare dei soldi.
BACIATO DALLA CRITICA
40 anni, originario di Fidenza, Giuseppe
Peveri in arte Dente muove i primi passi
nella scena “indie” con ANICE IN BOCCA
del 2006, colpendo l’immaginazione dei
critici che subito lo definiscono un “nuovo
Battisti”. L’appena uscito CANZONI PER
METÀ è il suo sesto album.
Ma se ne fai anche un milione, come ho
fatto io, no. Non è una cosa che ti può far
dire: “Ok, sto facendo i soldi con la musica”. L’unica cosa che resta sono i concerti.
Della scena cantautorale c’è qualcosa
che ti è piaciuto quest’anno?
La nuova onda romana mi piace: Calcutta,
Motta… Colapesce e Di Martino fanno
cose secondo me di valore. Mi piace molto
Massaroni Pianoforti che è un cantautore
di Voghera. E Niccolò Carnesi ha fatto un
disco bellissimo.
CANZONI PER METÀ è un disco da
Premio Tenco secondo te?
Da “Tenco immemore” (ridacchia)…
Mah, non lo so… Ci sono stato al Tenco,
qualche volta. Sono sempre stato nei finalisti, ma non ho mai vinto.
E ti piacerebbe vincerlo?
Mi piacerebbe sì! Mi dispiacerebbe
vincerlo “per la carriera”. Sai, quelle robe lì che te le danno che stai
per morire: “Diamolo a Dente
quest’anno, che l’anno prossimo non ci sarà più”. d
23
Eugenio Finardi è un artista simbolo degli anni
70. Oggi, un box raccoglie i suoi primi 5 album e ci
restituisce una cosa a cui non siamo più abituati: il
senso del futuro.
dischi anni 70 di Eugenio Finardi
hanno segnato un’epoca. C’è dunque
molto di cui parlare quando ci troviamo di fronte a 40 ANNI DI MUSICA RIBELLE, il box antologico da poco
pubblicato che mette insieme i primi 5
album del cantautore milanese (NON
GETTATE ALCUN OGGETTO DAL
FINESTRINO, SUGO, DIESEL, BLITZ
e ROCCANDO ROLLANDO), incisi fra
il ’75 e il ’79.
La storia parte da lontano, dal ritrovamento
dei nastri originali su cui furono incisi quei
dischi, ma è strettamente legata all’attualità attraverso quello che è, a oggi, l’ultimo
lavoro di studio di Finardi, FIBRILLANTE (Universal, 2014), che il suo autore ha
definito “un disco di lotta contro il nuovo
Medioevo”. Da quelle tracce, trasuda lo
stesso spirito che all’epoca diede vita agli
album ora raccolti nel box, anche se proposto con la maturità, la profondità riflessiva
e un po’ anche il disincanto dell’uomo di
24
oggi. 40 ANNI DI MUSICA RIBELLE è
dunque un modo di riavvolgere il nastro,
una ricapitolazione che non sa di nostalgia
o di mera celebrazione, ma piuttosto di una
riattivazione di quelle energie nel contesto
contemporaneo, uno sguardo all’indietro
che serve a illuminare la strada da fare di
qui in avanti. Ma riavvolgiamo, appunto,
il nastro, per raccontare questa storia, che
non è soltanto una storia di musica, con l’aiuto del suo protagonista.
“L’origine di tutto – ci racconta Finardi –
risale addirittura al 1996, quando Alfred Tisocco [figlio ed erede dell’editore della leggendaria Cramps, ndr] vendette le edizioni
dell’etichetta di famiglia e si trovò a dover
svuotare l’ufficio da tutto il materiale d’archivio. Con rara lucidità, restituì a ciascun
artista le cose che lo riguardavano. Un giorno, si presentò da me con un grosso scatolone pieno di fotografie, ricevute, ordini di
distribuzione… e i 24 piste di SUGO e di
BLITZ. Ovviamente, a me quel materiale
fece l’effetto di una madeleine di Proust:
venni trasportato indietro nel tempo, al
GUIDO HARARI
Intervista di A Federico Fiume
64 anni, milanese, di padre italiano e madre americana. Una ventina di album alle
spalle, Eugenio Finardi è considerato il
“cantautore rock” per eccellenza, ma nel
corso della sua carriera ha frequentato anche generi come il blues o il fado e collaborato con molti altri grandi artisti.
25
ROBERTO MASOTTI
’75, ’76. Mi sono ritrovato
a respirare l’aria di quel
momento lì e mi è venuta
voglia di raccogliere ancora più materiale.
Poi è passato il tempo, siamo arrivati al 2014, quando
la Universal ha pubblicato FIBRILLANTE, il mio ultimo disco. Guarda caso, la
Universal è anche l’erede del mio catalogo, perché prima di ROCCANDO ROLLANDO Gianni Sassi della Cramps mi
‘vendette’ alla Polygram, poi assorbita dalla
Universal, mentre tutto il resto del catalogo Cramps è finito alla Sony, che ci ha
dato cortesemente il permesso di utilizzare
le etichette Cramps dell’epoca per questo
box. Nello stesso modo, la Universal ci ha
fornito i master dei miei primi dischi. Cosa
fare di tutto quel materiale? Si avvicinava
anche il quarantennale di SUGO – e quindi di Musica ribelle – e dunque l’idea del
box ci stava tutta.
Il box contiene anche delle sorprese…
Sì, perché volevamo fare qualcosa anche
con i multitraccia, così alla fine siamo arrivati alla conclusione di realizzare questo
Dvd con tutte le tracce separate di
Extraterrestre, Musica ribelle e Voglio, che possono essere remixate
a piacere da chiunque. Sta anche nascendo l’idea di fare una
pagina su Soundcloud, dove
la gente potrà pubblicare il
suo mix. Il libro poi è pieno
di foto e materiale assolutamente inedito. Anche le
copertine sono accuratissi-
me, esattamente come quelle di allora,
sin nei minimi particolari e sempre con
riferimento alla prima stampa, ma questo
lo vedi soprattutto nella versione in vinile.
Inoltre, la nuova masterizzazione ha molto
migliorato la qualità sonora. Abbiamo ritrovato frequenze che mancavano nei dischi
originali, si sentono strumenti che erano
quasi scomparsi, anche a causa di un tipo
di lavorazione del vinile che si usava allora
e che lo mutilava, in un certo senso, di tutta
una serie di frequenze.
Che effetto ti ha fatto riascoltare quei nastri?
È stato sorprendente. La prima canzone
che abbiamo sentito, dopo averla digitalizzata e caricata su Logic, è stata Voglio, che
è ancora oggi una delle mie preferite: non
era mixata ed era in mono, eppure sembrava mixata alla perfezione. Eravamo noi che
suonavamo a quel modo, in presa diretta.
Poi magari sul disco c’erano un paio di sovraincisioni, ma Musica ribelle, l’originale,
è su 12 piste. Volevamo quell’immediatezza, perché Musica ribelle voleva essere musica rock, anche se italiana.
In effetti, tu sei stato il primo a inserire
il rock nelle canzoni italiane in un modo
diverso da quello allora consueto. Le tue
erano canzoni, ma erano rock in un modo
personale e ancora mai sentito allora. E
poi, sembrava tutto molto istintivo, molto
naturale. Era davvero così?
Assolutamente. Era tutto suonato ascoltandosi in diretta e senza alcuna pre-produzione. Allora non si entrava in sala se
non c’erano l’arrangiatore, il produttore,
il discografico… noi abbiamo fatto tutto
da soli, ed eravamo un gruppo di ragazzini. Lucio Bardi all’epoca del primo disco
aveva 16 anni. Walter Calloni 19, io 23,
Alberto Camerini 24. Era iniziato tutto dal
primo album con Saluteremo il signor padrone, ma quel disco, assai psichedelico e
dove sperimentavamo molto, non era ancora a fuoco. Voglio invece, inciso prima
Abbiamo ritrovato
frequenze che mancavano
nei dischi originali, si sentono
strumenti che erano quasi
scomparsi
Intorno alla Cramps, in quegli anni, si
muoveva una scena molto creativa e innovativa, in cui convivevano avanguardia,
jazz, canzone, rock e musica popolare…
Sì, eravamo un collettivo di persone creative. Alle cene di Gianni Sassi, ti trovavi insieme a John Cage, Paola Pitagora, Nanni
Balestrini, due operai dei Cobas dell’Alfa
Romeo, gli Area… c’era uno scambio continuo di idee, stimoli, collaborazioni. Per
dire, quando registrammo Saluteremo il
signor padrone c’era con noi Battiato che
suonava il VCS 3. Facemmo anche un
tour con una giovane Gianna Nannini, ancora acerba cantautrice, ma era una di noi,
si vedeva che era una con le palle, come
poi ha dimostrato di essere. Allora era ancora trattenuta in una dimensione musicale
che non la rappresentava e io le dissi che
doveva fare rock, doveva essere se stessa.
Sei mesi dopo uscì America.
L’introduzione al libro contenuto nel
box è di Carlo Massarini, tuo storico e
fraterno amico. È vero che Extraterrestre
la scrivesti pensando a lui?
Sì, in realtà era per Carlo e per un altro mio
amico. Ma gliel’ho detto solo molto tempo
dopo, lui non l’aveva mai sospettato. Loro sognavano la Giamaica, l’America, sembrava
sempre che volessero essere altrove. Extraterrestre, che fu il mio primo insuccesso perché
MUSICA RIBELLE
Il 45 giri che fotografò un’epoca.
‘tradiva’ il Finardi militante, prendeva spunto da quell’atteggiamento. Ma anche quella
era musica ribelle, ribelle nei confronti delle
fughe dalla realtà, dei viaggi in India etc.,
perché alla fine diceva che ovunque tu vada
non puoi sfuggire a te stesso.
ROBERTO MASOTTI
delle session di SUGO e uscito come singolo, credo nell’autunno del ’75 con Soldi
sul retro, è il primo pezzo in cui ha preso
forma compiuta questo modo di fare musica italiana con gli accordi in maggiore,
svisato ma suonato quasi come jazz-rock.
Io non volevo fare del rock come in America o in Inghilterra, che fosse derivato dal
blues, con la pentatonica. Io sono per metà
americano ed ero un cantante di blues,
quindi sapevo che in italiano il blues non
funzionava, non aveva mai funzionato.
Però l’atteggiamento del rock, lo spirito, la
forza, l’energia del rock, io la volevo declinare attraverso la musica popolare italiana.
27
Come nacque la vostra
amicizia?
Noi eravamo già fratelli
prima di incontrarci fisicamente, grazie alla trasmissione radiofonica Per voi
giovani che conducevamo,
lui da Roma e io da Milano, nel 1973. Ancora oggi, non sappiamo chi di noi due fu il
primo a trasmettere Bob Marley alla radio
italiana. All’epoca, qui nessuno lo conosceva, tanto che Lucio Battisti mi convocò a
casa sua per ascoltare questo giamaicano e
poi mi mandò anche Mario Lavezzi, insie-
IL ROCKER CHE LIBERA LA MENTE
Finardi e gli anni 70: un binomio inscindibile. La
sua musica ha colto lo spirito di un’epoca, interpretando i bisogni di una generazione. Non a caso,
i programmatori delle radio libere stravedevano
per lui.
28
me a una bellissima ragazza di 17 anni, che
era Loredana Bertè. Vennero a casa mia a
sentire Marley e pochi mesi dopo uscì …E
la luna bussò. Da allora diventammo amici
e venivo spesso a Roma, città che adoro, a
trovarlo.
Ti piace ancora fare radio?
Certo, io adoro la radio, ma non la faccio
con le playlist come si usa ora, voglio scegliere io cosa mandare.
Il 4 novembre scorso, al teatro Dal Verme di Milano, hai tenuto uno speciale
concerto con alcuni dei componenti delle band originali che hanno contribuito
alla realizzazione dei tuoi primi album:
Walter Calloni, Lucio Fabbri, Lucio Bardi, Claudio Pascoli, Mark Harris, Mauro
Spina e Maurizio Preti (Crisalide), Patrizio Fariselli e Ares Tavolazzi (Area), Vittorio Cosma e gli amici Elio e Faso delle
Storie Tese. Purtroppo, mancava Hugh
Bullen che è scomparso recentemente.
C’è speranza di poter replicare l’evento
in futuro?
Non sarà facile. Quel concerto è stato
prodotto da me e dalla mia società, la
EF Sounds, e in quel caso, un regalo che
mi sono fatto in perdita. Potremmo farlo
ancora, ben volentieri, ma sarebbe necessario uno sponsor o un partner che ci
permettano di coprire i costi. Per quanto
mi riguarda, è stata una cosa che mi sono
potuto permettere di fare una volta sola.
GUIDO HARARI
Dopo questa immersione nei tuoi primi
dischi, come vede l’uomo di oggi quel ragazzo di allora?
Quando ho rivisto quelle vecchie foto, alcune per la prima volta… Io ho un figlio
di 26 anni ed è stato come vedere lui, con
un misto di tenerezza, di affetto, ma anche
un po’ di imbarazzo per l’ingenuità, ma anche di stupore per le intuizioni che avevo
avuto, sia testuali che musicali, di cui mi
ero dimenticato. È un sentimento che mi
commuove. Mi stupisco di quell’innocenza, della speranza che c’era in me. Prima
degli amori, dei figli, dei divorzi, dei lutti,
prima della vita, quando tutto era ancora
una promessa. La cosa più bella è il riconoscersi, non fisicamente perché io non sono
più quello, sono questo, ma sono ancora
quello nel cuore, perché non ho tradito i
miei ideali di allora, non ho tradito me stesso, sono ancora io. Credo che FIBRILLANTE lo dimostri e che sia un disco degno di
stare accanto a quelli del box, però l’ho fatto
con dei ragazzi che hanno la metà dei miei
anni, gli stessi che mi accompagnano in
tour. Tutto sommato, col senno di poi, mi
sembra che questi 40 anni siano stati belli
e coerenti.
Ma tu, anche rispetto a quelle speranze,
oggi ti senti sconfitto?
Sconfitto no: mi sento solo. Gli anni
60 e 70 sono stati un periodo di grandi conquiste. Se pensi alla condizione
delle donne negli anni 50, al colonialismo, i popoli oppressi, la condizione
degli studenti… Se vedi un film degli
anni 50 e poi vedi, non so, Blow Up o
2001: Odissea nello spazio, ti rendi conto della velocità che ha acquisito in quegli anni l’evoluzione umana e sociale.
Se mi chiedessero cosa vorrei prendere
dagli anni 70 per portarlo nel presente,
risponderei “il senso del futuro”. Allora
davvero c’era speranza nel futuro, c’era
‘il sol dell’avvenire’. Ma quel sole ora è
così vicino che sta sciogliendo i ghiacci,
desertificando interi continenti, sta bruciando tutto. È decisamente un futuro di
merda rispetto a quello che immaginavamo allora. d
5 cd+libro+dvd • Universal
L’effetto che fa ascoltare i Cd o i dischi in vinile di questo box è duplice, soprattutto per
chi quegli anni 70 li ha vissuti. Album conosciuti, canzoni con cui si ha confidenza: il
primo effetto è il riconoscimento, il sorgere improvviso di antiche emozioni giovanili. Poi
c’è l’altro effetto che accomuna l’ascoltatore ‘esperto’ a quello che invece quelle canzoni
le conosce poco o per niente: quel suono nuovo, sgargiante, avvolgente, ben superiore a
quello dei dischi originali, merito di un ottimo remastering. Cinque dischi vecchi e nuovi
allo stesso tempo, questo il piccolo miracolo di “40 anni di musica ribelle”, con in più
(nella versione Cd) l’intrigante gioco del remix personale che ciascuno può creare a suo
gusto, grazie ai multitraccia presenti nel Dvd.
29
Chiunque abbia provato a fare musica in
maniera anche minimamente seria, ha
avuto a che fare con la Società Italiana
degli Autori ed Editori. La ultracentenaria
società gestisce da sempre il monopolio dei
diritti d’autore in Italia, e per quel che concerne la musica, è l’unico soggetto abilitato a regolamentare l’immissione di nuove
opere nel mercato, oltre che a gestire le
royalties della musica suonata dal vivo e
riprodotta in radio e televisione.
Da qualche anno, però, un altro nome si
è affacciato con prepotenza sul mercato:
Soundreef. Nata a Londra nel 2011 ad
opera di Francesco Danieli e Davide D’Atri, Soundreef si occupa d’intermediazione
di compensi di autori ed editori. Dapprima
attiva solo nell’ambito della diffusione della musica in locali commerciali, nel 2014
allarga il proprio mercato agli eventi e alla
musica dal vivo, fino ad avere tra i propri
clienti due artisti dal largo successo commerciale come Fedez e Gigi D’Alessio e a
promettere il servizio di copertura totale dei
diritti d’autore a partire dal 1° gennaio 2017.
Tra i due non corre buon sangue, tocca
dirlo: la SIAE si riconosce come l’unica società autorizzata a operare all’interno di un
mercato monopolista, Soundreef si appella
alla direttiva europea Barnier e a una sua
attuazione che permetta una liberalizzazione del mercato e possa garantire a nuovi
soggetti di operare, senza dover necessaria30
A cura di A Riccardo De Stefano
Chiunque faccia musica
sa cos’è la SIAE, la
società che da sempre
gestisce i diritti d’autore
in Italia. Una storia
lunga più di un secolo,
vissuta all’insegna del
monopolio. Almeno
fino all’altro ieri.
mente figurare come una realtà straniera. A
oggi, la contesa vive una situazione di stallo, con le due società in causa aperta, anche se sempre più artisti scelgono di passare
dall’altra parte iscrivendosi a Soundreef, attirati dalla promessa di compensi maggiori,
più trasparenti e più veloci rispetto a quando offerto dai propri competitors. In questo
quadro delicato e complesso, abbiamo voluto lasciare la parola ad alcuni dei protagonisti coinvolti, oltre che ad alcuni utilizzatori dell’uno e dell’altro servizio. A voi il
giudizio. Questa prima parte si concentra
sulle posizioni espresse da Soundreef, rimandando al prossimo numero le puntuali
risposte della SIAE sulla delicata materia.
DAVIDE, LO SFIDANTE
Davide D’Atri, fondatore e
amministratore delegato di
Soundreef.
Qual è in breve la storia di Soundreef
nel mercato del diritto d’autore?
d Abbiamo fatto un percorso di costruzione, un pezzo alla volta, iniziando nel 2011
in Inghilterra dopo un lunghissimo market test, col solo servizio di musica di sottofondo nei grandi esercizi commerciali.
Nel 2014, abbiamo iniziato a raccogliere
le royalties degli eventi live, realizzando in
Italia oltre 2000 concerti. Nel 2016 grandi
autori come Gigi D’Alessio e Fedez sono
passati da SIAE a Soundreef, e altri grandi
nomi dobbiamo annunciarli nelle prossime settimane. Ci sono oltre 8000 autori
italiani che si sono iscritti a Soundreef, il
10% del totale iscritti SIAE, mentre dal 1°
gennaio 2017 Soundreef raccoglierà tutte
le tipologie di royalties: radio televisione,
fonomeccanico e da internet.
In cosa consiste l’imminente apertura a tutte le tipologie di royalties?
Ci sarà una competizione diretta tra
voi e SIAE?
d Siamo stati in concorrenza con SIAE
nella musica di sottofondo, ci siamo messi
in concorrenza con la raccolta dei live.
Per noi, non è una novità essere in concorrenza: dal 1° gennaio possiamo offrire
ad autori ed editori i nostri servizi e piattaforme. Vedranno dove la loro musica sta
suonando, quanto stanno guadagnando,
quando e quanto verranno pagati, come
Davide D’Atri è
l’uomo più odiato
dalla SIAE. Dal 2011
è amministratore
delegato di Soundreef,
la società da lui fondata
a Londra insieme a
Francesco Danieli.
vengono trasmesse le loro opere, come
succede già per la musica di sottofondo e
gli eventi live.
All’atto pratico: cosa vi distingue da
SIAE?
d Abbiamo una sola grande regola: dividere ogni royalty in maniera analitica al
100%. È possibile da fare tecnicamente,
senza ritardo e per ogni utilizzazione, in
ogni classe di diritto, e poi dare una reportistica trasparente e veloce ad autori
ed editori, per fare in modo di dividere i
compensi per ciò che è stato effettivamente suonato: se un piccolo concerto vale 15
euro e vengono fatti 15 brani, a me autore
spetta un euro. È tecnicamente possibile e
non si comprende perché, in alcune classi,
alcune collecting society abbiano per i piccoli concerti ancora la regola che il 75%
degli incassi è diviso in maniera forfettaria
e non per il programma musicale. Pensiamo che sia essenziale una rendicontazione
e un pagamento super veloce, nella maggior parte dei casi, è possibile rendicontare
a 7 giorni e pagare a 90, in maniera molto
più efficiente e veloce rispetto ad adesso.
È inoltre possibile mettere le informazioni
sull’account online e facilitare la visione
delle operazioni: sono attività tecnologiche che non hanno a che fare con problemi legali o commerciali. Questo genere di
concorrenza che facciamo serve perché la
tecnologia si sviluppa solo attraverso dei
processi competitivi; senza, la tecnologia
non si sviluppa. Ciò non significa che noi
siamo per una liberalizzazione selvaggia,
GOLIA, IL GIGANTE
Filippo Sugar, dal 19 marzo
2015 Presidente del Consiglio di Gestione della SIAE.
31
anzi il contrario: siamo per una liberalizzazione controllatissima, vogliamo che tutto
il mercato sia controllato. Riconosciamo
il preziosissimo ruolo della SIAE per la
concertazione collettiva e per il controllo
sul territorio. Diciamo per primi che deve
avere un ruolo predominante in una serie
di settori, come nelle piccole utilizzazioni,
come il bar sotto casa o il parrucchiere: noi
stessi daremo mandato alla SIAE in questi
casi, però quel mercato è il 15% del totale. È scorretto dire che serve il “controllo
totale” su tutte le utilizzazioni, non è così:
quando parliamo di radio e televisione, i
BYE BYE SIAE
La stretta di mano fra Gigi D’Alessio e Davide D’Atri, che sancisce il passaggio dell’artista napoletano dalla SIAE a Soundreef. È il 28 maggio 2016.
32
broadcaster importanti saranno una trentina, e così per i grandi concerti ce ne saranno circa 5. In alcune utilizzazioni, la
SIAE è essenziale, e anche con una sorta
di liberalizzazione sarà predominante per
tanti anni. Non vogliamo buttare giù l’infrastruttura: gli operatori che verranno si
appoggeranno alla SIAE con delle regole
stabilite insieme.
SIAE ha spesso attaccato Soundreef,
soprattutto riguardo la legittimità
del vostro operato in Italia, dove a
tutt’oggi ancora vige un monopolio
in mano alla società guidata da Filippo Sugar. In che modo opera in Italia
Soundreef?
d Quella della legittimità delle nostre operazioni è un argomento noioso: abbiamo
vinto nel 2014 presso il Tribunale di Milano in primo grado e in appello e i giudici
hanno stabilito che le nostre attività sono
lecite in territorio italiano. Crediamo che
la direttiva della Commissione Europea
emanata nel 2014 parli chiaro in materia
di concorrenza da una nazione all’altra,
crediamo che ci siano norme sul libero
scambio di merci e servizi all’interno della
Comunità europea che non posso essere
ignorante. Ma c’è un tema importante: la
proprietà privata dell’autore e dell’editore.
Un brano non è di proprietà della SIAE
o dello Stato, ma dell’autore e dell’editore, che ne dispongono come desiderano,
secondo qualsiasi legge nazionale e internazionale. Se un autore o editore decide
di dare mandato a Soundreef e revocare
il mandato a SIAE, questa non può incassare compensi per autori e editori. Se un
utilizzatore diffonde musica Soundreef e
Soundreef non ha dato il mandato SIAE,
l’utilizzatore può fare 3 cose: diffondere
illecitamente musica, andando incontro a
sanzioni civili o penali; pagare le licenze a
Soundreef; non diffondere quella musica.
Non ci sono altre possibilità, secondo le
normative italiane ed europee. Con 8000
autori ed editori italiani iscritti a una nuova
società, siamo andati oltre le accuse mosseci: il punto non è se possiamo o meno
operare, ma trovare piuttosto delle regole
comuni tra Soundreef e SIAE che permettano all’utilizzatore di licenziare il catalogo Soundreef e SIAE senza problemi.
Fedez è da qualche mese un artista
che lavora con voi e collabora con
J-Ax, che invece è un artista SIAE.
Questo non impone che ci siano delle
regole comuni tra voi?
d La condizione di Fedez e J-Ax è comune
agli 8000 autori iscritti a Soundreef, che collaborano reciprocamente con tutti. Anche
Gigi D’Alessio aveva 950 brani registrati in
SIAE: significa che ci sono migliaia di coautori e coeditori, è una condizione che appartiene a tutti. Bisogna avere un senso di
responsabilità, non si può lasciare all’utilizzatore il compito di interpretare le leggi nazionali ed europee: l’utilizzatore deve avere
dei messaggi chiari, concordati da Soundreef e SIAE per un ecosistema che abbia delle linee guida. Noi lo abbiamo chiesto alla
SIAE, ma non mi sembra che abbia accolto
la richiesta di sederci a un tavolo tecnico per
comprendere quali possono essere le regole
comuni per questo momento di transizione.
Loro si rimettono al governo, che speriamo
si rimetta alla Direttiva Europea Barnier
[che sancisce la libertà di scelta di un uti-
lizzatore della società che preferisce per la
gestione dei propri diritti d’autore, ndr], ma
prima ancora ci sono delle procedure pratiche che vanno discusse in un tavolo tecnico,
dove gli operatori si devono confrontare. In
Inghilterra, noi ogni mese siamo ricevuti
dal corrispettivo del Comitato Permanente sul diritto d’autore italiano per discutere
dei problemi pratici. È questo il modo per
affrontare la situazione, non coprendosi gli
occhi e ripetendo “monopolio”.
Come interpreti il modo con cui SIAE
affronta la questione?
d Questo silenzio è incomprensibile e lo
vediamo solo in Italia. È vero che in altri
Paesi ci sono stati comportamenti aggressivi nei nostri confronti, ma le società di
collecting estere danno dei messaggi chiari
agli utilizzatori. Quando veicoli messaggi
contraddittori, crei una situazione di incertezza nel mercato. Perché lo fanno, non sta
a noi giudicarlo. Noi siamo entrati nell’ottica di parlare con i grandi utilizzatori e
cercare di trovare delle regole comuni che
vanno bene per noi, per il grande utilizzatore e la stessa SIAE. Pare non si rendano
conto che il 1° gennaio è dopodomani.
Un brano non è di proprietà della
SIAE o dello Stato, ma dell’autore
e dell’editore, che ne dispongono
come desiderano
Davide D’Atri
IL PRIMO A FARE IL
GRANDE PASSO
Il 29 aprile 2016, Fedez decide
di passare a Soundreef. Nel suo
tipico stile, comenta così: “Mi
gioco il culo insieme a loro, anche perché gli sto dando tutto
il mio patrimonio autoriale”.
33
Al di là delle questioni tecniche, legali e
burocratiche, quello che conta davvero è poi
come la musica riesce a girare. Abbiamo chiesto
a un musicista e a un editore di esporsi sulla
materia e di parlarci di Soundreef. Adriano
Bono è stato tra i primissimi professionisti ad
abbandonare SIAE per passare a Soundreef,
mentre Pietro Paluello è un editore che lavora
con SIAE da molti anni, senza problemi.
L’OPINIONE DI ADRIANO BONO
Credo che Soundreef sia il futuro del diritto d’autore in Italia. O meglio, credo che
SIAE sia il passato. E questo a causa del suo
approccio ottocentesco, verticalista, inefficiente e dispersivo, che ha già fatto abbastanza danni alla cultura in Italia, agli autori e a tutti quelli che lavorano in funzione
di questi, ossia musicisti, tecnici, grafici,
gestori di locali etc. etc. Tutti danneggiati
dagli enormi danni causati da SIAE e dalla
sua scellerata gestione e raccolta del diritto d’autore. Ho scelto Soundreef perché
credo mi convenga anche nell’immediato, e infine per dare il mio contributo allo
svecchiamento del nostro Paese, almeno
per quel che riguarda il mercato del diritto
d’autore. La SIAE è diventata con il tempo un dinosauro burocratico, clientelare e
familista, capace solo di vessare gli organizzatori di eventi. Basti pensare che è stata in
molte occasioni sotto commissariamento,
proprio a causa delle sue imperdonabili
inefficienze. Anche oggi, riesce a redistribuire dei soldi agli aventi diritto solo grazie
a spregiudicate manovre finanziarie che riesce a gestire grazie al ritardo con il quale
34
salda il dovuto (o una sua parte almeno!)
agli aventi diritto. Queste cose sono sotto
gli occhi di tutti, sono innegabili.
Sono convinto che sul lungo periodo i miei
introiti da diritto d’autore aumenteranno, i
costi per gli organizzatori diminuiranno e se
questo succederà su grande scala e per tanti altri autori come me e come quelli che
stanno passando a Soundreef, ne guadagnerà tutta la scena musicale italiana. Oltre
agli aspetti economici, è anche bello sapere
di potersi togliere ogni tipo di curiosità sui
proprio introiti da diritto d’autore con un
semplice click, andando a visitare la propria
area personale sul sito di Soundreef. Posso
vedere ogni singola canzone quanti soldini
da diritto d’autore ha generato, e in quali
occasioni. E questo è molto soddisfacente.
Una volta, ho chiamato SIAE per fare una
verifica del genere su una singola canzone,
e mi hanno risposto che servivano mesi per
ottenere informazioni simili e che dovevo
sborsare un gettone di 50 € o roba del genere. Assurdo.
Finalmente si sta parlando di abbattimento
del monopolio SIAE, un risultato che senza
dubbio migliorerà di parecchio l’ecosistema
e il mercato del diritto d’autore, con grande
beneficio per tutti, autori, organizzatori e
pubblico. Inoltre, la SIAE stessa finalmente
si sta dando una svegliata, con tentativi di innovazione sulla falsariga di Soundreef (gratuità per i nuovi associati, borderò digitali,
restyling del sito) che per il momento sono
ancora goffi e di facciata, ma che magari nel
giro di qualche anno potrebbero diventare
più concreti e renderla molto meno arcaica
e obsoleta. Credo che i problemi di SIAE
siano molto profondi in realtà, che forse sarà
impossibile riformarla davvero, ma in ogni
caso ogni tentativo in quella direzione è un
ottimo segnale. Un altro risultato è di carattere psicologico, in quanto molti organizzatori di concerti in giro per l’Italia finalmente
si stanno rendendo conto che il pagamento
del diritto d’autore è qualcosa che va ben
oltre una mera tassa a fondo perduto da pagare all’esattore della SIAE per il concerto.
Quando vado a suonare, gli organizzatori
che fanno la pratica online per ottenere la licenza Soundreef per il mio concerto spesso
mi dicono che si sono trovati benissimo, che
hanno pagato la metà o un terzo del solito e
che sono ben lieti che quei soldi che hanno
pagato andranno davvero agli autori delle
canzoni cantate durante il concerto.
ADRIANO BONO
Autore, cantante e polistrumentista, Adriano
Bono fonda nel 1993 le Radici nel Cemento, band
di culto del circuito reggae-ska. Dal 2009 suona
come solista, proponendo negli ultimi anni il
proprio show Reggae Circus, nome anche del suo
ultimo album.
L’OPINIONE DI PIETRO PALUELLO
Più che fare l’editore, “cerco” di fare l’editore. Soundreef sta operando in virtù di
una normativa europea che, tra virgolette,
liberalizza il mercato: sono norme complesse e complicate, ma tutto sommato
può essere utile uno stimolo, dato che
nel nostro Paese tutto si è staticizzato. La
liberalizzazione di cui tanto si parla già
c’è e anche da tempo, tanto che gli autori
italiani che sono iscritti a società straniere
non sono pochi e sono tutelati anche dalla SIAE, in virtù degli accordi a carattere
internazionale che nei passati decenni la
stessa SIAE ha potuto e saputo mettere in
piedi. Non che in SIAE sia sempre andato bene tutto, ma adesso è tutto il nostro
sistema, quello della musica, che subisce
un cambiamento radicale grazie alle nuove tecnologie. Da associato SIAE, tutelato
dalla SIAE, che riceve i diritti da anni, posso dire che iniziare prima questa rincorsa
informatica sarebbe stato meglio, ma da
qui a dire che è tutto da buttare proprio no,
anzi! Fatico anche a capire come rispetto
al meccanismo di presenza sul territorio
della SIAE qualcun altro possa sopperire
dalla sera alla mattina. Il problema grande,
che non è imputabile alla SIAE, sono la
moltitudine e la diversità delle comunicazioni: è un sistema variegato e spezzettato, perché non ci sono solo gli eventi dal
vivo o le televisioni e le radio, pubbliche e
private, ma oramai una serie di mille altre
diverse utilizzazioni. Se queste comunicazioni arrivano in ritardo o non arrivano
addirittura per niente, si possono creare
meccanismi per cui un diritto invece di
arrivare nel 2013, ti arriva nel 2016. La
tecnologia può aiutare, e la SIAE forse lì
per lì non è stata proprio tempestiva, ma si
sta velocemente muovendo e adeguando
per trovare soluzioni e risposte migliori.
La logica delle cose sta nel dare risposte: il
vantaggio di SIAE è la sua struttura sul territorio, che gli consente di esercitare una
gestione capillare - unitamente agli aspetti
informatici io la potenzierei ancora, certo,
poi va considerata anche una logica di costi. Ma oggi come oggi, se c’è un concerto
che viene fatto… che so… in provincia di
Nuoro, con 100 persone di pubblico, è più
facile che quel diritto lo vada a prendere la
SIAE piuttosto che Soundreef o altri. La
verità vera è che i dischi, i supporti fisici,
non si vendono più e il cosiddetto “mercato” si è quasi completamente spostato
sul web. Allora non dobbiamo più perdere di vista certi obiettivi: nei confronti di
Google e dei “gestori” della rete, bisogna
arrivare a poter pretendere di andare a un
tavolo per parlare di diritti, e quindi non
possiamo essere frammentati, né l’uno
contro l’altro. Servirebbe un Governo che
imponga a tutti di mettersi intorno a un
tavolo e trovare l’accordo: il diritto d’autore è un brevetto e chi crea arte deve avere
una forma di sostentamento. E purtroppo
l’attuale volume economico di questo nuovo sistema non consente più, di certo in
Italia e salvo rarissimi casi, di permettere
a un giovane di fare della propria musica
un progetto professionale di vita. In conclusione, se mi dovessi rendere conto che
la SIAE non tutela più i miei interessi, per
me sarebbe un problema, ma per il momento non è quello che sta succedendo.
Quello che la SIAE dovrebbe cercare di
fare, e so per certo che è quello che sta cercando di fare, è di fare meno “forfettario”
possibile e dare sempre più riconoscibilità
ai diritti. So che ci vorrà un po’ di tempo,
sarebbe così per chiunque, ma ci sono le
modalità e, per quel che ho modo di verificare, anche le volontà per migliorare questi aspetti ci sono e credo fermamente che
la soluzione non sia andare lì e sfasciare
tutto o, come si dice, buttare l’acqua con
tutto il bambino, quanto invece valorizzare gli aspetti positivi e correggere ciò che si
può far funzionare meglio.
PIETRO PALUELLO
Pietro Paluello (1957) dirige la società di edizioni
musicali Heristal Entertainment e produce colonne sonore cinema, tv e teatro, con una library
di oltre 4000 titoli. Inoltre, organizza eventi dal
vivo e si dedica al recupero e all’attualizzazione
digitale di vecchie e rare incisioni.
35
IL GRANDE CANADESE
GEORGE ROSE/GETTY IMAGES
Nato a Montréal, Canada, nel 1934,
Leonard Cohen è uno dei songwriters più influenti di sempre. È scomparso il 7 novembre 2016, all’età di
82 anni. Il suo ultimo album, YOU
WANT IT DARKER, era uscito meno
di un mese prima, il 21 ottobre.
Il primo
accordo
Spesso, un’intera vita è condizionata
da un episodio. È accaduto anche nel
caso di Leonard Cohen, il songwriter
canadese scomparso lo scorso 7
novembre all’età di 82 anni.
Testo di A Ira Bruce Nadel
a prima cosa che scrisse in vita
sua, Leonard Cohen la seppellì. Dopo la morte del padre, scucì dall’interno uno
dei suoi eleganti papillon,
vi infilò un bigliettino e lo nascose poi sotto la neve nel piccolo giardino dietro la sua
casa di Montreal. Per un ragazzino di nove
anni, era un gesto potente e simbolico. Per
certi versi una sorta di funerale privato,
con la parola scritta in luogo di una visibile
espressione di dolore. Il bigliettino garantiva anche un legame con il padre: ogni volta che avesse composto qualcosa, Leonard
avrebbe ristabilito il contatto. Una fusione
di arte e sacramento, rito e scrittura.
Il giorno del funerale era anche il compleanno della sorella, ma nessuno ne fece
menzione. Se ne accennò solo a fine giornata, quando i due bambini in lacrime
confidarono l’un l’altro di avere intravisto
il genitore nella bara aperta durante la cerimonia funebre. Cohen chiese allora alla
sorella di non piangere, perché doveva essere un giorno di festa per lei, ma né a lui
né a lei era possibile evitare l’immagine dominante della giornata: il volto del padre,
rigido nell’ora della morte com’era sempre
stato in vita.
La morte del padre nel gennaio 1944 fu l’evento centrale della giovinezza di Cohen e
fissò un principio fondamentale della sua
arte. Come avrebbe spiegato in The Favorite Game, “la privazione è la madre della
poesia”. Il lutto lo spinse anche a una ricerca, che dura tutt’oggi, di padri e maestri.
Psicologicamente, la morte del genitore fu
per Cohen una liberazione e gli permise
di seguire i suoi interessi senza ostacoli; fu
però anche una prigione, perché lo costrinse in qualche misura al ruolo di capofamiglia, responsabile del benessere dei suoi per
quanto interamente dipendente dagli zii.
“Cosa significa crescere senza padre? Ti fa
crescere più in fretta. Sei tu a fare le parti
a tavola, tu a sederti al suo posto”, risponde
il narratore di The Favorite Game. Come
in buona parte del suo lavoro, Cohen trasforma quel che è psicologico in spirituale.
“La morte del padre gli conferì un tocco
di mistero, un contatto con l’ignoto. Poteva
parlare di Dio e dell’Inferno con un’autorità speciale”. La perdita lasciò una duratura
cicatrice, un segno che Cohen nel primo
romanzo avrebbe definito “ciò che accade
quando la parola si è fatta carne”.
Quel biglietto nel papillon fu il talismano
portato lungo una vita intera. “Ho scavato
nel giardino per anni, cercandolo. Forse ho
fatto solo questo nella mia vita, ho cercato
quel biglietto”. d
Estratto da Una vita di Leonard Cohen di Ira
B. Nadel, appena ristampato da Giunti.
UOMO DI PAROLA
Più poeta che musicista, Leonard Cohen è rappresentato in libreria da diverse raccolte di versi e due
romanzi, The Favorite Game del 1963 e Beautiful
Losers del 1966.
37
Testo di A Lucio Mazzi
ino a un paio d’anni
fa, l’idea di mettermi
a incidere dischi non
mi passava neanche
per la testa. Scrivevo canzoni, ma con l’unico scopo di dimostrare a me e agli altri
che in fondo ne ero capace anch’io. Poi un
giorno mi vengono a cercare, mi chiedono
se voglio incidere un disco. Un intero 33
giri, capisci?! Forse avrei dovuto rinunciare
o per lo meno fermarmi un attimo a pensare, ma come si fa in certi momenti a non
farsi trascinare?”. Così uno sconosciuto
Vasco Rossi raccontava i propri inizi nella
sua prima intervista a una rivista musicale
importante («Ciao 2001») nel settembre
1979. Era appena uscito NON SIAMO
MICA GLI AMERICANI e a questo ra-
Da sconosciuto, a personaggio di culto “per
pochi”, a star assoluta: il percorso di Vasco Rossi
è nato lentamente, anno dopo anno, canzone
dopo canzone. Qui esploriamo gli anni 80, il
momento cruciale in cui, grazie a un pugno di
album fondamentali, Vasco è diventato… Vasco.
gazzone dell’Appennino modenese forse
valeva la pena di dedicare un po’ di spazio.
Una paginetta in bianco e nero: non di più.
Il cambio di marcia
Solo 3 anni (e due album) dopo, Vasco
Rossi si guadagna, però, i gradi sul campo:
recensendo VADO AL MASSIMO, quella
stessa rivista indica il cantautore (“ma più
che un cantautore potrebbe benissimo es-
VASCO IN HIFI
La Fonè ridà smalto a 5 classici di Vasco
Così, Vasco non l’avete mai sentito. Su questo, nessuna discussione.
È assodato che il vinile abbia una resa sonora superiore al Cd (e
non parliamo della musica liquida), ma questi vinili sono addirittura superiori agli originali.
Stiamo parlando della riedizione in vinile dei 5 album incisi
da Vasco Rossi per la Carosello fra il 1982 e il 1987 (VADO AL
MASSIMO, BOLLICINE, VA BENE, VA BENE COSÌ, COSA SUCCEDE IN CITTÀ e C’È CHI DICE NO), realizzata dalla Fonè di
Giulio Cesare Ricci, un autentico mito del suono
analogico, che abbandona il mondo della musica
classica e del jazz acustico per dare a Vasco “la
miglior voce possibile”. Ricci è partito dalle registrazioni originali, e rispettandone assolutamente suoni, colori e dinamiche le ha rilavorate con i
suoi sistemi analogici valvolari, evitando quindi
38
sere definito un rocker italiano”) come il
“Lou Reed italiano”, “per il suo modo autentico di vivere in prima persona i drammi
e le nevrosi elettriche di un animale-artista
metropolitano, e per il duro lirismo-verismo urbano dei testi molto personali delle
sue canzoni”. Anche la stampa, insomma,
inizia ad accorgersi di questo nuovo personaggio che cerca di farsi largo. E non può
che essere così, dopo un Sanremo che Va-
qualsiasi manipolazione elettronica che potesse anche minimamente mutarle, e realizzando un nuovo master su nastro
da mezzo pollice che viaggia a 76 cm al secondo, inciso con
la macchina usata dai Rolling Stones per tutti gli anni 70. Da
questo master, sono state stampate le 500 copie numerate
di ogni titolo. Solo 500? Esatto, “perché dopo 700 la qualità
del suono leggermente scade per via dell’usura della pressa”,
spiega Ricci. Di queste, 4 sono rimaste nell’archivio di Ricci e
496 sono finite nei negozi. E sono meglio degli originali usciti negli anni 80 perché, come spiega sempre «Mastro Vinile»,
“all’epoca per questioni tecniche veniva usualmente tagliata
la gamma medio-bassa, cosa che io non ho fatto. In questi 5
vinili, quindi non c’è solo Vasco come non l’avete mai ascoltato, ma anche l’esatta percezione del suono degli anni 80 e la
sua evoluzione durante quel decennio”. Lucio Mazzi
Vasco nel 1980, l’anno
dopo NON SIAMO MICA
GLI AMERICANI.
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STO ARRIVANDO!
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sco aveva in qualche modo preso a calci
nella sua sacralità, ma che era riuscito a
sfruttare nella maniera migliore come vetrina promozionale.
All’uscita di VADO AL MASSIMO, dopo 4
album (MA COSA VUOI CHE SIA UNA
CANZONE, NON SIAMO MICA GLI
AMERICANI, COLPA D’ALFREDO e
SIAMO SOLO NOI) Vasco si trova a un
bivio: o succede qualcosa o sarà meglio tornare a fare il dj. E qualcosa quel Sanremo
lo fa davvero succedere. Grazie anche al fe-
SANREMO FAMOSI
Vasco Rossi sul palco del Festival della Canzone
Italiana, mentre interpreta Vado al massimo. Sanremo, gennaio 1982.
40
stival, Vasco si affaccia infatti alla porta della
vera celebrità e VADO AL MASSIMO (oltre la title-track, almeno altri 3 i brani rimasti
nella storia, Ogni volta, Splendida giornata e
La noia) rappresenta proprio il primo passo
oltre la soglia: è il primo di 5 album cruciali
realizzati per la Carosello (e oggi ristampati
dalla Fonè, come leggete in queste pagine),
prima del grande salto di categoria, con il
passaggio a una major: la Emi.
Poi dicono che Sanremo non serve: certo, a
Vado al massimo era stato necessario cambiare il testo (dall’esplicito “voglio andare
a vedere se, come dice il droghiere, laggiù
masticano tutti foglie intere” al più innocuo “laggiù vanno tutti a gonfie vele”), ma
alla fine il disco vende 100.000 copie (quasi il triplo del precedente SIAMO SOLO
NOI) e raggiunge l’11° posto in classifica.
Tra l’82 e l’83, Vasco sfonda definitivamente. Grazie ancora a Sanremo (l’anno
dopo Vado al massimo, tocca a Vita spericolata), ma soprattutto alla sua capacità di
sfruttarne le potenzialità promozionali, pur
prendendone le distanze. Il risultato è che
quando esce BOLLICINE, Vasco è già un
personaggio di successo. Dopo pochi mesi,
vincerà addirittura il Festivalbar.
Per dare l’idea dell’escalation della sua
popolarità, bastino due cifre a confronto: VADO AL MASSIMO aveva venduto
100.000 copie, BOLLICINE ne vende un
milione! Ma che disco è BOLLICINE?
La stampa dell’epoca applaude: parla di
“ruvida delicatezza” grazie a “un suono al
tempo stesso ironico e notturno, sfrenato e
nostalgico, testi inusuali” e di “voce rauca
intenzionalmente maliziosa da Lou Reed
della periferia bolognese, un po’ meno
melodrammatico dell’originale” («Ciao
2001»). Tutti d’accordo? Non proprio: secondo «Rockstar», “rispetto al passato qui
risulta un notevole appiattimento su tutta
la linea. A parte Vita spericolata e Una
canzone per te che scalderanno molti cuori, non ci sono contenuti notevoli. Chi ha
scoperto Vasco oggi cerchi di recuperare i
vecchi dischi”. A chi credere?
Come abbiamo visto, la gente seppe subito
da che parte stare: elevò Vita spericolata al
rango di inno generazionale, si divertì con
gli slogan di Bollicine (per cui Vasco rischiò
qualche bega da parte della Coca Cola che
però, guardando il ritorno pubblicitario,
si fregò le mani e lasciò perdere), “solidarizzò con Portatemi Dio, s’intenerì con
Una canzone per te (chitarra elettrica del
Pooh Dodi Battaglia, indicato in copertina
come Battagia), si eccitò con Deviazioni e
apprezzò l’atmosfera quasi elegante di Giocala. Tutto perfetto. Purtroppo per Vasco,
è il periodo in cui dominano le classifiche
1993 di Dalla, SYNCHRONICITY dei
Police e THRILLER di Michael Jackson e
più su di un terzo posto BOLLICINE non
va… Al primo posto, Vasco ci arriva invece
grazie al suo primo album live.
VA BENE, VA BENE COSÌ rappresenta
un po’ la summa del percorso del rocker da
Zocca alle stelle. Non solo: con il suo milione di copie, finirà per essere l’album più
venduto dell’anno. Previsto inizialmente
come doppio Cd con due inediti (oltre alla
title-track, T’immagini, poi pubblicata nel
successivo album di studio, COSA SUCCEDE IN CITTÀ), vede l’ingresso definitivo nella band di Vasco del bassista Claudio Golinelli detto “Il Gallo”. All’apoteosi
artistica, però, fa da contraltare un difficile
momento personale: l’arresto per droga, il
carcere, la necessità di guardarsi dentro e,
alla fine, la strada della disintossicazione.
La nuova vita di Vasco
Avrebbe dovuto intitolarsi COSA C’È, l’album della “nuova vita” di Vasco, dal titolo
dell’unica canzone in cui si può cogliere
qualche riferimento alla sue traversie giudiziarie (“Certo sei un bel fenomeno anche
tu a farti prendere così…”), poi però si era
scelto quello che tutti conoscono. In scaletta è presente anche una cover, quella di
With A Shake Of Her Head dei Blizzard,
che Vasco traduce in Una nuova canzone
per lei, e compare finalmente quella T’immagini che doveva partecipare a Sanremo
l’anno prima e che era stata scartata anche
da VA BENE, VA BENE COSÌ.
COSA SUCCEDE IN CITTÀ non funziona come i precedenti: “solo” 500.000
copie e il 2° posto in classifica: Sarà Vasco
stesso a spiegare il perché in un’intervista
alla rivista «Blu» di un paio di anni dopo:
“L’album non mi ha soddisfatto perché venuto fuori in un periodo molto critico…
Penso di aver scritto dei buoni pezzi, solo
che alcuni non sono stati realizzati appieno per cui io vedo quel disco come frutto
di un momento di passaggio”. Un momento che in compenso fu anche il periodo
della maturazione e della consapevolezza: “Quando cantavo Vita spericolata, per
me l’esistenza doveva essere realmente
così: pensavo che non sarei mai arrivato a
trent’anni visto che stavo spingendo parecchio sull’acceleratore. E il problema stava
Prove d’immortalità
Vasco tira finalmente il freno: dopo aver
pubblicato 8 album in 8 anni, ce ne vogliono due perché riesca a completare C’È
CHI DICE NO. Alla sua uscita, lui spiega
di essersi messo a lavorare sul nuovo materiale solo dopo aver recuperato una propria
serenità dopo anni burrascosi, e in effetti
questo risulta essere un lavoro più maturo e profondo. Scrive «Rockstar»: “Meno
immediato dei precedenti, ha bisogno di
ripetuti ascolti per essere apprezzato in pieno, in tutta la sua profondità, perché non
è un album superficiale”. Ce lo confermano brani riflessivi come Vivere una favola
o Ridere di te, e testi per una volta velati
di pessimismo che sembrano trasformare il
giovane incazzato di un tempo in un uomo
forse disilluso che fa i conti con quello che
è diventato. In quei giorni, Vasco racconta
a «Rockstar»: “La gente ama le mie canzoni e di conseguenza ama me, ma sono
convinto che se mi conoscesse veramente
perderebbe ogni interesse… Mi sento sicuro solo in compagnia degli amici della mia
infanzia, quelli del periodo ante-Vasco Rossi, con loro posso essere me stesso, con gli
altri non so mai bene cosa si aspettino da
me”. E comunque “il successo mi ha tolto
ma mi ha anche dato tanto, mi ha regalato
qualcosa che non ha eguali: l’immortalità!
Io posso morire domani, ma quello che ho
fatto rimane. È proprio questo che volevo:
lasciare un segno”.
C’È CHI DICE NO venderà un milione di
copie e raggiungerà (come poi avverrà per
tutti gli album successivi) ancora una volta il 1° posto in classifica, dove resterà per
12 settimane. Con questo disco, il “nuovo”
Vasco sembra raggiungere la vetta. Eppure,
negli anni a venire, salirà ancora. d
VADO AL MASSIMO, BOLLICINE, VA
BENE, VA BENE COSI’, COSA SUCCEDE IN CITTA’ e C’È CHI DICE NO sono
disponibili nella versione Fonè high quality
remastered su vinile 180 gr. (limited edition
496 copie).
IO LI RICORDO COSÌ
I cinque album che hanno creato la leggenda di Vasco,
visti da Maurizio Solieri
VADO AL MASSIMO
In quest’album c’è il primo pezzo che ho
scritto per Vasco: Canzone. Ricordo che
il pomeriggio in cui registrammo proprio
Vado al massimo, Guido Elmi disse che
per entrare nello spirito ci sarebbe voluta
una bottiglia di tequila. Così andai fuori a
comprarla. Alla fine della giornata, eravamo tutti ubriachi, ma il pezzo era venuto
da dio…
BOLLICINE
Lì sperimentammo i primi suoni sintetici
che andavano al tempo – sintetizzatori,
computer. All’epoca, Elmi ascoltava molto gli ABC e secondo me si sente. La title-track fu provinata nella mitica cantina
di Mimmo Camporeale, dove sono nate
decine di canzoni di Vasco.
VA BENE, VA BENE COSÌ
Dopo Vita spericolata, Vasco era ormai
una star e c’imbarcammo nel primo tour
a livello nazionale: 100 date! Sul disco è finito il concerto di Cantù, registrato con lo
studio mobile dei Rolling Stones che arrivò con un camion inglese… Tutto quello
che si sente è quello che è successo sul
palco, tranne il mio assolo su Albachiara:
la versione live era troppo lunga e su Lp
non ci stava, così dovetti risuonarne in
VOTA LA VOCE
I vncitori di ‘’Vota la voce’’ 1988. Da sinistra: i membri della categoria “miglior gruppo” Steve Rogers
Band (Domenico Camporeale, Claudio Golinelli,
Andrea Innesto, Massimino Riva, Beppe Leoncini
studio una versione… ridotta. Comunque,
è un disco che suona ancora benissimo.
COSA SUCCEDE IN CITTÀ
Fu registrato alla Maison Blanche a Modena, un posto bellissimo… La title-track
s’ispirava molto a certa funk fusion che
andava allora e si sente, anche grazie a
due tastieristi che arrivavano dal gruppo di Pino Daniele (Ernesto Vitolo e Joe
Amoruso) e al sax di Rudy Trevisi, sul finale. Qui ho firmato Dormi dormi.
C’È CHI DICE NO
La musica della title-track è mia e nasceva
da un arpeggio un po’ tra Genesis e Pink
Floyd alla THE WALL, con la chitarra clean
ribattuta dall’eco, però anche il… suono
del testo. Quando feci sentire la canzone a
Vasco, aveva un testo in inglese maccheronico che diceva “Take a little love”: forse
il suono gli suggerì la frase italiana. È mia
anche Ridere di te e c’era anche un terzo
brano, Stasera, originariamente scritta
per la Steve Rogers Band, che però finì
in LIBERI LIBERI. In quel disco, usai a tutto spiano un nuovissimo aggeggio che si
chiamava Rockman e fu il primo emulatore da chitarra elettrica. Si sente benissimo
in Vivere una favola, ma ascoltato oggi è
datatissimo, veramente terribile! LM
e Maurizio Solieri) posano con Gianna Nannini (miglior cantante femminile). Dietro, Jovanotti (miglior
album) e Eros Ramazzotti (miglior cantante maschile). Il vincitore della categoria “miglior interprete straniero”, Nick Kamen, mostra il suo Telegatto in
basso a destra. Bologna, 23 settembre 1988.
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nel fatto che l’idea mi piaceva, forse stregato da certi miti alla Hendrix. Poi sono arrivato a VA BENE COSÌ, vivendolo come
l’ultimo album, avevo raggiunto i traguardi
che mi ero prefisso per cui non pensavo
che ci dovesse essere un dopo e credevo
che la mia vita si sarebbe esaurita con uno
schianto contro un albero. Fortunatamente, mi sono svegliato da tutto questo…”.
RECENSIONI
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Assalti Frontali
Mille gruppi
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Franco Battiato e
Alice
Live in Roma
Boosta
La stanza intelligente
AUTOPRODOTTO
UNIVERSAL
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Grazie a Bonnot
(entrato nella crew
nel 2006, oltre a
comporre e produrre,
suona chitarre, basso e
tastiere che si fondono
con grande fascino ai
suoni campionati) e
alla forza poetica di Militant A, dopo 25 anni
di carriera il gruppo hip
hop più longevo d’Italia
sforna 13 pezzi ispirati
e potenti. Il lago che
combatte (con il Muro
del Canto) e In fondo
al lago (con la voce di
Sistah Awa) sono due
perle che raccontano la
storia e le lotte per rendere pubblico il primo
lago naturale romano
nato da abusi edilizi.
Sempre di abusi, pur se
in riva al mare, tratta la
divertente Spiaggia libera. Il clima muta con
Asbesto, una canzone
sulle morti causate
dall’amianto che mette
letteralmente i brividi, e
con Il quartiere è cambiato, una vera poesia
sugli incidenti mortali subiti dai ciclisti.
Menzione particolare
per gli arrangiamenti e
le sonorità meritano La
fine dei sospiri e Faremo scuola. Un’ottima
prova, che dimostra
come gli Assalti Frontali, nonostante il passare
del tempo, migliorino
come il buon vino.
FM
Nel 2016, un album
live fatica parecchio a
trovare quella ragione
d’essere che fino a un
decennio fa gli spettava
di diritto. Fortunatamente, LIVE IN ROMA
di Franco Battiato e Alice è un’eccezione: una
tracklist che affonda le
mani in tutta la migliore
produzione del primo,
con qualche brano
immancabile di Alice
come Dammi la mano
amore, Il vento caldo
dell’estate e Il sole nella
pioggia. Su diciotto
tracce, possiamo trovare quasi tutti i brani che
potrebbero riassumerne la grandezza e
l’influenza di Battiato
in un momento storico
che sembra riscoprirne
ogni giorno il valore:
da Prospettiva Nevskij,
realizzata in duetto
con Alice, al classico
La cura, passando per
Centro di gravità permanente, Cuccurucucù
e Shock In My Town. La
cosa migliore di LIVE IN
ROMA è che mantiene
quasi intatta l’atmosfera mistica del tour e dei
brani riarrangiati, come
La stagione dell’amore, e le straordinarie
versioni originali di Gli
uccelli, L’era del cinghiale bianco e Sentimiento
nuevo, fedelmente in
chiusura.
LS
SONY MUSIC
LA STANZA INTELLIGENTE è il primo album
solista di Davide Dileo,
in arte Boosta, da
vent’anni tastierista dei
Subsonica. È un lavoro
coraggioso, sentito
e scritto con onestà,
anche se non sempre
efficace o riuscito. Convince La conversazione
di noi due, insieme a
Enrico Ruggeri, per la
grande presa dei synth,
figlia dell’esperienza
Subsonica, ma è Come
la neve, insieme a
Luca Carboni, con le
sue chitarre graffianti
e l’incedere sfrontato
della linea di basso, a
rappresentare probabilmente la prova
migliore. Ingranano
invece con difficoltà
1993, che passa senza
lasciare traccia, e Noi,
in duetto con Malika
Ayane, elegante ma
debole, nonostante
sfiori le stesse note (di
malinconia?) di By This
River – scritta da Brian
Eno nel 1977. Non c’è
quella freschezza che ti
aspetteresti da un esordio, né il timbro deciso
che Boosta sa sempre
dare ai suoi lavori con
Samuel e compagni.
Senza lode, nonostante
le collaborazioni stellate e un’esperienza alle
spalle che aveva caricato, forse un po’ troppo,
le nostre aspettative.
GG
RECENSIONI
David Bowie /
AA.VV.
Lazarus (Original
Cast Recording)
Sergio Cammariere
Io
Cisco
I dinosauri
PARCO DELLA MUSICA
RECORDS
EDEL
GROUNDUP
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COLUMBIA
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La morte di David
Bowie può solo porre
un pesante “col senno
di poi” in capo a ogni
considerazione su
LAZARUS. Perché se la
convulsa trama del musical, sequel de L’uomo
che cadde sulla terra,
lascia(va) confusi, “col
senno di poi” LAZARUS
diventa un commovente ultimo saluto
dell’alieno Bowie: le 19
tracce, cantate dal cast,
percorrono la carriera di
Bowie quasi come una
celebrazione. Le tv star
Michael C. Hall e Cristin
Milioti sono fenomenali
(Changes è incredibile) e
la giovanissima Sophia
Annie Caruso incanta
in Life On Mars?. Ma,
senza offesa, il disco
è tutto negli inediti di
Bowie, e nella sua voce,
profonda e consapevole: c’è la frustrazione
rabbiosa di Killing A
Little Time, il dolore
malinconico di When I
Met You e soprattutto
lo straziante, commovente saluto definitivo
di No Plan, che sembra
scritta dall’aldilà. Come
è già stato detto, solo
David Bowie poteva
rendere Arte la propria
morte, regalandoci questi ultimi capolavori a
suggello di un’esistenza
straordinaria.
RDS
In vent’anni, Sergio
Cammariere e Roberto
Kunstler hanno scritto
tantissime belle canzoni
Alcune, con nuove sonorità e arrangiamenti
(Paolo Silvestri cura le
orchestrazioni), brillano
di luce diversa in IO.
Dall’acclamato esordio
del 2002, DALLA PACE
DEL MARE LONTANO,
Sergio pesca con mano
generosa: oltre alla
title-track, reinterpreta
Tempo perduto (con
la tromba di Fabrizio
Bosso), Tutto quello
che un uomo (che a Sanremo 2003 conquistò
il grande pubblico), Via
da questo mare (grande
interpretazione vocale) e
la divertente Cantautore
piccolino (“confrontato a
Paoli Gino”). E siccome
la vita è un cerchio che
prima o poi si chiude,
ora Sergio compone la
raffinata Cyrano su versi
di Gino Paoli, per un
delizioso duetto. I ritmi
latini di Con te e senza te
sono invece la base per
un duetto con Chiara
Civello. Inedite sono Chi
sei, un sentito omaggio
a Sergio Endrigo, La
cosa giusta, “un’indagine sociale” su ritmo
funky, Ti penserò, uno
struggente piano e voce,
e Sila, nostalgico piano
solo in omaggio all’amata Calabria.
FM
David Crosby
Lighthouse
Peter Doherty
Hamburg
Demonstrations
BMG
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Li credevate estinti? E invece no. I
dinosauri del folk
italiano sono tornati
più vivi e vegeti che
mai: gli ex Modena
City Ramblers Cisco,
Alberto Cuttica e
Giovanni Rubbiani
si sono ritrovati per
dar vita a un album
che con le radici
piantate nel passato
lancia uno sguardo
critico al presente.
Gli ingredienti sono
gli stessi, vincenti: la
voce, riconoscibile tra
mille, di Cisco, i testi
impegnati e diretti
e la rivoluzione che
stavolta è trasversale,
dal sociale al pensiero. “Si parlava senza
chattare, si girava per
strada senza avere un
navigatore satellitare
e si suonava senza
talent show, pensate un po’”: la band
torna per cantare, con
nostalgia, un passato
che non c’è più. Tra i
brani più trascinanti,
c’è lo zaino pieno di
ricordi, dischi e monetine di Tex e l’anima
in bilico tra demonio
e purezza immacolata
di Cosa conta. È un
disco che si tira fuori
dal tempo, da ascoltare a occhi chiusi per
ritrovare il coraggio di
affrontare il mondo
odierno.
FC
Nell’impinguare la sua
parca produzione da
solista (appena cinque album compreso
quest’ultimo), David
Crosby ha sempre avuto
il problema di replicare
la magia di IF I COULD
ONLY REMEMBER
MY NAME, l’esordio
confezionato nel 1971 a
seguire le fondamentali
esperienze con i Byrds
e Stills/Nash/Young;
per nulla facile, vista la
straordinaria ispirazione
di quel (capo)lavoro e la
sua autorevolezza nel
definire un genere – un
folk psichedelico di grande forza evocativa, e non
legato a canoni stilistici
precisi – oggi oltretutto
popolarissimo nel circuito indie. LIGHTHOUSE,
che arriva due anni dopo
il già pregevole CROZ,
non centra l’impossibile obiettivo, ma ci si
avvicina più di quanto
mai accaduto in precedenza con nove episodi
dilatati, leggeri eppure
intensi, che guardando
all’Oceano riportano
alle affascinanti utopie
tardo Sixties del Laurel
Canyon. È un volgersi
indietro con nostalgia
e qualche inevitabile
rimpianto, ma senza la
stanchezza del settantacinquenne che di tutto
ha provato. Vi si celebra
la vita che continua, ed è
bellissimo.
FG
Dimenticate gli scandali, i festini a base di sesso e droga e le buche ai
concerti. Doherty sarà
anche genio e sregolatezza ma è soprattutto autore di talento.
Basti pensare ai dischi
dei Libertines e dei
Babyshambles, per non
parlare della sua prima
sottovalutata prova
solista, GRACE/WASTELANDS (2009). Dopo la
(deludente) reunion dei
Libertines, Pete ritorna
con un secondo album
che dà l’impressione di
essere stato creato e
inciso di getto (ad Amburgo, con il produttore
Johann Scheerer) con
un accompagnamento
scarno, tanto che alcuni
brani sembrano dei provini (e nel caso di A Spy
In The House Of Love lo
sono). Sorprende, come
al solito, la facilità con
cui Doherty colpisce
(quasi) sempre nel segno con le sue canzoni
intrise di un romanticismo debosciato, che
parlano di amori malati,
angosce esistenziali
e nostalgia per una
mitica Albione ormai
scomparsa. Splendide
Kolly Kibber, The Whole
World Is Our Playground
e Flags From The Old
Regime, scritta per Amy
Winehouse. Un piccolo
grande disco.
FD
43
RECENSIONI
Tiziano Ferro
Il mestiere della vita
Ivano Fossati
Contemporaneo
RCA/SONY MUSIC
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Blues genovesi
“M
i piace il blues, forse
più di ogni altro genere
di musica. (…) Se avessi provato a scrivere dei blues chi li
avrebbe cantati? Uno deve fare i conti
col posto in cui è nato”. Il realismo di
Ivano Fossati è quasi disarmante e fa
simpatia. È rarissimo, almeno in Italia, che un artista di prima fila, baciato dal consenso della critica ma anche
da quello del pubblico, ammetta di
aver dovuto adattare la propria musa
alle contingenze. E sorprende, soprattutto, che questo coming out avvenga
non incidentalmente, magari nel corso di un’intervista particolarmente intima e sincera, ma ufficialmente, nelle note di copertina di un’operazione
retrospettiva che celebra una carriera
stellare: un box di 10 Cd (o vinili) che
pesca da dischi di studio, inediti (10)
e registrazioni live. Si rappresenta il
Fossati solista, esclusa quindi i primi
anni, quelli vissuti all’insegna del prog
con i Delirium (qui citati solo nella
versione live di Dolce acqua registrata
al San Carlo di Napoli il 6 febbraio
2012 – il suo ultimo concerto prima
del ritiro dalle scene). La versione di
CONTEMPORANEO che circolerà
di più, c’è da scommetterci, è però
quella condensed, in 4 Cd o 6 Lp: 61
brani in totale, 4 inediti, repertorio
che abbraccia un trentennio, da LA
CASA DEL SERPENTE del 1977
44
a MUSICA MODERNA del 2008,
mettendo in fila canzoni diversissime
fra loro, a riprova di una costante, febbrile evoluzione artistica. Provate ad
ascoltare l’opener Matto, e confrontatelo con La costruzione di un amore.
Tra questi due estremi, un universo di
possibilità: le canzoni note a tutti (Dedicato, La mia banda suona il rock, La
musica che gira intorno, Una notte in
Italia, Mio fratello che guardi il mondo, La canzone popolare) e le tante altre perle disseminate nei suoi dischi (Il
grano e la luna, Amore degli occhi, La
volpe). E poi, gli inediti: A cavallo della tigre, tema composto nel 2002 per
l’omonimo film di Carlo Mazzacurati, con una sontuosa orchestrazione di
Paolo Silvestri. E tre preziosi provini:
la Idealista donata a Noemi, scritta
con “la sensazione che con lei si potesse scardinare un po’ il linguaggio
corrente e dire, in un italiano sonoro,
contemporaneo e a tratti persino volgare, cose che volgari non sono affatto”; Il suono della voce (poi incisa da
Tosca), che Fossati metterebbe “non
troppo lontano da La costruzione di
un amore”; e la struggente Quelli che
siamo noi, scarna ballata scritta per
Fiorella Mannoia e dedicata a “quelli
che la competizione della vita fa fuori
ogni giorno”. L’effetto complessivo è
stordente e restituisce un autore grandissimo, complesso e coerente come
pochi altri in questo Paese.
MB
Howe Gelb
Future Standards
UNIVERSAL
FIRE RECORDS
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Tiziano Ferro chi? Il
cantautore inquieto,
solitario e malinconico?
Non c’è più: ha fatto
la valigia, si è guardato allo specchio e se
n’è andato. Direzione
Los Angeles, dove ha
cominciato a sistemare
le idee per questo nuovo
album, IL MESTIERE
DELLA VITA, il suo primo
disco d’inediti in cinque
anni. L’album, prodotto
da Michele Canova, è
la prima pagina del secondo capitolo della vita
del cantautore di Latina:
“Fine primo capitolo”,
canta nell’introduzione,
Epic. Con i suoi ultimi dischi, Ferro si era
avvicinato parecchio alla
registrazione in diretta,
lavorando con molti
musicisti: stavolta, ha
preferito tornare all’elettronica degli esordi,
ricollegandosi al mondo
di Rosso relativo e 111:
e dunque beat, black,
soul, hip hop. Poteva
essere un rischio, arrivato a questo punto della
sua carriera, giocare con
queste sonorità: ma il risultato finale è un bel disco, moderno nei suoni
e nelle atmosfere (Lento/
Veloce, “Solo” è solo una
parola). E tranquilli, c’è
posto anche per un paio
di quelle ballate che ci
piacciono tanto, Potremmo ritornare e Il mestiere
della vita.
MM
Dodici sono i futuri
standard dell’eclettico
quanto prolifico Howe
Gelb.
Rilettura tanto raffinata quanto godibile del
jazz anni Quaranta alla
Hoagy Carmichael, il
suo ultimo album offre
il meglio nei duetti con
la giovane Lonna Kelley
(da citare Terribly So, A
Book I’ve Read Before
e Ownin’ It, esempi di
purissimo cool jazz da
Verve Records anni
Sessanta memore della
lezione di Stan Getz),
ma anche il resto è
degno di assoluta attenzione. Lo spirito selvaggio del Tom Waits
di SWORDFISHTROMBONES spunta fuori in
brani come CLEAR e la
reinterpretazione del
Frank Sinatra più notturno e seducente di
Impossible Thing sfida
sorniona l’originale. C’è
anche spazio per una
rivisitazione, ovviamente in chiave jazz, di
Shiver dei Giant Sand
(formazione alternative rock capitanata da
Gelb), qui ancora più
intensa dell’originale.
Encore di classe come
la dylaniana May You
Never Fall In Love non
fanno che arricchire
l’opera ancora di più.
Album per pochi, ma
assolutamente consigliato.
SS
RECENSIONI
Jont & The Infinite
Possibility
An Old Innocence
Alicia Keys
Here
Lady Gaga
Joanne
Ligabue
Made In Italy
Martinelli
Sottoponziopilato
RCA RECORDS
INTERSCOPE
WARNER
PAROLA CANTATA
WWW.JONTNET.COM
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La classe, la voce e
lo stile di Alicia Keys
raggiungono con HERE,
suo sesto album in studio, quello che è, per
ora, il loro apice. Sedici
tracce, black come
Alicia, ribelli come quei
ricci che ammaliano
in copertina, maliziose
come il suo sguardo,
ma soprattutto r&b,
soul e con quel tipico
tocco hip hop presente
dalle sue prime canzoni. Come descritto
dalla stessa Keys, è un
album registrato con la
velocità di un temporale estivo, scritto in
meno di dieci giorni
dopo ben quattro anni
di silenzio. E la sua
urgenza di travolgerci,
sorprenderci e colpirci
è lampante sin dalla
prima canzone, The
Gospel. È quindi immediato anche nell’ascolto, bello come quei
gesti impulsivi di cui,
a sangue freddo, si va
fieri. Quello che conta
è la sua voce, premiata
con costanza dagli altri
musicisti a volte vestiti
in abiti anni 60, come
in Pawn It All, altre volte con indosso solo una
chitarra classica, vedi
Kill Your Mama. Diretto,
senza trucchi, questo
disco ti guarda dritto
negli occhi. Piaccia o
meno, non possiamo
che complimentarci.
GG
Lady Gaga è una
delle personalità più
creative del pop 2.0 e
JOANNE lo conferma
in modo autorevole,
anche se qua e là
qualcosa scricchiola – per quanto sia il
suo disco migliore fino
a ora, non può dirsi
impeccabile. In ogni
caso, offre pop sano e
accurato, con sprazzi
di rock moderno e
tanto r&b. Fari puntati
ovviamente sulla gran
canna soul di Lady
Gaga sin dall’apertura Diamond Heart
e Perfect Illusion. Le
sonorità sono diverse,
ma la coerenza stilistica non ne soffre: oltre
alle venature rock c’è
anche la Gaga voce e
piano, quella di Million
Reasons e Angel
Down. Nel mucchio,
spiccano Hey Girl,
cantata in duetto con
Florence Welch, e la
title-track Joanne, che
fonde rock e acustico
con effetti inediti.
Seguito naturale di
ARTPOP, JOANNE
sfoggia un sound più
maturo e una qualità
compositiva e lirica
in crescita. A metà
tra anni 80 e anni
Duemila, è il disco che
serviva alla Germanotta per consolidare
il suo percorso da
cantautrice.
LS
Il progetto era rischioso e un po’ azzardato:
pubblicare un concept
album in un periodo in
cui pochi hanno tempo
e voglia di ascoltare i
dischi per intero, dall’inizio alla fine. Azzardato
anche perché la parola
“concept” rimanda a
capolavori della storia
del rock: The Wall, Quadrophenia, Sgt. Pepper’s. Titoli che fanno
spavento solo a citarli,
ma dai quali Ligabue si
tiene saggiamente alla
larga: MADE IN ITALY è
sì un concept, ma dalla
struttura più semplice.
È un album di canzoni-canzoni che rappresentano i tanti pezzi
di un puzzle, ma che
funzionano anche se
prese singolarmente. La
storia è quella di Riko, il
suo “alter ego sfortunato”, un uomo di mezza
età e in crisi esistenziale.
Prodotto da Luciano
Luisi, l'album recupera
sonorità più spigolose
rispetto a quelle “rotonde” di MONDOVISIONE:
basti ascoltare l’incipit
di La vita facile, con quei
chitarroni e quei colpi
duri alla batteria. Ma c’è
spazio anche per episodi
più acustici, come la ballata Vittime e complici.
Una storia piacevole da
ascoltare, dall’inizio alla
fine: proprio come si
faceva una volta.
MM
Quello di Martinelli e
del suo SOTTOPONZIOPILATO è un inedito
cantautorato d’altri
tempi, eclettico, policromo nelle sfumature
e, per certi versi, complesso. La voce è ruvida ma confidenziale e
malinconica in Farfalena, alla Rino Gaetano
in Cartoni animati, lo
stile un cantato/parlato che contraddice la
tendenza melodica di
certe realtà contemporanee. Anche le scelte
musicali sono ricercate, come se nulla
dovesse mai ripetersi
tra la prima canzone
e l’ultima: c’è l’ukulele
su base elettronica
in Vecchi porno, la
tipica chitarra acustica
in Flauto di pelle, il
pianoforte in Amico. E
così per le tematiche,
affrontate con quella
spensieratezza mai
superficiale, tipica di
una generazione di
cantautori milanesi. È
un lavoro non immediato, che non lascia
senza ostacoli di comprensione e che non
facilita un apprezzamento d’istinto. Alcuni
potrebbero fermarsi
qui e scegliere tra le
due facce quella del
difetto; noi preferiamo
parlare di pregi e di una
conoscenza che vale la
pena approfondire.
GG
wwwwwwwwww/
Conosciuto anche nel
nostro Paese per i suoi
concerti informali (nonché per la sua abitudine
di presentarsi scalzo
sul palco), il londinese
Jont ha avuto un buon
successo qualche anno
fa, quando Sweetheart
apparve nella colonna
sonora del film Due
single a nozze. Trasferitosi ad Halifax in
Canada, si ripresenta
con una band e un approccio più pop e meno
cantautorale. Questo
suo sesto album, AN
OLD INNOCENCE, è
il risultato di un lungo
processo di lavorazione
e di svariati remix, ma
possiamo sbilanciarci
nel dire che il tempo
dedicatogli non è stato
vano e che tutte e 12 le
canzoni sono splendide.
Stilisticamente a metà
tra Damien Rice e Chris
Martin dei Coldplay,
brani come Supernatural, Australia e Big
Open Heart ci mostrano
un Jont in tutto il suo
splendore (brit)pop, con
arrangiamenti e melodie
che non hanno nulla da
invidiare ai suoi più noti
predecessori. E Someone To Love Me – giuro
– è una delle canzoni più
belle dell’anno. Non ci
credete? Andatevi a vedere su Youtube il video,
girato a Roma.
FD
45
RECENSIONI
WOODWORM
AZZURRA MUSIC
Richard PalmerJames
Takeaway
wwwwwwwwww/
wwwwwwwwww/
PRIMARY PURPOSE
Un non titolo, un
numero di telefono: 3460608524
è il lavoro con cui i
romagnoli Nobraino
tornano sulla scena
musicale italiana dopo
due anni. L’obiettivo
è chiaro: comunicare
con il pubblico “senza
intermediari”, sfida
che viene raccolta in
tutte le 13 tracce. I
testi, in pieno “stile
Kruger”, sono maturi
e diretti, parole senza
fronzoli ma che vanno
dritto alle coscienze
“da svuotare”. Ed è
facile “tuffarsi leggeri”
dentro le canzoni,
grazie alle melodie,
sempre orecchiabili. I
brani, incastonati su
tessuti musicali dal
piglio funk, fatti di
basso, tromba, voce e
batteria, sono essenziali ma immediatamente convincenti. E,
seppure la forma nel
suo insieme è quella
del concept album,
ogni brano riesce a vivere di vita propria. La
sensazione d’ascolto è
quasi quella di un mini
live acustico, pronto
per essere portato sul
palco. Poco sentimentalismo, solo piccoli
affreschi di quotidianità da ascoltare senza
difficoltà: fotogrammi
di una società a Soqquadro.
FC
Sembra una dichiarazione d’intenti, il titolo
voluto da Marco Ongaro. Sostenuto da Gandalf Boschini (un produttore nato nella pop/
dance, bizzarrie della
vita), il cantautore veronese sceglie d’incidere
in presa diretta, come
se si trovasse davanti
al pubblico di un club:
una chitarra, un piano
verticale, un’armonica a
bocca e, naturalmente,
la voce. Eppure, nella
sua nudità, il materiale
si rivela vigoroso ed
efficace, forte dei tanti
riferimenti letterari,
da Ghiannis Ritsos, a
Omero, a John Carpenter. Ne viene fuori un
corpus per certi versi
frammentato, “rapsodico” (parole sue), ma
che trova continuità
stilistica proprio nell’essenzialità dei pezzi che
lo compongono. Colpiscono Elena, dedicata
alla bellezza femminile
e al rischio che rimanga
fine a se stessa, e C’era
un ragazzo ora non c’è,
immaginario sequel del
classico anni 60 che
Ongaro aveva inutilmente proposto proprio
a Gianni Morandi. A
conclusione, un’interessante traduzione della
Hallelujah di Leonard
Cohen, autore già più
volte affrontato in
passato.
AM
Nobraino
3460608524
Marco Ongaro
Voce
Robbie Robertson
Testimony
Sting
57th & 9th
UNIVERSAL
INTERSCOPE/A&M
wwwwwwwwww/
wwwwwwwwww%
Strano ma vero,
nei quasi trent’anni
trascorsi dal “rompete
le righe” di The Band,
Robbie Robertson non
aveva assemblato una
sua antologia “ufficiale”. L’ha fatto ora con
TESTIMONY, edita in
parallelo a un’autobiografia con lo stesso
titolo, che nonostante
le dimensioni (diciotto
tracce) è ovviamente
solo un bignamino del
songwriter e musicista canadese, fra i
padri della cosiddetta
Americana. Il problema,
però, non è la sintesi in
sé, quanto le scelte in
apparenza umorali: si
attinge all’esperienza
giovanile con gli Hawks,
al cruciale sodalizio con
Dylan, fino alla Band
e a pochi estratti dalla
(succinta) discografia
in proprio, ma i brani
maggiori si mescolano
ad altri oggettivamente
meno rilevanti in una
sequenza della quale
non si comprende la logica. La qualità globale
è alta e ci mancherebbe
altro che così non fosse,
ma è difficile allontanare l’impressione che
una cernita più calibrata/equilibrata avrebbe
evidenzato uno spettro
di sfumature più ampio,
consentendo alla stella
di Robertson di apparire
ancor più brillante.
FG
A 13 anni di distanza
dal piacevole SACRED
LOVE, l’annunciato
ritorno di Sting al poprock porta un amaro
sapore di delusione.
Questo 57TH & 9TH
mostra il cantautore al
minimo storico del suo
talento, presentando
un songwriting banale
e stereotipato che non
ci si aspetta certo da
un grande musicista
con quasi 40 anni di
carriera. Se la produzione (visti gli eccellenti nomi coinvolti) è
ottima, altrettanto non
può dirsi per la voce di
Sting, che appare fiacco e svogliato, come se
avesse dovuto svolgere
un ‘‘compitino’’ sgradito per adempiere al suo
contratto discografico.
Da dove iniziare? Il
primo singolo estratto,
I Can’t Stop Thinking
About You, è forse
la peggiore canzone
mai incisa dall’artista
di Newcastle finora,
mentre 50.000, tributo
ai grandi musicisti
scomparsi nel 2016,
non sembra nemmeno opera sua. Solo in
Inshallah si sente ancora lo spirito ruggente
del vecchio Sting, e
purtroppo non basta
a riscattare un album
mediocre che da Sting,
va detto, non ci saremmo mai aspettati.
SS
wwwwwwwwww/
46
Dopo essere stato
membro fondatore
dei Supertramp (suo
anche il nome), nei quali
suonava la chitarra e
scriveva i testi, Palmer-James si è trasferito in Germania dove,
per oltre 40 anni, si è
guadagnato da vivere
scrivendo liriche per altri
artisti. Ma il suo nome
è legato soprattutto
ai King Crimson del
periodo 1972/74, quelli di
RED. Poi, una decina di
anni fa, ha riscoperto la
chitarra e ha trovato la
sua strada. Richard ama
definirsi un cantastorie e
le storie che canta, con
testi bellissimi, attingono al suo ampio parco di
ricordi di storie vissute.
Perché oggi questo signore ha 69 anni, anche
se è al suo primo disco.
Realizzato in Germania
con alcuni dei migliori
musicisti dell’area di
Monaco di Baviera,
TAKEAWAY mostra
chiaramente quali siano
le attuali passioni di
RPJ: il blues e il country
prevalgono sul pop che,
pure, è presente nella
divertente A Very Bad
Girl. Davvero deliziose
Dance With Me, con
il mandolino e la slide
guitar, e la malinconica
Halfremembered Summer, con belle armonie
vocali femminili.
MG
RECENSIONI
Fabio Testoni
Giano
ALA BIANCA
wwwwwwwwww/
Tricarico
Da chi non te lo
aspetti
EDEL ITALY
wwwwwwwwww&
GIANO, il Dio dai
due volti. Due volti ,
proprio come quelli di
Fabio Testoni e Dandy
Bestia. Per il chitarrista
dei mitici Skiantos,
all’esordio da solista, ci
sono due facce e due
anime: la prima è rock
e ha i lineamenti del
blues e apre le danze
con Sto bene, affermazione rimarcata dal
gioco di assoli chitarristici divisi con Alex
Britti e Maurizio Solieri, ospiti del brano.
L’altra faccia e l’altra
anima sono quelle
del cantautore: se il
lato rock dell’album si
sofferma forse troppo
nei dintorni dello standard, è proprio quando
il tempo rallenta che
Testoni sorprende,
rivelando una scrittura
profonda e matura
– vedi le bellissime
Novembre e Io dentro,
quest’ultima ulteriormente impreziosita da
un meraviglioso lavoro
d’orchestra, reale
e non campionata,
oppure L’isola felice,
sospinta dalla sua
voce profonda e calda.
Alla fine, le due anime
di Testoni sembrano
trovare un punto di
contatto nel grande lavoro chitarristico, che
dà il carattere a tutto
il lavoro e ingioiella
questi ottimi brani.
RDS
Tricarico è un personaggio affascinante.
Stralunato e stonato,
ha però un carisma
unico in Italia. DA CHI
NON TE LO ASPETTI
è un po’ come lui:
strano. Se da un lato
ci sono brani come
Paradiso e Volo, dove
emerge forte l’associazione con Celentano,
o Stagioni che ricorda
alcuni suoi successi
sanremesi, dall’altro
lato i singoli, Una
cantante di musica
leggera e Brillerà, peccano di una produzione troppo radiofonica,
danzereccia ed elettronica, decisamente in
contrasto con l’intimo
messaggio di positività e spensieratezza
dell’album. Ad appesantire ulteriormente
l’ascolto, le comparsate, rispettivamente,
di Arisa e Ale & Franz:
decisamente evitabile
l’inserimento in Brillerà
del duo, che rende il
brano più una (debole)
gag che una canzone.
L’eccentricità sembra
caratterizzare il disco:
c’è il pop dal sapore
60 di La bolla, la quasi
alternative Da chi non
te lo aspetti ma anche
l’insopportabile Ciao.
In sostanza, un lavoro
a metà: né brutto né
memorabile.
RDS
Suzanne Vega
Lover, Beloved:
Songs From
An Evening
With Carson
MCCULLERS
AMANUENSIS PRODUCTION
wwwwwwwwww)
Suzanne Vega è un’artista che fortunatamente ha ancora tanto
da dire. Ne è la prova
il suo ultimo album,
ideale prosecuzione
di uno spettacolo teatrale (da lei diretto e
interpretato) dedicato
alla figura della grande
scrittrice americana
Carson McCullers.
L’album, forse non
immediato come il
SOLITUDE STANDING
(1987) che consacrò la
Vega al successo mondiale, richiede però
una buona conoscenza del mondo della
scrittrice, altrimenti si
rischiano di perdere le
complesse sfumature
che caratterizzano
quest’ultimo lavoro.
New York Is My Destination è forse il miglior
brano dell’artista dagli
anni Novanta a oggi,
una calda miscela
di folk, jazz e blues
dove l’equilibrio delle
parti risulta perfetto.
I meravigliosi Instant
Of The Hour After, We
Of Me, e la rilettura
folk/jazz beatlesiana
Harper Lee arricchiscono il lavoro Annemarie
e confermano un’ispirazione sempre felice.
Straconsigliato.
SS
Amerigo Verardi
Hippie dixit
THE PRISONER RECORDS
wwwwwwwwww)
La psichedelia cosciente
“L
à dove la solitudine finisce, comincia il
mercato. E dove il mercato comincia,
là comincia anche il fracasso dei grandi
commedianti e il ronzio di mosche velenose”. Non
so dire se Amerigo Verardi conosca questo pensiero
di Friedrich Nietzsche, ma di sicuro ne condivide
il senso: per festeggiare i suoi trent’anni di musica
(l’esordio con gli Allison Run risale al 1987), si è regalato un disco realizzato in (quasi) totale solitudine
nell’arco di due anni, ritagliandosi quieti momenti di
creatività fra un impegno e l’altro (ancora Nietzsche,
osservava che “se uno ha molto da cacciarvi dentro,
una giornata ha cento tasche”). Il risultato supera
qualsiasi aspettativa: 100 minuti di musica libera,
visionaria, dilatata nei tempi (il brano d’apertura va
oltre i 14 minuti, altri si aggirano intorno agli 8) o,
più semplicemente, conoscendo gli amori musicali
di Amerigo, psichedelica: l’atmosfera di Terre promesse fa venire in mente i Jefferson Airplane, ma è solo
l’esempio più banale. A nostro avviso, l’aspetto forse
più sorprendente di questo doppio album che pare
nato in una sorta di bolla (a)temporale sta però nei
testi: per quanto straniata e modernamente hippie è
la musica, tanto lucide e lungamente meditate sono
le parole, spese su temi a volte pesantissimi (le scomode verità sull’Unità d’Italia, le vite devastate dalle
bombe ecologiche piazzate nelle nostre terre, il crollo degli ideali, la ricerca di conforto nella spiritualità,
la necessità di uno slancio morale) ma sempre con
leggerezza, senza mai esprimere giudizi o dare risposte. Per chi scrive, disco italiano dell’anno.
MB
47
Indie Music Like
Da alcuni anni, attraverso il mondo delle
radio e delle web radio, riunito nel circuito
della Indie Music Like, il MEI monitora, miscelando diversi dati, l’indice di gradimento
dei brani indipendenti ed emergenti in uscita nel tantativo (uscendo dalle secche del
top on air, spesso incapace di rispecchiare
il reale gradimento del pubblico) di tenere
sotto osservazione tutte le uscite – che, dalle
più grandi alle più sconosciute, sono oltre
cinquanta ogni settimana – facendo emergere una realtà produttiva ricca e vivace e capace di avere un gradimento spesso diverso
da quello che ci viene segnalato dalle classifiche ufficiali. Il suo successo e la sua longevità sono dimostrati dall’aver colto spesso
il successo di un brano e di un artista prima
che questo gli venisse ufficialmente sancito.
A tale importante classifica di tendenza, si
abbina, da alcuni anni, la Video Indie Music
Like, che in questo caso somma le visualizzazioni ricevute da ogni video indipendente,
mentre con la Superlive, attraverso le segnalazioni e i suggerimenti degli operatori del
settore della musica dal vivo, si indicano ogni
mese i migliori artisti dal vivo, i migliori circoli e club per la musica dal vivo e i migliori
festival e contest, facendo emergere anche
qui realtà spesso totalmente underground.
Chicca finale, la top delle migliori indies
che segnala i marchi produttivi, ancora oggi
nell’era dell’autoproduzione, che stanno realizzando le migliori performance con i loro
artisti. Dal nuovo anno, dopo le votazioni
per il miglior album dell’anno, partirà anche
la classifica dei Migliori Album ed Ep, per
tornare a valorizzare il concept-album, un
modello che nell’era dello streaming on line
pare in difficoltà ma che attraverso la rinascita dell’interesse verso il vinile sta ritornando
a vita nuova.
Chi volesse mandare segnalazioni, per le
classifiche può scrivere a:
[email protected]
48
1. THEGIORNALISTI Completamente
(Carosello)
2. MOTTA Sei bella davvero (Woodworm)
3. AFTERHOURS Se io fossi il giudice
(Universal)
4. THE ZEN CIRCUS L’anima non conta
(La Tempesta Dischi)
5. SAMUEL La risposta (Sony)
6. DANIELE SILVESTRI feat. CAPAREZZA
La guerra del sale (Sony)
7. MAX GAZZÈ Teresa (Universal)
8. BAUSTELLE Lili Marleen (Warner)
9. EMIS KILLA feat. NEFFA Parigi (Carosello)
10. EX-OTAGO Quando sono con te (Universal)
11. ASSALTI FRONTALI Io sono con te (Daje
Forte Daje/Goodfellas)
12. GEMITAIZ feat. VICTOR KWALITY Coma
(Universal)
13. TIROMANCINO L’ultimo treno della notte
(Sony)
14. ERMAL META Gravita con me (Mescal)
15. ELISA Bruciare per te (Sugar)
16. DOUBLE TROUBLE Cenere (AlmaFactory)
17. NEGRAMARO Lo sai da qui (Sugar)
18. RENATO ZERO La lista (Tattica)
19. POP X Specchio (Bomba Dischi)
20.ROBERTO VECCHIONI Un lungo addio
(DME)
Top 20 Live
1.THEGIORNALISTI
2.MOTTA
3. THE ZEN CIRCUS
4.CALCUTTA
5. TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
6. RAPHAEL GUALAZZI
7.MINISTRI
8.EX-OTAGO
9.DENTE
10. DOUBLE TROUBLE
11.COSMO
12. ERMAL META
13.ALBOROSIE
14. PAOLO BENVEGNÙ
15. LACUNA COIL
FRANCESCO
16.SELTON
MOTTA
17.PUNKREAS
18. BOBO RONDELLI
19. GIORGIO CICCARELLI
20.BOOSTA
Video Indie music Like
1. SFERA EBBASTA – Figli di papà (Universal)
2. FRED DE PALMA – Il cielo guarda te (Warner)
3. MINACELENTANO – Amami amami
(CLAN Celentano – PDU Music&Production)
4. ELISA – Bruciare per te (Sugar)
5. IL PAGANTE – Dam (Warner)
6. J-AX & FEDEZ feat. STASH & LEVANTE –
Assenzio (Sony)
7. BRIGA – Mentre nasce l’aurora (Sony)
8. SALMO feat. ROSE VILLAIN – Don Medellín
(Sony)
9. EMIS KILLA feat. NEFFA – Parigi (Carosello)
10. VALERIO SCANU – Rinascendo (NatyLoveYou)
11. JAKE LA FURIA – Non so dire no (Universal)
12. MAX GAZZÈ – Teresa (Universal)
13. SAMUEL – La risposta (Sony)
14. THEGIORNALISTI – Completamente
(Carosello)
15. SIMONETTA SPIRI, GRETA MANUZI,
VERDIANA ZANGARO, ROBERTA POMPA
– L’Origine (New Music International/Dischi
dei Sognatori)
16. GEMITAIZ feat. VICTOR KWALITY – Coma
(Universal)
17. GRIDO – Strade sbagliate (Willy L’Orbo)
18. NOEMI – Amen (Red Sap Music)
19. ZERO ASSOLUTO – Il ricordo che lascio
(Fonti Sonore )
20.NEGRAMARO – Lo sai da qui (Sugar)
Top Label
1.WOODWORM
2. BOMBA DISCHI
3. MACISTE DISCHI
4. 42 RECORDS
5. GARRINCHA DISCHI
6.ICOMPANY
7.GOODFELLAS
8. LA TEMPESTA DISCHI
9.URTOVOX
10.MESCAL
THEGIORNALISTI
11. RUSTY RECORDS
12. IRMA, MATERIALI MUSICALI E
RADIOCOOP
13.INRI
14.MARTELABEL
15. PICICCA DISCHI
16. LA GRANDE ONDA
17.TROVAROBATO
18. ALKA RECORDS LABEL
19. LA FAME DISCHI
20.RISERVA SONORA
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5.
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10. THE CAGE (LI)
11. NEW AGE RONCADE (TV)
12. THEREMIN (MS)
13. TENDER CLUB (FI)
14. L’ASINO CHE VOLA (RM)
15. BLUE NOTE (MI)
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A cura di
Riccardo De Stefano
La Tempesta
ella musica italiana, ci sono poche realtà come La Tempesta
Dischi: da piccola etichetta indipendente a simbolo di un’intera scena musicale, grazie a una gestione
“familiare” e alla qualità dell’offerta proposta. Ne parliamo con Enrico Molteni,
fondatore dell’etichetta e bassista dei Tre
Allegri Ragazzi Morti.
Quando, dove e come è nata La Tempesta Dischi? Ma soprattutto, perché?
La Tempesta nasce a fine anni Novanta, legalmente il 1° gennaio del 2000, cifra
tondissima. Nasce perché l’esperienza del
mio gruppo Tre Allegri Ragazzi Morti con
la discografia major non è stata un successo
e quindi c’è stata la voglia di intraprendere
un nuovo percorso da soli, con la propria
forza, con le proprie idee.
somma, di solito discografici e musicisti
hanno visioni diverse dello stesso lavoro, io
mi sono ritrovato in mezzo.
Con La Tempesta, siete nati a cavallo
di due mondi discografici molto diversi
e complessi, quello della vecchia discografia pre-internet e quello della musica
“liquida”. Come avete affrontato questo
cambiamento storico? È stato più facile
inserirsi in un mercato?
È stato un passaggio molto difficile. Da
un certo punto di vista, penso che se La
Tempesta fosse nata in un’altra epoca (o se
Prima di essere editore, sei un musicista
con la tua band. Come ha influito questo
nella gestione di questo “nuovo” (all’epoca) lavoro?
È un punto molto imporle
tante: capire un musicista è
«Il potenzia
pre
più facile, se sei un musiciper noi è sem
sta. I discografici tradizioai
artistico, m
nali tendono a parlare dei
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dischi come prodotti, ne
commerciale
più
parlano in numeri, spesso se
E poi, forse
fossero sacchi di patate per
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loro sarebbe la stessa cosa.
vono
I musicisti invece pensano
le cose ci de
alla musica, alle parole. Inpiacere, ci
50
re»
devono gasa
proprio non fosse esistita la musica liquida)
molto probabilmente sarei ricco: avrei case
in città, montagna e mare. In realtà, effettivamente non ho niente, ma questo non
vuol dire che non sia felice. Il cambiamento tra i due mondi discografici è stato fonte
di tantissime discussioni, ognuno ha tuttora
da dire la sua. Io fortunatamente sono stato
trainato dall’abitudine di ascoltare i dischi,
come è sempre stato. Cioè, mi sono messo
dalla parte del fruitore. Sono lontanissimi
gli anni in cui ordinavo gli Lp in America; arrivavano dopo così tanto tempo che
neanche mi ricordavo più cos’avevo scelto.
Massimo Volume: nel 2010
hanno pubblicato con La
Tempesta il loro comback
album.
ILARIA MAGLIOCCHETTI LONGHI X 3
Enrico Molteni, leader dei
Tre Allegri Ragazzi Morti:
ha fondato La Tempesta
Dischi il 1° gennaio 2000.
Nata da una costola dei
Tre Allegri Ragazzi Morti, è
diventata il faro della produzione
indipendente italiana.
Oggi è tutto a portata di orecchio, la mia
vita da appassionato di musica è migliorata
tantissimo. Questa rivoluzione ha comportato degli scossoni alle strutture economiche e di produzione, ma in un modo o
nell’altro mi sembra che si sia trovato un
nuovo equilibrio che spero possa essere
anche un nuovo punto di partenza. Essere indipendenti significa fare quello che si
vuole, cioè agire nella progettazione artistica senza avere vincoli artistici o economici.
Con la crisi, anzi, la morte della discografia, cosa vi spinge a continuare a pubblicare dischi fisici? Quanto è il guadagno a
fronte dell’investimento?
Per quanto ristretto, c’è ancora un mercato
legato al supporto fisico, quindi non avrebbe
senso eliminarlo solo perché in calo. Molti
sono affezionati al supporto fisico ed è giusto
renderlo disponibile. Comunque non definirei morta la discografia, se con discografia
s’intende produzione di musica. Insomma,
ci piace la musica che c’è dentro i dischi,
non i dischi stessi, giusto?
Alcune tra le principali realtà musicali
“alternative” della Penisola hanno pubblicato o pubblicano ancora con voi (tra
le tante: Giorgio Canali, Il Teatro degli
Orrori, Zen Circus, MaDeDoPo, Luci
della Centrale Elettrica). Come capite
quando un progetto ha del potenziale?
Cosa vi spinge a scegliere un artista o
meno?
La maggior parte dei contatti sono nati
suonando in giro per l’Italia; un supporto,
un produttore, una nuova città. La stima
artistica è andata a braccetto con quella
personale per molti anni. Tutt’ora è così,
si è creata una rete di rapporti che porta
La Tempesta e alcuni artisti a uscire insieme. Il potenziale per noi è sempre artistico, mai commerciale. E poi, forse più semplicemente, le cose ci devono piacere, ci
devono gasare. Abbiamo bisogno di avere
visioni e di vedere l’energia.
Non solo Italia, c’è anche “La Tempesta
International”. C’è mercato per le band
italiane fuori dai confini? E che progetti
seguite?
Nata nel 2010, la sezione International
si discosta dalla sezione Dischi per l’uso
di una lingua che non è l’italiano e che
principalmente è l’inglese. Per i primi dieci
anni, infatti, La Tempesta pubblicava solo
dischi in italiano, poi abbiamo pensato che
sarebbe stato bello provare a mettere alla
prova le nostre capacità anche al di fuori
dei nostri confini. Artisti come Mellow
Mood, Ninos du Brasil, Aucan o L I M ci
hanno dimostrato che è possibile farsi notare dal mondo.
Quali sono i lavori “fondamentali” per
capire La Tempesta Dischi?
Solo per dirne alcuni, potrei dire
PRIMITIVI DEL FUTURO dei Tre
Allegri Ragazzi Morti, o il primo del
Teatro degli Orrori, DELL’IMPERO
DELLE TENEBRE, così come i lavori di Le Luci della Centrale Elettrica o
degli Zen Circus. Senza scordare comunque Fine Before You Came e il loro SFORTUNA, SPLENDORE TERRORE di
Moltheni o CATTIVE ABITUDINI
dei Massimo Volume. E poi ci sarebbero ancora Il Pan del Diavolo, Giorgio
Canali, Aucan, Mellow Mood, Erio…
Sono troppi, davvero!
Che cosa ci aspetta nel 2017? Qualche
anticipazione?
Tante cose: Blindur, il nuovo de Il Pan
del Diavolo, Umberto Maria Giardini [precedentemente noto come
Moltheni, ndr] e poi Management
del Dolore Post-Operatorio, l’americano Xiu Xiu, i Sick Tamburo. Ci
sarà da divertirsi. d
IN 5 DISCHI
TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
LA TESTA INDIPENDENTE (2001)
Numero di catalogo LTD002, primo full lenght pubblicato per l’etichetta e terzo
per la band friulana. Considerato tra i migliori dischi
italiani, è la prova che l’indipendenza artistica viene
premiata quando c’è il talento.
GIORGIO CANALI & ROSSOFUOCO
GIORGIO CANALI &
ROSSOFUOCO (2004)
Il primo album di artisti
diversi dai TARM a essere
pubblicato è il terzo lavoro
di Giorgio Canali con i Rossofuoco. L’ex chitarrista di
CCCP e CSI è un concentrato di elettricità
dura e parole urlate in faccia.
LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA
CANZONI DA SPIAGGIA
DETURPATA (2008)
Il primo album di Vasco Brondi, il cantautore dietro il fantasioso moniker del progetto,
è un fulmine a ciel sereno e
travolge la scena musicale
indipendente italiana con il suo minimalismo musicale e i suoi testi profondi.
ZEN CIRCUS
ANDATE TUTTI
AFFANCULO (2009)
Il sesto disco della band è il
primo con i testi in italiano, e
già dal titolo si capisce la direzione presa. Disco rivelazione
dell’anno, vede Andrea Appino (de)cantare
tutte le ipocrisie della società di oggi e del
qualunquismo dominante della società.
IL TEATRO
DEGLI ORRORI
A SANGUE
FREDDO (2009)
La cantautrice Maria Antonietta: con La Tempesta, nel 2014 ha pubblicato SASSI.
Il secondo lavoro del Teatro degli Orrori, dopo l’esordio DELL’IMPERO DELLE TENEBRE, sempre con La Tempesta, è
il salto di qualità che conferma la band di
Pierpaolo Capovilla come una delle principali realtà dell’alt rock italiano.
51
Sei un cantautore.
Ce l’hai la chitarra?
E come l’hai scelta?
Comprando la prima
che ti è capitata davanti?
Ecco perché quel tuo
demo suona così moscio.
Testo di A Mauro Lamanna | Foto di A Dario Sanna
n’abusata leggenda vuole che
Robert Johnson, classe 1911,
tra i bluesmen più mitici di
tutti i tempi e parte del tristemente noto Club 27 insieme
a Jim Morrison, Jeff Buckley e
tanti altri artisti morti proprio a quell’età,
avesse stretto un patto col diavolo, vendendo la propria anima in cambio della capacità di suonare la chitarra come nessun altro al mondo. Non serve aggiungere altro:
sono infatti tanti i miti che ruotano intorno
alla bramosia di saper “domare” le sei corde, perché farlo significa avere il potere di
incantare il pubblico.
Lo strumento per eccellenza
È impossibile immaginare la figura
del cantautore senza lo strumento
più leggero, portatile e affascinante
della musica contemporanea. Icona
del pop, del rock, del jazz, del blues
e di mille altri generi musicali, la chitarra ha subito infinite evoluzioni, pur
rimanendo, in fondo, sempre la stessa.
Come un’invenzione perfetta eppure
sempre perfettibile, la regina dei palchi
ha attirato a sé quelli che sarebbero poi
diventati leggende della musica mondiale. Da Elvis Presley a Jimi
Hendrix, da Eric Clapton a
Bob Marley, passando per
tutte quelle band che hanno
scritto e scrivono tuttora la
storia (i Beatles, i King Crimson, i Led Zeppelin, i Pink
Floyd, i Radiohead e chi
52
più ne ha più ne metta), lei è lì. È sempre
stata lì.
Come scegliere, quindi, la propria compagna di viaggio? Il mercato offre tantissime
soluzioni per tutte le tasche ma, prima di
tutto, bisogna capire di cosa realmente avete bisogno in base al genere e al gusto personale. Ad esempio, se la vostra musica è
orientata alla bossa nova, probabilmente la
scelta più funzionale sarà una chitarra classica con corde di nylon che, pizzicate dolcemente, producono un timbro capace di
riportare alla mente i colori del paese della
saudade, la “nostalgia felice” brasiliana. Il
pop, il rock, la musica d’autore in generale,
trovano invece il loro naturale sviluppo attorno agli accordi di una chitarra folk, che
altro non è che una chitarra acustica con
corde di metallo.
Una volta fatta chiarezza sulla vostra predisposizione artistica, diamo un’occhiata
al portafoglio e a quello che gli store mettono in mostra. L’offerta è talmente varia
da far girare la testa: una piccola guida
all’acquisto può quindi far comodo.
Volare basso, suonare bene
Nella fascia economica, o più internazionalmente definita come “entry level”,
non posso non citare Eko, brand che
offre sicuramente diverse opzioni a
chi è alle prime armi o a chi non
ha voglia di spendere un capitale.
Tra queste, troviamo senz’altro la
Una bellissima Eko CS 10 sunburst: entry
level super-classica.
classica CS10 (€ 50) o l’acustica Ranger
6 (€ 80). Salendo di livello, proposte interessanti le troviamo nel catalogo della
famosa casa giapponese dai diapason incrociati, la Yamaha, con la sua classica
NTX700 (€ 630) o l’acustica FG850 –
prodotto piuttosto nuovo nelle vetrine,
ma che promette un suono deciso
in gamma di frequenza medio
bassa. Ibanez non è da meno e,
sebbene forse più celebre per le
elettriche e l’endorsement di Steve Vai, offre una discreta scelta
di chitarre folk o classiche, con
la sua AVD10 (€ 620) o l’AEG10N (€ 300). Ma, si sa,
a volte la musica non bada
a spese né sopporta compromessi. E allora, vale la pena
dare un’occhiata a quelle che
potrebbero essere annoverate tra le migliori chitarre acustiche prodotte, come
la Martin D-28 (€ 2700) o, sempre di
marca Martin, la HD-28 (€ 3200).
diversa risposta dinamica
e di sustain. È questa l’alchimia che dovete aver presente quando
imbracciate un’opera da liutaio, perché
il suono che avete in mente è sempre
profondamente soggettivo e non è neanche scontato che la chitarra più costosa
rispetti le vostre esigenze. Detto
ciò, c’è un fatto importante da
considerare. Qualsiasi direzione
creativa abbiate deciso di seguire, che si vada su una classica o
che si punti su un’acustica, dovete chiedervi se lo strumento
abbia bisogno di essere amplificato (o, per meglio dire,
“elettrificato”). Può trattarsi
di un valore aggiunto, utile
anche alle vostre esibizioni
dal vivo. Chiaramente, il prezzo
tenderà ad aumentare sensibilmente a
seconda della qualità del piezo che am-
plifica la vibrazione
delle corde e dell’equalizzatore che spesso lo accompagna, il che però non corrisponde
necessariamente a un miglioramento di qualità dello strumento stesso.
Insomma, come al solito: compromessi.
Infine, vorrei suggerire di
dare un’attenta occhiata
ai prodotti della coreana
Cort, che spesso dota i suoi
strumenti di caratteristiche interessanti (come
l’accordatore incorporato al body – che comodità!) a prezzi decisamente accattivanti.
Non resta che far vibrare
la quinta corda a 440 Hz, ottenere un LA perfetto, e cominciare a creare
la vostra musica.
Sopra: (da sinistra) la mitica Martin D-28, l’accordatore integrato Cort E610C, la Yamaha NTX700.
A fianco: la Ibanez AVD10.
L’importante è toccare
Quale che siano le vostre disponibilità finanziarie, c’è da dire che – al di là
dei suggerimenti di partenza nella ricerca della vostra fedele compagna – è
d’obbligo sedersi su uno sgabello
del negozio e provare le chitarre mettendoci letteralmente le
mani sopra. I prezzi variano in
base ai materiali usati, quindi a
seconda del tipo di legno per i
vari componenti, le meccaniche e le finiture. Tutto questo
contribuisce alla timbrica
dello strumento che può variare anche di molto, oltre alla
Acustiche
Classiche
Epiphone DR100
€ 109
Yamaha C40
€ 110
Mid level
Ibanez AVD10
€ 540
Takamine GC1CE
€ 330
Top level
EKO Profumosa
€ 4.217
Godin MultiAc Grand Concert SA
€ 1.620
Entry level
53
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ticketing di una truffa mon
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simile lasso di tempo, i fan che non riescoi contorn
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ianluca G
AG
A cura di
cquistare un biglietto online per andarsi a godere un concerto di musica dal
vivo è diventata un’impresa sempre
più complicata. In quanti si sono dovuti scontrare con quella frustrazione
dovuta al bollino rosso del sold out dopo
appena pochi minuti dall’apertura delle
vendite? Per completare un acquisto di
un biglietto su TicketOne, sono necessari
due minuti e trenta secondi. Eppure, in un
no ad aggiudicarsi un posto tra le migliaia
disponibili sono molti. Il più delle volte, si
tratta semplicemente di un colpo di sfortuna: qualcuno è stato più veloce di voi e il
vostro biglietto è nelle mani di un altro fan.
IL BAGARINO 2.0
Altre volte, invece, c’è di mezzo un intero
mondo di bagarini online pagati per competere con voi fan e reimmettere il vostro
biglietto nei circuiti di vendita secondari.
Ancora, nella peggiore delle ipotesi, il vo-
stro biglietto su TicketOne non c’è mai
finito, ma è passato direttamente dal secondary ticketing. Ma cosa intendiamo per
secondary ticketing e come funzionano
questi meccanismi? Il secondary ticketing
è il mercato di vendita di biglietti per eventi
dal vivo, in cui la musica live gioca un ruolo fondamentale, non autorizzato formalmente e quindi non regolamentato, dove
in genere i prezzi dei biglietti sono gonfiati.
Soprattutto grazie a internet, questo fenomeno ha assunto contorni grotteschi: sulle
piattaforme di secondary ticketing come
Viagogo o Seatwave, un singolo privato ha
la possibilità di mettere in vendita i propri biglietti scegliendo autonomamente il
prezzo. Il sito si fa garante dell’autenticità
del prodotto e dello scambio tra le parti,
ricavandone il 10% dalla transazione. Il
prezzo dei biglietti presenti su questi siti
è praticamente sempre raddoppiato: il sovrapprezzo medio è del 57%, e in alcune
occasioni, come è stato per il concerto di
David Gilmour all’Arena di Verona dell’11
NOME COGNOME
Coldplay
luglio, il totale dei biglietti presenti sui siti
di secondary ticketing raggiunge il 20%
del totale erogato dagli organizzatori. Una
possibilità su cinque, quindi, che il proprio
biglietto, tanto atteso, debba essere acquistato al doppio del suo prezzo nel circuito
secondario.
IL SOFTWARE CHE ARRAFFA BIGLIETTI
L’evidente anomalia nel funzionamento
di siti come Viagogo, che da ora in avanti prenderemo come esempio (essendo il
maggiore sul mercato), si registra quando
già a soli pochi minuti dall’apertura delle
vendite sul canale ufficiale, sono disponibili migliaia di biglietti al prezzo maggiorato.
Il dubbio che possa esserci qualcosa di più
che un semplice mercato tra privati che vogliono vendere il proprio biglietto è stato
la leva che ha spinto il magazine «Dispatches» a indagare sulla questione: una bella inchiesta pubblicata nel 2013 evidenziò
alcuni meccanismi alla base di Viagogo,
più affini alla definizione di bagarinaggio
online che di mercato secondario. Grazie
ad alcune conversazioni private con i dipendenti che si sono dimostrati disposti a
parlare, «Dispatches» ha raccontato come
alcuni di loro siano pagati dall’azienda per
competere direttamente con i fan al momento dell’uscita delle vendite. I biglietti
così acquistati vengono reimmessi nel mercato da un minimo di due volte di più a un
massimo di dieci. A facilitare la già spietata
competizione coi fan, i dipendenti si servono di un software, il TicketOne Spinner
Bot, in grado di aggirare il tetto massimo di
biglietti acquistabili su TicketOne creando
diversi IP e utilizzando altrettante carte
di credito. Il prezzo online del software si
aggira intorno ai 950 dollari e permette di
acquistare fino a cinquanta biglietti al minuto, ed è lo strumento utilizzato dai bagarini online per acquisire subito un numero
di biglietti impossibile da ottenere altrimenti. Inoltre, nell’inchiesta «Dispatches»
è emersa una relazione d’affari diretta tra
gli stessi organizzatori di grandi eventi e i
siti di bagarinaggio online. In pratica, chi
organizza i concerti fornisce ai siti di bagarinaggio migliaia di biglietti in anteprima
per poi ricevere una percentuale degli ingressi ricavati dalla vendita maggiorata da
parte di questi ultimi. Un danno che colpisce in due misure diverse sia i fan, che vengono privati della possibilità di acquistare
al giusto prezzo un’esperienza importante
e a lungo desiderata, sia la stessa azienda
TicketOne che ha con gli organizzatori dei
grandi eventi un contratto di anteprima ed
esclusività sulla vendita dei biglietti. FRA PICCOLE IENE
Claudio
Trotta della
Barley &
Arts.
In Italia, purtroppo, le cose non funzionano in maniera differente. Il primo caso
eclatante a sollevare polemiche risale al
2012 quando, in occasione del concerto
di Bruce Springsteen, si registrarono oltre
40.000 vendite di biglietti in soli sessanta
secondi. Un tutto esaurito da record che
non ha lasciato alternative ai fan, se non
quella di rivolgersi al circuito secondario.
All’epoca dei fatti, una delle poche voci
che si alzò in protesta fu quella di Claudio
Trotta della Barley & Arts, responsabile
dell’organizzazione dei concerti del Boss
in Italia, che espose una denuncia formale
verso Viagogo. Di recente, l’argomento è
tornato d’attualità, in seguito alle numerosissime proteste dei fan dei Coldplay che,
come da copione, hanno trovato il bollino
rosso a indicare il tutto esaurito dopo meno
di mezz’ora dall’uscita ufficiale dei biglietti sul canale di vendita principale. Da una
bella inchiesta di Matteo Viviani del programma Mediaset Le Iene, è emerso (grazie alla preziosa testimonianza protetta di
un dipendente di Viagogo) il fitto scambio
di affari tra una delle più grandi imprese
di organizzazione di eventi e il sito di bagarinaggio online. L’impresa in questione
è Live Nation che, in territorio nazionale,
detiene un monopolio quasi assoluto dei
grandi show di musica dal vivo. Solo alcuni nomi: Marco Mengoni, Giorgia, Green
Day, Depeche Mode, Sting, Bruno Mars,
Tiziano Ferro, Korn, Emis Killa e, ovviamente, Coldplay. In pratica, tutti i grandi
nomi che per numero di fan sono in grado di registrare sold out nei maggiori stadi
e palazzetti del nostro Paese. Fatture alla mano, Le Iene hanno dimostrato che Live Nation vende migliaia
di biglietti a Viagogo, all’insaputa di TicketOne e contro il contratto stipulato
che vede nelle due parti un rapporto di
esclusività. Questi biglietti, non appena
aprono le vendite ufficiali, vengono messi
online sul sito di Viagogo al solito prezzo
maggiorato. Attualmente, per il concerto
dei Coldplay, sono in vendita “solo” 800
biglietti, il cui prezzo minimo è di 210
euro e quello massimo di 610 euro: il sovrapprezzo medio è circa del 200%. Il 10%
del ricavato proveniente da questa forma
di bagarinaggio rimane a Viagogo, il 90%
torna nelle tasche di Live Nation. I biglietti
che avanzano vengono buttati. Alla faccia di chi non è riuscito a investire il proprio capitale per un concerto. Basta sondare su Viagogo i biglietti dei concerti organizzati da Live Nation, per capire
che il caso dei Coldplay non è isolato: per
Bruno Mars si va da un minimo di 80 euro
a un massimo di 500, per i Depeche Mode
da 80 ai 370 euro e via dicendo. Il polverone alzato dall’inchiesta di Viviani è giunto anche agli artisti italiani
legati a Live Nation come Vasco Rossi e
55
SECONDARY TICKETING
Marco Mengoni che, senza esitare, hanno dichiarato di non essere a conoscenza
di simili dinamiche e di voler prendere le
distanze dall’azienda. Per ora, oltre all’ottimo lavoro di Le Iene, sono state spese solo
molte parole e nessuno, concretamente,
tra gli artisti che potrebbero fare la differenza ha effettivamente preso le distanze
da Live Nation e dalle sue pesanti accuse
riguardanti alcuni volti della musica favorevoli, o promotori, di questo meccanismo
fraudolento. UNA LEGGE PER TUTTI
Eppure, la grande condivisione dell’inchiesta, l’esposto in Procura della Repubblica da parte di Claudio Trotta e una grande raccolta firme di fan e appassionati di
musica dal vivo, hanno mosso qualcosa nel
mondo della politica. La legge sul “bagarinaggio 2.0” ha ricevuto il primo via libera
dalla Camera e prevede multe pesanti, da
5000 a 180.000 euro, per chiunque non
rispetti la disposizione secondo la quale
sarà ammesso solo lo scambio di biglietti
tra amici – cioè senza maggiorazioni né
finalità di lucro – o quello occasionale tra
privati a scopo non commerciale. La seconda buona notizia riguarda le indagini in corso della Guardia di Finanza
sulle attività dell’amministratore delegato
di Live Nation Roberto De Luca, ritenuto al corrente degli scambi fraudolenti
tra la sua azienda e Viagogo. Che qualcosa si stia muovendo sul serio?
L’ipotesi più auspicabile è quella di fermare lo scambio di biglietti tra Live Nation
e i circuiti secondari come Viagogo che,
ricordiamo, vengono sottratti al contratto
di esclusività con TicketOne e, in seconda misura, ma non meno rilevante, ai fan
che non avranno altra scelta per ottenere
quei posti se non pagando un ingente sovraprezzo. Inoltre, speriamo che una volta
approvata la legge, il suo effetto possa funzionare da deterrente per tutti quei
privati che, indipendentemente da Viagogo, usando
altre piattaforme, decidono
di acquistare biglietti in
più per poi rivenderli a
caro prezzo. Scoraggiare
quei bagarini che fino a
oggi hanno potuto agire nel pieno delle loro
libertà garantite dalla
nostra giustizia.
COLDPLAY, DIRTY PLAY
Quando c’è un eccesso di domanda, il prezzo aumenta. È una regola di mercato valida
per qualsiasi compravendita, compresa quella dei biglietti per i grandi concerti. Per tale
ragione, accaparrarsi quanti più posti possibile è di fondamentale importanza per i bagarini che vogliono guadagnarci sopra una volta registrato il tutto esaurito. Perché di fronte
a un sold out, ai fan più disperati non rimane che una sola alternativa: rivolgersi ai circuiti
secondari o secondary ticketing, ai bagarini insomma. Quando l’evento è molto grande,
come per il recente episodio delle due date italiane dei Coldplay, le possibilità di rimanere a
bocca asciutta sono molto elevate. Si deve competere con altri fan, con i bagarini stessi e
con i meccanismi fraudolenti che legano gli organizzatori stessi e i canali secondari. Ma cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su quali siano i mercati secondari e chi si deve
evitare se non si vuole investire un capitale. Abbiamo confrontato i prezzi e la quantità di
biglietti su tre diversi circuiti secondari, sempre relativi allo stesso evento: il concerto dei
Coldplay del 3 luglio a Milano.
Il primato è sicuramente nelle mani di Viagogo sia per numero di biglietti per evento
che per prezzo più alto. In media, per ogni grande concerto potrete trovare circa 400
biglietti disponibili. Un’ottima riserva, ma al prezzo maggiorato mediamente del 57% rispetto al biglietto originale. A oggi, su Viagogo, i biglietti per vedere Chris Martin e soci
possono essere acquistati con una maggiorazione minima del prezzo del 100%: da 90
euro a 180 euro per il parterre, con una massima del 700% di guadagno da parte del
bagarino, da 90 euro a 630 euro. Attualmente, i biglietti in vendita sono 470. La seconda alternativa è il più classico eBay. Qui, potrete trovare numerosi account dedicati esclusivamente al bagarinaggio di biglietti. Basta digitare le parole chiave “Coldplay” e “biglietti Milano” e usciranno oltre 100 risultati. Il prezzo sale da un minimo di
150 euro a un massimo di 1000 euro, la maggiorazione media è del 150%. Alcuni profili di questi onesti rivenditori hanno le sembianze tipiche degli specialisti: grandi stock
di biglietti, prezzi maggiorati, copertura di numerosi eventi sold out e un’interessante
tecnica per evitare di pagare quel fastidioso 10% al sito internet: mettere in vendita il
biglietto al minimo possibile, in molti casi addirittura un euro in modo da risultare anche
più in alto nei risultati delle ricerche, ma aggiungendo spese di spedizione equivalenti
al valore del biglietto, per quanto stabilito da loro, che spesso e volentieri come detto
raggiunge centinaia di euro. La maggiore differenza tra eBay e Viagogo non riguarda il
prezzo del biglietto in sé, ma la garanzia che Viagogo dà all’acquirente circa l’autenticità del biglietto di cui si fa garante; cosa che con eBay, invece, non avviene affatto, in
quanto pura piattaforma di e-commerce tra privati con sistema di garanzia basato sulle
votazioni stesse degli utenti (e di fatto facilmente manipolabili).
La terza opzione possibile per acquistare il vostro biglietto è quella di
rivolgervi ai vari gruppi relativi all’evento presenti sui social network.
Su Facebook, ad esempio, visitando la pagina ufficiale del concerto
dei Coldplay del 3 luglio a Milano troverete moltissimi annunci di
privati che vendono i loro biglietti. Ahimè, le differenze con quanto
detto in relazione a Viagogo ed eBay sono pari a zero. Tutti i singoli privati a cui ci siamo rivolti per chiedere un biglietto, imploranti, ci hanno
risposto con delle cifre maggiorate. Biglietti da 45 euro lievitati fino a
raggiungere i 250 euro, da 60 euro a 300 euro. E forse è questa la realtà peggiore perché non una supplica, non una preghiera né
tantomeno l’umanizzazione della compravendita tramite
messaggio privato ha impedito ai venditori di comportarsi come dei veri e propri bagarini a tutti gli effetti. “Significa che non sei interessato abbastanza”, la risposta più
frequente che ci è stata data quando è stato fatto notare che il prezzo era stato aumentato del 250%. Quali sono le ultime possibilità rimaste? Chissà, forse
andare il 3 luglio fuori San Siro a Milano, dal caro vecchio bagarino, quello col cartello “vendo biglietti”, e
Matteo
pagare sì sovrapprezzo, ma almeno guardando negli
Viviani del
occhi chi ci vende il biglietto. GG
programma
Le Iene.
56
Ecco la classifica indipendente di video emergenti
generata da gradimenti musicali e playlist di radio e
tv nel mese novembre.
Per informazioni:
www.oramusicablog.it
ANDREA LA GRECA
1. Andrea La Greca, Natale sarà
2. Antonio Ancora, Baciami quando
mi parli
3. Claudio Cervati, Non riesco più
4. Davide Bigatti, Via da me
5. Yharon feat. Esa, Non fermarti
6. Ram Antonio Mazzoccoli, Non
sopporto
7.Nuju, Menestrello
8. Kyras feat. Valeria Rossi, Centro
del mondo
9. Fabrizio Consoli, Il maestro
10. Dave Ruda, Simili e diversi
11. Borrkia Big Band, Ti amo ti odio
12. Prospettive di gioia sulla luna,
Settembre
13. Fabrizio Sanna, Giorni
14.Seta, Vibrazioni sterili
ANTONIO ANCORA
CLAUDIO CERVATI
15. Alessio Creatura, Cerco
trasparenza
16.Fuoricontrollo, La musica sta
cambiando
17. JJ Vianello e gli Intoccabili, Se
bruciasse la città
18. Renato Franchi e Orchestrina del
Suonatore Jones, Giorni cantati
19. Giodano Cestari, Luna
20. Katy Desario, Virtualmente
21. David Collè, Un ideale
22. Safe & Sound, Day By Day
23. Claudia Franchina, Straordinaria
follia
24.Rosmy, Un istante di noi
25. Edo Avi, Dimmi dove sei
26. Pupi Di Surfaro, Li mè paroli
27. Lena Lane, M’innamorai di te
28. Robie C., Libera
29.Karbonica, L’inganno
30. Roberta Giallo, Amore amor
o un
l
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s
a
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Nata
a
p
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to pe ietnam
s
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L’UOMO CHE IMMAGINAVA
UN MONDO MIGLIORE
Il 1971 fu per il John Lennon politico
un momento-chiave: oltre a Happy
Xmas, quell’anno l’ex Beatles compose Imagine.
MICHAEL PUTLAND/GETTY IMAGES
d
STORI
SSICO
UN C
A DI LA
Stufo di ascoltare la voce di Bing Crosby, John Lennon
ricicla qualche idea e crea un nuovo standard natalizio.
Testo di A Renzo Stefanel
ro stanco di White Christmas”,
disse Lennon a proposito di Happy Xmas (War Is Over). Eppure,
d’estate non si ascoltano motivetti natalizi:
già, perché la canzone era nata la mattina
del 30 luglio 1971, mentre John era comodamente alloggiato al St. Regis Hotel di
New York, un cinque stelle superlusso di
cui erano ospiti abituali Marlene Dietrich,
Alfred Hitchcock e Salvador Dalì. D’altronde, Natale era solo un pretesto per parlare
della guerra del Vietnam. Le trattative di
pace a Parigi parevano a buon punto e forse
Lennon pensava di dare una spintarella a
un processo che, tra mille difficoltà, finalmente stava per avviarsi.
A Natale si ricicla (anche
in musica)
Nel testo, il Natale era proposto come occasione di bilancio esistenziale; un crescendo
di allusioni legava però il vissuto personale
ai grandi avvenimenti mondiali, per culminare nel coro finale “War is over / If you
want it”. Lennon riciclava così lo slogan
usato da lui e Yoko Ono nel 1969 per la panellini e coro. In più, quando Lennon
campagna pacifista iniziata col concerto di suonò il pezzo a Phil Spector, il produttore
beneficenza del 15 dicembre alla Lyceum riconobbe nell’inizio della canzone, con la
Ballroom di Londra in favore dell’UNI- voce che parte da sola seguita dopo qualche
CEF. Lo stesso giorno, erano comparsi in nota dall’entrata degli strumenti, quello di I
12 città (New York, Los Angeles, Toronto, Love How You Love Me delle Paris Sisters,
Roma, Atene, Amsterdam, Berlino, Parigi, che lui stesso aveva curato dieci anni prima.
Londra, Tokyo, Hong Kong e Helsinki) giganteschi manifesti con lo slogan “War is Babbo Natale porta ritardo
over” a caratteri cubitali e sotto, in piccolo, Le registrazioni si svolsero dal 28 al 31 ottola precisazione “if you want it”. Idea d’im- bre 1971 ai Record Plant Studios, con cinpatto, ma non originalissima: quello stesso que chitarre acustiche a trainare il pezzo.
Una delle chitarre suonava
slogan l’avevano già usato nel
come un mandolino, sulla
1968 Phil Ochs per la sua
CARTA
scia di quanto aveva fatto GeThe War Is Over (una delle
D’IDENTITÀ
orge Harrison in Try Some
canzoni simbolo dei pacifisti
Buy Some, scritta a febbraio
USA tra 1967 e 1969) e i DoDATA DI PUBBLICAZIONE
ors in The Unknown Soldier 1° dicembre 1971 (USA); 24 novem- per rilanciare la carriera di
bre 1972 (UK)
Ronnie Bennett, la moglie
– pezzi che sicuramente Len- POSIZIONE PIÙ ALTA IN CLASdi Spector, che riprese il
non conosceva. La catena dei
SIFICA
riciclaggi coinvolgeva pure la n° 4 in UK (1972); n° 2 in UK (1981) trucchetto. A far tanto NataMUSICISTI
le, poi, un profluvio di cammusica. Forse in omaggio alla
John Lennon – voce, chitarra
panelli, gli auguri di Yoko e
tradizione folk (in cui nuove
acustica
Yoko Ono – voce
John ai figli Kyoko e Julian e
liriche venivano abitualmenHugh McCracken – Chris Osbourte composte su vecchie melo- ne – Teddy Irwin – Stuart Scharf i trenta pargoli dell’Harlem
Community Choir, finiti
die), Happy Xmas richiama– chitarra acustica
Nicky Hopkins – pianoforte,
pure in copertina. Purtroppo,
va in modo quasi pedissequo
sonagli, glockenspiel
il traditional USA Stewball, Jim Keltner – batteria, campanelli in America Happy Xmas uscì
tardi per la programmazione
reso popolare da Peter, Paul
da slitta
and Mary nel 1963 (la B-side The Harlem Community Choir – natalizia e non entrò neppuMay Pang – voci
re nella Hot 100 di «Billbodel 45 giri s’intitolava, guarda
AUTORI
ard»; in patria, toccò aspettai casi della vita, Cruel War),
John Lennon – Yoko Ono
PRODUTTORE
re addirittura l’autunno 1972,
ripreso da Joan Baez l’anno
Phil Spector
per problemi contrattuali.
dopo e rilanciato nel Regno
STUDIO DI REGISTRAZIONE
Unito nel ‘66 dagli Hollies Record Plant Studios, New York Snobbata all’inizio, la canzoETICHETTA
ne sarebbe però diventata il
con un arrangiamento già baApple
classico che sappiamo. d
sato su chitarra acustica, cam59
TUTTI GLI APPUNTAMENTI LIVE
DA NON PERDERE
A cura di ALESSANDRO BOTTERO
DICEMBRE 2016
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sabato 17
Roma, Aula Paolo VI
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mercoledì 28 Cosenza, Teatro Rendano
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Torino, Folkclub
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I MINISTRI
venerdì 16
Roma, Monk Club
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Cesena, Vidia Club
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FIORELLA MANNOIA
venerdì 16
Torino, Auditorium Del Lingotto
sabato 17
Sanremo, Teatro Ariston
lunedì 19
Assisi, Teatro Lyrick
martedì 20 Livorno, Teatro Goldoni
giovedì 22
Roma, Auditorium Parco della Musica
venerdì 23
Roma, Auditorium Parco della Musica
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Ostuni, Teatro Roma
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Bari, Teatro Team
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venerdì 23
Messina, Retronouveau
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Catania, La Cartiera
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Cesena, Nuovo Teatro Carisport
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Ravenna, Bronson
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sabato 10
Barga, Auditorium Theatre Ciocco
martedì 20 Mantova, Teatro Sociale
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Firenze, Nelson Mandela Forum
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domenica 18 Roma, Atlantico
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martedì 27 Roma, Auditorium Parco della Musica
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Senigallia, Teatro La Fenice
Sulmona, Teatro Maria Caniglia Frosinone, Teatro Nestor
Aprilia, Teatro Europa Bari, Teatro Petruzzelli
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SIMONE CECCHETTI
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domenica 22 Torino, Teatro Colosseo
martedì 24 Reggio Emilia, Teatro Romolo Valli
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Lamezia Terme, Colorfest
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Messina, Retro Nouveau
sabato 7
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Cagliari, Fabrik
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Sassari, The House of Rock
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Assago, Mediolanum Forum
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domenica 15 Livorno, Modigliani Forum
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venerdì 21
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Eboli, Palasele
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sabato 28 Brescia, LATTERIA MOLLOY
domenica 29 Padova, MAME
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TRI
61
FRANCESCO
DE GREGORI
Mentre nei negozi arriva un cofanetto che raccoglie
la sua intera discografia e un live dal suo ultimo
tour, Francesco De Gregori si prepara a un anno
sabbatico.
C
3
NEL PROSSIMO NUMERO
AUTORI #
ANT
IL PROSSIMO
NUMERO
IN EDICOLA IL
17 G
ENNAIO
NADA
A sorpresa, una sua vecchia canzone è tornata in
classifica grazie alla fiction tv di Paolo Sorrentino.
Nada ne sorride, ma pensa soprattutto al suo
nuovo disco, L’AMORE DEVI SEGUIRLO.
SERVE ANCORA
ISCRIVERSI
ALLA SIAE?
Come abbiamo visto, Soundreef sta muovendo le
sue pedine, per portare l’assalto al tesoretto dei diritti
d’autore. Ma il gigante che finora li ha gestiti in
monopolio non sta certo a guardare.
THE ZEN CIRCUS
Canzone d’autore con il tiro del punk rock: così sono
gli Zen Circus. Hanno un disco fuori che sta piacendo
parecchio e una lunga serie di concerti. Li abbiamo
incontrati.
Mensile - prezzo di copertina 1,90 €
Direttore responsabile: Luca Sprea
Realizzazione editoriale Contenuti s.r.l. :
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diretto da Francesco Coniglio ([email protected])
a cura di Maurizio Becker. Massimiliano D’Affronto 8x8 S.r.l. (Art director),
Alessandro Bottero, Riccardo De Stefano.
Per i testi: Andrea Belmonte, Francesca Ceccarelli, Luciano Ceri, Francesco Donadio,
Federico Fiume, Gianluca Grasselli, Federico Guglielmi, Mauro Lamanna, Renato
Marengo, Lucio Mazzi, Francesco Mirenzi, Timisoara Pinto, Luca Secondino, Simone
Spitoni, Renzo Stefanel.
Per le fotografie: Daniele Barraco, Simone Cecchetti, Daniele Guadalupi, Guido Harari,
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