Tavola rotonda
“L’assistenza psicologica al paziente e alla famiglia”
15 novembre 2005
Intervento conclusivo del Prof. Salvatore Sasso
Ringrazio i colleghi che hanno espresso in maniera chiara il loro pensiero sul problema di come
intervenire sul paziente oncologico e sulla sua famiglia.
Da quanto detto, si possono individuare alcune linee guida in modo da consentire all’équipe degli
operatori la costruzione di un progetto di sostegno, in quanto l’intrusione della malattia, che
minaccia l’esistenza di un familiare, provoca inevitabili cambiamenti nel sistema.
1. Costruzione di una rete di sostegno
Come affermava Thomas Mann, “Nessuno è un’isola”, dunque lo stare insieme agli altri
comporta, da parte degli operatori, non solo la considerazione della specificità del ruolo ma
anche l’integrazione delle competenze ad un livello meta-comunicazionale.
È necessario, quindi, integrare gli interventi del medico oncologo, del medico di base, dello
psicologo e dell’infermiere.
2. Fare emergere lo spazio per le persone
È necessario che gli operatori utilizzino un atteggiamento empatico, di comprensione e di
partecipazione ai problemi del paziente e della sua famiglia.
3. Considerare la famiglia come un sistema dinamico
Il sistema familiare ha un suo ciclo vitale composto da varie fasi evolutive costituite da
eventi naturali. Il passaggio da una fase all’altra richiede una ristrutturazione dei rapporti tra
i membri a cui consegue una nuova organizzazione familiare. Nel corso del suo ciclo vitale,
la famiglia può trovarsi ad affrontare anche eventi traumatici, imprevisti come la malattia
oncologica.
4. Verificare la presenza di alcuni fattori prognostici positivi di adattamento della famiglia alla
malattia oncologica
 coesione, ossia il legame emotivo tra i membri della famiglia
 assenza di conflittualità
 elevata espressività emotiva
 adattabilità o plasticità emotiva
 lo stadio di sviluppo
 organizzazione e storia familiare
 variabili culturali e supporto sociale
Tali fattori non sono contemporaneamente presenti al momento della diagnosi. Le reazioni
della famiglia sommariamente sono simili a quelle del proprio congiunto e possono
svilupparsi parallelamente (reazione di disperazione condivisa) o in maniera sfasata (rabbia
e impotenza mentre il congiunto sta accettando quanto accade).,
L’adattamento alla nuova situazione di crisi viene raggiunto da un sistema familiare sano
sicuramente attraverso fasi complesse, più o meno difensive e destabilizzanti e attraverso il
percorso personale di ciascuno che si innesta, inevitabilmente, nel percorso dell’intero
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gruppo familiare, in tempi differenti a seconda della situazione, con modalità diverse a
seconda della storia personale di ogni famiglia, ma viene comunque raggiunto.
Questo processo richiede tempo e il paziente e i suoi familiari si trovano ad affrontare un
intenso stato emotivo di disorientamento e l’aiuto di persone care e non solo che sostengono
il nucleo familiare è di grande importanza.
Qualunque sia il ruolo del paziente in famiglia, è sicuramente un ruolo importante ed i
membri di essa lo sentono minacciato; la paura della morte nelle varie fasi della malattia,
risulta la paura più complessa da superare soprattutto in quella che oggi la nostra società in
cui si cerca di far di tutto per ignorarla e non ci si ferma più a pensare ad essa come ad una
fase naturale ed inevitabile del ciclo vitale di ogni essere vivente.
5. Essere di aiuto al paziente attraverso la famiglia
Le reazioni dei familiari alla malattia di un congiunto ricoprono un ruolo fondamentale nel
determinare l’adattamento del paziente, come, allo stesso modo, la reazione di quest’ultimo
influenza il livello di stress e di adattabilità dei familiari. Tale processo è dato dalla
interdipendenza presente in ogni gruppo familiare.
Affrontando, secondo un progetto, il problema del coinvolgimento emotivo della famiglia,
gli operatori possono evitare conseguenze:
 Sul piano comunicativo. Sviluppo di una comunicazione aperta, fornendo al paziente
e ai familiari notizie qualitativamente e qualitativamente uguali;
 Sul piano clinico-terapeutico. Inserendo la famiglia in un programma di assistenza
globale, favorendo interventi di sostegno indiretti al paziente da parte dei familiari
stessi.
6. Dare aiuto diretto alla famiglia
La famiglia, oltre ad essere strumento di sostegno e cura per il malato, è anch’essa
bisognosa di sostegno, al fine di fornire benessere emotivo ai membri.
Gli interventi devono promuovere la possibilità di usare le proprie risorse per:
 mantenere o acquistare un senso di controllo e coerenza;
 facilitare la comunicazione aperta;
 incoraggiare l’espressione dei sentimenti anche se dolorosi;
 chiarificare le percezioni divergenti;
 richiamare crisi precedenti affrontate efficacemente;
 trattare i bisogni materiali.
7. Dare risposte a domande inespresse
Come comportarsi quando qualcuno che si ama ha un tumore?
E se ha delle recidive?
Il consiglio che possiamo dare è di non mostrare un falso ottimismo, ma esprimere le proprie
emozioni e le proprie preoccupazioni al paziente: i contatti affettivi autentici aiutano a
sentirsi più liberi e di conseguenza più sereni.
Anche i pazienti spesso hanno difficoltà ad esprimere le proprie angosce di fronte a chi
amano e questo nel tentativo di proteggerlo dalla sofferenza. Questo tipo di protezione si
rivela fallace poiché tende ad aumentare la tensione in famiglia, impedendo che si crei una
situazione di autenticità che è fondamentale affinché si sviluppo il sostegno reciproco.
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Tutti abbiamo bisogno di parlare delle nostre paure con chi ci è caro e la famiglia ed il
paziente devono mettersi i condizione di potersi offrire reciprocamente questo prezioso
sostegno.
Il bisogno di esprimere le proprie emozioni è estremamente importante quando la famiglia
sta vivendo il lutto anticipatorio. La mancanza di espressione delle emozioni, di
condivisione e di comunicazione, rende, in genere, più difficile e drammatico il vissuto dei
famigliari e il lutto dopo la morte.
Nelle fasi avanzate di malattia bisogna considerare che:
 l’energia presente all’esordio della malattia non è certo così disponibile a seguito di
cicli terapeutici e, come spesso accade, a distanza di tempo (talvolta anni) dalla
prima diagnosi;
 la famiglia può accusare il malato di abbandono. Tale protesta consente di difendersi
dall'angoscia e dalla frustrazione che la separazione o la perdita impone.
8. Considerazione del burn-out degli operatori
Bisogna fare attenzione alle inevitabili reazioni psicologiche che prendono forma negli
operatori. Depressione, malumore, irritabilità sorgono nel contatto di casi gravi come quelli
oncologici, ma anche da sentimenti della propria impotenza e dal confronto con la morte,
sempre implicito in situazioni come queste.
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