L A RI V IS TA DI CHI V UOL E FA RSI S T R A DA NEL L A MUSICA 1€ www.noisiamocantautori.it GENNAIO ★ 2017 ,90 TUTORIAL COME SCEGLIERE LA CHITARRA GIUSTA DIRITTI D’AUTORE MEGLIO LA SIAE O SOUNDREEF? SECONDARY TICKETING FINALMENTE IL MARCIO VIENE A GALLA! VASCO ROSSI GLI ANNI MIGLIORI IVe S U L C S Te E S I V R E T IN CANTAUTORI ★ # 2 ★ MENSILE ★ € 1,90 Angelis e D o d r è • Edoa ca Barbarossa z z a G x a Lu riere • Msalti Frontali • a m m a Sergio C o Verardi • As g • Ameri Rino Gaetano Happy X-Mas Eugenio Finardi IL MITO IN UN LIBRO ANCHE LENNON COPIAVA C’È ARIA DI MUSICA RIBELLE Leonard Cohen ADDIO A UN POETA TARIFFA R.O.C. - POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1, S/NA PREZZO LANCIO C Like a bird on the wire like a drunk in a midnight choir I have tried in my way to be free GENNAIO 2017 • # 2 PER SCEGLIERE MUSICA 06 GOOD NEWS Le cose belle che succedono, quelle che fanno discutere: Roberto Vecchioni va in tv e dichiara morta la canzone d’autore. Apriti cielo! Per fortuna, non tutti la pensano così: Luca Barbarossa, ad esempio, tutte le volte che può invita i giovani cantautori in radio. Militant A degli Assalti Frontali, poi, confida di essersi ispirato ai grandi cantautori degli anni 70. A quella stessa epoca rimanda per certi versi il nuovo folle disco di Amerigo Verardi, mentre Juri Camisasca e Rosario Di Bella intraprendono un percorso spirituale senza tempo. Edoardo De Angelis va a pranzo con Francesco De Gregori e subito dopo ha una grande idea. E a proposito di idee grandiose, dovreste sentire quella di Max Gazzè. Intanto, la storia si mescola alla leggenda in un libro su Rino Gaetano. 16 COVER STORY Da poco nei negozi (e in classifica), il nuovo album di Luciano Ligabue è un concept. E parla di un uomo in crisi, improvvisamente consapevole che la sua vita non è andata come doveva andare. 22 DENTE In una delle sue ultime canzoni, dice che “i cantautori non vendono più”. Sarà poi vero? E perché? 24EUGENIO FINARDI Quando parla degli anni 70 e della sua musica ribelle, gli vengono sempre gli occhi lucidi. Perché allora c’era il senso del futuro. 36 LEONARD COHEN Quando un artista ci lascia, è sempre difficile rendergli omaggio senza scivolare nella retorica. Questa volta, ci aiuta l’uscita di un bel libro, che vi presentiamo in anteprima. standard da cantare sotto l’albero di Natale: Happy Xmas (War Is Over). 60 UNA CITTÀ PER CANTARE Cantautori in tour: tutti i concerti da non perdere! ENNAIO TICKETING 54 SECONDARY Lo intuivano in molti, ma quasi nessuno ne parlava: biglietti sovrapprezzo, bagarinaggio online, fan truffati. Poi, il caso è esploso. E adesso occorre fare piazza pulita. 30SOUNDREEF VS SIAE Soffiano venti di guerra fra la SIAE e Soundreef. In palio, la gestione dei diritti d’autore, una faccenda da milioni e milioni di euro. Ma cosa promette esattamente l’aggressiva newco di Davide D’Atri? 48CHARTS Tornano nei negozi i cinque album che hanno creato la leggenda di Vasco. Sono in vinile e suonano meglio che mai. 42RECENSIONI CHE FANNO I DISCHI 50 QUELLI DI UN CLASSICO 58 STORIA PRENDI LA CHITARRA E VAI 52 TUTORIAL: Stufo di ascoltare ogni anno la voce di Bing Crosby, John Lennon scrive un nuovo 17 G PER FARE MUSICA 38 Dischi imperdibili, interessanti, buoni, deludenti, trascurabili. IL PROSSIMO NUMERO IN EDICOLA IL uando muore un poeta, c’è solo un modo dignitoso di rendergli omaggio: leggere i suoi versi. Nel caso di Leonard Cohen, che com’è noto ha lasciato questa vita lo scorso 7 novembre, i versi giusti è facile trovarli in una delle tante bellissime canzoni da lui scritte nella sua lunga vicenda artistica. Quelli che avete appena letto, ad esempio, ci sembrano una sintesi perfetta della sua esistenza, e forse dello stesso mestiere dell’autore di canzoni. In un’epoca in cui le informazioni corrono in rete alla velocità della luce, pubblicare su una rivista mensile un commento a un fatto qualsiasi, per forza di cose avvenuto settimane prima, rischia di diventare ozioso, oltre che inutile. E tuttavia, una figura come quella di Leonard Cohen, per noi che facciamo una rivista chiamata «Cantautori» e per voi che la acquistate, non può passare sotto silenzio. Nel momento in cui leggete queste righe, sull’argomento è stato già detto e scritto tutto, comprese le inevitabili imbecillità riversate quotidianamente sui social da gente convinta di essere l’ombelico del mondo. Dunque, non c’è bisogno che noi qui si aggiunga altro: quei pochi commoventi versi tratti da Bird On The Wire bastano e avanzano. Piuttosto, ci piace sottolineare come la discussione sulla canzone d’autore stia ritrovando una sua centralità nell’ambito del panorama culturale italiano. Ne troverete traccia nelle prossime pagine, assieme a una serie di interviste ricche di spunti interessanti e talvolta inconsueti. Come si diceva il mese scorso, la canzone d’autore in Italia è vivissima e pronta a vendere cara la pelle. Spero lo siate anche voi. Buona lettura. Maurizio Becker Ok, per un artista non è elegante metterle nel mirino. Ma le classifiche sono pur sempre una spia. Di quello che il pubblico ama oggi e di quello che amerà forse domani. Noi ve ne proponiamo due molto interessanti. VASCO ROSSI 3 Sommario AUTORI # ANT 12 Luca Barbarossa: La musica è social L’etichetta del mese è La Tempesta Dischi. Quale chitarra acustica scegliere per registrare? E quanto pagarla? Mettetevi comodi. 3 GOOD NEWS ANGELO DELIGIO/MONDADORI PORTFOLIO VIA GETTY IMAGES onte, cker, Andrea Belm Testi: Maurizio Be no, efa St De rdo ca Ric Luciano Ceri, , , Renato Marengo Francesco Donadio Timisoara Pinto. Francesco Mirenzi, Le chiedono se ci sono cantautori degni d’ascolto e lei liquida l’argomento elogiando il rap e dichiarando morta la canzone d’autore? Professore, mi perdoni… LETT ER ROB A APERTA A VECCERTO HION I Un senatore della canzone d’autore va in tv e dice la sua sulle nuove leve. Qualcuno applaude, qualcuno invece non ci sta. Testo di A Andrea Belmonte ualche sera fa [il 27 novembre, ndr], facendo zapping, incappo in Che tempo che fa, trasmissione che mi fa uno strano effetto: non amo l’accondiscendenza di Fabio Fazio verso gli interlocutori, tuttavia spesso ospita personaggi interessanti, insomma non so mai se cambiare canale o restare. In questo caso, visto che l’ospite è Roberto Vecchioni, resto. Il professore canta una canzone del nuovo disco – nulla di eccezionale, a dire il vero – per poi concedersi alle domande di routine; una decina di minuti incentrati per lo più intorno all’album, che poi non è solo un album perché in realtà è un Cd abbinato a un libro, uscito mesi fa, che oggi si arricchisce di questa raccolta di musica. Giusto in tempo per Natale. Si parla di figli, famiglia e, com’è inevitabile, si rende omaggio alla florida generazione di cantautori (anni 70) che il Nostro degnamente rappresenta. Ci sono temi più ANDREA BELMONTE Pianista, compositore e autore classe ’78, Andrea Belmonte mette per la prima volta le mani su un pianoforte all’età di 6 anni. Con la cantante Valentina Pira porta avanti il progetto Le Canzoni da Marciapiede, duo di teatro-canzone con cui ha pubblicato due dischi: AL PRANZO DI NOZZE e UN CIRCO DI PAESE (premio Daffini 2015 e candidato alla targa Tenco 2015). originali, ma tant’è. Vecchioni ci tiene a puntualizzare che preferisce definire “cantori” i maggiori esponenti del movimento di chi scrive poesie in musica, come Dalla e De André. Gli altri, dice, “sono cantanti…”. Non capisco, ma il professore è lui, quindi… Prevedibilmente, Fazio gli chiede quali siano, oggi, i figli di quella generazione. La domanda è trita e ritrita, forse per questo la risposta arriva con grande, troppa scioltezza. Tanti ragazzi, dice Vecchioni, “fanno rap, e bene: modo modernissimo di dare rabbia, dolore, pensiero, meditazione (…)”. Poi, riguardo alla canzone d’autore, dichiara che “non c’è più quella frenetica corsa al letterario che c’era negli anni Settanta e Ottanta (…)”. Questa affermazione mi sconcerta. Davvero può scrivere una canzone degna di essere definita d’arte solo chi è edotto di letteratura? Il pensiero corre a Ciampi, poeta della porta accanto, alle sue liriche semplici ma tanto sincere da farsi potentissime. Le canzoni si ascoltano – e si dovrebbero scrivere – di pancia, piuttosto che col dizionario in mano, e se questa stra-citata generazione di cantautori anni 70 è fondamentale per chi è arrivato dopo, è perché in quel che Vecchioni, Guccini, De Gregori etc. hanno scritto gli ascoltatori hanno trovato la propria vicenda di vita, bella da cantare dietro a un disco anche quando era una merda. Senza troppo badare a metrica e lessico. Professore, mi perdoni ma non capisco. Le chiedono se ci sono cantautori degni d’ascolto e lei liquida l’argomento elogiando il rap e dichiarando morta la canzone d’autore? Dove li mette i cantautori contemporanei – ce ne sono e tanti - che spremono sangue e inchiostro su un foglio bianco, arrabattandosi tra una chitarra e un lavoro precario, per raccontarli come sono oggi i sentimenti, la vita, la società? Certo con un linguaggio diverso, perché dai 70 sono passati quarant’anni. È mai stato curioso di scovarli, di ascoltarli? Molti non li catalogherebbe tra i “cantori”, ma con il tempo, gli spazi, le dovute attenzioni, potrebbero maturare, fino a rientrare a pieno titolo nella definizione. Già: attenzione, tempo, spazio; quale attenzione ci può essere verso il nuovo se neppure chi questo nuovo l’ha generato se ne interessa? Quanto tempo, se i nuovi artisti si bruciano per anni in eterne gavette da locale? E di spazio, quanto ne resta, se internet è zeppa di video-fenomeni da baraccone, le radio si vendono le programmazioni e in tv compaiono, puntuali a ogni ricorrenza, i soliti mostri sacri a farsi promozione? r 5 GOOD NEWS A pranzo con De Gregori Ogni volta che incontra Francesco De Gregori, Edoardo De Angelis prende decisioni importanti. L’ultima è un grande omaggio ai cantautori italiani. Intervista di A Luciano Ceri P iù che un album di cover, IL CANTAUTORE NECESSARIO sembra un vero e proprio atto d’amore nei confronti della canzone d’autore. È una collana di piccoli gioielli nati da una serie di artisti che sono stati molto importanti nella mia formazione ma soprattutto, se mi passi il termine, nel mio sentimento professionale, e cioè in quel modo di avvicinarsi alla professione della musica motivato non tanto da una forma di interesse o di vanità ma proprio dall’amore per alcune cose che al mondo della musica appartengono. Ed è proprio come hai detto, questo disco è un atto d’amore verso queste canzoni e gli artisti che le hanno cantate, molti dei quali ho conosciuto e frequentato, e con alcuni dei quali c’è stato un sentimento di amicizia e di affetto, come ad esempio con Sergio Endrigo, con Piero Ciampi e naturalmente con Francesco De Gregori. Quarantatré anni dopo, i ruoli s’invertono: nel 1973 tu producevi ALICE NON LO SA di De Gregori, oggi Francesco firma la direzione artistica del tuo CANTAUTORE NECESSARIO. Come è nata questa cosa? A tavola. Tutte le volte che vado a pranzo con De Gregori, succede qualcosa. All’inizio degli anni Settanta, in un’osteria di Roma, gli raccontai la storia della gita in montagna con mio padre quando ero ragazzino, e da quel racconto nacque La casa di Hilde. Anche questo album in qualche modo è nato su un tavolo da pranzo, perché abbiamo ripreso la consuetudine di periodici incontri conviviali con scambi di pareri e chiacchiere non solo professionali. Circa un anno fa, in uno di questi incontri, ho raccontato a Francesco del mio desiderio di fare un album di questo tipo. Lui mi incoraggiò molto fino al punto di dirmi, «Guarda che se poi decidi di farlo, 6 io potrei fare la produzione artistica. Ma non ti aspettare che venga in sala tutti i giorni». Così buona parte delle scelte dell’album, per ovvie ragioni molto selettive, è stata condivisa con lui, sia a proposito delle canzoni che degli interpreti. Ed è vero che lui non veniva in studio, ma è anche vero che voleva sentire di volta in volta come procedeva il lavoro. Poi un giorno ho ricevuto una sua chiamata in cui mi diceva: «Sai, è proprio bello, ti dispiacerebbe se ci mettessi una voce, un’armonica?». E così è stato. E adesso che il disco è uscito quando ci vediamo vuole sapere cosa accade, come funziona l’ufficio stampa, se il disco è distribuito… Insomma, sta facendo il produttore. Hai coinvolto Michele Ascolese, uno dei migliori chitarristi italiani e uno dei più vicini alla canzone d’autore: il suo ruolo è SCHOLA CANTAUTORUM L’esordio di Edoardo De Angelis risale al 1970, nel duo Edoardo & Stelio, con Lella, caposaldo della nuova canzone in romanesco. Poi una lunga carriera di autore, compositore, produttore, interprete, discografico e organizzatore di eventi legati alla canzone d’autore. È stato componente della Schola Cantorum dal 1974 al 1976. importante, firma anche i prologhi musicali ad alcune canzoni e divide con te la paternità del disco. Hai subito pensato a lui come partner? Immediatamente, perché dovendo pensare a un artista che avesse condiviso, sia in studio che dal vivo, la musica dei cantautori, Michele era indubbiamente il musicista adatto. Da persona molto prudente e molto riservata qual è, quando gli ho proposto di partecipare a questo lavoro ha acconsentito, ma forse all’inizio non era convintissimo: poi quando abbiamo cominciato a scegliere le canzoni, a provarle, capivo che a ogni incontro accadeva qualcosa, si muoveva un passo. Michele lo avevo sempre apprezzato, lo avevo sentito suonare con tanti artisti, da Fabrizio De André a Ornella Vanoni, non potevo scegliere nessun altro per un progetto come questo. r L’opera da tre synth Infaticabile Max Gazzè. Al termine di un’annata da incorniciare, reduce dal successo del suo decimo album MAXIMILIAN e da concerti sold out a ripetizione, ha in serbo un nuovo ambizioso progetto: un’opera. MAXIMILIAN I DI ROMA Intervista di A Francesco Donadio Insomma Max, cosa bolle in pentola? È da più di 20 anni che porto avanti delle ricerche mie, personali, intorno ad alcuni scritti antichi: esoterici ma anche storici, come i manoscritti di Qumran, i poemi mesopotamici, gli scritti egizi… E sto facendo quest’opera, la cui introduzione sarà tratta dal Libro Perduto del Dio Enki, il dio mesopotamico. Il titolo dell’opera è ALCHEMAYA e deriva da “alchimia” che significa proprio “mettere insieme”, “fondere”, perché nel corso delle mie ricerche ho effettuato dei collegamenti tra fatti storichi, fisica quantistica e filosofia. La mia è una visione olistica, che fa sì che [diversi] campi di ricerca si possano collegare tra loro. Ma non sarà un’opera rock? No no, la suonerò con la Bohemian Symphony Orchestra di Praga, e il debutto è previsto il 3 aprile al Teatro dell’Opera a Roma, per proseguire l’8 al Teatro dell’Opera di Firenze, il 10 al San Carlo di Napoli, l’11 al Teatro Arcimboldi di Milano, il 13 al Gran Teatro di Padova e il 14 all’Auditorium del Lingotto di Torino. Ed è un’opera “sintonica” [ride, ndr], un neologismo che ho creato per definire il concetto di integrazione tra Dopo aver esordito nei locali di Bruxelles come bassista di un gruppo northern soul, Max Gazzè diventa un esponente di spicco della “seconda scuola romana dei cantautori”. È esploso nel 1998 con LA FAVOLA DI ADAMO ED EVA e da allora non si è più fermato, incidendo altri 8 album solisti (con testi tutti co-firmati con suo fratello Francesco). L’ultimo, il disco platino MAXIMILIAN, risale al 2015. strumenti sinfonici e synth. Oltre all’orchestra, ci saranno sintetizzatori modulari, a forma d’onda, che generano delle forme d’onda sinusoidali, onde quadre, onde triangolari… E tutto questo verrà inserito nell’organico dell’orchestra: i primi violini suoneranno insieme al theremin. BARBARA OIZMUD I nfaticabile Max Gazzè. Al termine di un’annata da incorniciare, reduce dal successo del suo decimo album MAXIMILIAN e da concerti sold out a ripetizione, ha in serbo un nuovo ambizioso progetto: un’opera. GOOD NEWS Con dei testi tuoi e di tuo fratello Francesco? C’è un libretto, chiaramente, perché è un’opera originale. Poi ci sarà tutta una serie di brani, tipo “lieder”, che verranno cantati, però seguendo lo schema concettuale: ognuno di loro racconterà una porzione di questo grande puzzle. La seconda parte del concerto invece proporrà brani tratti dal mio repertorio storico, riarrangiati. dare un senso a canzoni che avevano quella tonalità lì, quel tipo di colorazione, rispetto anche a quelle che ho fatto in passato – anche se ho fatto altri dischi comunque “pop”: per esempio LA FAVOLA DI ADAMO ED EVA. In questo caso, però, ci sono state delle canzoni più dirompenti, come La vita com’è e Ti sembra normale. Poi in realtà per l’arrangiamento – per la vestizione – dei brani ho attinto alle mie radici, alla mia cultura un po’ britannica – perché io sono cresciuto tra Belgio e Inghilterra. E in realtà, deriva dallo ska inglese dei Madness, dei Selecter e degli Specials, più che da sonorità balcaniche o russe. MAXIMILIAN, intanto, è stato uno dei dischi più venduti dell’anno. Com’è nata l’idea di fare un disco più “pop” del solito – e con qualche elemento di folk balcanico? Dopo il progetto con il trio, con Niccolò Fabi e Daniele Silvestri [il tour e il disco IL PADRONE DELLA FESTA, ndr] mi piaceva l’idea di fare del pop “con criterio”: suonato in un certo modo e registrato in un certo modo. Ma non era per raggiungere un pubblico più mainstream; piuttosto, per Sono passati 10 anni dalla tua ultima antologia “seria”, RADUNI. Non è arrivato il momento per farne uscire un’altra? Adesso mi sto concentrando sulla mia opera sintonica. E poi ancora ci devo pensare, non ho pianificato una cosa del genere. Sono passati 20 anni effettivamente: dal ’96 al 2016 sono 20 anni dall’uscita del mio primo disco, per cui potrei farlo, un ventennale. Ci penserò da aprile in poi… Oppure aspetto altri 10 anni, dài, lo faccio per i 30 anni… (ride). r 7 GOOD NEWS Volo libero n. 3 Amerigo Verardi va controcorrente con un doppio album creato in solitudine, fatto di brani dilatati e testi onirici ma lucidissimi. Psichedelia cosciente? Intervista di A Maurizio Becker A scolto HIPPIE DIXIT e sembra un disco di metà anni 70, nel senso buono. Non è un disco anni 70, anche se sicuramente c’è un’attitudine che mi è molto cara. Tra gli anni 60 e i 70 è successo qualcosa di clamoroso, a tutti i livelli. Ed è logico che a me piacciano molto le opere prodotte in quel periodo. La canzone di apertura, L’uomo di Tangeri, supera i 14 minuti, mediamente i pezzi superano i 5. È quasi un atto politico, una dichiarazione di guerra al sistema delle radio commerciali e dei talent show. Questa è una cosa venuta dopo, man mano che venivano fuori i pezzi. Il mio intento principale era di metterci tutto ciò che avevo intenzione di metterci, e non sapevo cosa ne sarebbe venuto fuori. Quando mi sono ritrovato con 100 minuti di musica e con brani lunghi 14, 10 o 8 minuti, qualche DANIELE GUADALUPI IL TALENTO STA NEI DETTAGLI Amerigo Verardi esordisce nel 1987 come leader della band neo-psichedelica Allison Run, poi prosegue con i Lula. Da solista, incide MORGAN, CREMLINO E COCA, NESSUNO È INNOCENTE (sotto lo pseudonimo Lotus) e (con Marco Ancona) BOOTLEG-OLIANDO LA MACCHINA e IL DIAVOLO STA NEI DETTAGLI. Pluripremiato per la sua attività nell’ambito della musica indipendente, ha collaborato fra gli altri con Manuel Agnelli, Carmen Consoli, Baustelle, Federico Fiumani, Virginiana Miller e Dente. 8 domanda ho iniziato a farmela: se dovessi collocare questa cosa, cos’è esattamente? Ma forse non è neanche giusto che sia io a dover tirare le somme. È una delle rare volte che l’aggettivo psichedelico non suona fuori posto. Ma colpiscono molto anche i testi. In Terre promesse, canti: “Gli eredi della terra promessa / fra gli echi di una vita passata / in cui il pre- GOOD NEWS sente ora è un inferno”. Un bilancio generazionale, direi… Effettivamente, quella che citi è una di quelle cose che ha fatto male anche a me scrivere. Non è una cosa da niente. Rappresenta me e rappresenta la mia generazione, e riguarda un apparente crollo d’ideali. Ma come in tutto il disco, è solo un’analisi che deve portare a una riconversione, a un riprocessare gli eventi e ritrovare una coscienza diversa. Questo disco ha lo scopo di dare segnali e stimoli in questo senso, e non essere solo una piatta cronaca di ciò che siamo e di come stiamo. Prima si diceva di una certa politicità. Due Sicilie è molto esplicita, in questo senso. Nel testo, parli di un predatore che “violenta, uccide e fa l’Italia / mentre la memoria muore / L’alba è un nuovo sole già malato / mezzogiorno a colazione / e la prima strage di Stato”. La rabbia deriva dal fatto che questo è un problema vecchio. Quando ti trovi di fronte a delle verità così enormi che sono state volutamente occultate, quando capisci che il tuo Paese, quello a cui senti di appartenere, è nato su questa menzogna, dentro di te si muove qualcosa. Ti domandi su che cosa siamo cresciuti, tutti noi. Allora, l’unico modo che ti resta per far riaprire la discussione è dire qualcosa di forte, senza mezzi termini. Claudio Rocchi è venuto a Brindisi per 150 euro e il rimborso del biglietto aereo. Ed è venuto camminando sulle stampelle. Chiunque altro avrebbe rifiutato Anche il testo di Brindisi ai terminali di via Appia è duro, quasi feroce: “una frase monca su un muro dice ‘qui si muore di’”. La tua regione, la Puglia, è quella della centrale Enel di Brindisi, dell’Ilva di Taranto. Secondo le statistiche, nella provincia di Lecce la probabilità di ammalarsi di cancro supera il 26%. Pure qui c’è rabbia, anche nei confronti di chi si è lasciato letteralmente camminare sulla testa, senza mai ribellarsi. Noi eravamo la California d’Italia e andarci a mettere dei mostri di quel genere, promettendo un lavoro che si sarebbe potuto creare in altri modi, magari sfruttando la bellezza di questi luoghi, ha aperto una ferita che è ancora aperta. Perché questo dramma continua: ogni giorno muoiono i nostri amici, i nostri genitori. Musicalmente, ho cercato di rendere la dolcezza e l’amarezza della mia terra. Forse, questo è un brano più cantautorale, anche se in realtà io non so come lavoravano i cantautori negli anni 70. Ma anche De Gregori mi sembra molto onirico nella sua scrittura: a volte, nemmeno capisco dove voglia arrivare nei suoi testi, ma questo è quello che più mi piace di lui. Qua e là, con insistenza affiora un immaginario biblico. In Korinthos usi perfino un recitato tratto dal Nuovo Testamento. Da cosa nasce questa vena spirituale? Da un senso di conservazione della razza umana. Non penso che gli esseri umani siano al mondo per essere messi dentro un call center, una fabbrica di morte o una banca, a speculare alle spalle degli altri. Credo che dentro di noi abbiamo tutti un tracciato, che possiamo seguire o non seguire. In fondo, tutto il mondo è basato su grandi contrasti – il più grande è ovviamente quello fra Bene e Male. E in fondo, noi sappiamo benissimo quando con le nostre scelte stiamo andando in una direzione o nell’altra. In questa parte di mondo, quella occidentale, questo tipo di domande non ce le poniamo più da tempo. Non parlo di religione, parlo di spiritualità. Vorrei che fosse messa sullo stesso piano della razionalità. La religione è solo un riflesso di questo istinto che ci porta a guardare oltre. Forse, è anche il periodo che viviamo a far sorgere questo bisogno. Ascoltare HIPPIE DIXIT e ascoltarti parlare mi fa pensare a Claudio Rocchi. È un autore che per te ha significato qualcosa? Ti racconto un episodio: nel 2012 invitai Claudio alla prima edizione di un festival che organizzavo qui. L’idea era fargli presentare il suo nuovo disco [IN ALTO, ndr], accompagnato da una band di giovani musicisti locali. Lui accettò, venne, suonò una mezz’ora con questi ragazzi e tenne un workshop. In quei giorni, parlammo molto. Mi consigliò anche di leggere un libro, che poi a mia volta ho consigliato e regalato ad altre persone. La scia che ha lasciato quest’uomo qui a Brindisi è stata incredibile e ha coinvolto tantissimi ragazzi di vent’anni, che sono rimasti impressionati da quello che diceva Claudio. Ci tengo a dire anche un’altra cosa: Claudio è venuto a Brindisi per 150 euro e il rimborso del biglietto aereo. Ed è venuto camminando sulle stampelle, perché già non stava bene [Rocchi è scomparso nel giugno 2013, ndr]. Questo è Claudio Rocchi. Prima ancora della sua musica e dei viaggi che ha fatto. Chiunque altro, avrebbe detto che non poteva venire, a 150 euro, e soprattutto con quel problema che aveva. L’anno dopo, doveva venire alla seconda edizione, insieme a Gianni Maroccolo, con il quale nel frattempo aveva fatto un disco [VDB 23/NULLA È ANDATO PERSO, ndr]. Lo sai che Claudio e Gianni si sono conosciuti proprio a Brindisi? La loro amicizia è nata qui, Gianni ancora oggi mi ringrazia. Per lui è stata una rivelazione: Claudio era la persona che cercava. Per rispondere alla tua domanda: sì, Claudio Rocchi mi è diventato importantissimo, in questi ultimi anni. Quindi non ti offenderai se quest’intervista la intitolo Volo magico n. 3? No. Non mi dispiacerebbe. Anzi, ne sarei onorato. r HIPPIE DIXIT è recensito a pag. 47. 9 GOOD NEWS MIO CUGINO È FIGLIO UNICO Cugino di Rino Gaetano, nato a Crotone, trapiantato a Roma a metà anni 80 ma cittadino del mondo per vocazione, Sergio Cammariere esordisce componendo colonne sonore. Nel 2002 trova il partner ideale in Roberto Kunstler e incide il suo primo album. Ma è Tutto quello che un uomo dell’anno seguente (Premio della Critica a Sanremo) a consacrarlo fra i grandi autori della sua generazione. IO è il suo ottavo album di studio. Piccoli cantautori crescono Rispettare i capiscuola, girare il mondo e suonare dappertutto. E ammazzare la noia cantando fino all’alba, senza microfoni. Così Sergio Cammariere è diventato grande. Vista la parentela con Rino Gaetano, non hai mai pensato di incidere un suo brano? Ho cantato Rino in molte occasioni, tra cui al concerto del 1° maggio, ma le sue canzoni sono perfette e non vanno toccate. Sono così pregne e compiute che funzionano ancora oggi. Ho preferito organizzare, nel 2002, un Premio in suo onore a Crotone con Claudio Lolli, Moustaki, Il Parto delle Nuvole Pesanti, Teresa De Sio e tanti altri. Gino Paoli era il tuo riferimento, come cantavi in Cantautore piccolino. Che effetto ti ha fatto collaborare con lui per Cyrano? Per lui, ho grande rispetto e ammirazione. Mi piace lo spirito libero che si respira nei suoi pezzi fuori dagli schemi. Lo considero il re dei cantautori e uno straordinario melodista. In particolare, ho amato il suo Lp I SE10 MAFORI ROSSI NON SONO DIO, dove reinventava alcune delle più belle canzoni di Joan Manuel Serrat, per esempio Chopin e Il manichino. In La cosa giusta canti “dove c’è corruzione non ci può essere realtà”: vuoi raccogliere il testimone dei cantautori anni 70? È la canzone del momento. Con Roberto Kunstler, che scrive i testi dei miei pezzi, si è creato un grande connubio. La cosa giusta nasce dalla necessità di non soffermarsi solo sull’amore, ma di indagare anche sul sociale. Lo abbiamo fatto anche in passato con Nuova Italia [da SUL SENTIERO del 2004, ndr], solo che questo tipo di canzoni sono meno ricordate, hanno avuto meno fortuna rispetto alle canzoni d’amore. Come è nata la tua vocazione musicale? Da bambino in parrocchia, in un coro di voci bianche, cantando l’Ave Maria di Schubert. A 7 anni, quando ho cominciato a suonare il piano, mi sono innamorato di Per Elisa, che il mio maestro mi proibiva di suonare perché prima dovevo imparare una scala cromatica oppure non avevo le mani, così cominciai a suonarla a orecchio per poi passare a sonate come la Patetica di Beethoven. In seguito, ho scoperto la musica dei miei tempi come Pink Floyd e Genesis: a 13 anni già suonavo Firth of Fifth e gli altri brani di SELLING ENGLAND BY THE POUND. Ho capito che avevo una predisposizione per la composizione scrivendo la colonna sonora per uno spettacolo al teatro Apollo di Crotone. Tu hai fatto una lunga gavetta: cosa pensi dei talent televisivi? Dopo aver lasciato la mia terra, ho suonato in hotel, pub e cantine. Sono stato 4 anni a Firenze, poi a Milano, in Brasile e a Cuba. I talent sono l’opposto rispetto a quanto è accaduto a me. Sono altri tempi. Io avevo voglia di sentirmi libero e senza condizioni. Avevo la necessità di suonare dal vivo tutte le sere. Per coronare i propri sogni, bisogna essere predisposti al sacrificio e all’umiltà. La leggenda narra di jam infuocate con Alex Britti, cosa mi racconti? Con Alex siamo fratelli. Suonavamo nello stesso gruppo dove c’era Max Gazzè al basso. Le session infuocate di cui parli risalgono al Sanremo 2003: per vincere la noia mortale, nell’albergo suonavamo fino alle 5 di mattina, senza microfoni. r IO è recensito a pag. 43. MANUELA KALI N ell’inedito Sila, che esegui da solo al piano, c’è una forte vena di nostalgia: è il sentimento che ti lega alla Calabria? Ogni volta che ho potuto, ho dedicato dei brani alla Calabria. I ricordi mi appaiono nitidi ma, allo stesso tempo, intrisi di questa saudade. Forse perché ho lasciato Crotone a 19 anni. Intervista di A Francesco Mirenzi GOOD NEWS Il romanzo di Rino tistico ed esistenziale di Rino e Fred era molto simile, il finale delle loro vite è identico. Un’alba tragica ci può stare, se scambi il giorno per la notte. Nessuno dei due aveva particolarmente bevuto, solo che erano due tipi che non sarebbero andati a dormire mai perché non volevano rimanere soli! Lo abbiamo sperimentato tutti, in certi anni. Lucio Dalla, per esempio, non andava mai a dormire, ma sonnecchiava durante il giorno, nei luoghi più impensati. Però non guidava mai lui. Rino e Fred invece sì. Comunque, proprio in quei giorni Buscaglione stava scrivendo una preghiera musicale a Dio, un Dio degli artisti invocato dalle tavole del palcoscenico, con un sapore autobiografico molto forte. Fred muore vestito da sera e inaugura il decennio degli anni 60, vent’anni dopo, con analogo violento finale, Rino tira giù il sipario sugli anni 70. Un libro romanza la vita di uno dei cantautori più amati d’Italia. Lo ha scritto Stefano Micocci, che visse quella storia in prima persona accanto a suo padre Vincenzo. Intervista di A Riccardo De Stefano R ino Gaetano, un mito predestinato. Ci spieghi questo titolo? Anzitutto, perché Rino Gaetano è un mito. Un mito italiano. Da trentacinque anni, il suo successo continua a crescere. Dischi, libri, concerti delle cover band che interpretano le sue canzoni, stadi di calcio, come quelli di Crotone e Genova, che inneggiano sulle note di Ma il cielo è sempre più blu. Misteri, leggende, intrighi, ipotesi surreali sulla sua tragica fine. Non ci siamo fatti mancare nulla. Rino Gaetano, storia di un mito predestinato di Stefano Micocci esce a febbraio per Terre Sommerse. RINO È VIVO Nato a Crotone nel 1950 e scomparso a Roma nel 1980 in un incidente stradale, Rino Gaetano è stato una delle figure più originali della scena cantautorale degli anni 70. Amato e influente oggi forse più di allora, ha lasciato sei album di studio e una serie di canzoni divenute proverbiali, fra cui Ma il cielo è sempre più blu, Mio fratello è figlio unico, Berta filava, Aida, Gianna e Nuntereggae più. Fu scoperto e lanciato da Vincenzo Micocci, papà di tanti cantautori - oltre che di Stefano, che oggi rende omaggio a Rino in un libro. ANGELO DELIGIO/MONDADORI PORTFOLIO VIA GETTY IMAGES Perché predestinato? Una delle sue prime canzoni parlava dettagliatamente dell’incidente che poi Rino ha avuto anni dopo – questo è stato raccontato più volte. Ma è normale che un vero artista possa avere delle intuizioni se non delle premonizioni ed essere “caro al cielo”, per citare Menandro. Il Paradiso non poteva più attenderlo. Questo è il romanzo di Rino Gaetano, una favola dichiarata, ma con le sue verità. Volevo raccontare “la favola della vita, del successo e della fine di Rino Gaetano, ma anche quella degli anni Settanta”. Nel tuo romanzo, subito dopo l’incidente d’auto, Fred Buscaglione corre in soccorso del collega e suo fan Rino Gaetano. Come una specie di Virgilio, lo accompagna nel tempo di mezzo, e insieme rivedono il film della vita di Rino. Poco tempo prima, Rino aveva interpretato Il dritto di Chicago [celebre pezzo di Buscaglione, ndr] in una trasmissione televisiva che lo ricordava, indossando un casco integrale. A parte che l’approccio ar- Perché uno che lo ha conosciuto e frequentato decide di romanzare una storia apparentemente nota a tutti? Perché la verità esiste solo nei romanzi. Secondo quel genio di Pasquale Panella, “noi lo sappiamo che la vita è romanzo, lo è prima che accada in forma di realtà”. Quando cerchi di abitare la mente di un personaggio che non c’è più, non puoi far altro che immaginare. E questo libro è il frutto della nostra immaginazione, mixata con i ricordi personali diretti. Ogni biografia richiede che lo scrittore si trasformi in una specie di detective, in una sorta di indagatore del culto e dell’occulto della storia di un mito. E questo non mi andava di farlo, anche se avrei potuto, più di tanti altri. r 11 GOOD NEWS La canzone è social Quando esordì, Luca Barbarossa guardava al modello dei grandi. Trent’anni dopo, è lui a dare spazio ai giovani cantautori. Dallo studio di un programma cult. Intervista di A Renato Marengo A quale generazione di cantautori ti senti di appartenere? All’ondata degli anni 70, una sfornata mica da ridere. Allora io ero ancora adolescente ma mi ero formato proprio con quella corrente: Brassens, e in Italia i soliti noti. Mi ero nutrito di Dylan, di Woody Guthrie, quella era la mia idea di canzoni. La possibilità di raccontare quelle zone d’ombra che i giornali e i programmi infiocchettati della tv magari ignoravano. Insomma, mi proponevo di continuare quella tradizione che De André aveva saputo interpretare così bene. L’impegno ormai stava andando in pensione, ma tu hai tenuto duro. Be’, quello sapevo fare e quello volevo fare. Mi ha detto bene anche grazie ai passaggi a Sanremo. E nonostante le case discografiche non mi dessero più molto retta. In quel periodo poi, la Fonit Cetra era agonizzante. Sul palco di Sanremo portasti Roma spogliata, giusto 30 anni fa. E difatti il primo Lp ad avere un buon successo fu LUCA BARBAROSSA, che conteneva quella canzone. Dopo 5 anni, riuscii a ripartire con la CBS, con un album che conteneva sia Via Margutta che Come dentro un film, con la quale feci un’altra volta Sanremo, nell’87. Ma il vero successo tornò con L’amore rubato [1988, ndr], che trattava dello yuppismo e del rampantismo di fine anni 80. Mi reputo un fortunato, perché mi ritrovai dall’essere uno che quasi quasi doveva sparire a uno che riempiva i palasport, facendo un successo superiore alle mie aspettative. Poi però hai rallentato. Ho capito che lo scopo della mia vita non poteva essere solo quello di fare il cantante a tutti i costi e ho cominciato a mettere la mia ironia a disposizione di altri linguaggi, vedi lo spettacolo Attenti a quei due con Neri Marcorè. Ricordo che ai tuoi concerti dialogavi sempre con la gente... E lo faccio ancora, molti amici mi dicevano che avrei dovuto fare radio, fare tv. E per il piccolo schermo ho fatto una storia della RCA. Ma ho trovato più soddisfazione con la radio. Quando sette anni fa Valentina Amurri mi ha proposto di condurre Radio2 Social Club, subito dopo l’esperienza del teatro ho accettato con entusiasmo e abbiamo scritto un programma dove ci si potesse esprimere, contaminarsi con altri artisti, dal vivo con una band in studio. La social band, la mia band, col maestro Stefano Cenci che cura gli arrangiamenti. Ho portato un pezzo del mio mondo in radio: a Radio2 Social Club c’è sempre un po’ di ironia, ci diverte riuscire a far cantare a De Gregori brani di Leali o di Celentano… E i nuovi cantautori, quelli emergenti? Ne ospitiamo spesso, a volte cantiamo assieme. Ora che so dell’esistenza di «Cantautori» (a proposito, gran bella idea, ci voleva proprio!), vi segnalerò le migliori novità che ospiteremo. r Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì (h 14.30), Luca Barbarossa e Andrea Perroni conducono Radio2 Social Club su Radio2. PORTAMI ALLA RADIO Cresciuto nel circuito folk della Capitale, Luca Barbarossa esplode con Roma spogliata al Sanremo ’81. Dopo 10 album, nel 2010 inizia una nuova fortunatissima carriera di conduttore radiofonico. 12 Hip hop d’autore In occasione dell’uscita di MILLE GRUPPI AVANZANO, ultimo Cd degli Assalti Frontali, incontriamo Militant A: autore non molto conosciuto dal grande pubblico, sa emozionare sia quando lancia invettive contro il potere, sia quando racconta le storie degli ultimi. Intervista di A Francesco Mirenzi D a Batti il tuo tempo, la cifra stilistica delle tue liriche è sempre stato l’impegno sociale, proprio come i cantautori anni 70: c’è qualcuno che ti ha influenzato? Forse non sembra, ma noi veniamo dai cantautori! De Gregori e Dalla mi piacciono tantissimo. Testi come Anna e Marco, così cinematografici e coinvolgenti da farti vivere le sensazioni dei protagonisti, sono immensi. Anche De André, che ha scritto capolavori come Amico fragile e La domenica delle palme. Non a caso, in La can- zone dell’orso bruno, io cito La canzone di Marinella. Sono testi belli e concreti che ti fanno pensare e che faccio fatica a ritrovare nelle produzioni odierne. Nell’incipit di Il quartiere è cambiato, quando dico: “Ai piedi del semaforo cento ginestre gialle / passava un ragazzo in bici e un proiettile alle spalle”, ci trovo tutta l’eredità dei cantautori. In Spiaggia libera, brano apparentemente estivo che ha anticipato l’uscita del vostro nuovo Cd, sei riuscito a trattare il tema delle concessioni demaniali con grande leggerezza, tanto che ha avuto numerosi passaggi su Blob e sulle radio. Per me, la spiaggia libera è l’idea del mare che nasce quando da giovane ci andavo con la fidanzata, un’idea che mi dà un senso di libertà. Oggi le spiagge libere sono trattate male, sono sempre sporche, e invece dovrebbero essere un fiore all’occhiello. Se vai a Barcellona, sono pulitissime! Da questo amore per le spiagge libere è nato il pezzo e abbiamo deciso di girare il video a Ostia, dove il Municipio è stato commissariato, sono stati arrestati il presidente del porto turistico, alcuni assessori e il comandante del commissariato, e sono stati sequestrati diversi stabilimenti balneari per gravi violazioni. Abbiamo voluto far riflettere su cosa c’è dietro a queste concessioni date a prezzi irrisori e sul perché le spiagge libere sono deturpate. Hai dedicato due pezzi al lago ex Snia, ci racconti la storia? IL MILITANTE N. 1 Leader del gruppo più longevo del nostro hip hop, Militant A è l’autore di Batti il tuo tempo, il primo rap in italiano, realizzato con Onda Rossa Posse nel 1988. Dal 1991 guida gli Assalti Frontali. Dopo quasi 30 anni di carriera, l’ispirazione resta alta: basta ascoltare Il lago che combatte e In fondo al lago (sulle battaglie a difesa del primo lago naturale romano), Asbesto (sulla tragedia dell’amianto), Il quartiere è cambiato (sugli incidenti subiti dai ciclisti) e Spiaggia libera (sugli abusi in riva al mare), tutte tratte dall’ultimo Cd. Originariamente, c’era una fabbrica di viscosa abbandonata che è stata comprata da alcuni palazzinari romani, tra cui Ligresti. L’area non era edificabile, ma loro sul contratto di concessione hanno cambiato la destinazione d’uso col bianchetto, per realizzare un centro commerciale. Scavando hanno bucato la falda dell’acqua bullicante – quella con le bollicine – e il lago è venuto fuori. Inizialmente, pur di costruire, con un’idrovora hanno pompato l’acqua nella fognatura finché un temporale l’ha intasata, facendola tracimare. A quel punto, il Comune blocca i lavori dichiarando l’area di pubblico interesse e si forma un lago naturale di diecimila mq. Affinché l’area sia dichiarata pubblica, è necessario effettuare dei lavori per permettere l’accesso al pubblico entro dieci anni, altrimenti tornerà ai vecchi proprietari. Siccome stava scadendo il tempo e c’era l’inerzia del Comune, ci siamo mobilitati per evitare che accadesse. Così sono nate Il lago che combatte e In fondo al lago. Hai mai pensato che con le tue qualità, concedendo qualcosa all’industria discografica, potevi essere più popolare e più ricco? Dopo l’esperienza non felice con la BMG, sono contento delle 50 date all’anno che facciamo con gli Assalti Frontali e della totale libertà che ho nello scrivere. r MILLE GRUPPI AVANZANO è recensito a pag. 42. 13 GOOD NEWS Fuga dal mondo A pochi metri dalla casa di Battiato, nella periferia di una contrada di un paese di ottocento abitanti, vivono Juri Camisasca e Rosario Di Bella, le due anime di un progetto che si chiama SPIRITUALITY. Intervista di A Timisoara Pinto D agli attici di Milano ai giardini di Milo, dai ritmi celestiali della vita monastica alla natura esplosiva dell’Etna, c’è un piccolo lembo di terra siciliana dove si respira musica e spiritualità. A pochi metri dalla casa di Battiato, nella periferia di una contrada di un paese di ottocento abitanti, vivono Juri Camisasca e Rosario Di Bella, le due anime del disco SPIRITUALITY. Due artisti uniti da quella forma di empatia che si realizza solo attraverso la musica e la ricerca interiore. Di Bella, da molti anni compositore di colonne sonore “con una libreria di suoni in testa e negli hard disk”, ha ideato un disco “dalla struttura pop che all’interno offre un tempo dilatato e rilassato”. Juri Camisasca ha alternato la sua attività artistica a lunghi periodi 14 di silenzio, a partire da quegli undici anni di vita monastica e due da eremita intorno al suo vulcano. E di questo e altro parla oggi, tra nuovi e vecchi loop da mettere in musica. Juri, come si fa a conciliare la tensione verso il silenzio, l’isolamento, la fuga dal mondo, con il pubblico, i concerti, le case discografiche? Quando fai delle cose che gli altri apprezzano, quando ti senti gratificato, ti ritrovi a fare selfie come se niente fosse. Nelle Sacre Scritture c’è scritto “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Da qualche anno, poi, in me è scattato un tale distacco da tutto, per cui stare qui dove vivo, circondato dagli alberi o su un palcoscenico, è la stessa cosa. È una grazia. Cosa ti spinse alla vita monacale? Intorno ai vent’anni ero insoddisfatto, confuso, non mi chiedevo nemmeno cosa fosse la vita. Credevo di trovare una via di uscita attraverso la musica, ma poi ho capito che non era così. In un momento di grande sconforto, improvvisamente, sono stato inondato da una luce che non è di questo mondo e che mi ha invaso con una pace che non è assolutamente descrivibile. Non si tratta di uno stato psicologico, ma di una sostanza penetrata nel mio cervello e nelle mie cellule. Per anni sono vissuto in questo stato, tanto che anche i miei amici non riuscivano a capire cosa mi fosse successo. GOOD NEWS LA RICERCA DI JURI IL PERCORSO DI ROSARIO All’indomani dello splendido LA FINESTRA DENTRO (prodotto nel 1974 da Franco Battiato), Juri Camisasca sceglie per undici anni la vita monastica. Nel 1987 lo ritroviamo a fianco di Battiato nell’opera lirica Genesi. Seguono TE DEUM (1988), IL CARMELO DI ECHT (1990) e ARCANO ENIGMA (1999). Tra il 2003 e il 2007, Juri partecipa a tre film di Battiato (Perdutoamor, Musikanten e Niente è come sembra), poi nel 2016 incide SPIRITUALITY con Rosario Di Bella. Siciliano di Zafferana Etnea (CT), Rosario Di Bella studia medicina all’Università di Catania, teatro all’Arsenale di Milano e composizione a Roma. Parallelamente, intraprende un percorso di ricerca spirituale, approdando al pensiero e alla pratica del maestro armeno Gurdjieff. Ha pubblicato cinque album: PITTORE DI ME STESSO (1989), FIGLIO PERFETTO (1991), ESPERANTO (1995), I MIEI AMICI (2001) e IL NEGOZIO DELLA SOLITUDINE (2007). Quali differenze hai trovato tra la musica che amavi, il rock, e la musica sacra? I canti gregoriani, la musica indiana hanno una forza ascensionale, hanno la capacità di elevare le tue capacità interiori. Questo non può avvenire con la musica rock perché colpisce altre fasce, parlo dei chakra. Gli indiani dicono che a seconda di come vengono stimolati questi centri che sono dentro di noi, tu vivi un’esperienza molto terrena, sensuale, oppure no. Se vieni colpito nei centri più alti, dal cuore alla gola al cervello, entri in contatto con energie più sottili. Sono musiche che superano l’individualismo, l’egocentrismo e ti elevano verso altre dimensioni. L’arte è una cosa e la qualità umana un’altra cosa, il canto gregoriano è un canto corale, le persone più sono interiormente pure, più il canto si fa elevante. Chi va a X Factor o a Sanremo non pensa a queste cose, ma solo a mettere avanti la sua personalità. Un musicista indiano può avere una grande personalità, ma nel momento in cui suona un raga gli viene una specie di trascendimento del fattore egoistico. non si può non citare Dylan, anche se è impastoiato con la politica. Ho amato tanto anche Donovan perché aveva un’anima molto serena e candida. I cantautori sono un po’ la salvezza nel campo musicale. Però il rock ha le sue radici nel blues, nel gospel… Certo, quando mi chiedono chi sia la mia cantante preferita io rispondo sempre Billie Holiday. Non aveva niente di spirituale, ma una sofferenza incredibile dentro di sé, mi tocca il cuore tutte le volte che la ascolto. C’è qualche cantautore capace di emozionarti in questo modo? Battiato ha raggiunto delle belle quote e Perché? Nel momento stesso in cui si mette a comporre dà più spazio alla sua verità interiore che non alla voglia di affermarsi, fare successo. Credo molto nella sincerità del cantautore. rituale, ma come disco non è facilmente catalogabile. Avevo in mente le cose di Arvo Pärt, Terry Riley e Klaus Schulze e l’ultimo brano, Spirituality, ha un chiaro riferimento alla cosmic music degli anni 70. Io ritengo che in questo disco il connubio testo-musica sia molto equilibrato, certo il suono di per sé colpisce direttamente i centri dell’anima, la musica non avrebbe bisogno del testo per comunicare qualcosa, poi magari una frase di un testo ti entra dentro e diventa il tuo mantra, te la ripeti durante la giornata, ma il suono ti colpisce nelle parti sottili della tua interiorità. Io e Rosario abbiamo volutamente escluso riferimenti politici o di natura polemica e ci siamo fatti guidare da quello che la canzone richiedeva e non riesco a immaginare questi brani diversi da come sono. La tecnologia è importante per lavorare in questa direzione. Anche se il mio sogno rimane quello di fare un album solo chitarra e voce o piano e voce. Hai già qualche nuovo lavoro in mente? Sto per pubblicare il live degli ultimi due concerti, voce e armonium con Roberto Mazza all’oboe, che feci negli anni 70 nel teatrino della Villa Reale di Monza e alla Comuna Baires di Milano. Nella musica e nella ricerca spirituale spesso si parte da un maestro. Franco Battiato lo è stato per te? È l’amicizia che ci unisce, più che il percorso spirituale. Franco per me è stato importante soprattutto agli inizi quando andavo a trovarlo a casa sua e me lo vedevo con il pianoforte smontato con ferri e mollette per cercare delle sonorità. È stato il primo in Italia a utilizzare il Vcs per fare musica elettronica, mi affascinava. Per me è stata un’apertura verso un campo sonoro al quale non avevo pensato. Io facevo la canzone “chitarra e voce” e mi fermavo lì, non vedevo come rivestire il brano e nemmeno mi interessava. Per me la canzone era già completa in quella maniera. Nel campo spirituale invece ho due maestri: lo sri indiano Aurobindo e Santa Teresa d’Avila. Dalla chitarra all’armonium: quando è avvenuto questo passaggio? Si era formato un gruppo che si chiamava Il Telaio Magnetico, con Franco Battiato, Mino Di Martino, che suonava nei Giganti, Terra Di Benedetto, e io che cantavo col megafono. Abitavo a Porta Ticinese, a Milano, all’ultimo piano, nessun vicino, suonavo indisturbato a tutte le ore del giorno e della notte. Uscivo di casa solo perché insegnavo musica nelle scuole elementari di Milano 2. Un giorno vidi questo organetto a casa di Claudio Rocchi, ne aveva uno bianco. Anche lui abitava all’ultimo piano, in una casa bellissima, in viale Campania. Gli chiesi se poteva prestarmelo e lui me lo lasciò per più di un anno. Rocchi è stato il primo in Italia a iniziare un certo percorso, mi parlava di Lao Tse e di altre filosofie orientali di cui io non sapevo assolutamente nulla. È stato un grande e non ha avuto assolutamente quello che si meritava. r Non pensi che il concept di SPIRITUALITY costituisca una gabbia o una bibbia per i testi? È un concept con la stessa matrice spi- Da gennaio, Juri Camisasca e Rosario Di Bella porteranno SPIRITUALITY in tour. Tra le date in calendario, anticipiamo quelle di Catania (14), Napoli (22) e Roma (25). 15 LIGABUE Il cantautore con il suono di una band Un album nato all’improvviso, scritto in pochi giorni e registrato quasi in diretta. Eppure MADE IN ITALY, ultima fatica di Luciano Ligabue, vale la pena di ascoltarlo con calma. Merita attenzione e, dopo, applausi. Intervista di A Lucio Mazzi lla fine, questo album è uscito… Eh, non riuscivo più a tenerlo… Infatti, prima della pubblicazione, i fan avevano avuto piccole anticipazioni con quattro pezzi nuovi presentati in concerto a Monza, poi la copertina e il titolo sul web… Sì be’, è che ero troppo contento di come erano venute le cose e non vedevo l’ora di condividere il mio entusiasmo, poi però ci sono certi tempi da rispettare. Tempi che invece durante la lavorazione del disco… In effetti, lì abbiamo fatto in fretta… Le canzoni sono nate tutte in un attimo: ho scritto e provinato tutto in 20 giorni, quasi senza dormire, una botta di creatività pazzesca… Poi l’ho fatto sentire alla band… Normalmente succede che dai ai musicisti gli spartiti, loro ci ragionano, ci studiano, poi vengono in studio e si prova… Invece in questo caso, con Luciano Luisi [produttore dell’album, ndr] abbiamo fatto ascoltare ai ragazzi le canzoni e poi li abbiamo messi davanti ai loro strumenti. Senza starci troppo a ragionare. Ma devo dire che ho una band pazzesca con cui sono totalmente in sintonia e ognuno ha contribuito in maniera fondamentale. Alla fine, l’abbiamo registrato prati16 camente in diretta, come si faceva una volta, riprendendo le take dall’inizio alla fine. Una volta si usavano anche strumenti… di una volta… proprio come in questo caso… Questa è stata una scelta loro: ognuno ha avuto la possibilità di mettersi in sintonia con questi pezzi nella maniera che sentiva più “giusta”, e in effetti alla fine sì, c’è un gran uso di chitarre e bassi “d’epoca”, piani Wurlitzer, clavinet, organi Hammond… Sai, il L’abbiamo registrato praticamente in diretta, come si faceva una volta, riprendendo le take dall’inizio alla fine traguardo che ho sempre inseguito è di essere un cantautore col suono di una band, e in questo momento ho la sensazione precisa di averlo raggiunto. Questa sintonia permette anche a loro di trovare la migliore cifra di espressione con lo strumento migliore, che tante volte è stato proprio uno strumento vintage. Poi volevo provare a fare un disco moderno ma fatto “alla vecchia”, a tutti è piaciuta questa idea del ritorno all’artigianato del suonare, che forse si è concretizzato in un suono addirittura più moderno di quello che senti in giro adesso… Anche gli arrangiamenti sono una dichiarazione d’amore alla storia del rock e del soul, ma ovviamente attraverso il filtro della sensibilità di oggi. Poi, sai, questi sono film che uno si fa nella testa, e bisogna vedere quanto verrà recepito da chi ascolta. Ecco, in generale ti preoccupi di come viene recepito ciò che fai? C’è un vecchio detto secondo cui ognuno sente in una canzone quello che vuole, ed è verissimo. All’inizio ero spiazzato dal fatto che, nonostante abbia sempre usato un linguaggio molto diretto, molto comune, a volte quello che dicevo veniva ugualmente frainteso, adesso invece trovo bellissimo il fatto che una canzone dia del… “lavoro da fare” a qualcuno. Poi che questo lavoro porti in una direzione diversa da quello che avevo pensato, va benissimo. L’importante è che a chi lo fa sia utile. LIGA DA RECORD ROBERTO PANUCCI Dal 1990, Luciano Ligabue ha pubblicato 20 album (tra cui SU E GIÙ DA UN PALCO del 1997, il live più venduto di sempre in Italia con oltre un milione di copie) e 5 libri, diretto 2 film, e tenuto oltre 700 concerti (suo il record europeo di paganti per il concerto di un singolo artista, con i 165.264 spettatori del concerto del 10 settembre 2005 al Campovolo di Reggio Emilia). Più di sessanta i premi ricevuti in ambito musicale, cinque quelli come scrittore e dieci per la sua attività cinematografica. LIGABUE Finito un disco, aspetti di vederlo nei negozi. In quei momenti ti senti più teso, curioso, disinteressato perché tanto “quello che è fatto è fatto”, vada come vada…. Ah no! Disinteressato mai! In questo caso, credo fossi soprattutto ansioso, subito dopo curioso. Ok, quello che è fatto è fatto, siamo d’accordo, ma questo è un lavoro dove mi sono preso un sacco di libertà che non so che effetto faranno. Sarebbe una delusione grossa, se alla fine non piacesse. Poi, anche dal punto di vista musicale, degli arrangiamenti, i pattern di batteria, le linee di basso, i riff di chitarra… è tutta roba mia: questo è un disco che mi rappresenta completamente. E ovviamente ti rappresentano anche i contenuti… Ovvio, anche se Riko, il protagonista di questa storia raccontata attraverso 14 canzoni, sembra anche più incazzato di me! Infatti, questo è un concept album in cui i brani rappresentano gli elementi di un unico racconto. Però mi dicevi che ognuno può vivere di vita propria… Esatto. Secondo me, all’interno di questi testi c’è comunque un verso che può vivere anch’esso di vita propria, anche se estrapolato dalla canzone di cui fa parte… Vogliamo provare a partire da questi versi per parlare di questi brani e non solo? Avanti! Nell’iniziale La vita facile, Riko dice: “La vita che aspetto, che so che mi aspetta, DEVE essere stata tenuta da parte per me”: alla fine, ci si costringe sempre a sperare in qualcosa di meglio? Riko è una persona di mezza età che si rende conto che la sua vita non è andata come doveva andare, per colpa sua, per colpa delle situazioni, non importa. Alla sua età, spesso si finisce per essere rassegnati a questo. Ma lui non è rassegnato, è incazzato, vuole riscuotere le promesse che gli sono state fatte. Non sta sperando che arrivi il meglio: lo pretende. In Mi chiamano tutti Riko, lui dice: “Ma dico cose vecchie, che tutti già sapete, che tutti ricordate, se volete”. È l’inutilità di parlare a chi non vuol sentire? Anche tu spesso dici cose che la gente in realtà sa bene, ma che fa finta di non… Sì, ma questo non mi ferma. Lo so che 18 Mi sono preso un sacco di libertà che non so che effetto faranno. È un disco che mi rappresenta completamente tante cose che dico la gente le sa già, ma forse dirle in modo diverso, mostrandole da un’angolazione diversa, permette di avere un sentimento rispetto a quell’argomento. È venerdì, non mi rompete i coglioni è a mio parere uno dei vertici dell’album. La frase che ho individuato è “Adesso c’è bisogno di rumore e non pensare a quello che c’è fuori”: parli della necessità di staccare almeno per un po’ con la vita vera? Io credo che ci sia in giro, fino dove arriva il mio sguardo, sugli amici, sulle persone che frequento, una grande compressione che deriva da fattori esterni, ma magari anche da un lavoro interiore che non si è fatto fino al punto giusto. Questa compressione fa sì che si tiri avanti con grande insoddisfazione e scontentezza, e ha bisogno di uno sfogo. Riko la trova nelle serate del venerdì sera: uno sfogo indispensabile per non scoppiare. Forse, ognuno di noi ha il proprio “venerdì sera” che lo salva. Vittime e complici: “Questo muro duro e trasparente, ci vediamo ancora ma non passa niente”. Ecco il vecchio tema dell’incomunicabilità, anche in un momento storico in cui la comunicazione pare al massimo… Questo per me non è facile capirlo, perché il mio punto di vista è un po’… particolare: quando comunico con qualcuno, soprattutto se non ci conosciamo, capisco che lui parla non con me, ma con la proiezione che ha di me, quindi le mie percezioni sono un po’ falsate. Nello specifico, è evidente che quando stai da anni con una persona, se non ci lavorate entrambi bene sopra, cresca comunque una barriera tra voi, ognuno prende i propri spazi e fa anche fatica a condividerli con l’altro. Però è vero che in un momento in cui la comunicazione non è mai stata così tanta, penso che paradossalmente aumenti la sensazione di isolamento. Ma non tanto perché comunichiamo scrivendo invece di guardarci in faccia, non è questo, ma per il fatto che in questa iperbole della comunicazione ci si ritrae un po’. Almeno, a me fa questo effetto… Leggo tante parole estreme, tanta informazione gonfiata, tanti commenti eccessivi sui social per farsi notare nel marasma, ma non credo che tutto questo rifletta quello che siamo veramente, quanto invece l’immagine che ci costruiamo per essere notati o letti e dietro cui ci nascondiamo… Internet quindi descrive una società inesistente? Io credo che con Internet siamo ancora in una fase di laboratorio, non è ancora quello che sarà… Forse tra qualche anno capiremo veramente cosa sta succedendo. A meno che il processo non acceleri ancora e allora sarà veramente impossibile capire. In Meno male, mi ha colpito la frase “Che vergogna ritrovarsi a pronunciare ‘meno male’”: rappresenta la tensione tra solidarietà ed egoismo? Proprio così. Immaginavo Riko, che odia il proprio lavoro ma che senza sarebbe perso, vedere un collega chiamato dall’ufficio personale con un misto di dispiacere e di sollievo… Del tipo: “Anche questa volta l’ho scampata”. Mi sembra una situazione oggi abbastanza frequente. G come giungla. Questa è facile: “Non basta restare al riparo” è un’esortazione a darsi da fare… È un invito a rendersi conto che il vento sta cambiando così velocemente e così forte che non si può semplicemente stare al riparo: qui non è solo questione di difendersi, ma di prendere anche in mano le cose. In Ho fatto in tempo ad avere un futuro dici “che si trova sempre la ragione per brindare”… O ricordare o dimenticare… La canzone ha un testo amaro: ho fatto in tempo ad avere un futuro che non fosse soltanto per me… nel senso che mi dispiace che chi viene adesso non ce l’abbia. Però volevo che Riko non lo dicesse in maniera triste, così intanto ho usato una struttura musicale vagamente Motown anni 60 e poi mi piaceva questa immagine del brindisi. Un brindisi… comunque: o per ricordare o per dimenticare… se bevi un po’ di più dimentichi, se bevi un po’ di meno ricordi. L’occhio del ciclone ha una frase che sembra una profezia: “Troppa rabbia nell’aria, qui non può finire bene”. Gli artisti, in quanto tali, hanno antenne che gli permettono di restare in sintonia con il loro LA MIA BANDA SUONA IL ROCK ROBERTO PANUCCI Ligabue e la sua band, una storia d’amore che si rinnova ogni sera, sul palco. Luciano Luisi alle tastiere, Max Cottafavi e Federico Poggipollini alle chitarre, Davide Pezzin al basso, Michael Urbano alla batteria. Per un album come MADE IN ITALY, il loro apporto è stato fondamentale, più del solito. pubblico, sennò non avrebbero un pubblico: le tue che tipo di segnali ricevono in un momento come questo? Buona parte delle riflessioni contenute in questo disco derivano da una cosa abbastanza… banale, familiare… Da più di trent’anni, frequento una ventina di amici con i quali affittiamo una casa in campagna dove abbiamo ricostruito il nostro bar, ci ritroviamo, ci facciamo da mangiare, giochiamo a biliardo o a carte… cose normali. Sono operai, impiegati, camionisti, contadini, un paio di imprenditori, e costituiscono un microcosmo abbastanza rappresentativo. Ed è normale che in queste serate venga fuori qualche incazzatura, spesso di carattere politico, sai, le tasse che paghi, i servizi che non hai, quelle cose lì… Ecco, a me stupisce che questo tipo d’incazzatura ancora non abbia trovato il modo per esprimersi, perché un conto è incazzarsi tra amici e un conto è far sentire davvero la propria voce. E penso che in effetti da diversi anni questo sia difficilissi- mo farlo perché anche il corteo, la manifestazione in cui si trova Riko, ha un effetto molto diverso da quello che aveva, che so, negli anni 70, quando rivestiva un’importanza maggiore. Oggi spesso si ha un senso d’inutilità totale a scendere in piazza. Però in questo caso Riko sente comunque di dover fare qualcosa e anche se le cose per lui non vanno benissimo, quella presa di posizione e le sue conseguenze rappresentano proprio la scossa che gli permette di rimettere in movimento l’ingranaggio della sua vita. In Quasi uscito, colgo una tentazione: “Potrei lasciarmi andare”… Sì, ma uno alla fine poi non ce la fa, Riko di sicuro non ce la fa. In Dottoressa, Riko sente che “c’è da fare un po’ di pulizia nella testa e nel resto”… Ne parlavamo prima: siamo davvero troppo bombardati da informazioni, emozioni, suggestioni… Si rischia sempre di fare del moralismo, soprattutto se si fanno prediche alla “si stava meglio quando si stava peggio”, ma ragioniamo sui dati di fatto: in questo momento, in termini di tecnologia, di possibilità, stiamo vivendo in un mondo fantastico, incredibile. Allora perché continua ad aumentare la sensazione che ci sia un’infelicità media fin troppo diffusa? Le risposte possono essere tante e ognuno ha la sua, quella di Riko è dire: c’è questa dottoressa gnocca che sembra anche stare al gioco, se permettete io stacco per un po’. La canzone è spudoratamente leggera, da questo punto di vista! Dai, stiamo un po’ filosofeggiando, ma la cosa che credo io è che questo senso d’infelicità sia dato molto da una velocità cui ci dobbiamo adeguare e che non è la nostra. Magari le generazioni successive alla mia vivono questa velocità, questi ritmi, senza questo attrito, ma io, ad esempio, non sono capace di ascoltare la musica in streaming: non la considero una brutta cosa, anzi io da ragazzo sognavo 19 TONI THORIMBERT Se ci pensiamo, i momenti di grande felicità che ricordiamo sono quelli in cui eravamo totalmente presenti LIGABUE la possibilità di avere a disposizione tutta la musica del mondo, ma come entro su questi canali non riesco a stare su un album: è troppa l’offerta che trovo lì vicino, mille novità, e se ti piace questo, allora dovresti ascoltare quello, e quell’altro… così finisco per saltare di qua e di là e in questo modo anche l’alimentazione dell’anima che ti dà la musica per me diventa schizofrenica, meno soddisfacente, meno appagante. Allora per tirare il fiato mi dico stop e metto su un vinile, ma riesco a farlo sempre più raramente perché comunque le giornate hanno ritmi che te lo concedono sempre meno… Insomma, le cose te le godi meno. È come non permettere alle cose di raggiungere la profondità che devono raggiungere. Vale magari per quelli della mia generazione, ma forse non solo… Insomma, la musica ha bisogno del tuo tempo per regalarti quello che stai cercando. Questa è bella: in I miei 15 minuti, Riko si chiede: “Chissà cosa staranno dicendo nel mio quartiere”. Quanto t’interessa l’opinione che di te hanno gli altri? Molto! Cioè, no… non tanto quello che dicono di me, che mi è sempre fregato poco: m’interessa quello che dicono del mio lavoro, quello sì. Questo riguarda una cosa su cui mi sono mosso fin da subito: se tu decidi che la canzone per te è uno strumento che ha un ruolo per la gente, a quel punto ti avventuri in un mondo impossibile da controllare, perché la gente è fatta di milioni di persone diverse con le loro idee, sensibilità ecc. Non hai un interlocutore fisso, chiaro, quindi ogni volta che pubblichi una canzone puoi solo incrociare le dita perché cosa ne sai se un ragazzino di 14 anni di Lecce, figlio di un notaio, s’identifica con te che hai 56 anni e alle spalle una vita di tutt’altro tipo. Allora, queste cose non si possono sapere, forse sarebbe stato più facile se mi fossi mosso su un terreno più alternativo, godendo delle coccole di una nicchia ristretta, omogenea… Ma questa incertezza dà poi una sensazione elettrizzante, euforizzante, perché alle volte scopri cose delle tue canzoni che non sapevi, grazie proprio al feedback che ti ritorna. Forse per questo le canzoni mie che arrivano meno, mi sembrano in qualche modo sbagliate: non dico mai “non l’hanno capita”, dico “dove ho sbagliato?”. È una stronzata, me ne rendo conto, ma a me viene da pensare così… Per questo sto molto a sentire quello che dicono sul mio lavoro, perché mi permette di capire se ho sbagliato e dove. DIETRO LE QUINTE “Mentre stavamo mixando le registrazioni di Campovolo, più o meno un anno fa, Luciano sparisce. E non per un’ora: per 20 giorni non si sa dove sia. Poi un giorno si ripresenta in studio e mi dice: ‘Hai un’ora che devo farti sentire le canzoni nuove?’. Un’ora? Anche una settimana! E lui mi tira fuori 14 canzoni finite, provinate, perfette…”. Così il produttore di MADE IN ITALY Luciano Luisi racconta la genesi dell’ultima fatica di Ligabue. La rivelazione, assieme a tante altre (di fatto il ma- king of dell’album con interviste, retroscena, canzoni e curiosità, è contenuta in Ligabue: Made in Italy, un docufilm di 45 minuti scritto da Emanuele Milasi e Alessia Rotondo, e diretto da Valentina Bertani - in curriculum clip per Liga, Negramaro, Stadio ecc.) che Fox e FoxLife hanno mandato in onda in contemporanea lo scorso novembre, qualche giorno dopo l’uscita dell’album. Chi l’ha perso, tenga d’occhio le inevitabili repliche: ne vale decisamente la pena. Parli di informazione nella frase “Come hanno fatto presto a cambiare faccia appena spento il microfono”, che troviamo in Apperò. Sì… più precisamente, di come oggi l’informazione sia costretta a essere veloce. Le notizie devono essere sparate e cambiate ogni 15 minuti sul web. Questo comporta un lavoro diverso da parte dei giornalisti che devono essere veloci, efficaci e passare subito ad altro, ma questo comporta anche un effetto sulla gente che si abitua a metabolizzare la peggiore notizia e passare subito a quella dopo. dentro ogni momento di felicità”. All’inizio del disco, Riko sta male per la sua situazione “esterna”, ma per star bene bisogna cercare al proprio “interno”? Perfetto, volevo dire esattamente questo. Uno può incazzarsi per il mondo esterno, ma è necessario che faccia un lavoro su di sé. Questo è un invito che faccio a tutti: lavorate su di voi, perché questo permette di avere una consapevolezza maggiore di quanto una cosa la possiate cambiare o no. Ma c’è un discorso che va anche un pelino oltre. Io credo che nella convulsione della nostra vita siamo sempre un po’ assenti dal nostro presente: sempre più legati a quello che ci è successo e proiettati verso i nostri piani futuri, è difficilissimo stare nel presente. Eppure, se ci pensiamo, i momenti di grande felicità che ricordiamo sono quelli in cui eravamo totalmente presenti. Tante volte ci facciamo sfuggire un momento di felicità perché non “siamo presenti” a quel momento. Quindi nel lavoro che uno deve fare su se stesso c’è anche l’impegno a essere molto più presente al momento che si sta vivendo, godendo più facilmente delle cose piccole che stanno capitando. La felicità è un attimo, guai a farselo scappare. d In Made in Italy parli di “un treno che non è mai stato una volta in orario”: sottile metafora di…? Ma di niente! Era solo un giochino per parlare dei disservizi italiani e dei luoghi comuni… Perché sappiamo che quando c’era Lui i treni arrivavano sempre in orario! Ahahaha, esatto, no poi sarebbe bello giocare sulla metafora del treno, ma lì è davvero solo un giochino senza troppi significati! Un’altra realtà chiude l’album con una frase cruciale: “Dici che parte sempre da MADE IN ITALY è recensito a pag. 45 21 io Endrigo g r e S a ll a alinconia tinuatore della m a ll e d e ). Con cantor Moderno le cose, alla Pascoli “panelliani”). Ma co ti (e delle pic tiana (però con tes pe Peveri in arte ep tis scuola bat i col passato, Gius on dei parag a le tasche piene. nadio h cesco Do di A Fran Dente ne Intervista ’era grande attesa per il suo sesto album CANZONI PER METÀ, e il quarantenne songwriter di Fidenza non ha deluso affatto – anzi – realizzando un’opera spiazzante come da par suo: 20 canzoni, 13 delle quali di durata molto breve, alcune perfino pochi secondi. Dopo un disco molto arrangiato (ALMANACCO DEL GIORNO PRIMA), eccone uno intimo e minimalista. A cosa è dovuta questa scelta? Volevo fare un disco da solo, suonarlo tutto io, e registrarlo in casa. E l’ho fatto. Però riascoltandolo non mi piaceva tanto, era troppo lo-fi. Io in casa non è che ho uno studio di registrazione, ho proprio le cose minime per registrare dei demo. Come operazione era un po’ troppo esagerata. E quindi, ho deciso di andare a Livorno [allo studio di Andrea Appino degli Zen Circus, ndr] a mettere “in bella” quello che avevo fatto. Ne è venuto fuori un disco raffinato. Ci sono anche delle belle sonorità elettroniche. Già nei demo che avevo fatto a casa avevo usato un sacco di elettronica… Avevo anche comprato dei sintetizzatori, delle batterie elettroniche, che non avevo mai usato prima. Quando poi sono andato in studio, ci ho un po’ giocato e ha funzionato il fatto di uti- lizzare i miei limiti come musicista – che ne ho un sacco di limiti (ride) – come un punto di forza. Non essendo un batterista, per poter fare i pezzi con la batteria mi sono dovuto inventare delle cose: ho preso delle vecchie batterie elettroniche, quelle degli anni 70, le ho campionate, le ho tagliate, le ho messo sotto una base, poi ci ho suonato sopra la batteria. Insomma, ho usato una batteria vera sopra una batteria “finta”. Alla MCCARTNEY II, insomma. Esatto! Solo che lui è più bravo di me a suonare… L’album contiene diverse canzoni molto brevi, qualcuna anche di pochi secondi. Ma tu vai proprio in cerca di queste idee che ti distinguono dalla massa o è qualcosa che fa parte di te? No, non sono pensate. Io sono sempre stato affascinato dalla sottrazione. Quando avevo tipo 16-17 anni, avevo fatto un librettino intitolato Immagini ed erano dei racconti di 3 righe, di 4 righe, di 1 riga. Per quanto brevi, erano dei racconti veri, secondo me, perché raccontavano un’immagine. Comunque, questo disco anch’io non l’ho capito bene. Lo ascoltavo e lo riascoltavo e dicevo: “Mah, chissà cosa farà? Piacerà, non piacerà? È bello, non è bello?” Ho letto che appena l’hai finito eri un po’ “perplesso” (parole tue)... È vero. Ero molto perplesso… Io volevo fare questo disco di canzoni un po’ “matte” che avevo… Ne avevo tante e volevo metterle tutte insieme. Però ero anche impaurito, a questo punto della mia carriera – dove ho appena fatto un disco pomposo con tutte le orchestrazioni, in un’Italia dove tutti stanno cercando di sfondare in radio, facendo pezzi più pop possibili e immaginabili – e insomma, io faccio un disco che va dall’altra parte. Avevo molta paura di questa cosa. Però a un certo punto me ne sono fregato e ho detto: “Queste canzoni mi piacciono, sono sincere, mi pare stupido non pubblicarle”. Ha colpito molti quella strofa di Canzoncina in cui canti: “I cantautori non vendono più”. Ma è davvero così difficile oggi fare il cantautore? È difficile perché continuano a paragonarci a quelli degli anni 70. Io sono un po’ stanco di quelli che dicono: “Sì, bravo, però De André… Però De Gregori…”. I cantautori degli anni 70 hanno lasciato un patrimonio incredibile. Però son passati 40 anni e il nostro Paese è completamente diverso da allora. Non ha senso fare paragoni tra quello che scrivevano loro (che vivevano il loro tempo) e quello che scriviamo noi (che viviamo il nostro tempo). Non possiamo parlare come parlavano loro. I tempi son cambiati: in mezzo c’è Internet, ci sono i telefoni cellulari… Quello che noi viviamo quotidianamente, negli anni 70 era fantascienza. Loro poi vendevano milioni di dischi. Voi no. Sì, perché i dischi, come si diceva, non si vendono più: è una grande verità. Anche se arrivi in Top 10, comunque hai venduto poco, magari 800 copie, oggi come oggi. È una tristezza inenarrabile. Ma per quanto riguarda le percentuali di Spotify? Sono infime. A meno che tu non faccia 10, 15, 20 milioni di ascolti di ogni brano: allora puoi pensare di guadagnare dei soldi. BACIATO DALLA CRITICA 40 anni, originario di Fidenza, Giuseppe Peveri in arte Dente muove i primi passi nella scena “indie” con ANICE IN BOCCA del 2006, colpendo l’immaginazione dei critici che subito lo definiscono un “nuovo Battisti”. L’appena uscito CANZONI PER METÀ è il suo sesto album. Ma se ne fai anche un milione, come ho fatto io, no. Non è una cosa che ti può far dire: “Ok, sto facendo i soldi con la musica”. L’unica cosa che resta sono i concerti. Della scena cantautorale c’è qualcosa che ti è piaciuto quest’anno? La nuova onda romana mi piace: Calcutta, Motta… Colapesce e Di Martino fanno cose secondo me di valore. Mi piace molto Massaroni Pianoforti che è un cantautore di Voghera. E Niccolò Carnesi ha fatto un disco bellissimo. CANZONI PER METÀ è un disco da Premio Tenco secondo te? Da “Tenco immemore” (ridacchia)… Mah, non lo so… Ci sono stato al Tenco, qualche volta. Sono sempre stato nei finalisti, ma non ho mai vinto. E ti piacerebbe vincerlo? Mi piacerebbe sì! Mi dispiacerebbe vincerlo “per la carriera”. Sai, quelle robe lì che te le danno che stai per morire: “Diamolo a Dente quest’anno, che l’anno prossimo non ci sarà più”. d 23 Eugenio Finardi è un artista simbolo degli anni 70. Oggi, un box raccoglie i suoi primi 5 album e ci restituisce una cosa a cui non siamo più abituati: il senso del futuro. dischi anni 70 di Eugenio Finardi hanno segnato un’epoca. C’è dunque molto di cui parlare quando ci troviamo di fronte a 40 ANNI DI MUSICA RIBELLE, il box antologico da poco pubblicato che mette insieme i primi 5 album del cantautore milanese (NON GETTATE ALCUN OGGETTO DAL FINESTRINO, SUGO, DIESEL, BLITZ e ROCCANDO ROLLANDO), incisi fra il ’75 e il ’79. La storia parte da lontano, dal ritrovamento dei nastri originali su cui furono incisi quei dischi, ma è strettamente legata all’attualità attraverso quello che è, a oggi, l’ultimo lavoro di studio di Finardi, FIBRILLANTE (Universal, 2014), che il suo autore ha definito “un disco di lotta contro il nuovo Medioevo”. Da quelle tracce, trasuda lo stesso spirito che all’epoca diede vita agli album ora raccolti nel box, anche se proposto con la maturità, la profondità riflessiva e un po’ anche il disincanto dell’uomo di 24 oggi. 40 ANNI DI MUSICA RIBELLE è dunque un modo di riavvolgere il nastro, una ricapitolazione che non sa di nostalgia o di mera celebrazione, ma piuttosto di una riattivazione di quelle energie nel contesto contemporaneo, uno sguardo all’indietro che serve a illuminare la strada da fare di qui in avanti. Ma riavvolgiamo, appunto, il nastro, per raccontare questa storia, che non è soltanto una storia di musica, con l’aiuto del suo protagonista. “L’origine di tutto – ci racconta Finardi – risale addirittura al 1996, quando Alfred Tisocco [figlio ed erede dell’editore della leggendaria Cramps, ndr] vendette le edizioni dell’etichetta di famiglia e si trovò a dover svuotare l’ufficio da tutto il materiale d’archivio. Con rara lucidità, restituì a ciascun artista le cose che lo riguardavano. Un giorno, si presentò da me con un grosso scatolone pieno di fotografie, ricevute, ordini di distribuzione… e i 24 piste di SUGO e di BLITZ. Ovviamente, a me quel materiale fece l’effetto di una madeleine di Proust: venni trasportato indietro nel tempo, al GUIDO HARARI Intervista di A Federico Fiume 64 anni, milanese, di padre italiano e madre americana. Una ventina di album alle spalle, Eugenio Finardi è considerato il “cantautore rock” per eccellenza, ma nel corso della sua carriera ha frequentato anche generi come il blues o il fado e collaborato con molti altri grandi artisti. 25 ROBERTO MASOTTI ’75, ’76. Mi sono ritrovato a respirare l’aria di quel momento lì e mi è venuta voglia di raccogliere ancora più materiale. Poi è passato il tempo, siamo arrivati al 2014, quando la Universal ha pubblicato FIBRILLANTE, il mio ultimo disco. Guarda caso, la Universal è anche l’erede del mio catalogo, perché prima di ROCCANDO ROLLANDO Gianni Sassi della Cramps mi ‘vendette’ alla Polygram, poi assorbita dalla Universal, mentre tutto il resto del catalogo Cramps è finito alla Sony, che ci ha dato cortesemente il permesso di utilizzare le etichette Cramps dell’epoca per questo box. Nello stesso modo, la Universal ci ha fornito i master dei miei primi dischi. Cosa fare di tutto quel materiale? Si avvicinava anche il quarantennale di SUGO – e quindi di Musica ribelle – e dunque l’idea del box ci stava tutta. Il box contiene anche delle sorprese… Sì, perché volevamo fare qualcosa anche con i multitraccia, così alla fine siamo arrivati alla conclusione di realizzare questo Dvd con tutte le tracce separate di Extraterrestre, Musica ribelle e Voglio, che possono essere remixate a piacere da chiunque. Sta anche nascendo l’idea di fare una pagina su Soundcloud, dove la gente potrà pubblicare il suo mix. Il libro poi è pieno di foto e materiale assolutamente inedito. Anche le copertine sono accuratissi- me, esattamente come quelle di allora, sin nei minimi particolari e sempre con riferimento alla prima stampa, ma questo lo vedi soprattutto nella versione in vinile. Inoltre, la nuova masterizzazione ha molto migliorato la qualità sonora. Abbiamo ritrovato frequenze che mancavano nei dischi originali, si sentono strumenti che erano quasi scomparsi, anche a causa di un tipo di lavorazione del vinile che si usava allora e che lo mutilava, in un certo senso, di tutta una serie di frequenze. Che effetto ti ha fatto riascoltare quei nastri? È stato sorprendente. La prima canzone che abbiamo sentito, dopo averla digitalizzata e caricata su Logic, è stata Voglio, che è ancora oggi una delle mie preferite: non era mixata ed era in mono, eppure sembrava mixata alla perfezione. Eravamo noi che suonavamo a quel modo, in presa diretta. Poi magari sul disco c’erano un paio di sovraincisioni, ma Musica ribelle, l’originale, è su 12 piste. Volevamo quell’immediatezza, perché Musica ribelle voleva essere musica rock, anche se italiana. In effetti, tu sei stato il primo a inserire il rock nelle canzoni italiane in un modo diverso da quello allora consueto. Le tue erano canzoni, ma erano rock in un modo personale e ancora mai sentito allora. E poi, sembrava tutto molto istintivo, molto naturale. Era davvero così? Assolutamente. Era tutto suonato ascoltandosi in diretta e senza alcuna pre-produzione. Allora non si entrava in sala se non c’erano l’arrangiatore, il produttore, il discografico… noi abbiamo fatto tutto da soli, ed eravamo un gruppo di ragazzini. Lucio Bardi all’epoca del primo disco aveva 16 anni. Walter Calloni 19, io 23, Alberto Camerini 24. Era iniziato tutto dal primo album con Saluteremo il signor padrone, ma quel disco, assai psichedelico e dove sperimentavamo molto, non era ancora a fuoco. Voglio invece, inciso prima Abbiamo ritrovato frequenze che mancavano nei dischi originali, si sentono strumenti che erano quasi scomparsi Intorno alla Cramps, in quegli anni, si muoveva una scena molto creativa e innovativa, in cui convivevano avanguardia, jazz, canzone, rock e musica popolare… Sì, eravamo un collettivo di persone creative. Alle cene di Gianni Sassi, ti trovavi insieme a John Cage, Paola Pitagora, Nanni Balestrini, due operai dei Cobas dell’Alfa Romeo, gli Area… c’era uno scambio continuo di idee, stimoli, collaborazioni. Per dire, quando registrammo Saluteremo il signor padrone c’era con noi Battiato che suonava il VCS 3. Facemmo anche un tour con una giovane Gianna Nannini, ancora acerba cantautrice, ma era una di noi, si vedeva che era una con le palle, come poi ha dimostrato di essere. Allora era ancora trattenuta in una dimensione musicale che non la rappresentava e io le dissi che doveva fare rock, doveva essere se stessa. Sei mesi dopo uscì America. L’introduzione al libro contenuto nel box è di Carlo Massarini, tuo storico e fraterno amico. È vero che Extraterrestre la scrivesti pensando a lui? Sì, in realtà era per Carlo e per un altro mio amico. Ma gliel’ho detto solo molto tempo dopo, lui non l’aveva mai sospettato. Loro sognavano la Giamaica, l’America, sembrava sempre che volessero essere altrove. Extraterrestre, che fu il mio primo insuccesso perché MUSICA RIBELLE Il 45 giri che fotografò un’epoca. ‘tradiva’ il Finardi militante, prendeva spunto da quell’atteggiamento. Ma anche quella era musica ribelle, ribelle nei confronti delle fughe dalla realtà, dei viaggi in India etc., perché alla fine diceva che ovunque tu vada non puoi sfuggire a te stesso. ROBERTO MASOTTI delle session di SUGO e uscito come singolo, credo nell’autunno del ’75 con Soldi sul retro, è il primo pezzo in cui ha preso forma compiuta questo modo di fare musica italiana con gli accordi in maggiore, svisato ma suonato quasi come jazz-rock. Io non volevo fare del rock come in America o in Inghilterra, che fosse derivato dal blues, con la pentatonica. Io sono per metà americano ed ero un cantante di blues, quindi sapevo che in italiano il blues non funzionava, non aveva mai funzionato. Però l’atteggiamento del rock, lo spirito, la forza, l’energia del rock, io la volevo declinare attraverso la musica popolare italiana. 27 Come nacque la vostra amicizia? Noi eravamo già fratelli prima di incontrarci fisicamente, grazie alla trasmissione radiofonica Per voi giovani che conducevamo, lui da Roma e io da Milano, nel 1973. Ancora oggi, non sappiamo chi di noi due fu il primo a trasmettere Bob Marley alla radio italiana. All’epoca, qui nessuno lo conosceva, tanto che Lucio Battisti mi convocò a casa sua per ascoltare questo giamaicano e poi mi mandò anche Mario Lavezzi, insie- IL ROCKER CHE LIBERA LA MENTE Finardi e gli anni 70: un binomio inscindibile. La sua musica ha colto lo spirito di un’epoca, interpretando i bisogni di una generazione. Non a caso, i programmatori delle radio libere stravedevano per lui. 28 me a una bellissima ragazza di 17 anni, che era Loredana Bertè. Vennero a casa mia a sentire Marley e pochi mesi dopo uscì …E la luna bussò. Da allora diventammo amici e venivo spesso a Roma, città che adoro, a trovarlo. Ti piace ancora fare radio? Certo, io adoro la radio, ma non la faccio con le playlist come si usa ora, voglio scegliere io cosa mandare. Il 4 novembre scorso, al teatro Dal Verme di Milano, hai tenuto uno speciale concerto con alcuni dei componenti delle band originali che hanno contribuito alla realizzazione dei tuoi primi album: Walter Calloni, Lucio Fabbri, Lucio Bardi, Claudio Pascoli, Mark Harris, Mauro Spina e Maurizio Preti (Crisalide), Patrizio Fariselli e Ares Tavolazzi (Area), Vittorio Cosma e gli amici Elio e Faso delle Storie Tese. Purtroppo, mancava Hugh Bullen che è scomparso recentemente. C’è speranza di poter replicare l’evento in futuro? Non sarà facile. Quel concerto è stato prodotto da me e dalla mia società, la EF Sounds, e in quel caso, un regalo che mi sono fatto in perdita. Potremmo farlo ancora, ben volentieri, ma sarebbe necessario uno sponsor o un partner che ci permettano di coprire i costi. Per quanto mi riguarda, è stata una cosa che mi sono potuto permettere di fare una volta sola. GUIDO HARARI Dopo questa immersione nei tuoi primi dischi, come vede l’uomo di oggi quel ragazzo di allora? Quando ho rivisto quelle vecchie foto, alcune per la prima volta… Io ho un figlio di 26 anni ed è stato come vedere lui, con un misto di tenerezza, di affetto, ma anche un po’ di imbarazzo per l’ingenuità, ma anche di stupore per le intuizioni che avevo avuto, sia testuali che musicali, di cui mi ero dimenticato. È un sentimento che mi commuove. Mi stupisco di quell’innocenza, della speranza che c’era in me. Prima degli amori, dei figli, dei divorzi, dei lutti, prima della vita, quando tutto era ancora una promessa. La cosa più bella è il riconoscersi, non fisicamente perché io non sono più quello, sono questo, ma sono ancora quello nel cuore, perché non ho tradito i miei ideali di allora, non ho tradito me stesso, sono ancora io. Credo che FIBRILLANTE lo dimostri e che sia un disco degno di stare accanto a quelli del box, però l’ho fatto con dei ragazzi che hanno la metà dei miei anni, gli stessi che mi accompagnano in tour. Tutto sommato, col senno di poi, mi sembra che questi 40 anni siano stati belli e coerenti. Ma tu, anche rispetto a quelle speranze, oggi ti senti sconfitto? Sconfitto no: mi sento solo. Gli anni 60 e 70 sono stati un periodo di grandi conquiste. Se pensi alla condizione delle donne negli anni 50, al colonialismo, i popoli oppressi, la condizione degli studenti… Se vedi un film degli anni 50 e poi vedi, non so, Blow Up o 2001: Odissea nello spazio, ti rendi conto della velocità che ha acquisito in quegli anni l’evoluzione umana e sociale. Se mi chiedessero cosa vorrei prendere dagli anni 70 per portarlo nel presente, risponderei “il senso del futuro”. Allora davvero c’era speranza nel futuro, c’era ‘il sol dell’avvenire’. Ma quel sole ora è così vicino che sta sciogliendo i ghiacci, desertificando interi continenti, sta bruciando tutto. È decisamente un futuro di merda rispetto a quello che immaginavamo allora. d 5 cd+libro+dvd • Universal L’effetto che fa ascoltare i Cd o i dischi in vinile di questo box è duplice, soprattutto per chi quegli anni 70 li ha vissuti. Album conosciuti, canzoni con cui si ha confidenza: il primo effetto è il riconoscimento, il sorgere improvviso di antiche emozioni giovanili. Poi c’è l’altro effetto che accomuna l’ascoltatore ‘esperto’ a quello che invece quelle canzoni le conosce poco o per niente: quel suono nuovo, sgargiante, avvolgente, ben superiore a quello dei dischi originali, merito di un ottimo remastering. Cinque dischi vecchi e nuovi allo stesso tempo, questo il piccolo miracolo di “40 anni di musica ribelle”, con in più (nella versione Cd) l’intrigante gioco del remix personale che ciascuno può creare a suo gusto, grazie ai multitraccia presenti nel Dvd. 29 Chiunque abbia provato a fare musica in maniera anche minimamente seria, ha avuto a che fare con la Società Italiana degli Autori ed Editori. La ultracentenaria società gestisce da sempre il monopolio dei diritti d’autore in Italia, e per quel che concerne la musica, è l’unico soggetto abilitato a regolamentare l’immissione di nuove opere nel mercato, oltre che a gestire le royalties della musica suonata dal vivo e riprodotta in radio e televisione. Da qualche anno, però, un altro nome si è affacciato con prepotenza sul mercato: Soundreef. Nata a Londra nel 2011 ad opera di Francesco Danieli e Davide D’Atri, Soundreef si occupa d’intermediazione di compensi di autori ed editori. Dapprima attiva solo nell’ambito della diffusione della musica in locali commerciali, nel 2014 allarga il proprio mercato agli eventi e alla musica dal vivo, fino ad avere tra i propri clienti due artisti dal largo successo commerciale come Fedez e Gigi D’Alessio e a promettere il servizio di copertura totale dei diritti d’autore a partire dal 1° gennaio 2017. Tra i due non corre buon sangue, tocca dirlo: la SIAE si riconosce come l’unica società autorizzata a operare all’interno di un mercato monopolista, Soundreef si appella alla direttiva europea Barnier e a una sua attuazione che permetta una liberalizzazione del mercato e possa garantire a nuovi soggetti di operare, senza dover necessaria30 A cura di A Riccardo De Stefano Chiunque faccia musica sa cos’è la SIAE, la società che da sempre gestisce i diritti d’autore in Italia. Una storia lunga più di un secolo, vissuta all’insegna del monopolio. Almeno fino all’altro ieri. mente figurare come una realtà straniera. A oggi, la contesa vive una situazione di stallo, con le due società in causa aperta, anche se sempre più artisti scelgono di passare dall’altra parte iscrivendosi a Soundreef, attirati dalla promessa di compensi maggiori, più trasparenti e più veloci rispetto a quando offerto dai propri competitors. In questo quadro delicato e complesso, abbiamo voluto lasciare la parola ad alcuni dei protagonisti coinvolti, oltre che ad alcuni utilizzatori dell’uno e dell’altro servizio. A voi il giudizio. Questa prima parte si concentra sulle posizioni espresse da Soundreef, rimandando al prossimo numero le puntuali risposte della SIAE sulla delicata materia. DAVIDE, LO SFIDANTE Davide D’Atri, fondatore e amministratore delegato di Soundreef. Qual è in breve la storia di Soundreef nel mercato del diritto d’autore? d Abbiamo fatto un percorso di costruzione, un pezzo alla volta, iniziando nel 2011 in Inghilterra dopo un lunghissimo market test, col solo servizio di musica di sottofondo nei grandi esercizi commerciali. Nel 2014, abbiamo iniziato a raccogliere le royalties degli eventi live, realizzando in Italia oltre 2000 concerti. Nel 2016 grandi autori come Gigi D’Alessio e Fedez sono passati da SIAE a Soundreef, e altri grandi nomi dobbiamo annunciarli nelle prossime settimane. Ci sono oltre 8000 autori italiani che si sono iscritti a Soundreef, il 10% del totale iscritti SIAE, mentre dal 1° gennaio 2017 Soundreef raccoglierà tutte le tipologie di royalties: radio televisione, fonomeccanico e da internet. In cosa consiste l’imminente apertura a tutte le tipologie di royalties? Ci sarà una competizione diretta tra voi e SIAE? d Siamo stati in concorrenza con SIAE nella musica di sottofondo, ci siamo messi in concorrenza con la raccolta dei live. Per noi, non è una novità essere in concorrenza: dal 1° gennaio possiamo offrire ad autori ed editori i nostri servizi e piattaforme. Vedranno dove la loro musica sta suonando, quanto stanno guadagnando, quando e quanto verranno pagati, come Davide D’Atri è l’uomo più odiato dalla SIAE. Dal 2011 è amministratore delegato di Soundreef, la società da lui fondata a Londra insieme a Francesco Danieli. vengono trasmesse le loro opere, come succede già per la musica di sottofondo e gli eventi live. All’atto pratico: cosa vi distingue da SIAE? d Abbiamo una sola grande regola: dividere ogni royalty in maniera analitica al 100%. È possibile da fare tecnicamente, senza ritardo e per ogni utilizzazione, in ogni classe di diritto, e poi dare una reportistica trasparente e veloce ad autori ed editori, per fare in modo di dividere i compensi per ciò che è stato effettivamente suonato: se un piccolo concerto vale 15 euro e vengono fatti 15 brani, a me autore spetta un euro. È tecnicamente possibile e non si comprende perché, in alcune classi, alcune collecting society abbiano per i piccoli concerti ancora la regola che il 75% degli incassi è diviso in maniera forfettaria e non per il programma musicale. Pensiamo che sia essenziale una rendicontazione e un pagamento super veloce, nella maggior parte dei casi, è possibile rendicontare a 7 giorni e pagare a 90, in maniera molto più efficiente e veloce rispetto ad adesso. È inoltre possibile mettere le informazioni sull’account online e facilitare la visione delle operazioni: sono attività tecnologiche che non hanno a che fare con problemi legali o commerciali. Questo genere di concorrenza che facciamo serve perché la tecnologia si sviluppa solo attraverso dei processi competitivi; senza, la tecnologia non si sviluppa. Ciò non significa che noi siamo per una liberalizzazione selvaggia, GOLIA, IL GIGANTE Filippo Sugar, dal 19 marzo 2015 Presidente del Consiglio di Gestione della SIAE. 31 anzi il contrario: siamo per una liberalizzazione controllatissima, vogliamo che tutto il mercato sia controllato. Riconosciamo il preziosissimo ruolo della SIAE per la concertazione collettiva e per il controllo sul territorio. Diciamo per primi che deve avere un ruolo predominante in una serie di settori, come nelle piccole utilizzazioni, come il bar sotto casa o il parrucchiere: noi stessi daremo mandato alla SIAE in questi casi, però quel mercato è il 15% del totale. È scorretto dire che serve il “controllo totale” su tutte le utilizzazioni, non è così: quando parliamo di radio e televisione, i BYE BYE SIAE La stretta di mano fra Gigi D’Alessio e Davide D’Atri, che sancisce il passaggio dell’artista napoletano dalla SIAE a Soundreef. È il 28 maggio 2016. 32 broadcaster importanti saranno una trentina, e così per i grandi concerti ce ne saranno circa 5. In alcune utilizzazioni, la SIAE è essenziale, e anche con una sorta di liberalizzazione sarà predominante per tanti anni. Non vogliamo buttare giù l’infrastruttura: gli operatori che verranno si appoggeranno alla SIAE con delle regole stabilite insieme. SIAE ha spesso attaccato Soundreef, soprattutto riguardo la legittimità del vostro operato in Italia, dove a tutt’oggi ancora vige un monopolio in mano alla società guidata da Filippo Sugar. In che modo opera in Italia Soundreef? d Quella della legittimità delle nostre operazioni è un argomento noioso: abbiamo vinto nel 2014 presso il Tribunale di Milano in primo grado e in appello e i giudici hanno stabilito che le nostre attività sono lecite in territorio italiano. Crediamo che la direttiva della Commissione Europea emanata nel 2014 parli chiaro in materia di concorrenza da una nazione all’altra, crediamo che ci siano norme sul libero scambio di merci e servizi all’interno della Comunità europea che non posso essere ignorante. Ma c’è un tema importante: la proprietà privata dell’autore e dell’editore. Un brano non è di proprietà della SIAE o dello Stato, ma dell’autore e dell’editore, che ne dispongono come desiderano, secondo qualsiasi legge nazionale e internazionale. Se un autore o editore decide di dare mandato a Soundreef e revocare il mandato a SIAE, questa non può incassare compensi per autori e editori. Se un utilizzatore diffonde musica Soundreef e Soundreef non ha dato il mandato SIAE, l’utilizzatore può fare 3 cose: diffondere illecitamente musica, andando incontro a sanzioni civili o penali; pagare le licenze a Soundreef; non diffondere quella musica. Non ci sono altre possibilità, secondo le normative italiane ed europee. Con 8000 autori ed editori italiani iscritti a una nuova società, siamo andati oltre le accuse mosseci: il punto non è se possiamo o meno operare, ma trovare piuttosto delle regole comuni tra Soundreef e SIAE che permettano all’utilizzatore di licenziare il catalogo Soundreef e SIAE senza problemi. Fedez è da qualche mese un artista che lavora con voi e collabora con J-Ax, che invece è un artista SIAE. Questo non impone che ci siano delle regole comuni tra voi? d La condizione di Fedez e J-Ax è comune agli 8000 autori iscritti a Soundreef, che collaborano reciprocamente con tutti. Anche Gigi D’Alessio aveva 950 brani registrati in SIAE: significa che ci sono migliaia di coautori e coeditori, è una condizione che appartiene a tutti. Bisogna avere un senso di responsabilità, non si può lasciare all’utilizzatore il compito di interpretare le leggi nazionali ed europee: l’utilizzatore deve avere dei messaggi chiari, concordati da Soundreef e SIAE per un ecosistema che abbia delle linee guida. Noi lo abbiamo chiesto alla SIAE, ma non mi sembra che abbia accolto la richiesta di sederci a un tavolo tecnico per comprendere quali possono essere le regole comuni per questo momento di transizione. Loro si rimettono al governo, che speriamo si rimetta alla Direttiva Europea Barnier [che sancisce la libertà di scelta di un uti- lizzatore della società che preferisce per la gestione dei propri diritti d’autore, ndr], ma prima ancora ci sono delle procedure pratiche che vanno discusse in un tavolo tecnico, dove gli operatori si devono confrontare. In Inghilterra, noi ogni mese siamo ricevuti dal corrispettivo del Comitato Permanente sul diritto d’autore italiano per discutere dei problemi pratici. È questo il modo per affrontare la situazione, non coprendosi gli occhi e ripetendo “monopolio”. Come interpreti il modo con cui SIAE affronta la questione? d Questo silenzio è incomprensibile e lo vediamo solo in Italia. È vero che in altri Paesi ci sono stati comportamenti aggressivi nei nostri confronti, ma le società di collecting estere danno dei messaggi chiari agli utilizzatori. Quando veicoli messaggi contraddittori, crei una situazione di incertezza nel mercato. Perché lo fanno, non sta a noi giudicarlo. Noi siamo entrati nell’ottica di parlare con i grandi utilizzatori e cercare di trovare delle regole comuni che vanno bene per noi, per il grande utilizzatore e la stessa SIAE. Pare non si rendano conto che il 1° gennaio è dopodomani. Un brano non è di proprietà della SIAE o dello Stato, ma dell’autore e dell’editore, che ne dispongono come desiderano Davide D’Atri IL PRIMO A FARE IL GRANDE PASSO Il 29 aprile 2016, Fedez decide di passare a Soundreef. Nel suo tipico stile, comenta così: “Mi gioco il culo insieme a loro, anche perché gli sto dando tutto il mio patrimonio autoriale”. 33 Al di là delle questioni tecniche, legali e burocratiche, quello che conta davvero è poi come la musica riesce a girare. Abbiamo chiesto a un musicista e a un editore di esporsi sulla materia e di parlarci di Soundreef. Adriano Bono è stato tra i primissimi professionisti ad abbandonare SIAE per passare a Soundreef, mentre Pietro Paluello è un editore che lavora con SIAE da molti anni, senza problemi. L’OPINIONE DI ADRIANO BONO Credo che Soundreef sia il futuro del diritto d’autore in Italia. O meglio, credo che SIAE sia il passato. E questo a causa del suo approccio ottocentesco, verticalista, inefficiente e dispersivo, che ha già fatto abbastanza danni alla cultura in Italia, agli autori e a tutti quelli che lavorano in funzione di questi, ossia musicisti, tecnici, grafici, gestori di locali etc. etc. Tutti danneggiati dagli enormi danni causati da SIAE e dalla sua scellerata gestione e raccolta del diritto d’autore. Ho scelto Soundreef perché credo mi convenga anche nell’immediato, e infine per dare il mio contributo allo svecchiamento del nostro Paese, almeno per quel che riguarda il mercato del diritto d’autore. La SIAE è diventata con il tempo un dinosauro burocratico, clientelare e familista, capace solo di vessare gli organizzatori di eventi. Basti pensare che è stata in molte occasioni sotto commissariamento, proprio a causa delle sue imperdonabili inefficienze. Anche oggi, riesce a redistribuire dei soldi agli aventi diritto solo grazie a spregiudicate manovre finanziarie che riesce a gestire grazie al ritardo con il quale 34 salda il dovuto (o una sua parte almeno!) agli aventi diritto. Queste cose sono sotto gli occhi di tutti, sono innegabili. Sono convinto che sul lungo periodo i miei introiti da diritto d’autore aumenteranno, i costi per gli organizzatori diminuiranno e se questo succederà su grande scala e per tanti altri autori come me e come quelli che stanno passando a Soundreef, ne guadagnerà tutta la scena musicale italiana. Oltre agli aspetti economici, è anche bello sapere di potersi togliere ogni tipo di curiosità sui proprio introiti da diritto d’autore con un semplice click, andando a visitare la propria area personale sul sito di Soundreef. Posso vedere ogni singola canzone quanti soldini da diritto d’autore ha generato, e in quali occasioni. E questo è molto soddisfacente. Una volta, ho chiamato SIAE per fare una verifica del genere su una singola canzone, e mi hanno risposto che servivano mesi per ottenere informazioni simili e che dovevo sborsare un gettone di 50 € o roba del genere. Assurdo. Finalmente si sta parlando di abbattimento del monopolio SIAE, un risultato che senza dubbio migliorerà di parecchio l’ecosistema e il mercato del diritto d’autore, con grande beneficio per tutti, autori, organizzatori e pubblico. Inoltre, la SIAE stessa finalmente si sta dando una svegliata, con tentativi di innovazione sulla falsariga di Soundreef (gratuità per i nuovi associati, borderò digitali, restyling del sito) che per il momento sono ancora goffi e di facciata, ma che magari nel giro di qualche anno potrebbero diventare più concreti e renderla molto meno arcaica e obsoleta. Credo che i problemi di SIAE siano molto profondi in realtà, che forse sarà impossibile riformarla davvero, ma in ogni caso ogni tentativo in quella direzione è un ottimo segnale. Un altro risultato è di carattere psicologico, in quanto molti organizzatori di concerti in giro per l’Italia finalmente si stanno rendendo conto che il pagamento del diritto d’autore è qualcosa che va ben oltre una mera tassa a fondo perduto da pagare all’esattore della SIAE per il concerto. Quando vado a suonare, gli organizzatori che fanno la pratica online per ottenere la licenza Soundreef per il mio concerto spesso mi dicono che si sono trovati benissimo, che hanno pagato la metà o un terzo del solito e che sono ben lieti che quei soldi che hanno pagato andranno davvero agli autori delle canzoni cantate durante il concerto. ADRIANO BONO Autore, cantante e polistrumentista, Adriano Bono fonda nel 1993 le Radici nel Cemento, band di culto del circuito reggae-ska. Dal 2009 suona come solista, proponendo negli ultimi anni il proprio show Reggae Circus, nome anche del suo ultimo album. L’OPINIONE DI PIETRO PALUELLO Più che fare l’editore, “cerco” di fare l’editore. Soundreef sta operando in virtù di una normativa europea che, tra virgolette, liberalizza il mercato: sono norme complesse e complicate, ma tutto sommato può essere utile uno stimolo, dato che nel nostro Paese tutto si è staticizzato. La liberalizzazione di cui tanto si parla già c’è e anche da tempo, tanto che gli autori italiani che sono iscritti a società straniere non sono pochi e sono tutelati anche dalla SIAE, in virtù degli accordi a carattere internazionale che nei passati decenni la stessa SIAE ha potuto e saputo mettere in piedi. Non che in SIAE sia sempre andato bene tutto, ma adesso è tutto il nostro sistema, quello della musica, che subisce un cambiamento radicale grazie alle nuove tecnologie. Da associato SIAE, tutelato dalla SIAE, che riceve i diritti da anni, posso dire che iniziare prima questa rincorsa informatica sarebbe stato meglio, ma da qui a dire che è tutto da buttare proprio no, anzi! Fatico anche a capire come rispetto al meccanismo di presenza sul territorio della SIAE qualcun altro possa sopperire dalla sera alla mattina. Il problema grande, che non è imputabile alla SIAE, sono la moltitudine e la diversità delle comunicazioni: è un sistema variegato e spezzettato, perché non ci sono solo gli eventi dal vivo o le televisioni e le radio, pubbliche e private, ma oramai una serie di mille altre diverse utilizzazioni. Se queste comunicazioni arrivano in ritardo o non arrivano addirittura per niente, si possono creare meccanismi per cui un diritto invece di arrivare nel 2013, ti arriva nel 2016. La tecnologia può aiutare, e la SIAE forse lì per lì non è stata proprio tempestiva, ma si sta velocemente muovendo e adeguando per trovare soluzioni e risposte migliori. La logica delle cose sta nel dare risposte: il vantaggio di SIAE è la sua struttura sul territorio, che gli consente di esercitare una gestione capillare - unitamente agli aspetti informatici io la potenzierei ancora, certo, poi va considerata anche una logica di costi. Ma oggi come oggi, se c’è un concerto che viene fatto… che so… in provincia di Nuoro, con 100 persone di pubblico, è più facile che quel diritto lo vada a prendere la SIAE piuttosto che Soundreef o altri. La verità vera è che i dischi, i supporti fisici, non si vendono più e il cosiddetto “mercato” si è quasi completamente spostato sul web. Allora non dobbiamo più perdere di vista certi obiettivi: nei confronti di Google e dei “gestori” della rete, bisogna arrivare a poter pretendere di andare a un tavolo per parlare di diritti, e quindi non possiamo essere frammentati, né l’uno contro l’altro. Servirebbe un Governo che imponga a tutti di mettersi intorno a un tavolo e trovare l’accordo: il diritto d’autore è un brevetto e chi crea arte deve avere una forma di sostentamento. E purtroppo l’attuale volume economico di questo nuovo sistema non consente più, di certo in Italia e salvo rarissimi casi, di permettere a un giovane di fare della propria musica un progetto professionale di vita. In conclusione, se mi dovessi rendere conto che la SIAE non tutela più i miei interessi, per me sarebbe un problema, ma per il momento non è quello che sta succedendo. Quello che la SIAE dovrebbe cercare di fare, e so per certo che è quello che sta cercando di fare, è di fare meno “forfettario” possibile e dare sempre più riconoscibilità ai diritti. So che ci vorrà un po’ di tempo, sarebbe così per chiunque, ma ci sono le modalità e, per quel che ho modo di verificare, anche le volontà per migliorare questi aspetti ci sono e credo fermamente che la soluzione non sia andare lì e sfasciare tutto o, come si dice, buttare l’acqua con tutto il bambino, quanto invece valorizzare gli aspetti positivi e correggere ciò che si può far funzionare meglio. PIETRO PALUELLO Pietro Paluello (1957) dirige la società di edizioni musicali Heristal Entertainment e produce colonne sonore cinema, tv e teatro, con una library di oltre 4000 titoli. Inoltre, organizza eventi dal vivo e si dedica al recupero e all’attualizzazione digitale di vecchie e rare incisioni. 35 IL GRANDE CANADESE GEORGE ROSE/GETTY IMAGES Nato a Montréal, Canada, nel 1934, Leonard Cohen è uno dei songwriters più influenti di sempre. È scomparso il 7 novembre 2016, all’età di 82 anni. Il suo ultimo album, YOU WANT IT DARKER, era uscito meno di un mese prima, il 21 ottobre. Il primo accordo Spesso, un’intera vita è condizionata da un episodio. È accaduto anche nel caso di Leonard Cohen, il songwriter canadese scomparso lo scorso 7 novembre all’età di 82 anni. Testo di A Ira Bruce Nadel a prima cosa che scrisse in vita sua, Leonard Cohen la seppellì. Dopo la morte del padre, scucì dall’interno uno dei suoi eleganti papillon, vi infilò un bigliettino e lo nascose poi sotto la neve nel piccolo giardino dietro la sua casa di Montreal. Per un ragazzino di nove anni, era un gesto potente e simbolico. Per certi versi una sorta di funerale privato, con la parola scritta in luogo di una visibile espressione di dolore. Il bigliettino garantiva anche un legame con il padre: ogni volta che avesse composto qualcosa, Leonard avrebbe ristabilito il contatto. Una fusione di arte e sacramento, rito e scrittura. Il giorno del funerale era anche il compleanno della sorella, ma nessuno ne fece menzione. Se ne accennò solo a fine giornata, quando i due bambini in lacrime confidarono l’un l’altro di avere intravisto il genitore nella bara aperta durante la cerimonia funebre. Cohen chiese allora alla sorella di non piangere, perché doveva essere un giorno di festa per lei, ma né a lui né a lei era possibile evitare l’immagine dominante della giornata: il volto del padre, rigido nell’ora della morte com’era sempre stato in vita. La morte del padre nel gennaio 1944 fu l’evento centrale della giovinezza di Cohen e fissò un principio fondamentale della sua arte. Come avrebbe spiegato in The Favorite Game, “la privazione è la madre della poesia”. Il lutto lo spinse anche a una ricerca, che dura tutt’oggi, di padri e maestri. Psicologicamente, la morte del genitore fu per Cohen una liberazione e gli permise di seguire i suoi interessi senza ostacoli; fu però anche una prigione, perché lo costrinse in qualche misura al ruolo di capofamiglia, responsabile del benessere dei suoi per quanto interamente dipendente dagli zii. “Cosa significa crescere senza padre? Ti fa crescere più in fretta. Sei tu a fare le parti a tavola, tu a sederti al suo posto”, risponde il narratore di The Favorite Game. Come in buona parte del suo lavoro, Cohen trasforma quel che è psicologico in spirituale. “La morte del padre gli conferì un tocco di mistero, un contatto con l’ignoto. Poteva parlare di Dio e dell’Inferno con un’autorità speciale”. La perdita lasciò una duratura cicatrice, un segno che Cohen nel primo romanzo avrebbe definito “ciò che accade quando la parola si è fatta carne”. Quel biglietto nel papillon fu il talismano portato lungo una vita intera. “Ho scavato nel giardino per anni, cercandolo. Forse ho fatto solo questo nella mia vita, ho cercato quel biglietto”. d Estratto da Una vita di Leonard Cohen di Ira B. Nadel, appena ristampato da Giunti. UOMO DI PAROLA Più poeta che musicista, Leonard Cohen è rappresentato in libreria da diverse raccolte di versi e due romanzi, The Favorite Game del 1963 e Beautiful Losers del 1966. 37 Testo di A Lucio Mazzi ino a un paio d’anni fa, l’idea di mettermi a incidere dischi non mi passava neanche per la testa. Scrivevo canzoni, ma con l’unico scopo di dimostrare a me e agli altri che in fondo ne ero capace anch’io. Poi un giorno mi vengono a cercare, mi chiedono se voglio incidere un disco. Un intero 33 giri, capisci?! Forse avrei dovuto rinunciare o per lo meno fermarmi un attimo a pensare, ma come si fa in certi momenti a non farsi trascinare?”. Così uno sconosciuto Vasco Rossi raccontava i propri inizi nella sua prima intervista a una rivista musicale importante («Ciao 2001») nel settembre 1979. Era appena uscito NON SIAMO MICA GLI AMERICANI e a questo ra- Da sconosciuto, a personaggio di culto “per pochi”, a star assoluta: il percorso di Vasco Rossi è nato lentamente, anno dopo anno, canzone dopo canzone. Qui esploriamo gli anni 80, il momento cruciale in cui, grazie a un pugno di album fondamentali, Vasco è diventato… Vasco. gazzone dell’Appennino modenese forse valeva la pena di dedicare un po’ di spazio. Una paginetta in bianco e nero: non di più. Il cambio di marcia Solo 3 anni (e due album) dopo, Vasco Rossi si guadagna, però, i gradi sul campo: recensendo VADO AL MASSIMO, quella stessa rivista indica il cantautore (“ma più che un cantautore potrebbe benissimo es- VASCO IN HIFI La Fonè ridà smalto a 5 classici di Vasco Così, Vasco non l’avete mai sentito. Su questo, nessuna discussione. È assodato che il vinile abbia una resa sonora superiore al Cd (e non parliamo della musica liquida), ma questi vinili sono addirittura superiori agli originali. Stiamo parlando della riedizione in vinile dei 5 album incisi da Vasco Rossi per la Carosello fra il 1982 e il 1987 (VADO AL MASSIMO, BOLLICINE, VA BENE, VA BENE COSÌ, COSA SUCCEDE IN CITTÀ e C’È CHI DICE NO), realizzata dalla Fonè di Giulio Cesare Ricci, un autentico mito del suono analogico, che abbandona il mondo della musica classica e del jazz acustico per dare a Vasco “la miglior voce possibile”. Ricci è partito dalle registrazioni originali, e rispettandone assolutamente suoni, colori e dinamiche le ha rilavorate con i suoi sistemi analogici valvolari, evitando quindi 38 sere definito un rocker italiano”) come il “Lou Reed italiano”, “per il suo modo autentico di vivere in prima persona i drammi e le nevrosi elettriche di un animale-artista metropolitano, e per il duro lirismo-verismo urbano dei testi molto personali delle sue canzoni”. Anche la stampa, insomma, inizia ad accorgersi di questo nuovo personaggio che cerca di farsi largo. E non può che essere così, dopo un Sanremo che Va- qualsiasi manipolazione elettronica che potesse anche minimamente mutarle, e realizzando un nuovo master su nastro da mezzo pollice che viaggia a 76 cm al secondo, inciso con la macchina usata dai Rolling Stones per tutti gli anni 70. Da questo master, sono state stampate le 500 copie numerate di ogni titolo. Solo 500? Esatto, “perché dopo 700 la qualità del suono leggermente scade per via dell’usura della pressa”, spiega Ricci. Di queste, 4 sono rimaste nell’archivio di Ricci e 496 sono finite nei negozi. E sono meglio degli originali usciti negli anni 80 perché, come spiega sempre «Mastro Vinile», “all’epoca per questioni tecniche veniva usualmente tagliata la gamma medio-bassa, cosa che io non ho fatto. In questi 5 vinili, quindi non c’è solo Vasco come non l’avete mai ascoltato, ma anche l’esatta percezione del suono degli anni 80 e la sua evoluzione durante quel decennio”. Lucio Mazzi Vasco nel 1980, l’anno dopo NON SIAMO MICA GLI AMERICANI. ANGELO DELIGIO/MONDADORI PORTFOLIO VIA GETTY IMAGES STO ARRIVANDO! ANGELO DELIGIO/MONDADORI PORTFOLIO VIA GETTY IMAGES sco aveva in qualche modo preso a calci nella sua sacralità, ma che era riuscito a sfruttare nella maniera migliore come vetrina promozionale. All’uscita di VADO AL MASSIMO, dopo 4 album (MA COSA VUOI CHE SIA UNA CANZONE, NON SIAMO MICA GLI AMERICANI, COLPA D’ALFREDO e SIAMO SOLO NOI) Vasco si trova a un bivio: o succede qualcosa o sarà meglio tornare a fare il dj. E qualcosa quel Sanremo lo fa davvero succedere. Grazie anche al fe- SANREMO FAMOSI Vasco Rossi sul palco del Festival della Canzone Italiana, mentre interpreta Vado al massimo. Sanremo, gennaio 1982. 40 stival, Vasco si affaccia infatti alla porta della vera celebrità e VADO AL MASSIMO (oltre la title-track, almeno altri 3 i brani rimasti nella storia, Ogni volta, Splendida giornata e La noia) rappresenta proprio il primo passo oltre la soglia: è il primo di 5 album cruciali realizzati per la Carosello (e oggi ristampati dalla Fonè, come leggete in queste pagine), prima del grande salto di categoria, con il passaggio a una major: la Emi. Poi dicono che Sanremo non serve: certo, a Vado al massimo era stato necessario cambiare il testo (dall’esplicito “voglio andare a vedere se, come dice il droghiere, laggiù masticano tutti foglie intere” al più innocuo “laggiù vanno tutti a gonfie vele”), ma alla fine il disco vende 100.000 copie (quasi il triplo del precedente SIAMO SOLO NOI) e raggiunge l’11° posto in classifica. Tra l’82 e l’83, Vasco sfonda definitivamente. Grazie ancora a Sanremo (l’anno dopo Vado al massimo, tocca a Vita spericolata), ma soprattutto alla sua capacità di sfruttarne le potenzialità promozionali, pur prendendone le distanze. Il risultato è che quando esce BOLLICINE, Vasco è già un personaggio di successo. Dopo pochi mesi, vincerà addirittura il Festivalbar. Per dare l’idea dell’escalation della sua popolarità, bastino due cifre a confronto: VADO AL MASSIMO aveva venduto 100.000 copie, BOLLICINE ne vende un milione! Ma che disco è BOLLICINE? La stampa dell’epoca applaude: parla di “ruvida delicatezza” grazie a “un suono al tempo stesso ironico e notturno, sfrenato e nostalgico, testi inusuali” e di “voce rauca intenzionalmente maliziosa da Lou Reed della periferia bolognese, un po’ meno melodrammatico dell’originale” («Ciao 2001»). Tutti d’accordo? Non proprio: secondo «Rockstar», “rispetto al passato qui risulta un notevole appiattimento su tutta la linea. A parte Vita spericolata e Una canzone per te che scalderanno molti cuori, non ci sono contenuti notevoli. Chi ha scoperto Vasco oggi cerchi di recuperare i vecchi dischi”. A chi credere? Come abbiamo visto, la gente seppe subito da che parte stare: elevò Vita spericolata al rango di inno generazionale, si divertì con gli slogan di Bollicine (per cui Vasco rischiò qualche bega da parte della Coca Cola che però, guardando il ritorno pubblicitario, si fregò le mani e lasciò perdere), “solidarizzò con Portatemi Dio, s’intenerì con Una canzone per te (chitarra elettrica del Pooh Dodi Battaglia, indicato in copertina come Battagia), si eccitò con Deviazioni e apprezzò l’atmosfera quasi elegante di Giocala. Tutto perfetto. Purtroppo per Vasco, è il periodo in cui dominano le classifiche 1993 di Dalla, SYNCHRONICITY dei Police e THRILLER di Michael Jackson e più su di un terzo posto BOLLICINE non va… Al primo posto, Vasco ci arriva invece grazie al suo primo album live. VA BENE, VA BENE COSÌ rappresenta un po’ la summa del percorso del rocker da Zocca alle stelle. Non solo: con il suo milione di copie, finirà per essere l’album più venduto dell’anno. Previsto inizialmente come doppio Cd con due inediti (oltre alla title-track, T’immagini, poi pubblicata nel successivo album di studio, COSA SUCCEDE IN CITTÀ), vede l’ingresso definitivo nella band di Vasco del bassista Claudio Golinelli detto “Il Gallo”. All’apoteosi artistica, però, fa da contraltare un difficile momento personale: l’arresto per droga, il carcere, la necessità di guardarsi dentro e, alla fine, la strada della disintossicazione. La nuova vita di Vasco Avrebbe dovuto intitolarsi COSA C’È, l’album della “nuova vita” di Vasco, dal titolo dell’unica canzone in cui si può cogliere qualche riferimento alla sue traversie giudiziarie (“Certo sei un bel fenomeno anche tu a farti prendere così…”), poi però si era scelto quello che tutti conoscono. In scaletta è presente anche una cover, quella di With A Shake Of Her Head dei Blizzard, che Vasco traduce in Una nuova canzone per lei, e compare finalmente quella T’immagini che doveva partecipare a Sanremo l’anno prima e che era stata scartata anche da VA BENE, VA BENE COSÌ. COSA SUCCEDE IN CITTÀ non funziona come i precedenti: “solo” 500.000 copie e il 2° posto in classifica: Sarà Vasco stesso a spiegare il perché in un’intervista alla rivista «Blu» di un paio di anni dopo: “L’album non mi ha soddisfatto perché venuto fuori in un periodo molto critico… Penso di aver scritto dei buoni pezzi, solo che alcuni non sono stati realizzati appieno per cui io vedo quel disco come frutto di un momento di passaggio”. Un momento che in compenso fu anche il periodo della maturazione e della consapevolezza: “Quando cantavo Vita spericolata, per me l’esistenza doveva essere realmente così: pensavo che non sarei mai arrivato a trent’anni visto che stavo spingendo parecchio sull’acceleratore. E il problema stava Prove d’immortalità Vasco tira finalmente il freno: dopo aver pubblicato 8 album in 8 anni, ce ne vogliono due perché riesca a completare C’È CHI DICE NO. Alla sua uscita, lui spiega di essersi messo a lavorare sul nuovo materiale solo dopo aver recuperato una propria serenità dopo anni burrascosi, e in effetti questo risulta essere un lavoro più maturo e profondo. Scrive «Rockstar»: “Meno immediato dei precedenti, ha bisogno di ripetuti ascolti per essere apprezzato in pieno, in tutta la sua profondità, perché non è un album superficiale”. Ce lo confermano brani riflessivi come Vivere una favola o Ridere di te, e testi per una volta velati di pessimismo che sembrano trasformare il giovane incazzato di un tempo in un uomo forse disilluso che fa i conti con quello che è diventato. In quei giorni, Vasco racconta a «Rockstar»: “La gente ama le mie canzoni e di conseguenza ama me, ma sono convinto che se mi conoscesse veramente perderebbe ogni interesse… Mi sento sicuro solo in compagnia degli amici della mia infanzia, quelli del periodo ante-Vasco Rossi, con loro posso essere me stesso, con gli altri non so mai bene cosa si aspettino da me”. E comunque “il successo mi ha tolto ma mi ha anche dato tanto, mi ha regalato qualcosa che non ha eguali: l’immortalità! Io posso morire domani, ma quello che ho fatto rimane. È proprio questo che volevo: lasciare un segno”. C’È CHI DICE NO venderà un milione di copie e raggiungerà (come poi avverrà per tutti gli album successivi) ancora una volta il 1° posto in classifica, dove resterà per 12 settimane. Con questo disco, il “nuovo” Vasco sembra raggiungere la vetta. Eppure, negli anni a venire, salirà ancora. d VADO AL MASSIMO, BOLLICINE, VA BENE, VA BENE COSI’, COSA SUCCEDE IN CITTA’ e C’È CHI DICE NO sono disponibili nella versione Fonè high quality remastered su vinile 180 gr. (limited edition 496 copie). IO LI RICORDO COSÌ I cinque album che hanno creato la leggenda di Vasco, visti da Maurizio Solieri VADO AL MASSIMO In quest’album c’è il primo pezzo che ho scritto per Vasco: Canzone. Ricordo che il pomeriggio in cui registrammo proprio Vado al massimo, Guido Elmi disse che per entrare nello spirito ci sarebbe voluta una bottiglia di tequila. Così andai fuori a comprarla. Alla fine della giornata, eravamo tutti ubriachi, ma il pezzo era venuto da dio… BOLLICINE Lì sperimentammo i primi suoni sintetici che andavano al tempo – sintetizzatori, computer. All’epoca, Elmi ascoltava molto gli ABC e secondo me si sente. La title-track fu provinata nella mitica cantina di Mimmo Camporeale, dove sono nate decine di canzoni di Vasco. VA BENE, VA BENE COSÌ Dopo Vita spericolata, Vasco era ormai una star e c’imbarcammo nel primo tour a livello nazionale: 100 date! Sul disco è finito il concerto di Cantù, registrato con lo studio mobile dei Rolling Stones che arrivò con un camion inglese… Tutto quello che si sente è quello che è successo sul palco, tranne il mio assolo su Albachiara: la versione live era troppo lunga e su Lp non ci stava, così dovetti risuonarne in VOTA LA VOCE I vncitori di ‘’Vota la voce’’ 1988. Da sinistra: i membri della categoria “miglior gruppo” Steve Rogers Band (Domenico Camporeale, Claudio Golinelli, Andrea Innesto, Massimino Riva, Beppe Leoncini studio una versione… ridotta. Comunque, è un disco che suona ancora benissimo. COSA SUCCEDE IN CITTÀ Fu registrato alla Maison Blanche a Modena, un posto bellissimo… La title-track s’ispirava molto a certa funk fusion che andava allora e si sente, anche grazie a due tastieristi che arrivavano dal gruppo di Pino Daniele (Ernesto Vitolo e Joe Amoruso) e al sax di Rudy Trevisi, sul finale. Qui ho firmato Dormi dormi. C’È CHI DICE NO La musica della title-track è mia e nasceva da un arpeggio un po’ tra Genesis e Pink Floyd alla THE WALL, con la chitarra clean ribattuta dall’eco, però anche il… suono del testo. Quando feci sentire la canzone a Vasco, aveva un testo in inglese maccheronico che diceva “Take a little love”: forse il suono gli suggerì la frase italiana. È mia anche Ridere di te e c’era anche un terzo brano, Stasera, originariamente scritta per la Steve Rogers Band, che però finì in LIBERI LIBERI. In quel disco, usai a tutto spiano un nuovissimo aggeggio che si chiamava Rockman e fu il primo emulatore da chitarra elettrica. Si sente benissimo in Vivere una favola, ma ascoltato oggi è datatissimo, veramente terribile! LM e Maurizio Solieri) posano con Gianna Nannini (miglior cantante femminile). Dietro, Jovanotti (miglior album) e Eros Ramazzotti (miglior cantante maschile). Il vincitore della categoria “miglior interprete straniero”, Nick Kamen, mostra il suo Telegatto in basso a destra. Bologna, 23 settembre 1988. ANGELO DELIGIO\MONDADORI PORTFOLIO VIA GETTY IMAGES nel fatto che l’idea mi piaceva, forse stregato da certi miti alla Hendrix. Poi sono arrivato a VA BENE COSÌ, vivendolo come l’ultimo album, avevo raggiunto i traguardi che mi ero prefisso per cui non pensavo che ci dovesse essere un dopo e credevo che la mia vita si sarebbe esaurita con uno schianto contro un albero. Fortunatamente, mi sono svegliato da tutto questo…”. RECENSIONI sca (MB), France rizio Becker DS), au (R M o : an di i ef st Te iccardo De St GiammetR ), C (F lli re Cecca Mario onadio (FD), (GG), Federico Francesco D elli ss ra G a to uc nl ti (MG), Gia Mattia Marzi (MM), Alber ca ), Lu G ), (F i M (F lm i lie nz Gug ancesco Mire Fr ), S) M (S (A ni ti ito Menen S), Simone Sp Secondino (L 47 Suzanne Vega 42 Assalti Frontali Mille gruppi avanzano Franco Battiato e Alice Live in Roma Boosta La stanza intelligente AUTOPRODOTTO UNIVERSAL wwwwwwwwww& wwwwwwwwww/ wwwwwwwwww( Grazie a Bonnot (entrato nella crew nel 2006, oltre a comporre e produrre, suona chitarre, basso e tastiere che si fondono con grande fascino ai suoni campionati) e alla forza poetica di Militant A, dopo 25 anni di carriera il gruppo hip hop più longevo d’Italia sforna 13 pezzi ispirati e potenti. Il lago che combatte (con il Muro del Canto) e In fondo al lago (con la voce di Sistah Awa) sono due perle che raccontano la storia e le lotte per rendere pubblico il primo lago naturale romano nato da abusi edilizi. Sempre di abusi, pur se in riva al mare, tratta la divertente Spiaggia libera. Il clima muta con Asbesto, una canzone sulle morti causate dall’amianto che mette letteralmente i brividi, e con Il quartiere è cambiato, una vera poesia sugli incidenti mortali subiti dai ciclisti. Menzione particolare per gli arrangiamenti e le sonorità meritano La fine dei sospiri e Faremo scuola. Un’ottima prova, che dimostra come gli Assalti Frontali, nonostante il passare del tempo, migliorino come il buon vino. FM Nel 2016, un album live fatica parecchio a trovare quella ragione d’essere che fino a un decennio fa gli spettava di diritto. Fortunatamente, LIVE IN ROMA di Franco Battiato e Alice è un’eccezione: una tracklist che affonda le mani in tutta la migliore produzione del primo, con qualche brano immancabile di Alice come Dammi la mano amore, Il vento caldo dell’estate e Il sole nella pioggia. Su diciotto tracce, possiamo trovare quasi tutti i brani che potrebbero riassumerne la grandezza e l’influenza di Battiato in un momento storico che sembra riscoprirne ogni giorno il valore: da Prospettiva Nevskij, realizzata in duetto con Alice, al classico La cura, passando per Centro di gravità permanente, Cuccurucucù e Shock In My Town. La cosa migliore di LIVE IN ROMA è che mantiene quasi intatta l’atmosfera mistica del tour e dei brani riarrangiati, come La stagione dell’amore, e le straordinarie versioni originali di Gli uccelli, L’era del cinghiale bianco e Sentimiento nuevo, fedelmente in chiusura. LS SONY MUSIC LA STANZA INTELLIGENTE è il primo album solista di Davide Dileo, in arte Boosta, da vent’anni tastierista dei Subsonica. È un lavoro coraggioso, sentito e scritto con onestà, anche se non sempre efficace o riuscito. Convince La conversazione di noi due, insieme a Enrico Ruggeri, per la grande presa dei synth, figlia dell’esperienza Subsonica, ma è Come la neve, insieme a Luca Carboni, con le sue chitarre graffianti e l’incedere sfrontato della linea di basso, a rappresentare probabilmente la prova migliore. Ingranano invece con difficoltà 1993, che passa senza lasciare traccia, e Noi, in duetto con Malika Ayane, elegante ma debole, nonostante sfiori le stesse note (di malinconia?) di By This River – scritta da Brian Eno nel 1977. Non c’è quella freschezza che ti aspetteresti da un esordio, né il timbro deciso che Boosta sa sempre dare ai suoi lavori con Samuel e compagni. Senza lode, nonostante le collaborazioni stellate e un’esperienza alle spalle che aveva caricato, forse un po’ troppo, le nostre aspettative. GG RECENSIONI David Bowie / AA.VV. Lazarus (Original Cast Recording) Sergio Cammariere Io Cisco I dinosauri PARCO DELLA MUSICA RECORDS EDEL GROUNDUP wwwwwwwwww& wwwwwwwwww( COLUMBIA wwwwwwwwww( wwwwwwwwww( La morte di David Bowie può solo porre un pesante “col senno di poi” in capo a ogni considerazione su LAZARUS. Perché se la convulsa trama del musical, sequel de L’uomo che cadde sulla terra, lascia(va) confusi, “col senno di poi” LAZARUS diventa un commovente ultimo saluto dell’alieno Bowie: le 19 tracce, cantate dal cast, percorrono la carriera di Bowie quasi come una celebrazione. Le tv star Michael C. Hall e Cristin Milioti sono fenomenali (Changes è incredibile) e la giovanissima Sophia Annie Caruso incanta in Life On Mars?. Ma, senza offesa, il disco è tutto negli inediti di Bowie, e nella sua voce, profonda e consapevole: c’è la frustrazione rabbiosa di Killing A Little Time, il dolore malinconico di When I Met You e soprattutto lo straziante, commovente saluto definitivo di No Plan, che sembra scritta dall’aldilà. Come è già stato detto, solo David Bowie poteva rendere Arte la propria morte, regalandoci questi ultimi capolavori a suggello di un’esistenza straordinaria. RDS In vent’anni, Sergio Cammariere e Roberto Kunstler hanno scritto tantissime belle canzoni Alcune, con nuove sonorità e arrangiamenti (Paolo Silvestri cura le orchestrazioni), brillano di luce diversa in IO. Dall’acclamato esordio del 2002, DALLA PACE DEL MARE LONTANO, Sergio pesca con mano generosa: oltre alla title-track, reinterpreta Tempo perduto (con la tromba di Fabrizio Bosso), Tutto quello che un uomo (che a Sanremo 2003 conquistò il grande pubblico), Via da questo mare (grande interpretazione vocale) e la divertente Cantautore piccolino (“confrontato a Paoli Gino”). E siccome la vita è un cerchio che prima o poi si chiude, ora Sergio compone la raffinata Cyrano su versi di Gino Paoli, per un delizioso duetto. I ritmi latini di Con te e senza te sono invece la base per un duetto con Chiara Civello. Inedite sono Chi sei, un sentito omaggio a Sergio Endrigo, La cosa giusta, “un’indagine sociale” su ritmo funky, Ti penserò, uno struggente piano e voce, e Sila, nostalgico piano solo in omaggio all’amata Calabria. FM David Crosby Lighthouse Peter Doherty Hamburg Demonstrations BMG wwwwwwwwww( Li credevate estinti? E invece no. I dinosauri del folk italiano sono tornati più vivi e vegeti che mai: gli ex Modena City Ramblers Cisco, Alberto Cuttica e Giovanni Rubbiani si sono ritrovati per dar vita a un album che con le radici piantate nel passato lancia uno sguardo critico al presente. Gli ingredienti sono gli stessi, vincenti: la voce, riconoscibile tra mille, di Cisco, i testi impegnati e diretti e la rivoluzione che stavolta è trasversale, dal sociale al pensiero. “Si parlava senza chattare, si girava per strada senza avere un navigatore satellitare e si suonava senza talent show, pensate un po’”: la band torna per cantare, con nostalgia, un passato che non c’è più. Tra i brani più trascinanti, c’è lo zaino pieno di ricordi, dischi e monetine di Tex e l’anima in bilico tra demonio e purezza immacolata di Cosa conta. È un disco che si tira fuori dal tempo, da ascoltare a occhi chiusi per ritrovare il coraggio di affrontare il mondo odierno. FC Nell’impinguare la sua parca produzione da solista (appena cinque album compreso quest’ultimo), David Crosby ha sempre avuto il problema di replicare la magia di IF I COULD ONLY REMEMBER MY NAME, l’esordio confezionato nel 1971 a seguire le fondamentali esperienze con i Byrds e Stills/Nash/Young; per nulla facile, vista la straordinaria ispirazione di quel (capo)lavoro e la sua autorevolezza nel definire un genere – un folk psichedelico di grande forza evocativa, e non legato a canoni stilistici precisi – oggi oltretutto popolarissimo nel circuito indie. LIGHTHOUSE, che arriva due anni dopo il già pregevole CROZ, non centra l’impossibile obiettivo, ma ci si avvicina più di quanto mai accaduto in precedenza con nove episodi dilatati, leggeri eppure intensi, che guardando all’Oceano riportano alle affascinanti utopie tardo Sixties del Laurel Canyon. È un volgersi indietro con nostalgia e qualche inevitabile rimpianto, ma senza la stanchezza del settantacinquenne che di tutto ha provato. Vi si celebra la vita che continua, ed è bellissimo. FG Dimenticate gli scandali, i festini a base di sesso e droga e le buche ai concerti. Doherty sarà anche genio e sregolatezza ma è soprattutto autore di talento. Basti pensare ai dischi dei Libertines e dei Babyshambles, per non parlare della sua prima sottovalutata prova solista, GRACE/WASTELANDS (2009). Dopo la (deludente) reunion dei Libertines, Pete ritorna con un secondo album che dà l’impressione di essere stato creato e inciso di getto (ad Amburgo, con il produttore Johann Scheerer) con un accompagnamento scarno, tanto che alcuni brani sembrano dei provini (e nel caso di A Spy In The House Of Love lo sono). Sorprende, come al solito, la facilità con cui Doherty colpisce (quasi) sempre nel segno con le sue canzoni intrise di un romanticismo debosciato, che parlano di amori malati, angosce esistenziali e nostalgia per una mitica Albione ormai scomparsa. Splendide Kolly Kibber, The Whole World Is Our Playground e Flags From The Old Regime, scritta per Amy Winehouse. Un piccolo grande disco. FD 43 RECENSIONI Tiziano Ferro Il mestiere della vita Ivano Fossati Contemporaneo RCA/SONY MUSIC wwwwwwwwww) Blues genovesi “M i piace il blues, forse più di ogni altro genere di musica. (…) Se avessi provato a scrivere dei blues chi li avrebbe cantati? Uno deve fare i conti col posto in cui è nato”. Il realismo di Ivano Fossati è quasi disarmante e fa simpatia. È rarissimo, almeno in Italia, che un artista di prima fila, baciato dal consenso della critica ma anche da quello del pubblico, ammetta di aver dovuto adattare la propria musa alle contingenze. E sorprende, soprattutto, che questo coming out avvenga non incidentalmente, magari nel corso di un’intervista particolarmente intima e sincera, ma ufficialmente, nelle note di copertina di un’operazione retrospettiva che celebra una carriera stellare: un box di 10 Cd (o vinili) che pesca da dischi di studio, inediti (10) e registrazioni live. Si rappresenta il Fossati solista, esclusa quindi i primi anni, quelli vissuti all’insegna del prog con i Delirium (qui citati solo nella versione live di Dolce acqua registrata al San Carlo di Napoli il 6 febbraio 2012 – il suo ultimo concerto prima del ritiro dalle scene). La versione di CONTEMPORANEO che circolerà di più, c’è da scommetterci, è però quella condensed, in 4 Cd o 6 Lp: 61 brani in totale, 4 inediti, repertorio che abbraccia un trentennio, da LA CASA DEL SERPENTE del 1977 44 a MUSICA MODERNA del 2008, mettendo in fila canzoni diversissime fra loro, a riprova di una costante, febbrile evoluzione artistica. Provate ad ascoltare l’opener Matto, e confrontatelo con La costruzione di un amore. Tra questi due estremi, un universo di possibilità: le canzoni note a tutti (Dedicato, La mia banda suona il rock, La musica che gira intorno, Una notte in Italia, Mio fratello che guardi il mondo, La canzone popolare) e le tante altre perle disseminate nei suoi dischi (Il grano e la luna, Amore degli occhi, La volpe). E poi, gli inediti: A cavallo della tigre, tema composto nel 2002 per l’omonimo film di Carlo Mazzacurati, con una sontuosa orchestrazione di Paolo Silvestri. E tre preziosi provini: la Idealista donata a Noemi, scritta con “la sensazione che con lei si potesse scardinare un po’ il linguaggio corrente e dire, in un italiano sonoro, contemporaneo e a tratti persino volgare, cose che volgari non sono affatto”; Il suono della voce (poi incisa da Tosca), che Fossati metterebbe “non troppo lontano da La costruzione di un amore”; e la struggente Quelli che siamo noi, scarna ballata scritta per Fiorella Mannoia e dedicata a “quelli che la competizione della vita fa fuori ogni giorno”. L’effetto complessivo è stordente e restituisce un autore grandissimo, complesso e coerente come pochi altri in questo Paese. MB Howe Gelb Future Standards UNIVERSAL FIRE RECORDS wwwwwwwwww( wwwwwwwwww/ Tiziano Ferro chi? Il cantautore inquieto, solitario e malinconico? Non c’è più: ha fatto la valigia, si è guardato allo specchio e se n’è andato. Direzione Los Angeles, dove ha cominciato a sistemare le idee per questo nuovo album, IL MESTIERE DELLA VITA, il suo primo disco d’inediti in cinque anni. L’album, prodotto da Michele Canova, è la prima pagina del secondo capitolo della vita del cantautore di Latina: “Fine primo capitolo”, canta nell’introduzione, Epic. Con i suoi ultimi dischi, Ferro si era avvicinato parecchio alla registrazione in diretta, lavorando con molti musicisti: stavolta, ha preferito tornare all’elettronica degli esordi, ricollegandosi al mondo di Rosso relativo e 111: e dunque beat, black, soul, hip hop. Poteva essere un rischio, arrivato a questo punto della sua carriera, giocare con queste sonorità: ma il risultato finale è un bel disco, moderno nei suoni e nelle atmosfere (Lento/ Veloce, “Solo” è solo una parola). E tranquilli, c’è posto anche per un paio di quelle ballate che ci piacciono tanto, Potremmo ritornare e Il mestiere della vita. MM Dodici sono i futuri standard dell’eclettico quanto prolifico Howe Gelb. Rilettura tanto raffinata quanto godibile del jazz anni Quaranta alla Hoagy Carmichael, il suo ultimo album offre il meglio nei duetti con la giovane Lonna Kelley (da citare Terribly So, A Book I’ve Read Before e Ownin’ It, esempi di purissimo cool jazz da Verve Records anni Sessanta memore della lezione di Stan Getz), ma anche il resto è degno di assoluta attenzione. Lo spirito selvaggio del Tom Waits di SWORDFISHTROMBONES spunta fuori in brani come CLEAR e la reinterpretazione del Frank Sinatra più notturno e seducente di Impossible Thing sfida sorniona l’originale. C’è anche spazio per una rivisitazione, ovviamente in chiave jazz, di Shiver dei Giant Sand (formazione alternative rock capitanata da Gelb), qui ancora più intensa dell’originale. Encore di classe come la dylaniana May You Never Fall In Love non fanno che arricchire l’opera ancora di più. Album per pochi, ma assolutamente consigliato. SS RECENSIONI Jont & The Infinite Possibility An Old Innocence Alicia Keys Here Lady Gaga Joanne Ligabue Made In Italy Martinelli Sottoponziopilato RCA RECORDS INTERSCOPE WARNER PAROLA CANTATA WWW.JONTNET.COM wwwwwwwwww/ wwwwwwwwww/ wwwwwwwwww( wwwwwwwwww/ La classe, la voce e lo stile di Alicia Keys raggiungono con HERE, suo sesto album in studio, quello che è, per ora, il loro apice. Sedici tracce, black come Alicia, ribelli come quei ricci che ammaliano in copertina, maliziose come il suo sguardo, ma soprattutto r&b, soul e con quel tipico tocco hip hop presente dalle sue prime canzoni. Come descritto dalla stessa Keys, è un album registrato con la velocità di un temporale estivo, scritto in meno di dieci giorni dopo ben quattro anni di silenzio. E la sua urgenza di travolgerci, sorprenderci e colpirci è lampante sin dalla prima canzone, The Gospel. È quindi immediato anche nell’ascolto, bello come quei gesti impulsivi di cui, a sangue freddo, si va fieri. Quello che conta è la sua voce, premiata con costanza dagli altri musicisti a volte vestiti in abiti anni 60, come in Pawn It All, altre volte con indosso solo una chitarra classica, vedi Kill Your Mama. Diretto, senza trucchi, questo disco ti guarda dritto negli occhi. Piaccia o meno, non possiamo che complimentarci. GG Lady Gaga è una delle personalità più creative del pop 2.0 e JOANNE lo conferma in modo autorevole, anche se qua e là qualcosa scricchiola – per quanto sia il suo disco migliore fino a ora, non può dirsi impeccabile. In ogni caso, offre pop sano e accurato, con sprazzi di rock moderno e tanto r&b. Fari puntati ovviamente sulla gran canna soul di Lady Gaga sin dall’apertura Diamond Heart e Perfect Illusion. Le sonorità sono diverse, ma la coerenza stilistica non ne soffre: oltre alle venature rock c’è anche la Gaga voce e piano, quella di Million Reasons e Angel Down. Nel mucchio, spiccano Hey Girl, cantata in duetto con Florence Welch, e la title-track Joanne, che fonde rock e acustico con effetti inediti. Seguito naturale di ARTPOP, JOANNE sfoggia un sound più maturo e una qualità compositiva e lirica in crescita. A metà tra anni 80 e anni Duemila, è il disco che serviva alla Germanotta per consolidare il suo percorso da cantautrice. LS Il progetto era rischioso e un po’ azzardato: pubblicare un concept album in un periodo in cui pochi hanno tempo e voglia di ascoltare i dischi per intero, dall’inizio alla fine. Azzardato anche perché la parola “concept” rimanda a capolavori della storia del rock: The Wall, Quadrophenia, Sgt. Pepper’s. Titoli che fanno spavento solo a citarli, ma dai quali Ligabue si tiene saggiamente alla larga: MADE IN ITALY è sì un concept, ma dalla struttura più semplice. È un album di canzoni-canzoni che rappresentano i tanti pezzi di un puzzle, ma che funzionano anche se prese singolarmente. La storia è quella di Riko, il suo “alter ego sfortunato”, un uomo di mezza età e in crisi esistenziale. Prodotto da Luciano Luisi, l'album recupera sonorità più spigolose rispetto a quelle “rotonde” di MONDOVISIONE: basti ascoltare l’incipit di La vita facile, con quei chitarroni e quei colpi duri alla batteria. Ma c’è spazio anche per episodi più acustici, come la ballata Vittime e complici. Una storia piacevole da ascoltare, dall’inizio alla fine: proprio come si faceva una volta. MM Quello di Martinelli e del suo SOTTOPONZIOPILATO è un inedito cantautorato d’altri tempi, eclettico, policromo nelle sfumature e, per certi versi, complesso. La voce è ruvida ma confidenziale e malinconica in Farfalena, alla Rino Gaetano in Cartoni animati, lo stile un cantato/parlato che contraddice la tendenza melodica di certe realtà contemporanee. Anche le scelte musicali sono ricercate, come se nulla dovesse mai ripetersi tra la prima canzone e l’ultima: c’è l’ukulele su base elettronica in Vecchi porno, la tipica chitarra acustica in Flauto di pelle, il pianoforte in Amico. E così per le tematiche, affrontate con quella spensieratezza mai superficiale, tipica di una generazione di cantautori milanesi. È un lavoro non immediato, che non lascia senza ostacoli di comprensione e che non facilita un apprezzamento d’istinto. Alcuni potrebbero fermarsi qui e scegliere tra le due facce quella del difetto; noi preferiamo parlare di pregi e di una conoscenza che vale la pena approfondire. GG wwwwwwwwww/ Conosciuto anche nel nostro Paese per i suoi concerti informali (nonché per la sua abitudine di presentarsi scalzo sul palco), il londinese Jont ha avuto un buon successo qualche anno fa, quando Sweetheart apparve nella colonna sonora del film Due single a nozze. Trasferitosi ad Halifax in Canada, si ripresenta con una band e un approccio più pop e meno cantautorale. Questo suo sesto album, AN OLD INNOCENCE, è il risultato di un lungo processo di lavorazione e di svariati remix, ma possiamo sbilanciarci nel dire che il tempo dedicatogli non è stato vano e che tutte e 12 le canzoni sono splendide. Stilisticamente a metà tra Damien Rice e Chris Martin dei Coldplay, brani come Supernatural, Australia e Big Open Heart ci mostrano un Jont in tutto il suo splendore (brit)pop, con arrangiamenti e melodie che non hanno nulla da invidiare ai suoi più noti predecessori. E Someone To Love Me – giuro – è una delle canzoni più belle dell’anno. Non ci credete? Andatevi a vedere su Youtube il video, girato a Roma. FD 45 RECENSIONI WOODWORM AZZURRA MUSIC Richard PalmerJames Takeaway wwwwwwwwww/ wwwwwwwwww/ PRIMARY PURPOSE Un non titolo, un numero di telefono: 3460608524 è il lavoro con cui i romagnoli Nobraino tornano sulla scena musicale italiana dopo due anni. L’obiettivo è chiaro: comunicare con il pubblico “senza intermediari”, sfida che viene raccolta in tutte le 13 tracce. I testi, in pieno “stile Kruger”, sono maturi e diretti, parole senza fronzoli ma che vanno dritto alle coscienze “da svuotare”. Ed è facile “tuffarsi leggeri” dentro le canzoni, grazie alle melodie, sempre orecchiabili. I brani, incastonati su tessuti musicali dal piglio funk, fatti di basso, tromba, voce e batteria, sono essenziali ma immediatamente convincenti. E, seppure la forma nel suo insieme è quella del concept album, ogni brano riesce a vivere di vita propria. La sensazione d’ascolto è quasi quella di un mini live acustico, pronto per essere portato sul palco. Poco sentimentalismo, solo piccoli affreschi di quotidianità da ascoltare senza difficoltà: fotogrammi di una società a Soqquadro. FC Sembra una dichiarazione d’intenti, il titolo voluto da Marco Ongaro. Sostenuto da Gandalf Boschini (un produttore nato nella pop/ dance, bizzarrie della vita), il cantautore veronese sceglie d’incidere in presa diretta, come se si trovasse davanti al pubblico di un club: una chitarra, un piano verticale, un’armonica a bocca e, naturalmente, la voce. Eppure, nella sua nudità, il materiale si rivela vigoroso ed efficace, forte dei tanti riferimenti letterari, da Ghiannis Ritsos, a Omero, a John Carpenter. Ne viene fuori un corpus per certi versi frammentato, “rapsodico” (parole sue), ma che trova continuità stilistica proprio nell’essenzialità dei pezzi che lo compongono. Colpiscono Elena, dedicata alla bellezza femminile e al rischio che rimanga fine a se stessa, e C’era un ragazzo ora non c’è, immaginario sequel del classico anni 60 che Ongaro aveva inutilmente proposto proprio a Gianni Morandi. A conclusione, un’interessante traduzione della Hallelujah di Leonard Cohen, autore già più volte affrontato in passato. AM Nobraino 3460608524 Marco Ongaro Voce Robbie Robertson Testimony Sting 57th & 9th UNIVERSAL INTERSCOPE/A&M wwwwwwwwww/ wwwwwwwwww% Strano ma vero, nei quasi trent’anni trascorsi dal “rompete le righe” di The Band, Robbie Robertson non aveva assemblato una sua antologia “ufficiale”. L’ha fatto ora con TESTIMONY, edita in parallelo a un’autobiografia con lo stesso titolo, che nonostante le dimensioni (diciotto tracce) è ovviamente solo un bignamino del songwriter e musicista canadese, fra i padri della cosiddetta Americana. Il problema, però, non è la sintesi in sé, quanto le scelte in apparenza umorali: si attinge all’esperienza giovanile con gli Hawks, al cruciale sodalizio con Dylan, fino alla Band e a pochi estratti dalla (succinta) discografia in proprio, ma i brani maggiori si mescolano ad altri oggettivamente meno rilevanti in una sequenza della quale non si comprende la logica. La qualità globale è alta e ci mancherebbe altro che così non fosse, ma è difficile allontanare l’impressione che una cernita più calibrata/equilibrata avrebbe evidenzato uno spettro di sfumature più ampio, consentendo alla stella di Robertson di apparire ancor più brillante. FG A 13 anni di distanza dal piacevole SACRED LOVE, l’annunciato ritorno di Sting al poprock porta un amaro sapore di delusione. Questo 57TH & 9TH mostra il cantautore al minimo storico del suo talento, presentando un songwriting banale e stereotipato che non ci si aspetta certo da un grande musicista con quasi 40 anni di carriera. Se la produzione (visti gli eccellenti nomi coinvolti) è ottima, altrettanto non può dirsi per la voce di Sting, che appare fiacco e svogliato, come se avesse dovuto svolgere un ‘‘compitino’’ sgradito per adempiere al suo contratto discografico. Da dove iniziare? Il primo singolo estratto, I Can’t Stop Thinking About You, è forse la peggiore canzone mai incisa dall’artista di Newcastle finora, mentre 50.000, tributo ai grandi musicisti scomparsi nel 2016, non sembra nemmeno opera sua. Solo in Inshallah si sente ancora lo spirito ruggente del vecchio Sting, e purtroppo non basta a riscattare un album mediocre che da Sting, va detto, non ci saremmo mai aspettati. SS wwwwwwwwww/ 46 Dopo essere stato membro fondatore dei Supertramp (suo anche il nome), nei quali suonava la chitarra e scriveva i testi, Palmer-James si è trasferito in Germania dove, per oltre 40 anni, si è guadagnato da vivere scrivendo liriche per altri artisti. Ma il suo nome è legato soprattutto ai King Crimson del periodo 1972/74, quelli di RED. Poi, una decina di anni fa, ha riscoperto la chitarra e ha trovato la sua strada. Richard ama definirsi un cantastorie e le storie che canta, con testi bellissimi, attingono al suo ampio parco di ricordi di storie vissute. Perché oggi questo signore ha 69 anni, anche se è al suo primo disco. Realizzato in Germania con alcuni dei migliori musicisti dell’area di Monaco di Baviera, TAKEAWAY mostra chiaramente quali siano le attuali passioni di RPJ: il blues e il country prevalgono sul pop che, pure, è presente nella divertente A Very Bad Girl. Davvero deliziose Dance With Me, con il mandolino e la slide guitar, e la malinconica Halfremembered Summer, con belle armonie vocali femminili. MG RECENSIONI Fabio Testoni Giano ALA BIANCA wwwwwwwwww/ Tricarico Da chi non te lo aspetti EDEL ITALY wwwwwwwwww& GIANO, il Dio dai due volti. Due volti , proprio come quelli di Fabio Testoni e Dandy Bestia. Per il chitarrista dei mitici Skiantos, all’esordio da solista, ci sono due facce e due anime: la prima è rock e ha i lineamenti del blues e apre le danze con Sto bene, affermazione rimarcata dal gioco di assoli chitarristici divisi con Alex Britti e Maurizio Solieri, ospiti del brano. L’altra faccia e l’altra anima sono quelle del cantautore: se il lato rock dell’album si sofferma forse troppo nei dintorni dello standard, è proprio quando il tempo rallenta che Testoni sorprende, rivelando una scrittura profonda e matura – vedi le bellissime Novembre e Io dentro, quest’ultima ulteriormente impreziosita da un meraviglioso lavoro d’orchestra, reale e non campionata, oppure L’isola felice, sospinta dalla sua voce profonda e calda. Alla fine, le due anime di Testoni sembrano trovare un punto di contatto nel grande lavoro chitarristico, che dà il carattere a tutto il lavoro e ingioiella questi ottimi brani. RDS Tricarico è un personaggio affascinante. Stralunato e stonato, ha però un carisma unico in Italia. DA CHI NON TE LO ASPETTI è un po’ come lui: strano. Se da un lato ci sono brani come Paradiso e Volo, dove emerge forte l’associazione con Celentano, o Stagioni che ricorda alcuni suoi successi sanremesi, dall’altro lato i singoli, Una cantante di musica leggera e Brillerà, peccano di una produzione troppo radiofonica, danzereccia ed elettronica, decisamente in contrasto con l’intimo messaggio di positività e spensieratezza dell’album. Ad appesantire ulteriormente l’ascolto, le comparsate, rispettivamente, di Arisa e Ale & Franz: decisamente evitabile l’inserimento in Brillerà del duo, che rende il brano più una (debole) gag che una canzone. L’eccentricità sembra caratterizzare il disco: c’è il pop dal sapore 60 di La bolla, la quasi alternative Da chi non te lo aspetti ma anche l’insopportabile Ciao. In sostanza, un lavoro a metà: né brutto né memorabile. RDS Suzanne Vega Lover, Beloved: Songs From An Evening With Carson MCCULLERS AMANUENSIS PRODUCTION wwwwwwwwww) Suzanne Vega è un’artista che fortunatamente ha ancora tanto da dire. Ne è la prova il suo ultimo album, ideale prosecuzione di uno spettacolo teatrale (da lei diretto e interpretato) dedicato alla figura della grande scrittrice americana Carson McCullers. L’album, forse non immediato come il SOLITUDE STANDING (1987) che consacrò la Vega al successo mondiale, richiede però una buona conoscenza del mondo della scrittrice, altrimenti si rischiano di perdere le complesse sfumature che caratterizzano quest’ultimo lavoro. New York Is My Destination è forse il miglior brano dell’artista dagli anni Novanta a oggi, una calda miscela di folk, jazz e blues dove l’equilibrio delle parti risulta perfetto. I meravigliosi Instant Of The Hour After, We Of Me, e la rilettura folk/jazz beatlesiana Harper Lee arricchiscono il lavoro Annemarie e confermano un’ispirazione sempre felice. Straconsigliato. SS Amerigo Verardi Hippie dixit THE PRISONER RECORDS wwwwwwwwww) La psichedelia cosciente “L à dove la solitudine finisce, comincia il mercato. E dove il mercato comincia, là comincia anche il fracasso dei grandi commedianti e il ronzio di mosche velenose”. Non so dire se Amerigo Verardi conosca questo pensiero di Friedrich Nietzsche, ma di sicuro ne condivide il senso: per festeggiare i suoi trent’anni di musica (l’esordio con gli Allison Run risale al 1987), si è regalato un disco realizzato in (quasi) totale solitudine nell’arco di due anni, ritagliandosi quieti momenti di creatività fra un impegno e l’altro (ancora Nietzsche, osservava che “se uno ha molto da cacciarvi dentro, una giornata ha cento tasche”). Il risultato supera qualsiasi aspettativa: 100 minuti di musica libera, visionaria, dilatata nei tempi (il brano d’apertura va oltre i 14 minuti, altri si aggirano intorno agli 8) o, più semplicemente, conoscendo gli amori musicali di Amerigo, psichedelica: l’atmosfera di Terre promesse fa venire in mente i Jefferson Airplane, ma è solo l’esempio più banale. A nostro avviso, l’aspetto forse più sorprendente di questo doppio album che pare nato in una sorta di bolla (a)temporale sta però nei testi: per quanto straniata e modernamente hippie è la musica, tanto lucide e lungamente meditate sono le parole, spese su temi a volte pesantissimi (le scomode verità sull’Unità d’Italia, le vite devastate dalle bombe ecologiche piazzate nelle nostre terre, il crollo degli ideali, la ricerca di conforto nella spiritualità, la necessità di uno slancio morale) ma sempre con leggerezza, senza mai esprimere giudizi o dare risposte. Per chi scrive, disco italiano dell’anno. MB 47 Indie Music Like Da alcuni anni, attraverso il mondo delle radio e delle web radio, riunito nel circuito della Indie Music Like, il MEI monitora, miscelando diversi dati, l’indice di gradimento dei brani indipendenti ed emergenti in uscita nel tantativo (uscendo dalle secche del top on air, spesso incapace di rispecchiare il reale gradimento del pubblico) di tenere sotto osservazione tutte le uscite – che, dalle più grandi alle più sconosciute, sono oltre cinquanta ogni settimana – facendo emergere una realtà produttiva ricca e vivace e capace di avere un gradimento spesso diverso da quello che ci viene segnalato dalle classifiche ufficiali. Il suo successo e la sua longevità sono dimostrati dall’aver colto spesso il successo di un brano e di un artista prima che questo gli venisse ufficialmente sancito. A tale importante classifica di tendenza, si abbina, da alcuni anni, la Video Indie Music Like, che in questo caso somma le visualizzazioni ricevute da ogni video indipendente, mentre con la Superlive, attraverso le segnalazioni e i suggerimenti degli operatori del settore della musica dal vivo, si indicano ogni mese i migliori artisti dal vivo, i migliori circoli e club per la musica dal vivo e i migliori festival e contest, facendo emergere anche qui realtà spesso totalmente underground. Chicca finale, la top delle migliori indies che segnala i marchi produttivi, ancora oggi nell’era dell’autoproduzione, che stanno realizzando le migliori performance con i loro artisti. Dal nuovo anno, dopo le votazioni per il miglior album dell’anno, partirà anche la classifica dei Migliori Album ed Ep, per tornare a valorizzare il concept-album, un modello che nell’era dello streaming on line pare in difficoltà ma che attraverso la rinascita dell’interesse verso il vinile sta ritornando a vita nuova. Chi volesse mandare segnalazioni, per le classifiche può scrivere a: [email protected] 48 1. THEGIORNALISTI Completamente (Carosello) 2. MOTTA Sei bella davvero (Woodworm) 3. AFTERHOURS Se io fossi il giudice (Universal) 4. THE ZEN CIRCUS L’anima non conta (La Tempesta Dischi) 5. SAMUEL La risposta (Sony) 6. DANIELE SILVESTRI feat. CAPAREZZA La guerra del sale (Sony) 7. MAX GAZZÈ Teresa (Universal) 8. BAUSTELLE Lili Marleen (Warner) 9. EMIS KILLA feat. NEFFA Parigi (Carosello) 10. EX-OTAGO Quando sono con te (Universal) 11. ASSALTI FRONTALI Io sono con te (Daje Forte Daje/Goodfellas) 12. GEMITAIZ feat. VICTOR KWALITY Coma (Universal) 13. TIROMANCINO L’ultimo treno della notte (Sony) 14. ERMAL META Gravita con me (Mescal) 15. ELISA Bruciare per te (Sugar) 16. DOUBLE TROUBLE Cenere (AlmaFactory) 17. NEGRAMARO Lo sai da qui (Sugar) 18. RENATO ZERO La lista (Tattica) 19. POP X Specchio (Bomba Dischi) 20.ROBERTO VECCHIONI Un lungo addio (DME) Top 20 Live 1.THEGIORNALISTI 2.MOTTA 3. THE ZEN CIRCUS 4.CALCUTTA 5. TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI 6. RAPHAEL GUALAZZI 7.MINISTRI 8.EX-OTAGO 9.DENTE 10. DOUBLE TROUBLE 11.COSMO 12. ERMAL META 13.ALBOROSIE 14. PAOLO BENVEGNÙ 15. LACUNA COIL FRANCESCO 16.SELTON MOTTA 17.PUNKREAS 18. BOBO RONDELLI 19. GIORGIO CICCARELLI 20.BOOSTA Video Indie music Like 1. SFERA EBBASTA – Figli di papà (Universal) 2. FRED DE PALMA – Il cielo guarda te (Warner) 3. MINACELENTANO – Amami amami (CLAN Celentano – PDU Music&Production) 4. ELISA – Bruciare per te (Sugar) 5. IL PAGANTE – Dam (Warner) 6. J-AX & FEDEZ feat. STASH & LEVANTE – Assenzio (Sony) 7. BRIGA – Mentre nasce l’aurora (Sony) 8. SALMO feat. ROSE VILLAIN – Don Medellín (Sony) 9. EMIS KILLA feat. NEFFA – Parigi (Carosello) 10. VALERIO SCANU – Rinascendo (NatyLoveYou) 11. JAKE LA FURIA – Non so dire no (Universal) 12. MAX GAZZÈ – Teresa (Universal) 13. SAMUEL – La risposta (Sony) 14. THEGIORNALISTI – Completamente (Carosello) 15. SIMONETTA SPIRI, GRETA MANUZI, VERDIANA ZANGARO, ROBERTA POMPA – L’Origine (New Music International/Dischi dei Sognatori) 16. GEMITAIZ feat. VICTOR KWALITY – Coma (Universal) 17. GRIDO – Strade sbagliate (Willy L’Orbo) 18. NOEMI – Amen (Red Sap Music) 19. ZERO ASSOLUTO – Il ricordo che lascio (Fonti Sonore ) 20.NEGRAMARO – Lo sai da qui (Sugar) Top Label 1.WOODWORM 2. BOMBA DISCHI 3. MACISTE DISCHI 4. 42 RECORDS 5. GARRINCHA DISCHI 6.ICOMPANY 7.GOODFELLAS 8. LA TEMPESTA DISCHI 9.URTOVOX 10.MESCAL THEGIORNALISTI 11. RUSTY RECORDS 12. IRMA, MATERIALI MUSICALI E RADIOCOOP 13.INRI 14.MARTELABEL 15. PICICCA DISCHI 16. LA GRANDE ONDA 17.TROVAROBATO 18. ALKA RECORDS LABEL 19. LA FAME DISCHI 20.RISERVA SONORA Top Club 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. ESTRAGON BOLOGNA CAP 10100 TORINO CIRCOLO MAGNOLIA SEGRATE (MI) QUIRINETTA ROMA VIDIA SAN VITTORE DI CESENA (FC) VOX CLUB NONANTOLA (MO) URBAN SANT’ANDREA DELLE FRATTE (PG) FUORI ORARIO TANETO DI GATTATICO (RE) 9. HIROSHIMA MON AMOUR (TO) 10. THE CAGE (LI) 11. NEW AGE RONCADE (TV) 12. THEREMIN (MS) 13. TENDER CLUB (FI) 14. L’ASINO CHE VOLA (RM) 15. BLUE NOTE (MI) 16. MEMO (MI) 17. ATLANTICO LIVE (RM) 18. LA SALUMERIA DELLA MUSICA (MI) 19. AUDITORIUM FLOG (FI) 20.DEMODÉ CLUB MODUGNO (BA) ABBONATI SUBITO! Potrebbero interessarti anche: noeri n 1 anum 0€ 9 11 , 0 2 THE CURE Classic Rock PROG € 44,00 sconto del 26% € 9,90 su www.sprea.it VERSIONE DIGITALE IN OMAGGIO! PREZZO DI LANCIO BLOCCATO TUTTO L’ANNO! PERCHÉ ABBONARSI: • Prezzo della rivista bloccato per un anno • Sicurezza di ricevere tutti i numeri COUPON DI ABBONAMENTO Sì! 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Ne parliamo con Enrico Molteni, fondatore dell’etichetta e bassista dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Quando, dove e come è nata La Tempesta Dischi? Ma soprattutto, perché? La Tempesta nasce a fine anni Novanta, legalmente il 1° gennaio del 2000, cifra tondissima. Nasce perché l’esperienza del mio gruppo Tre Allegri Ragazzi Morti con la discografia major non è stata un successo e quindi c’è stata la voglia di intraprendere un nuovo percorso da soli, con la propria forza, con le proprie idee. somma, di solito discografici e musicisti hanno visioni diverse dello stesso lavoro, io mi sono ritrovato in mezzo. Con La Tempesta, siete nati a cavallo di due mondi discografici molto diversi e complessi, quello della vecchia discografia pre-internet e quello della musica “liquida”. Come avete affrontato questo cambiamento storico? È stato più facile inserirsi in un mercato? È stato un passaggio molto difficile. Da un certo punto di vista, penso che se La Tempesta fosse nata in un’altra epoca (o se Prima di essere editore, sei un musicista con la tua band. Come ha influito questo nella gestione di questo “nuovo” (all’epoca) lavoro? È un punto molto imporle tante: capire un musicista è «Il potenzia pre più facile, se sei un musiciper noi è sem sta. I discografici tradizioai artistico, m nali tendono a parlare dei . dischi come prodotti, ne commerciale più parlano in numeri, spesso se E poi, forse fossero sacchi di patate per nte, sempliceme loro sarebbe la stessa cosa. vono I musicisti invece pensano le cose ci de alla musica, alle parole. Inpiacere, ci 50 re» devono gasa proprio non fosse esistita la musica liquida) molto probabilmente sarei ricco: avrei case in città, montagna e mare. In realtà, effettivamente non ho niente, ma questo non vuol dire che non sia felice. Il cambiamento tra i due mondi discografici è stato fonte di tantissime discussioni, ognuno ha tuttora da dire la sua. Io fortunatamente sono stato trainato dall’abitudine di ascoltare i dischi, come è sempre stato. Cioè, mi sono messo dalla parte del fruitore. Sono lontanissimi gli anni in cui ordinavo gli Lp in America; arrivavano dopo così tanto tempo che neanche mi ricordavo più cos’avevo scelto. Massimo Volume: nel 2010 hanno pubblicato con La Tempesta il loro comback album. ILARIA MAGLIOCCHETTI LONGHI X 3 Enrico Molteni, leader dei Tre Allegri Ragazzi Morti: ha fondato La Tempesta Dischi il 1° gennaio 2000. Nata da una costola dei Tre Allegri Ragazzi Morti, è diventata il faro della produzione indipendente italiana. Oggi è tutto a portata di orecchio, la mia vita da appassionato di musica è migliorata tantissimo. Questa rivoluzione ha comportato degli scossoni alle strutture economiche e di produzione, ma in un modo o nell’altro mi sembra che si sia trovato un nuovo equilibrio che spero possa essere anche un nuovo punto di partenza. Essere indipendenti significa fare quello che si vuole, cioè agire nella progettazione artistica senza avere vincoli artistici o economici. Con la crisi, anzi, la morte della discografia, cosa vi spinge a continuare a pubblicare dischi fisici? Quanto è il guadagno a fronte dell’investimento? Per quanto ristretto, c’è ancora un mercato legato al supporto fisico, quindi non avrebbe senso eliminarlo solo perché in calo. Molti sono affezionati al supporto fisico ed è giusto renderlo disponibile. Comunque non definirei morta la discografia, se con discografia s’intende produzione di musica. Insomma, ci piace la musica che c’è dentro i dischi, non i dischi stessi, giusto? Alcune tra le principali realtà musicali “alternative” della Penisola hanno pubblicato o pubblicano ancora con voi (tra le tante: Giorgio Canali, Il Teatro degli Orrori, Zen Circus, MaDeDoPo, Luci della Centrale Elettrica). Come capite quando un progetto ha del potenziale? Cosa vi spinge a scegliere un artista o meno? La maggior parte dei contatti sono nati suonando in giro per l’Italia; un supporto, un produttore, una nuova città. La stima artistica è andata a braccetto con quella personale per molti anni. Tutt’ora è così, si è creata una rete di rapporti che porta La Tempesta e alcuni artisti a uscire insieme. Il potenziale per noi è sempre artistico, mai commerciale. E poi, forse più semplicemente, le cose ci devono piacere, ci devono gasare. Abbiamo bisogno di avere visioni e di vedere l’energia. Non solo Italia, c’è anche “La Tempesta International”. C’è mercato per le band italiane fuori dai confini? E che progetti seguite? Nata nel 2010, la sezione International si discosta dalla sezione Dischi per l’uso di una lingua che non è l’italiano e che principalmente è l’inglese. Per i primi dieci anni, infatti, La Tempesta pubblicava solo dischi in italiano, poi abbiamo pensato che sarebbe stato bello provare a mettere alla prova le nostre capacità anche al di fuori dei nostri confini. Artisti come Mellow Mood, Ninos du Brasil, Aucan o L I M ci hanno dimostrato che è possibile farsi notare dal mondo. Quali sono i lavori “fondamentali” per capire La Tempesta Dischi? Solo per dirne alcuni, potrei dire PRIMITIVI DEL FUTURO dei Tre Allegri Ragazzi Morti, o il primo del Teatro degli Orrori, DELL’IMPERO DELLE TENEBRE, così come i lavori di Le Luci della Centrale Elettrica o degli Zen Circus. Senza scordare comunque Fine Before You Came e il loro SFORTUNA, SPLENDORE TERRORE di Moltheni o CATTIVE ABITUDINI dei Massimo Volume. E poi ci sarebbero ancora Il Pan del Diavolo, Giorgio Canali, Aucan, Mellow Mood, Erio… Sono troppi, davvero! Che cosa ci aspetta nel 2017? Qualche anticipazione? Tante cose: Blindur, il nuovo de Il Pan del Diavolo, Umberto Maria Giardini [precedentemente noto come Moltheni, ndr] e poi Management del Dolore Post-Operatorio, l’americano Xiu Xiu, i Sick Tamburo. Ci sarà da divertirsi. d IN 5 DISCHI TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI LA TESTA INDIPENDENTE (2001) Numero di catalogo LTD002, primo full lenght pubblicato per l’etichetta e terzo per la band friulana. Considerato tra i migliori dischi italiani, è la prova che l’indipendenza artistica viene premiata quando c’è il talento. GIORGIO CANALI & ROSSOFUOCO GIORGIO CANALI & ROSSOFUOCO (2004) Il primo album di artisti diversi dai TARM a essere pubblicato è il terzo lavoro di Giorgio Canali con i Rossofuoco. L’ex chitarrista di CCCP e CSI è un concentrato di elettricità dura e parole urlate in faccia. LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA CANZONI DA SPIAGGIA DETURPATA (2008) Il primo album di Vasco Brondi, il cantautore dietro il fantasioso moniker del progetto, è un fulmine a ciel sereno e travolge la scena musicale indipendente italiana con il suo minimalismo musicale e i suoi testi profondi. ZEN CIRCUS ANDATE TUTTI AFFANCULO (2009) Il sesto disco della band è il primo con i testi in italiano, e già dal titolo si capisce la direzione presa. Disco rivelazione dell’anno, vede Andrea Appino (de)cantare tutte le ipocrisie della società di oggi e del qualunquismo dominante della società. IL TEATRO DEGLI ORRORI A SANGUE FREDDO (2009) La cantautrice Maria Antonietta: con La Tempesta, nel 2014 ha pubblicato SASSI. Il secondo lavoro del Teatro degli Orrori, dopo l’esordio DELL’IMPERO DELLE TENEBRE, sempre con La Tempesta, è il salto di qualità che conferma la band di Pierpaolo Capovilla come una delle principali realtà dell’alt rock italiano. 51 Sei un cantautore. Ce l’hai la chitarra? E come l’hai scelta? Comprando la prima che ti è capitata davanti? Ecco perché quel tuo demo suona così moscio. Testo di A Mauro Lamanna | Foto di A Dario Sanna n’abusata leggenda vuole che Robert Johnson, classe 1911, tra i bluesmen più mitici di tutti i tempi e parte del tristemente noto Club 27 insieme a Jim Morrison, Jeff Buckley e tanti altri artisti morti proprio a quell’età, avesse stretto un patto col diavolo, vendendo la propria anima in cambio della capacità di suonare la chitarra come nessun altro al mondo. Non serve aggiungere altro: sono infatti tanti i miti che ruotano intorno alla bramosia di saper “domare” le sei corde, perché farlo significa avere il potere di incantare il pubblico. Lo strumento per eccellenza È impossibile immaginare la figura del cantautore senza lo strumento più leggero, portatile e affascinante della musica contemporanea. Icona del pop, del rock, del jazz, del blues e di mille altri generi musicali, la chitarra ha subito infinite evoluzioni, pur rimanendo, in fondo, sempre la stessa. Come un’invenzione perfetta eppure sempre perfettibile, la regina dei palchi ha attirato a sé quelli che sarebbero poi diventati leggende della musica mondiale. Da Elvis Presley a Jimi Hendrix, da Eric Clapton a Bob Marley, passando per tutte quelle band che hanno scritto e scrivono tuttora la storia (i Beatles, i King Crimson, i Led Zeppelin, i Pink Floyd, i Radiohead e chi 52 più ne ha più ne metta), lei è lì. È sempre stata lì. Come scegliere, quindi, la propria compagna di viaggio? Il mercato offre tantissime soluzioni per tutte le tasche ma, prima di tutto, bisogna capire di cosa realmente avete bisogno in base al genere e al gusto personale. Ad esempio, se la vostra musica è orientata alla bossa nova, probabilmente la scelta più funzionale sarà una chitarra classica con corde di nylon che, pizzicate dolcemente, producono un timbro capace di riportare alla mente i colori del paese della saudade, la “nostalgia felice” brasiliana. Il pop, il rock, la musica d’autore in generale, trovano invece il loro naturale sviluppo attorno agli accordi di una chitarra folk, che altro non è che una chitarra acustica con corde di metallo. Una volta fatta chiarezza sulla vostra predisposizione artistica, diamo un’occhiata al portafoglio e a quello che gli store mettono in mostra. L’offerta è talmente varia da far girare la testa: una piccola guida all’acquisto può quindi far comodo. Volare basso, suonare bene Nella fascia economica, o più internazionalmente definita come “entry level”, non posso non citare Eko, brand che offre sicuramente diverse opzioni a chi è alle prime armi o a chi non ha voglia di spendere un capitale. Tra queste, troviamo senz’altro la Una bellissima Eko CS 10 sunburst: entry level super-classica. classica CS10 (€ 50) o l’acustica Ranger 6 (€ 80). Salendo di livello, proposte interessanti le troviamo nel catalogo della famosa casa giapponese dai diapason incrociati, la Yamaha, con la sua classica NTX700 (€ 630) o l’acustica FG850 – prodotto piuttosto nuovo nelle vetrine, ma che promette un suono deciso in gamma di frequenza medio bassa. Ibanez non è da meno e, sebbene forse più celebre per le elettriche e l’endorsement di Steve Vai, offre una discreta scelta di chitarre folk o classiche, con la sua AVD10 (€ 620) o l’AEG10N (€ 300). Ma, si sa, a volte la musica non bada a spese né sopporta compromessi. E allora, vale la pena dare un’occhiata a quelle che potrebbero essere annoverate tra le migliori chitarre acustiche prodotte, come la Martin D-28 (€ 2700) o, sempre di marca Martin, la HD-28 (€ 3200). diversa risposta dinamica e di sustain. È questa l’alchimia che dovete aver presente quando imbracciate un’opera da liutaio, perché il suono che avete in mente è sempre profondamente soggettivo e non è neanche scontato che la chitarra più costosa rispetti le vostre esigenze. Detto ciò, c’è un fatto importante da considerare. Qualsiasi direzione creativa abbiate deciso di seguire, che si vada su una classica o che si punti su un’acustica, dovete chiedervi se lo strumento abbia bisogno di essere amplificato (o, per meglio dire, “elettrificato”). Può trattarsi di un valore aggiunto, utile anche alle vostre esibizioni dal vivo. Chiaramente, il prezzo tenderà ad aumentare sensibilmente a seconda della qualità del piezo che am- plifica la vibrazione delle corde e dell’equalizzatore che spesso lo accompagna, il che però non corrisponde necessariamente a un miglioramento di qualità dello strumento stesso. Insomma, come al solito: compromessi. Infine, vorrei suggerire di dare un’attenta occhiata ai prodotti della coreana Cort, che spesso dota i suoi strumenti di caratteristiche interessanti (come l’accordatore incorporato al body – che comodità!) a prezzi decisamente accattivanti. Non resta che far vibrare la quinta corda a 440 Hz, ottenere un LA perfetto, e cominciare a creare la vostra musica. Sopra: (da sinistra) la mitica Martin D-28, l’accordatore integrato Cort E610C, la Yamaha NTX700. A fianco: la Ibanez AVD10. L’importante è toccare Quale che siano le vostre disponibilità finanziarie, c’è da dire che – al di là dei suggerimenti di partenza nella ricerca della vostra fedele compagna – è d’obbligo sedersi su uno sgabello del negozio e provare le chitarre mettendoci letteralmente le mani sopra. I prezzi variano in base ai materiali usati, quindi a seconda del tipo di legno per i vari componenti, le meccaniche e le finiture. Tutto questo contribuisce alla timbrica dello strumento che può variare anche di molto, oltre alla Acustiche Classiche Epiphone DR100 € 109 Yamaha C40 € 110 Mid level Ibanez AVD10 € 540 Takamine GC1CE € 330 Top level EKO Profumosa € 4.217 Godin MultiAc Grand Concert SA € 1.620 Entry level 53 . In un a r a c ù i p sempre centinaia è a M . e osta a è liv La music he solo in Italia sp na questione u c mercato i euro, è esplosa utti: il secondary d t o di milioni lti e sottaciuta da lla rete ha assunt o e nota a m Che con i mezzi d iale. d . ticketing di una truffa mon i simile lasso di tempo, i fan che non riescoi contorn rasselli ianluca G AG A cura di cquistare un biglietto online per andarsi a godere un concerto di musica dal vivo è diventata un’impresa sempre più complicata. In quanti si sono dovuti scontrare con quella frustrazione dovuta al bollino rosso del sold out dopo appena pochi minuti dall’apertura delle vendite? Per completare un acquisto di un biglietto su TicketOne, sono necessari due minuti e trenta secondi. Eppure, in un no ad aggiudicarsi un posto tra le migliaia disponibili sono molti. Il più delle volte, si tratta semplicemente di un colpo di sfortuna: qualcuno è stato più veloce di voi e il vostro biglietto è nelle mani di un altro fan. IL BAGARINO 2.0 Altre volte, invece, c’è di mezzo un intero mondo di bagarini online pagati per competere con voi fan e reimmettere il vostro biglietto nei circuiti di vendita secondari. Ancora, nella peggiore delle ipotesi, il vo- stro biglietto su TicketOne non c’è mai finito, ma è passato direttamente dal secondary ticketing. Ma cosa intendiamo per secondary ticketing e come funzionano questi meccanismi? Il secondary ticketing è il mercato di vendita di biglietti per eventi dal vivo, in cui la musica live gioca un ruolo fondamentale, non autorizzato formalmente e quindi non regolamentato, dove in genere i prezzi dei biglietti sono gonfiati. Soprattutto grazie a internet, questo fenomeno ha assunto contorni grotteschi: sulle piattaforme di secondary ticketing come Viagogo o Seatwave, un singolo privato ha la possibilità di mettere in vendita i propri biglietti scegliendo autonomamente il prezzo. Il sito si fa garante dell’autenticità del prodotto e dello scambio tra le parti, ricavandone il 10% dalla transazione. Il prezzo dei biglietti presenti su questi siti è praticamente sempre raddoppiato: il sovrapprezzo medio è del 57%, e in alcune occasioni, come è stato per il concerto di David Gilmour all’Arena di Verona dell’11 NOME COGNOME Coldplay luglio, il totale dei biglietti presenti sui siti di secondary ticketing raggiunge il 20% del totale erogato dagli organizzatori. Una possibilità su cinque, quindi, che il proprio biglietto, tanto atteso, debba essere acquistato al doppio del suo prezzo nel circuito secondario. IL SOFTWARE CHE ARRAFFA BIGLIETTI L’evidente anomalia nel funzionamento di siti come Viagogo, che da ora in avanti prenderemo come esempio (essendo il maggiore sul mercato), si registra quando già a soli pochi minuti dall’apertura delle vendite sul canale ufficiale, sono disponibili migliaia di biglietti al prezzo maggiorato. Il dubbio che possa esserci qualcosa di più che un semplice mercato tra privati che vogliono vendere il proprio biglietto è stato la leva che ha spinto il magazine «Dispatches» a indagare sulla questione: una bella inchiesta pubblicata nel 2013 evidenziò alcuni meccanismi alla base di Viagogo, più affini alla definizione di bagarinaggio online che di mercato secondario. Grazie ad alcune conversazioni private con i dipendenti che si sono dimostrati disposti a parlare, «Dispatches» ha raccontato come alcuni di loro siano pagati dall’azienda per competere direttamente con i fan al momento dell’uscita delle vendite. I biglietti così acquistati vengono reimmessi nel mercato da un minimo di due volte di più a un massimo di dieci. A facilitare la già spietata competizione coi fan, i dipendenti si servono di un software, il TicketOne Spinner Bot, in grado di aggirare il tetto massimo di biglietti acquistabili su TicketOne creando diversi IP e utilizzando altrettante carte di credito. Il prezzo online del software si aggira intorno ai 950 dollari e permette di acquistare fino a cinquanta biglietti al minuto, ed è lo strumento utilizzato dai bagarini online per acquisire subito un numero di biglietti impossibile da ottenere altrimenti. Inoltre, nell’inchiesta «Dispatches» è emersa una relazione d’affari diretta tra gli stessi organizzatori di grandi eventi e i siti di bagarinaggio online. In pratica, chi organizza i concerti fornisce ai siti di bagarinaggio migliaia di biglietti in anteprima per poi ricevere una percentuale degli ingressi ricavati dalla vendita maggiorata da parte di questi ultimi. Un danno che colpisce in due misure diverse sia i fan, che vengono privati della possibilità di acquistare al giusto prezzo un’esperienza importante e a lungo desiderata, sia la stessa azienda TicketOne che ha con gli organizzatori dei grandi eventi un contratto di anteprima ed esclusività sulla vendita dei biglietti. FRA PICCOLE IENE Claudio Trotta della Barley & Arts. In Italia, purtroppo, le cose non funzionano in maniera differente. Il primo caso eclatante a sollevare polemiche risale al 2012 quando, in occasione del concerto di Bruce Springsteen, si registrarono oltre 40.000 vendite di biglietti in soli sessanta secondi. Un tutto esaurito da record che non ha lasciato alternative ai fan, se non quella di rivolgersi al circuito secondario. All’epoca dei fatti, una delle poche voci che si alzò in protesta fu quella di Claudio Trotta della Barley & Arts, responsabile dell’organizzazione dei concerti del Boss in Italia, che espose una denuncia formale verso Viagogo. Di recente, l’argomento è tornato d’attualità, in seguito alle numerosissime proteste dei fan dei Coldplay che, come da copione, hanno trovato il bollino rosso a indicare il tutto esaurito dopo meno di mezz’ora dall’uscita ufficiale dei biglietti sul canale di vendita principale. Da una bella inchiesta di Matteo Viviani del programma Mediaset Le Iene, è emerso (grazie alla preziosa testimonianza protetta di un dipendente di Viagogo) il fitto scambio di affari tra una delle più grandi imprese di organizzazione di eventi e il sito di bagarinaggio online. L’impresa in questione è Live Nation che, in territorio nazionale, detiene un monopolio quasi assoluto dei grandi show di musica dal vivo. Solo alcuni nomi: Marco Mengoni, Giorgia, Green Day, Depeche Mode, Sting, Bruno Mars, Tiziano Ferro, Korn, Emis Killa e, ovviamente, Coldplay. In pratica, tutti i grandi nomi che per numero di fan sono in grado di registrare sold out nei maggiori stadi e palazzetti del nostro Paese. Fatture alla mano, Le Iene hanno dimostrato che Live Nation vende migliaia di biglietti a Viagogo, all’insaputa di TicketOne e contro il contratto stipulato che vede nelle due parti un rapporto di esclusività. Questi biglietti, non appena aprono le vendite ufficiali, vengono messi online sul sito di Viagogo al solito prezzo maggiorato. Attualmente, per il concerto dei Coldplay, sono in vendita “solo” 800 biglietti, il cui prezzo minimo è di 210 euro e quello massimo di 610 euro: il sovrapprezzo medio è circa del 200%. Il 10% del ricavato proveniente da questa forma di bagarinaggio rimane a Viagogo, il 90% torna nelle tasche di Live Nation. I biglietti che avanzano vengono buttati. Alla faccia di chi non è riuscito a investire il proprio capitale per un concerto. Basta sondare su Viagogo i biglietti dei concerti organizzati da Live Nation, per capire che il caso dei Coldplay non è isolato: per Bruno Mars si va da un minimo di 80 euro a un massimo di 500, per i Depeche Mode da 80 ai 370 euro e via dicendo. Il polverone alzato dall’inchiesta di Viviani è giunto anche agli artisti italiani legati a Live Nation come Vasco Rossi e 55 SECONDARY TICKETING Marco Mengoni che, senza esitare, hanno dichiarato di non essere a conoscenza di simili dinamiche e di voler prendere le distanze dall’azienda. Per ora, oltre all’ottimo lavoro di Le Iene, sono state spese solo molte parole e nessuno, concretamente, tra gli artisti che potrebbero fare la differenza ha effettivamente preso le distanze da Live Nation e dalle sue pesanti accuse riguardanti alcuni volti della musica favorevoli, o promotori, di questo meccanismo fraudolento. UNA LEGGE PER TUTTI Eppure, la grande condivisione dell’inchiesta, l’esposto in Procura della Repubblica da parte di Claudio Trotta e una grande raccolta firme di fan e appassionati di musica dal vivo, hanno mosso qualcosa nel mondo della politica. La legge sul “bagarinaggio 2.0” ha ricevuto il primo via libera dalla Camera e prevede multe pesanti, da 5000 a 180.000 euro, per chiunque non rispetti la disposizione secondo la quale sarà ammesso solo lo scambio di biglietti tra amici – cioè senza maggiorazioni né finalità di lucro – o quello occasionale tra privati a scopo non commerciale. La seconda buona notizia riguarda le indagini in corso della Guardia di Finanza sulle attività dell’amministratore delegato di Live Nation Roberto De Luca, ritenuto al corrente degli scambi fraudolenti tra la sua azienda e Viagogo. Che qualcosa si stia muovendo sul serio? L’ipotesi più auspicabile è quella di fermare lo scambio di biglietti tra Live Nation e i circuiti secondari come Viagogo che, ricordiamo, vengono sottratti al contratto di esclusività con TicketOne e, in seconda misura, ma non meno rilevante, ai fan che non avranno altra scelta per ottenere quei posti se non pagando un ingente sovraprezzo. Inoltre, speriamo che una volta approvata la legge, il suo effetto possa funzionare da deterrente per tutti quei privati che, indipendentemente da Viagogo, usando altre piattaforme, decidono di acquistare biglietti in più per poi rivenderli a caro prezzo. Scoraggiare quei bagarini che fino a oggi hanno potuto agire nel pieno delle loro libertà garantite dalla nostra giustizia. COLDPLAY, DIRTY PLAY Quando c’è un eccesso di domanda, il prezzo aumenta. È una regola di mercato valida per qualsiasi compravendita, compresa quella dei biglietti per i grandi concerti. Per tale ragione, accaparrarsi quanti più posti possibile è di fondamentale importanza per i bagarini che vogliono guadagnarci sopra una volta registrato il tutto esaurito. Perché di fronte a un sold out, ai fan più disperati non rimane che una sola alternativa: rivolgersi ai circuiti secondari o secondary ticketing, ai bagarini insomma. Quando l’evento è molto grande, come per il recente episodio delle due date italiane dei Coldplay, le possibilità di rimanere a bocca asciutta sono molto elevate. Si deve competere con altri fan, con i bagarini stessi e con i meccanismi fraudolenti che legano gli organizzatori stessi e i canali secondari. Ma cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su quali siano i mercati secondari e chi si deve evitare se non si vuole investire un capitale. Abbiamo confrontato i prezzi e la quantità di biglietti su tre diversi circuiti secondari, sempre relativi allo stesso evento: il concerto dei Coldplay del 3 luglio a Milano. Il primato è sicuramente nelle mani di Viagogo sia per numero di biglietti per evento che per prezzo più alto. In media, per ogni grande concerto potrete trovare circa 400 biglietti disponibili. Un’ottima riserva, ma al prezzo maggiorato mediamente del 57% rispetto al biglietto originale. A oggi, su Viagogo, i biglietti per vedere Chris Martin e soci possono essere acquistati con una maggiorazione minima del prezzo del 100%: da 90 euro a 180 euro per il parterre, con una massima del 700% di guadagno da parte del bagarino, da 90 euro a 630 euro. Attualmente, i biglietti in vendita sono 470. La seconda alternativa è il più classico eBay. Qui, potrete trovare numerosi account dedicati esclusivamente al bagarinaggio di biglietti. Basta digitare le parole chiave “Coldplay” e “biglietti Milano” e usciranno oltre 100 risultati. Il prezzo sale da un minimo di 150 euro a un massimo di 1000 euro, la maggiorazione media è del 150%. Alcuni profili di questi onesti rivenditori hanno le sembianze tipiche degli specialisti: grandi stock di biglietti, prezzi maggiorati, copertura di numerosi eventi sold out e un’interessante tecnica per evitare di pagare quel fastidioso 10% al sito internet: mettere in vendita il biglietto al minimo possibile, in molti casi addirittura un euro in modo da risultare anche più in alto nei risultati delle ricerche, ma aggiungendo spese di spedizione equivalenti al valore del biglietto, per quanto stabilito da loro, che spesso e volentieri come detto raggiunge centinaia di euro. La maggiore differenza tra eBay e Viagogo non riguarda il prezzo del biglietto in sé, ma la garanzia che Viagogo dà all’acquirente circa l’autenticità del biglietto di cui si fa garante; cosa che con eBay, invece, non avviene affatto, in quanto pura piattaforma di e-commerce tra privati con sistema di garanzia basato sulle votazioni stesse degli utenti (e di fatto facilmente manipolabili). La terza opzione possibile per acquistare il vostro biglietto è quella di rivolgervi ai vari gruppi relativi all’evento presenti sui social network. Su Facebook, ad esempio, visitando la pagina ufficiale del concerto dei Coldplay del 3 luglio a Milano troverete moltissimi annunci di privati che vendono i loro biglietti. Ahimè, le differenze con quanto detto in relazione a Viagogo ed eBay sono pari a zero. Tutti i singoli privati a cui ci siamo rivolti per chiedere un biglietto, imploranti, ci hanno risposto con delle cifre maggiorate. Biglietti da 45 euro lievitati fino a raggiungere i 250 euro, da 60 euro a 300 euro. E forse è questa la realtà peggiore perché non una supplica, non una preghiera né tantomeno l’umanizzazione della compravendita tramite messaggio privato ha impedito ai venditori di comportarsi come dei veri e propri bagarini a tutti gli effetti. “Significa che non sei interessato abbastanza”, la risposta più frequente che ci è stata data quando è stato fatto notare che il prezzo era stato aumentato del 250%. Quali sono le ultime possibilità rimaste? Chissà, forse andare il 3 luglio fuori San Siro a Milano, dal caro vecchio bagarino, quello col cartello “vendo biglietti”, e Matteo pagare sì sovrapprezzo, ma almeno guardando negli Viviani del occhi chi ci vende il biglietto. GG programma Le Iene. 56 Ecco la classifica indipendente di video emergenti generata da gradimenti musicali e playlist di radio e tv nel mese novembre. Per informazioni: www.oramusicablog.it ANDREA LA GRECA 1. Andrea La Greca, Natale sarà 2. Antonio Ancora, Baciami quando mi parli 3. Claudio Cervati, Non riesco più 4. Davide Bigatti, Via da me 5. Yharon feat. Esa, Non fermarti 6. Ram Antonio Mazzoccoli, Non sopporto 7.Nuju, Menestrello 8. Kyras feat. Valeria Rossi, Centro del mondo 9. Fabrizio Consoli, Il maestro 10. Dave Ruda, Simili e diversi 11. Borrkia Big Band, Ti amo ti odio 12. Prospettive di gioia sulla luna, Settembre 13. Fabrizio Sanna, Giorni 14.Seta, Vibrazioni sterili ANTONIO ANCORA CLAUDIO CERVATI 15. Alessio Creatura, Cerco trasparenza 16.Fuoricontrollo, La musica sta cambiando 17. JJ Vianello e gli Intoccabili, Se bruciasse la città 18. Renato Franchi e Orchestrina del Suonatore Jones, Giorni cantati 19. Giodano Cestari, Luna 20. Katy Desario, Virtualmente 21. David Collè, Un ideale 22. Safe & Sound, Day By Day 23. Claudia Franchina, Straordinaria follia 24.Rosmy, Un istante di noi 25. Edo Avi, Dimmi dove sei 26. Pupi Di Surfaro, Li mè paroli 27. Lena Lane, M’innamorai di te 28. Robie C., Libera 29.Karbonica, L’inganno 30. Roberta Giallo, Amore amor o un l o s a le er rlare Nata a p r to pe ietnam s e t e pr del V a r r e u ella g L’UOMO CHE IMMAGINAVA UN MONDO MIGLIORE Il 1971 fu per il John Lennon politico un momento-chiave: oltre a Happy Xmas, quell’anno l’ex Beatles compose Imagine. MICHAEL PUTLAND/GETTY IMAGES d STORI SSICO UN C A DI LA Stufo di ascoltare la voce di Bing Crosby, John Lennon ricicla qualche idea e crea un nuovo standard natalizio. Testo di A Renzo Stefanel ro stanco di White Christmas”, disse Lennon a proposito di Happy Xmas (War Is Over). Eppure, d’estate non si ascoltano motivetti natalizi: già, perché la canzone era nata la mattina del 30 luglio 1971, mentre John era comodamente alloggiato al St. Regis Hotel di New York, un cinque stelle superlusso di cui erano ospiti abituali Marlene Dietrich, Alfred Hitchcock e Salvador Dalì. D’altronde, Natale era solo un pretesto per parlare della guerra del Vietnam. Le trattative di pace a Parigi parevano a buon punto e forse Lennon pensava di dare una spintarella a un processo che, tra mille difficoltà, finalmente stava per avviarsi. A Natale si ricicla (anche in musica) Nel testo, il Natale era proposto come occasione di bilancio esistenziale; un crescendo di allusioni legava però il vissuto personale ai grandi avvenimenti mondiali, per culminare nel coro finale “War is over / If you want it”. Lennon riciclava così lo slogan usato da lui e Yoko Ono nel 1969 per la panellini e coro. In più, quando Lennon campagna pacifista iniziata col concerto di suonò il pezzo a Phil Spector, il produttore beneficenza del 15 dicembre alla Lyceum riconobbe nell’inizio della canzone, con la Ballroom di Londra in favore dell’UNI- voce che parte da sola seguita dopo qualche CEF. Lo stesso giorno, erano comparsi in nota dall’entrata degli strumenti, quello di I 12 città (New York, Los Angeles, Toronto, Love How You Love Me delle Paris Sisters, Roma, Atene, Amsterdam, Berlino, Parigi, che lui stesso aveva curato dieci anni prima. Londra, Tokyo, Hong Kong e Helsinki) giganteschi manifesti con lo slogan “War is Babbo Natale porta ritardo over” a caratteri cubitali e sotto, in piccolo, Le registrazioni si svolsero dal 28 al 31 ottola precisazione “if you want it”. Idea d’im- bre 1971 ai Record Plant Studios, con cinpatto, ma non originalissima: quello stesso que chitarre acustiche a trainare il pezzo. Una delle chitarre suonava slogan l’avevano già usato nel come un mandolino, sulla 1968 Phil Ochs per la sua CARTA scia di quanto aveva fatto GeThe War Is Over (una delle D’IDENTITÀ orge Harrison in Try Some canzoni simbolo dei pacifisti Buy Some, scritta a febbraio USA tra 1967 e 1969) e i DoDATA DI PUBBLICAZIONE ors in The Unknown Soldier 1° dicembre 1971 (USA); 24 novem- per rilanciare la carriera di bre 1972 (UK) Ronnie Bennett, la moglie – pezzi che sicuramente Len- POSIZIONE PIÙ ALTA IN CLASdi Spector, che riprese il non conosceva. La catena dei SIFICA riciclaggi coinvolgeva pure la n° 4 in UK (1972); n° 2 in UK (1981) trucchetto. A far tanto NataMUSICISTI le, poi, un profluvio di cammusica. Forse in omaggio alla John Lennon – voce, chitarra panelli, gli auguri di Yoko e tradizione folk (in cui nuove acustica Yoko Ono – voce John ai figli Kyoko e Julian e liriche venivano abitualmenHugh McCracken – Chris Osbourte composte su vecchie melo- ne – Teddy Irwin – Stuart Scharf i trenta pargoli dell’Harlem Community Choir, finiti die), Happy Xmas richiama– chitarra acustica Nicky Hopkins – pianoforte, pure in copertina. Purtroppo, va in modo quasi pedissequo sonagli, glockenspiel il traditional USA Stewball, Jim Keltner – batteria, campanelli in America Happy Xmas uscì tardi per la programmazione reso popolare da Peter, Paul da slitta and Mary nel 1963 (la B-side The Harlem Community Choir – natalizia e non entrò neppuMay Pang – voci re nella Hot 100 di «Billbodel 45 giri s’intitolava, guarda AUTORI ard»; in patria, toccò aspettai casi della vita, Cruel War), John Lennon – Yoko Ono PRODUTTORE re addirittura l’autunno 1972, ripreso da Joan Baez l’anno Phil Spector per problemi contrattuali. dopo e rilanciato nel Regno STUDIO DI REGISTRAZIONE Unito nel ‘66 dagli Hollies Record Plant Studios, New York Snobbata all’inizio, la canzoETICHETTA ne sarebbe però diventata il con un arrangiamento già baApple classico che sappiamo. d sato su chitarra acustica, cam59 TUTTI GLI APPUNTAMENTI LIVE DA NON PERDERE A cura di ALESSANDRO BOTTERO DICEMBRE 2016 CLAUDIO BAGLIONI sabato 17 Roma, Aula Paolo VI www.fepgroup.it RM mercoledì 28 Cosenza, Teatro Rendano www.barleyarts.com RAPHAEL GUALAZZI giovedì 26 Torino, Folkclub www.panicoconcerti.it I MINISTRI venerdì 16 Roma, Monk Club sabato 17 Cesena, Vidia Club www.godzillamarket.it FIORELLA MANNOIA venerdì 16 Torino, Auditorium Del Lingotto sabato 17 Sanremo, Teatro Ariston lunedì 19 Assisi, Teatro Lyrick martedì 20 Livorno, Teatro Goldoni giovedì 22 Roma, Auditorium Parco della Musica venerdì 23 Roma, Auditorium Parco della Musica www.fepgroup.it JAMES SENESE venerdì 20 Ostuni, Teatro Roma www.bigtimeweb.it CALCUTTA LUCA CARBONI venerdì 16 Bari, Teatro Team www.fepgroup.it NICOLÒ CARNESI venerdì 23 Messina, Retronouveau venerdì 30 Catania, La Cartiera www.bigtimeweb.it DENTE venerdì 23 Cesena, Nuovo Teatro Carisport sabato 17 Ravenna, Bronson www.livenation.it NICCOLÒ FABI 60 RM FC TO IP PG LI RM RM TIROMANCINO sabato 10 Barga, Auditorium Theatre Ciocco martedì 20 Mantova, Teatro Sociale www.colorsound.com RENATO ZERO venerdì 16 Firenze, Nelson Mandela Forum sabato 17 Firenze, Nelson Mandela Forum lunedì 19 Firenze, Nelson Mandela Forum giovedì 22 Padova, Padovafiere venerdì 23 Padova, Padovafiere www.fepgroup.it THE ZEN CIRCUS sabato 17 Firenze, Flog www.locusta.net RM RM LU MN FI FI FI PD PD FI BR I sabato 17 Roma, Atlantico domenica 18 Roma, Atlantico www.dnaconcerti.com sabato 17 domenica 18 giovedì 22 lunedì 26 martedì 27 TO DANIELE SILVESTRI martedì 27 Roma, Auditorium Parco della Musica mercoledì 28 Roma, Auditorium Parco della Musica www.otrlive.it Senigallia, Teatro La Fenice Sulmona, Teatro Maria Caniglia Frosinone, Teatro Nestor Aprilia, Teatro Europa Bari, Teatro Petruzzelli RM RM BA ME CT FC RN AN AQ FR LT BA FIORELLA MA NNOIA SIMONE CECCHETTI LUCA CARBON CZ UNA CITTÀ PER CANTARE GENNAIO 2017 ROBERTO VECCHIONI domenica 22 Torino, Teatro Colosseo martedì 24 Reggio Emilia, Teatro Romolo Valli www.ticketone.it THE ZEN CIRCUS giovedì 5 Lamezia Terme, Colorfest venerdì 6 Messina, Retro Nouveau sabato 7 Catania, MA Catania venerdì 13 Cagliari, Fabrik sabato 14 Sassari, The House of Rock www.locusta.net RENATO ZERO venerdì 6 Assago, Mediolanum Forum TO RE CZ ME CT CA SA MI sabato 7 Assago, Mediolanum Forum lunedì 9 Assago, Mediolanum Forum martedì 10 Assago, Mediolanum Forum sabato 14 Livorno, Modigliani Forum domenica 15 Livorno, Modigliani Forum martedì 17 Livorno, Modigliani Forum venerdì 21 Eboli, Palasele sabato 22 Eboli, Palasele lunedì 23 Bari, Palaflorio martedì 24 Bari, Palaflorio giovedì 26 Bari, Palaflorio sabato 28 Acireale, Pal Art domenica 29 Acireale, Pal Art www.fepgroup.it MI MI MI LI LI LI SA SA BA BA BA CT CT RENATO ZERO FABIO CONCATO sabato 29 Mantova, Teatro Sociale www.caprionieventi.it SIMONE CRISTICCHI martedì 10 Cormons, Teatro Comunale mercoledì 11 Udine, Centro Balducci domenica 15 Cent, Centro Polifunzionale Pandurera mercoledì 18 Mira, Teatro Villa dei Leoni giovedì 19 Paese, Teatro Manzoni sabato 21 Schio, Teatro Astra mercoledì 25 Pollenza, Teatro Verdi giovedì 26 Scandiano, Teatro Boiardo venerdì 27 Bellaria, Teatro Astra sabato 28 Castel Maggiore, Teatro Biagi D’Antona domenica 29 Zero Branco, Teatro G. Comisso www.promomusic.biz NICCOLÒ FABI venerdì 20 Mestre, Teatro Corso sabato 21 Forlì, Teatro Fabbri sabato 28 Cremona, Teatro Ponchielli domenica 29 Parma, Teatro Regio www.barleyarts.com FLAVIO GIURATO giovedì 26 Torino, Folkclub www.panicoconcerti.it MI BS PD MA GO UD FE VE TV VI MC RE RN BO TV VE FC CR PR TO S DANIELE SILVE DANIELE BARRACO NICOLÒ CARNESI venerdì 20 Legnano, CIRCOLONE sabato 28 Brescia, LATTERIA MOLLOY domenica 29 Padova, MAME www.bigtimeweb.it TRI 61 FRANCESCO DE GREGORI Mentre nei negozi arriva un cofanetto che raccoglie la sua intera discografia e un live dal suo ultimo tour, Francesco De Gregori si prepara a un anno sabbatico. C 3 NEL PROSSIMO NUMERO AUTORI # ANT IL PROSSIMO NUMERO IN EDICOLA IL 17 G ENNAIO NADA A sorpresa, una sua vecchia canzone è tornata in classifica grazie alla fiction tv di Paolo Sorrentino. Nada ne sorride, ma pensa soprattutto al suo nuovo disco, L’AMORE DEVI SEGUIRLO. SERVE ANCORA ISCRIVERSI ALLA SIAE? Come abbiamo visto, Soundreef sta muovendo le sue pedine, per portare l’assalto al tesoretto dei diritti d’autore. Ma il gigante che finora li ha gestiti in monopolio non sta certo a guardare. THE ZEN CIRCUS Canzone d’autore con il tiro del punk rock: così sono gli Zen Circus. Hanno un disco fuori che sta piacendo parecchio e una lunga serie di concerti. Li abbiamo incontrati. Mensile - prezzo di copertina 1,90 € Direttore responsabile: Luca Sprea Realizzazione editoriale Contenuti s.r.l. : [email protected] diretto da Francesco Coniglio ([email protected]) a cura di Maurizio Becker. Massimiliano D’Affronto 8x8 S.r.l. (Art director), Alessandro Bottero, Riccardo De Stefano. Per i testi: Andrea Belmonte, Francesca Ceccarelli, Luciano Ceri, Francesco Donadio, Federico Fiume, Gianluca Grasselli, Federico Guglielmi, Mauro Lamanna, Renato Marengo, Lucio Mazzi, Francesco Mirenzi, Timisoara Pinto, Luca Secondino, Simone Spitoni, Renzo Stefanel. 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